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Di come le genti slave, sfuggite alla caccia del Terribile Turco, si riversarono nelle lande di Villa Scorciosa, et non solo, ma anco nelle lande di Lucania, secondo preziosa ac autorevole parola dell'esimio Frusta].
...Il commercio dei pastori si svolgeva soprattutto nella Fiera di Lanciano, che in quell’epoca rappresentava uno dei più importanti mercati del Regno. In questa fiera convenivano “
mercanti quasi da ogni parte d’Italia, Schiavonia, Sicilia, Grecia, Asia e d’altre nationi”(1), e particolarmente numerosi erano i mercanti bergamaschi, molti dei quali (Fenaroli, Berenga, Rota, De Bosis, Lucatelli) si stabilirono per sempre nella città frentana(2). La Fiera attirava però anche i contadini di Scorciosa, per i quali il giorno di mercato era occasione non solo per vendere i propri ortaggi, ma –in un’epoca priva di giornali e televisione- anche un modo per procurarsi dai forestieri la merce più rara di quel tempo, cioè notizie su quello che accadeva nel mondo.
Il terremoto di Santa Barbara e l’arrivo degli slaviLa Fiera di Lanciano era il segno di una vivacità economica che contagiava tutto il territorio frentano: fu in quell’epoca che da noi apparvero nuove colture pregiate come il mirto e il lentisco, mentre nelle masserie di Scorciosa spuntarono i primi vigneti di
pergolone, uva che i marchesi D’Avalos avevano importato dalla Spagna(3).
Sembrava che anche l’Abruzzo stesse vivendo un suo “Rinascimento”, ma tutto cambiò drammaticamente la notte del 4 dicembre 1476, quando un terribile terremoto sconvolse la nostra regione e gran parte del meridione. La scossa sismica fu talmente forte che “
caddero torri, chiese, case, campanili: si formarono baratri, avvallamenti e precipizi, e perfino dei laghi; scomparvero colline, si spaccarono monti, si crearono immense crepe e voragini nei terreni. Alla foce del fiume Sangro il mare prima si ritirò per un centinaio di metri e poi all’improvviso tornò fragorosamente sulla spiaggia invadendola per circa 150 metri, da quelli che erano i confini di prima “ . Ci furono 645 morti a Lanciano, la popolazione di Fossacesia fu decimata, mentre il villaggio di Scorciosa, in cui sopravvissero solo tre famiglie, fu praticamente raso al suolo; e il ricordo di quella immane tragedia è tuttora viva nella memoria di Villa Scorciosa, dove gli anziani, durante le lunghe sere invernali, tramandano ancora la leggendaria storia del vecchio paese “distrutto dalle formiche rosse” -formiche che in realtà si diffusero tra le rovine del villaggio dopo il sisma.
Il terremoto cambiò per sempre la storia di Villa Scorciosa, legando il suo destino a quello della Dalmazia, regione slava dei Balcani abitata da genti croate. Questi croati vivevano in condizioni di tale miseria che molti di loro venivano acquistati come schiavi dai mercanti veneziani e poi rivenduti nelle fiere (non a caso il termine schiavo derivava proprio da ‘
slavo’, e perciò i croati erano chiamati pure ‘
schiavoni’). Nel XIV secolo la loro terra fu invasa dai Turchi, soldati musulmani che seminavano terrore e rapivano i figli dei cristiani per farne eunuchi di corte o soldati dell’Islam(4). Per sfuggire alla violenza dei Turchi, gli abitanti delle città croate di Makarska, Vgorac e Imotsky si riversarono a migliaia presso la foce del fiume Narenta(5), e di fronte a questa “emergenza umanitaria”, le autorità decisero di far partire i profughi verso l’altra sponda adriatica, dove interi territori erano rimasti spopolati dopo il terremoto del 1456.
Ebbe così inizio la migrazione degli slavi verso l’Abruzzo: possiamo immaginare l’ansia –ma anche le speranze- di questi fuggitivi che lasciavano per sempre la loro terra, simili alle migliaia di disperati che ancora oggi approdano sulle le coste italiane in cerca di fortuna(6). Dopo essere sbarcati nei porti di Vasto o di Ortona, gli slavi si incamminarono verso le zone interne: molti di loro si accamparono a Lanciano, ma da qui nel 1488 furono scacciati verso le terre del circondario, dove fondarono i villaggi di Villa Stanazzo e Mozzagrogna(7); altri
schiavoni ripopolarono S. Maria Imbaro, Villa Romagnoli e Girolo (che fu ribattezzata Villa Canaparo) (n.8 ). Infine, una decina di famiglie slave si insediò nel villaggio distrutto che sorgeva intorno alla chiesa di S. Silvestro. E fu in questo modo che, verso la fine del XV secolo, dalle macerie del terremoto rinacque Scorciosa –anzi ‘Villa Scorciosa’- con il nuovo nome che abbiamo conservato fino ad oggi.
