Autore Topic: SEBASTIANO FANTE ITALIANO  (Letto 57800 volte)

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #40 : Giovedì 6 Settembre 2018, 21:59:55 »
Dopo aver letto Leo che già da un bel po' di tempo d aprire una pagina come quest ci provava (d' altronde  ;) "è del poeta il fin la meraviglia") e Panzabianca che alla fine s' è lanciato, vorrei rivolgere prima a loro e poi a chi passa da queste bande la seguente pregunta: ve lo immaginate uno spazio come questo in forum di trigorioptechi?  :lol: :lol: :lol:
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #41 : Giovedì 6 Settembre 2018, 22:05:11 »
Arch, mannaggia a te che mi fai commuovere!
Ho come l'impressione che dietro questa storia ci sia qualcosa di più intimo e profondo che hai velato con il pudore di una spolverata di segatura.
Poi me la racconti meglio, eh?
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Offline Ataru

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #42 : Giovedì 6 Settembre 2018, 22:14:18 »
ve lo immaginate uno spazio come questo in forum di trigorioptechi?  :lol: :lol: :lol:

hanno i post limitati a 50 parole, perché altrimenti si abbioccano, ma soprattutto perché il loro vocabolario non ne contiene di più
osa c'è da psicolo propriono capisco.
qui sono un esempio di civilità e non solo per molti

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #43 : Venerdì 7 Settembre 2018, 09:45:32 »
Arch, mannaggia a te che mi fai commuovere!
Ho come l'impressione che dietro questa storia ci sia qualcosa di più intimo e profondo che hai velato con il pudore di una spolverata di segatura.
Poi me la racconti meglio, eh?

è anche la mia sensazione. 
Grande Arch!

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #44 : Venerdì 7 Settembre 2018, 11:13:47 »
Mi permetto di rompere l'aura dei bellissimi componimenti goduti sin qui per "stonare" con le mie Cronache Marziane. Che Dio me sarvi!   (l'aura non c'è!)


