di Giancarlo Governi
da Globalist
Tutti conoscevamo la data di nascita di Lucio Dalla: 4 marzo 1943. Era il titolo di una delle sue canzoni più belle e quella che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico italiano. Raccontava di un bambino, figlio della guerra, che era nato proprio in quel giorno. I versi li aveva scritti una mia compagna del liceo, Paola Pallottino, e Lucio come titolo volle dargli la sua data di nascita. Forse perché, lui che aveva avuto genitori regolari ed era cresciuto in una famiglia normale dove però il padre morì quando lui aveva soltanto sette anni, sentiva vicina quella storia. Si doveva intitolare Gesù Bambino e proprio Lucio mi raccontò la storia di una delle tante censure della storia della Rai e del Festival di Sanremo in un mio programma, Mille bolle blu, che raccontava i primi trenta anni del festival di Sanremo.
Il testo originario della canzone diceva: "e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino". Bestemmiare. ladri. puttane per carità, niente di tutto questo. Anche il titolo non può andare, come si fa a intitolare una canzonetta Gesù Bambino, suona blasfemo. Prendere o lasciare, cambiare o rinunciare alla vetrina di Sanremo che, a quell'epoca, era la vetrina più importante, in un momento in cui Lucio aveva bisogno di essere lanciato. Lucio e Paola Pallottino cambiarono e il verso divenne: "e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino". E il titolo? 4 marzo 1943, la data di nascita di Lucio.
Ma con Lucio ci eravamo incontrati alcuni anni prima. Dopo il successo di 4 marzo che a Sanremo era arrivata terza e l'anno dopo con una delle sue canzoni più straordinarie Piazza grande, Lucio si era dedicato agli album a tema e per questo aveva iniziato la collaborazione con Roberto Roversi, un poeta bolognese, con il quale aveva pubblicato due album molto importanti della storia della canzone italiana: Anidride solforosa e Nuvolari. Fu Mimma Gaspari la promoter della Rca che me lo presentò: volevano promuovere il disco dedicato al mito del grande corridore automobilista, Tazio Nuvolari, detto il "mantovano volante". Il disco monografico si prestava a una trasmissione in più puntate. E così fu: affidai la regia a Luigi Perelli che poi diventerà uno dei più importanti registi della fiction italiana (ricordate La Piovra?). A quel programma riuscimmo a portare tutti i grandi cantautori emergenti (siamo nel 1976) a cominciare da Francesco Guccini (entrambi abitavano a Bologna e non si conoscevano personalmente, il programma li fece diventare amici) e poi De Gregori, e poi 'cantautore molisano che copia canzoni altrui (e che porta iella)'. Venne anche Dario Fo, Roberto Benigni (che non conosceva nessuno e che noi della Seconda Rete stavamo preparando per il grande lancio), Cochi e Renato e tanti altri che non ricordo. C'era anche uno scimpanzé femmina che dovemmo sostituire con uno maschio perché si era innamorata di Lucio.
Lucio tirò fuori tutto il suo repertorio più bello, fece i numeri che gli riuscivano meglio come quello con il clarinetto che smontava e rimontava e suonava poi in maniera eccezionale, perché era il suo strumento.
Dopo Automobili Lucio abbandonò i poeti e i parolieri, prese coraggio e si scrisse i suoi testi scoprendo una vena poetica pari soltanto a quella del musicista.
Quando c'era un momento importante da allora lo chiamavo sempre e lui correva, memore probabilmente del successo di Automobili. Negli ultimi tempi ogni tanto mi chiamava quando aveva bisogno di ricercare qualche antica trasmissione dell'archivio della Rai. L'ultima volta fu per chiedermi notizie di una commedia di Eduardo che era andata irrimediabilmente perduta e che piaceva tanto alla sua Mamma. Si era rivolto a me perché, mi sopravvalutava, e pensava che io avrei fatto il miracolo. Mi salutava sempre dicendo: "Prima o poi faremo un programma insieme noi due...".
Ora ci ha lasciato ma un artista come lui non muore mai, finché rimarranno le sue opere. E le opere che ci lascia Lucio sono tante e saranno amate anche fra 100 anni. Finché durerà la memoria...
Giancarlo Governi