Donne che girano col coltello e uomini che giocano a sticchio
Gli slavi che giunsero in Abruzzo avevano per bagaglio solo qualche indumento(9) e non sempre furono accolti con ospitalità. A Lanciano, per esempio, i preti -temendo di perdere le loro rendite- impedirono l’ordinazione ecclesiastica di questi immigrati, mentre l’integrazione fu molto più facile a Villa Scorciosa, dove già nel 1540 la parrocchia era guidata da un Arciprete di origine slava, don Antonio Schiavone .
Tutti gli slavi, compresi i bambini, lavoravano in affitto le terre dei feudatari e vivevano nelle
pagliare, misere capanne che venivano utilizzate anche come stalla . Le loro condizioni di vita erano talmente difficili che, per evitarne la fuga, i feudatari costruirono per questi immigrati abitazioni più decenti, le
pinciare, fatte con mattoni di terra cruda e pietre(10). Serafino Razzi, un frate domenicano che in quel periodo visitò i villaggi dei coloni slavi, li descrive come “
persone robuste e da fatiche…sono di buono aspetto più li uomini che le donne; e benché sono di natione Schiavone, sono però affabili, cortesi.... Si esercitano generalmente alla coltura di territorii e vigne et horti; le donne filano alla rocca”(11). Le donne schiavone erano molto religiose ma mostravano anche una certa dimestichezza con le armi: “
Le donne quasi tutte venendo alla messa portavano a cintola come sogliono i soldati, i pugnali, uno aspersorio con ispogna in cima; et in mano un mazzetto di candele per accenderle a i loro altari et in ispalla uno o due conocchie di lino, o vero una piccia di pane in grembo per offrire all'altare essendo la domenica prima del mese. Arrivate alla porta della chiesa tuffano l'aspersorio in una gran pila d'acqua benedetta, e poi con essa girano per lo cimitero dando l'acquasanta alle sepolture coperte di grossi sassi e pietre, per cagione, credo, che le fiere divoratrici non le scavino” .
Questi immigrati importarono a Villa Scorciosa tradizioni alimentari, musicali ed antichi riti slavi come quello del ‘
Verde Giorgio’. Durante questo rito, che si svolgeva ad inizio primavera per augurare un abbondante raccolto, gli slavo-scorciosani giravano il paese ballando dietro ad un giovane rivestito con una maschera di canne e foglie(12). Altra usanza molto popolare tra gli schiavoni era il gioco delle ‘
pljočke’, che consisteva nel lanciare pietre di forma piatta (le
pljočke) verso un boccino (
štrikje), gioco praticato ancora oggi a Villa Scorciosa conservando i nomi di
joche e
šticchie .
Per lungo tempo i coloni di origine slava continuarono ad usare la loro lingua, come annotò ancora frate Razzi: “
Mantengono fra loro il favellare Schiavone… Chiamano essi il pane ‘bruca’, la carne ‘mesa’, il cacio ‘sire’, l'uova ‘iaia’, il vino ‘vina’, l'acqua ‘vode’”(13). Oggi purtroppo a Villa Scorciosa non c’è più memoria di quella lingua, ma il sobrio dialetto dei suoi abitanti resta simile a quello di altre comunità schiavone come Villa Romagnoli o Mozzagrogna (e ben differente dalla parlata un po’ sguaiata dei lancianesi o da quella cantilenante dei vastesi) (14).
Ma se oggi la lingua degli schiavoni è scomparsa, di quegli immigrati sopravvivono ancora molti cognomi originari, e così quando oggi incontriamo un Milantoni, Staniscia, Iasci o Schiarizza, riconosciamo in loro i discendenti di quei croati che –stipati su precarie imbarcazioni di legno- cinque secoli fa attraversarono l’Adriatico per cercare un po’ di fortuna nella nostra terra(15).
NOTE:
1) L. ALBERTI,
Descrittione di tutta Italia, 1551. Lanciano costituiva una tappa obbligata per i pastori, perché era situata in un punto di raccordo tra il tratturo principale L’Aquila-foggia e i suoi bracci laterali.
2) Nel XV secolo la Repubblica di Venezia dominava incontrastata nel Mare Adriatico, ed anche l’Abruzzo divenne sua colonia commerciale. La nostra regione esportava verso Venezia materie prime a basso costo (grano, lana, olio e vino) ed in cambio riceveva prodotti finiti (soprattutto panni di lana). La presenza di numerosi commercianti bergamaschi a Lanciano si spiega col fatto che Bergamo dal 1428 era divenuta città appartenente alla Repubblica veneziana. (Cfr. A. BULGARELLI LUKACS,
L’economia ai confini del Regno).