Assassinio sul nettuno express
Diciamocelo, quando dopo una giornata di lavoro ti presenti, pure sudaticcio, sulla banchina del rapido Roma-Frosinone e, dopo l’arrembaggio che segue all’apertura delle porte, conquisti il tuo posto, sai di aver comunque conseguito l’ultimo traguardo di giornata. Soddisfatto vedi i giudici con le palettine alzate e dai una sberla a Lijalic, lo fanno tutti. Tu sei a posto con la coscienza, ti senti un Don Chisciotte reduce da una battaglia vinta coi mulini a vento, e il treno è il tuo fido Ronzinante che conosce la via di casa. C’è un momento migliore per rilassarsi? No, certamente no. Il convoglio parte docile ed ognuno pensa ai casi suoi diteggiando sull’immancabile smartphone omnibus. Nessuno può violare un simile idillio, nessuno. E invece no! La voce registrata del welcome on board dirama un comunicato che destabilizza i più: “Benvenuti a bordo del Roma-Nettuno…” Solo poche parole per trasformare i placidi Campi Elisi in un inferno di anime perse. “Come a Nettuno??” fa il brigadiere dei carabinieri mettendo mano alla fondina. “Ma no, si saranno sbagliati” gli risponde lo sbarbato di turno. Mmmmmm... troppo giovane per avere una minima credibilità. Ripassare. Ora meglio il panico. “Chi c’avemo a Nettuno” fa il ragazzo pomicione ormai tutt'uno cò la pischella abbarbicata al suo mento. La sua indagine 'demoscopà', direbbe un antico comico, è chiara e non ammette variazioni sul tema, l’obiettivo è dato qualunque sia la destinazione finale. E poi sono simpatici, occupano un posto solo. “Io una volta ci sono capitata ma ero distratta…, venivo da un momento delicato…” fa la bionda seduta accanto a me. Ed un casuale gruppo di passeggeri si trasforma all’istante nell’anonima alcolisti, con tanto di scambio di intimissime confidenze. Intanto monta quella forma di protesta che, pur civile, occhieggia alla sommossa. Avevo già vissuto una simile circostanza quando, nell’aeroporto di Siviglia, in attesa di partire, ci ritrovammo poi confinati per 4 ore nella carlinga del velivolo senza che nessuno ci dicesse cosa. Ricordo che la situazione precipitò quando, dalla cabina in cui si era barricato, il capitano confondendo l’interfono col microfono urbi et orbi, chiamò l’hostess irradiando un inquietante: “a Mo affaccete n’attimo…”. Ma nel frattempo sulla rotaia… “torneremo per altra via!” Scocca da un grasso sacerdote col colletto bianco slacciato (pessima abitudine di molti) la freccia della fede che trova bersaglio nello spirito natalizio che anima il vagone. Così il tarlo del Re Magio (o Re Mago) a bordo come un coltello fende il burro e la ricerca si fa famelica. “Si ma ancora manco è nato Gesù Cristo, ‘ndo cazzo vanno già in giro questi…” spegne ogni fremito il muratore di Paliano che sfoggia una sospetta abbronzatura salafita. In molti diffidiamo. Intanto nessuna traccia del capotreno/controllore. La circostanza spalanca la porta a strane teorie complottiste. Il Mossad, il Var, i cubani, Putin, le congiunture cosmiche. Nettuno diventa così un posto abbandonato dagli uomini a da Dio, un’odiatissima gora. Qualcuno accenna al caro ombrelloni, altri ai problemi del litorale laziale. “Ma no, stiamo tranquilli, hanno programmato male il sistema, succede spesso, il treno arriverà a Frosinone…”, finalmente arriva il comunicato dell’illuminato di turno che tutti aspettavamo. Ritorna il sereno. “Si ma i finestrini son serrati, perché?” dal fondo del vagone fa un’accaldata tettona. E allora ripartono le teorie sulla pianificazione della selezione artificiale del ciociaro, a quanto pare, tesi cavalcata da una setta di eremiti di Veroli ormai debellata. La contestazione è ormai incontrollabile. E quando qualcuno ha già messo mano ai martelletti rompi-vetro, il coupe de teatre! il Demiurgo rompe ogni indugio e, da una località sconosciuta persino ai colonnelli de Pratica di Mare, col suo slang romano misto-valmontonese il Controllore annuncia: “prossima fermata Ciampino”. La signora di Ciampino incredula viene così portata in trionfo sullo scudo che qualcuno aveva lasciato nel vano biciclette per il presepe vivente delle ferrovie. E chi le regala un panettone, chi le stacca una piuma.

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #45 : Venerdì 7 Settembre 2018, 12:01:51 »
 :D :D :D
Hai capito l'ironico e icastico Panzabianca!! Creatore di atmosfere impareggiabile.

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #46 : Venerdì 7 Settembre 2018, 23:31:28 »
...Ed un casuale gruppo di passeggeri si trasforma all’istante nell’anonima alcolisti...
Più o meno come in questo topic :D
Sarà che spesso, come diceva Totò, certe cose succedono "quando il caso dice la combinazione" questi tuoi post stanno "succedendo" con me che mi trovo in zona.
Un po' già mi ci avevi cominciato a portare qualche giorno fa quando stavo ancora a quattro ore di volo da qui con quei brevi interventi in dialetto torrigiano, ma mò che sono tornato e che ti ho letto sdraiato a pancia in giù su un lettino da massaggi(*) delle Terme Pompeo di Ferentino, nel tuo viaggio mi ci sono trovato proprio in mezzo.
Se poi ci metti che da quando sto in pensione, anche se ci vivo quando posso, sono ufficialmente residente Paliano, il quadro diventa completo.
Se sei in zona pure tu, o quando e se ti capiterà di esserci, fammi un fischio.

O.T.
(*) Sta storia delle terme ha un po' del comico. Madama Frusta ha pensato bene (in piene vacanze) di procurarsi una parziale fratturella al bacino, e adesso, per dare un aiutino al callo osseo ed una nticchia di sollievo ai suoi gemebondi acetaboli, sta immergendo i suoi dolori nel fango bollente ed emanante pestiferi miasmi di anidride solforosa delle (antiche und rinomate) Terme di cui sopra.
Io, che a tutto so resistere meno che a farmi coinvolgere nelle cazzate, sto facendo la stessa cosa pur non avendo subito fratture di nessun genere e men che mai avendo bisogno di lenire alcunché.
Eppoi, siccome pure le massaggiatrici (quelle vere, non quelle che si spacciano per tali nei paginoni centrali del Massaggero) devono campà, dopo i fanghi, l' idromassaggio, la sauna, la doccia (sulfurea pure quella), il percorso kneipp e la piscina, ho abbandonato le mie vertebre alla sapiente azioni delle falangi di una di loro.
E mentre lei agiva, io, a pancia in giù ti leggevo.

P.s.
Ora che l' ho riletto mi rendo conto che unica (futilissima) ragione che giustifica questo O.T. sta nella summentovata frase di Totò e nell' invito a farmi un fischio in virtù motivo che me l' ha fatta venire in mente.
Vabbè! :D
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Offline leomeddix

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #47 : Sabato 8 Settembre 2018, 13:58:29 »
Il paradiso terrestre

Se in paese la vita era difficile per i bambini, lo era ancora di più per gli adulti. La poca terra posseduta dagli scorciosani non bastava a sopravvivere, e perciò molti andavano a lavorare come braccianti nei vigneti di Ortona, dove i ‘caporali’ tenevano alto il ritmo del lavoro in cambio di qualche sigaretta-extra . I contadini più poveri, quelli che non possedevano neanche un fazzoletto di terra, lavoravano invece come mezzadri nei poderi di ricchi proprietari come Luigi Lotti (chiamato don Luigi, in ossequio al suo superiore rango sociale ). Il contratto di mezzadria garantiva il lavoro a tutta la famiglia ma rendeva poco guadagno, visto che ai lavoratori toccava solo un terzo del prodotto. I socci erano obbligati ad omaggiare settimanalmente il padrone con doni in natura (uova, polli, conigli) e spesso dovevano avere il suo consenso pure per sposarsi; si trattava di un’usanze medievali ma, per chi non possedeva nulla, il medioevo era sicuramente preferibile alla fame .
 In queste difficili condizioni, le famiglie riuscivano a tirare avanti grazie un grande dono offerto dalla natura: i fertili orti che si stendevano nelle vallate di S. Silvestro. Ancora oggi, nei racconti dei più anziani, quegli orti sono ricordati come una specie di paradiso terrestre, in cui crescevano rigogliosi ortaggi, legumi e frutta. Per l’irrigazione veniva usato un geniale sistema idraulico che utilizzava tunnel orizzontali (‘li cunnutte’) oppure un complesso meccanismo di secchi e contrappesi che faceva arrivare l’acqua fino alle coltivazioni. All’imbrunire le donne raggiungevano gli orti, raccoglievano legumi ed ortaggi dentro un grande cesto (“lu ŝtare”) e con il carico sulla testa risalivano in paese. Legumi ed ortaggi venivano poi suddivisi a chili ed avvolti nei “cappotti di vallone”, grandi foglie che crescevano nelle vallate; il mattino successivo le donne ripartivano con gli stari per vendere la loro merce al mercato di Lanciano, ricavando qualche lira per l’acquisto di un po’ di sale, una scatola di fiammiferi o un po’ di cotone per la dote delle figlie .