3) Durante il XV secolo nelle colline frentane si diffusero le coltivazioni di mirto e lentisco, dalle cui bacche si estraeva un olio che veniva esportato nei mercati dell’Italia settentrionale ed utilizzate per la concia delle pelli, per la produzione del sapone e come combustibile. Per quanto riguarda invece il mirto, la sua produzione divenne così intensiva che, per evitarne l’estinzione, alla fine del ‘600 l’Abbazia di S. Giovanni in Venere ne limitò la raccolta nei suoi possedimenti. Grande diffusione ebbe anche l’uva pergolone, derivata dall’uva di San Francesco che venne importata nel XV secolo dalla famiglia D’Avalos a Vasto e poi diffusasi in tutto l’Abruzzo (Cfr. A. MANZI,
Storia dell’ambiente nell’Appennino centrale).
4) Nel corso delle loro incursioni nella regione balcanica, i Turchi Ottomani catturavano bambini delle famiglie cristiane. Questi bambini, dopo essere stati islamizzati, venivano addestrati alla vita militare o a quella amministrativa di corte, composta da soli eunuchi. La loro tragedia è stata immortalata nel romanzo di Ivo Andrić ‘
Il ponte sulla Drina’ che nel 1961 contribuì a fargli ottenere il Premio Nobel per la letteratura.
5) Si è potuto stabilire con una certa precisione il territorio originario degli slavi che emigrarono in Abruzzo grazie alla lingua che essi continuarono a parlare per diversi secoli nei nostri territori. Questa lingua era un dialetto croato del gruppo
štokavo-
icavo, parlato nell’area di Makarska, Vgorac e Imotski. (Cfr. M. REŠETAR,
Le colonie serbocroate nell’Italia meridionale).
6) Nel XV secolo gli slavi emigrarono anche nelle Marche, Puglia e soprattutto in Molise, dove le tradizioni slave si sono conservate più a lungo: nei paesi di Montemitro, S. Felice e Acquaviva Collecroce fino al secolo scorso gli abitanti più anziani si esprimevano ancora nella lingua croata dei loro antenati, ed ancora oggi in queste località molisane la segnaletica stradale è scritta in forma bilinguistica italiano-croato. L'esimio Frusta del forum
Biancocelesti afferma, inoltre, che famiglie schiavone raggiunsero anche le lande lucane di Matera, e noi non abbiamo motivo per non creder
Gli (Cfr.
Italia Felix, Migrazioni slave ed albanesi in occidente).
7) La fondazione di Villa Stanazzo, alla fine del XV secolo, fu opera degli slavi cacciati da Lanciano per motivi di ordine pubblico. Il nome di Villa Stanazzo deriva dal termine slavo ‘
stanica’ (pronuncia ‘stanitsa’) che significa ‘stazione’, ‘fermata’. Stessa origine ebbe Villa Pietra Costantina (nucleo originario di Mozzagrogna). Questa località era conosciuta anche come ‘Villa degli Schiavoni’, ed ancora oggi Mozzagrogna nel dialetto locale viene chiamata ‘
li Schiavune’. Il nome attuale di Mozzagrogna deriva invece da D. Francesco Mozzagrugno, proveniente da Napoli agli inizi del XVI secolo, il quale acquistò numerosi terreni nel territorio dell’attuale paese. (Cfr. N. M. FOSCO,
Mozzagrogna, dalla selce alla Sevel).
8 ) Alcuni centri abruzzesi come Villa Scorciosa, Mozzagrogna e Villa Stanazzo possono considerarsi vere e proprie colonie slave, in quanto furono fondate o completamente ripopolate dagli immigrati, ma gruppi di schiavoni giunsero anche a Guastameroli, Frisa, S. Apollinare, Villa Alfonsina, Schiavi d’Abruzzo, Iubatti.
Villa Canaparo (situata presso l’odierna Villa Scorciosa) derivava il nome dalla presenza nei suoi dintorni di numerosi terreni coltivati a canapa, utilizzata per produrre indumenti, funi e vele per le navi. Il termine ‘
villa’ denominava i villaggi rurali non recintati da mura, situati fuori le città. (Cfr. L. A. ANTINORI,
Storia di Lanciano).
9) L’abbigliamento degli uomini consisteva in giacche di panno nero (
kôrpet), camicie di lino pesante (
košila), pantaloni lunghi fino al ginocchio (
grabeše) e mutandoni pesanti (
mûtane). Le donne portavano camicie con una piccola scollatura (
skavàtura), fazzoletti da testa (
ručinik), gonne lunghe (
hàla) munite di una grande tasca (
sakoča) e coperte da un grembiale nero (
mandîra). Le donne schiavone indossavano pure ciondoli a forma di medaglia chiamati ‘
berlòk’ (e nel dialetto scorciosano i piccoli gioielli vengono ancora oggi chiamati ‘
brillocche’). (Cfr. M. REŠETAR,
Le colonie serbocroate nell’Italia meridionale).