Quando i maschi portavano le gonne

In una vita tanto segnata dalla fatica, i momenti di svago erano pochi. I contadini scorciosani, dopo una lunga giornata sui campi, la sera si ‘ricreavano’ andando a farsi un litro di vino (e spesso più di un litro) nella cantina di Camillo; quest’ultimo era un personaggio veramente pittoresco: di carattere burbero, autoritario e con spiccato senso degli affari, Camille gestiva anche una macelleria in cui era mantenuta l’antica tradizione scorciosana della carne “col pelo”, ma soprattutto vi si svolgeva un curioso rituale di vendita: ai clienti venivano rifilate solo le parti di scarto, mentre le carni migliori finivano sulla tavola dell’ingordo Camillo.
Le cantine erano molto frequentate, ma a Villa Scorciosa il luogo di incontro ‘istituzionale’ rimaneva il Dopolavoro: qui – tra una partita di briscola e una bevuta- gli uomini potevano ascoltare dalla radio non solo i noiosi notiziari fascisti ma anche  cronache sportive del Giro d’Italia e programmi musicali. In quell’epoca una delle canzoni più popolari era Campagnola Bella, che descriveva la vita felice e spensierata di contadinelle abruzzesi nelle nostre “valli tutte in fior”. Ma in realtà, la vita delle donne scorciosane era tutt’altro che spensierata, perchè la mattina dovevano essere le prime ad alzarsi per preparare da mangiare, e la sera erano le ultime ad andare a dormire. Alle donne competeva la gestione della vita ma anche quella della morte, perchè erano loro ad organizzare le cerimonie funebri come lu cònsolo o le veglie dei defunti, riti che vedevano la partecipazione di tutta la comunità (1). Un tabù antichissimo vietava alle donne di frequentare luoghi pubblici come il Dopolavoro o la piazza, e quindi loro unico diversivo era incontrarsi alla messa oppure in occasione del pellegrinaggio al santuario di Monteodorisio, che raggiungevano dopo molte ore di viaggio, a piedi e con i cesti delle vivande sulla testa . Un momento di serenità si aveva anche quando, con tutto il vicinato, ci si riuniva nei cortili per sfogliare le pannocchie di granturco; terminato il lavoro, si festeggiava con ceci abbrustoliti e vino cotto, improvvisando canti e balli al suono di un organetto . Era una festa spontanea, commovente nella sua semplicità, e per le ragazze era pure occasione per imbastire un primo, casto corteggiamento con i giovanotti.
D’inverno, quando il lavoro dei campi dava una tregua, la giornata delle donne si chiudeva attorno al focolare con veglie serali insieme a parenti ed amiche, mentre tessevano la canapa al telaio. La canapa veniva coltivata nei terreni del vallone e richiedeva una lavorazione molto lunga: dopo essere stata lavata per giorni nel ruscello, veniva lavorata in casa per farne lenzuola, asciugamani e indumenti. Per la tintura della canapa si ricorreva a metodi che oggi definiremmo “ecologici”, cioè bollendola con fiori di sambuco o con la fuliggine dei caminetti, a seconda che si volesse ottenere indumenti viola o di colore nero. I bambini vestivano in modo alquanto originale, in quanto –per risparmiare stoffa- anche i maschi fino ai dieci anni indossavano comode gonne che arrivavano fino al ginocchio. Villa Scorciosa, a suo modo, era diventata una piccola capitale della sartoria ‘moderna’, dove lo stile unisex spopolava con largo anticipo sui tempi.