10) I coloni slavi spesso si spostavano dove trovavano migliori condizioni di lavoro. Per questo motivo, i proprietari terrieri cercavano di vincolarli ai propri possedimenti costruendo abitazioni decorose, come nel caso di Antonaccio, un immigrato slavo che a Villa Scorciosa oltre alla casa ottenne in dotazione anche un forno. Altro caso simile fu quello di Gica Stanazzo, uno dei fondatori di Villa Stanazzo, che nel 1476 ottenne dalla famiglia Rizzolino 40 ducati per costruire un casale con forno. (Cfr. O. BOCACHE,
Storia di Lanciano).
11) L’antropologo Rodolfo Livi ha riscontrato una forte
brachicefalia tra gli abitanti del territorio frentano, che contrasta con la
dolicocefalia presente negli altri territori abruzzesi. Nei soggetti
brachicefali la larghezza del cranio prevale sulla lunghezza, fenomeno molto diffuso in Europa centrale ed orientale tra le popolazioni slave. (Cfr. U. G. VRAM, Secondo contributo allo studio della craniologia dei popoli slavi).
12) Il rito del ‘
Verde Giorgio’ si celebrava il 23 aprile e prevedeva la processione dietro un giovane (il
Verde Giorgio) che, con una “maschera a capanna” di canne e fronde, girava per il paese ballando e cantando. La comitiva si fermava davanti ad ogni casa ricevendo in dono cibo e offrendo in cambio un mazzetto di fiori. A Villa Scorciosa si sono conservate alcune tradizioni alimentari slave come quella del
lessame (una minestra fatta con i legumi e i cereali rimasti dall’inverno che serviva a sopravvivere prima della mietitura) e il
kaš-kavunisk (‘pasta schiavona’), un ripieno per dolci fatto con uva nera cotta, noci, mandorle, buccia d’arancio e mosto cotto, che è arrivato fino a noi col nome di
caviciunitte. Per quanto riguarda invece le tradizioni musicali, sono di origine schiavona due canzoni che ormai fanno parte del patrimonio culturale abruzzese: “
Scuramaje” (lamento funebre di una donna per la perdita del marito) e “
Addije, addije amore”, struggente melodia degli slavi giunti in Abruzzo. Quest’ultima canzone è stata anche al centro di una polemica, perché negli anni ’70 fu rielaborata da Domenico Modugno col titolo “
Amara terra mia” senza che il cantante pugliese ne citasse la vera origine. (Cfr. E. GIANCRISTOFARO,
Totemàjje II, Cultura popolare abruzzese).
13) S. RAZZI,
Cronaca Vastese, 1577. Tra le parole slave conservate nel dialetto abruzzese ricordiamo il verbo
mucati ('tacere'), i sostantivi
varnica ('scintilla') e
scazecavazze ('cavalletta').
14) L’Abruzzo ha due grandi gruppi linguistici: quello della zona interna (influenzato dal sabino, con la vocale finale in ‘u’:
begliu=‘bello’) e quello costiero-meridionale (di ceppo linguistico sannita, con le vocali finali indistinte). A questo secondo gruppo appartiene anche il dialetto frentano, che al suo interno presenta molte differenze: si pensi, per esempio, alle diversità tra la parlata scorciosana e quella vastese con le sue vocali alterate
(nàire 'nero',
stràtte 'stretto';
gelàuse 'geloso',
ràsce 'rosso';
fèile 'filo').
15) Molti cognomi di famiglie scorciosane hanno origine slava, e tra questi ricordiamo Staniscia (da Stanic), Milantoni (derivante dal nome slavo molto diffuso
Milan aggiunto al nome Tonio), Jasci (probabilmente da Jasich), Di Rado (derivante dal nome
Rado), Baccile (da
Baccilis, presente nei primi registri delle località ripopolate dagli slavi). Numerosi altri sono i cognomi di origine slava presenti in Abruzzo, come Melizza (da
Milica, pronuncia ‘Militsa’), Dragani (da Dragan), Jezzi, Arrizza. In quello stesso periodo, per sfuggire dall’invasione turca dei Balcaniche, giunsero in Abruzzo numerose famiglie di etnia Rom. Tra queste vi era anche la famiglia Ciarelli, che deriva il suo cognome dalla contrada Ciarelli in provincia di Teramo, dove inizialmente si insediarono e da dove, agli inizi del ‘700, si diffusero in varie località abruzzesi, tra cui anche Villa Scorciosa. (Cfr. M. REŠETAR,
Le colonie serbocroate nell’Italia meridionale).