Streghe, pandàfiche e ‘rfere

Le veglie di paese erano anche delle vere e proprie “scuole serali” in cui le donne più anziane tramandavano ai nipoti una antica tradizione orale fatta di filastrocche, proverbi e racconti di streghe che irritavano la pelle col fuoco, pandàfiche che soffocavano chi dormiva, li ‘rfere che si divertivano a terrorizzare i bambini (2).
Per difendersi da questi spiriti maligni, le donne ricorrevano a contromisure magiche, ad esempio lasciando una scopa davanti alla porta in modo che le streghe, per  contare le setole della scopa, si distraevano e non entravano in casa . In realtà questi demoni maligni che apparivano agli scorciosani non erano altro che i demoni della miseria, allucinazioni dovute alla alimentazione disordinata o alla poca igiene (ad esempio, il “fuoco” che arrossava la pelle era provocato dalla pipì che i bambini si facevano addosso e che non veniva lavata).
In una comunità come Villa Scorciosa, per secoli ignorata dal progresso scientifico, la magia veniva utilizzata anche come strumento di medicina popolare: per curare li strangaiune, cioè il mal di gola, si spalmava olio sulla gola invocando l’intervento di Sande Bresce (San Biagio), considerato l’ ‘otorino dei poveri’. Invece il “fuoco di Sant’Antonio”, malattia della pelle provocata dall’eccessivo consumo di mais, si curava spargendo con foglie d’ortica l’acqua del vallone sulle ferite, mentre per sconfiggere il malocchio si ricorreva al solito sacchettino ‘miracoloso’ (lu grefe) che veniva fissato agli abiti dei bambini per proteggerli dalle ‘adocchiature’ . 
Tutti questi rituali magici erano eseguiti da ‘magane’ comeSabbiuccia o Concetta di Burzelle, le quali – secondo la credenza popolare – erano dotate di poteri straordinari ; ma a Villa Scorciosa questo tipo di poteri erano attribuiti anche al parroco don Domenico, un prete molto originale (si faceva chiamare “signor compare” da tutti quelli che aveva battezzato) e di indole un po’ libertina, tanto che –tra una messa e una processione- trovò pure il tempo per concepire due figli con una sua parrocchiana. Don Domenico, oltre che prete, era anche esorcista e guaritore: in cambio di qualche uova o di una gallina, guariva da malanni ed infezioni usando come rimedi la citrata di bicarbonato e una preghiera alla Madonna. Non erano rimedi molto scientifici, eppure venivano considerati miracolosamente efficaci da tutta la nostra popolazione.
Don Domenico esercitava i suoi poteri magici anche in campo meteorologico: se il Demonio minacciava di scatenare su Villa Scorciosa grandine e tempesta, il parroco prendeva la catena de lu callare (3) e la agitava in cielo facendo misteriosi scongiuri. Ed anche in tali casi la Vergine Maria – forse commossa dalla buona volontà di questo bizzarro prete –mostrava tutta la sua benevolenza liberando il cielo dalle nubi minacciose .





NOTE
(1) Il consòlo era il pasto rituale consumato subito dopo il funerale di un congiunto, grazie al quale la famiglia colpita dal lutto superava la scelta metaforica del ‘voler morire’ (non nutrendosi) tornando a mangiare senza colpevolizzarsi, giacchè la consumazione del consòlo era un obbligo imposto dalla comunità. E siccome la morte si accompagnava al crollo della sessualità, in alcune località abruzzesi (soprattutto nel territorio di Penne) fino agli anni ’60 c’erano donne che intervenivano nella riunione funebre dei maschi esibendo i propri organi sessuali o facendo riemergere la sessualità mortificata attraverso la narrazione di racconti osceni. (A. M. DI NOLA, Mutazione culturale negli ultimi cinquant’anni - Il meridione italiano).
(2) Le pandàfiche (termine dialettale per indicare i ‘fantasmi’) nella credenza popolare erano gli spiriti dei morti ammazzati o di chi in vita si erano comportati in modo malvagio. Le pandàfiche apparivano durante il sonno provocando un senso di soffocamento, un sintomo che oggi la medicina moderna fa risalire al fenomeno delle ‘apnee notturne’. Simili alle pandàfiche erano le Streghe, capaci di fare deperire i bambini succhiando il loro latte dal seno materno e di provocare irritazioni cutanee. Li ‘rfere erano invece gli spiriti dei morti che spaventavano le persone, in Abruzzo chiamati anche ‘mazzamarielli’. In realtà le apparizioni di tutti questi spiriti erano spesso allucinazioni dovute alla fame o, al contrario, ad indigestioni alimentari. (Cfr. E. GIANCRISTOFARO, Tradizioni popolari d’Abruzzo).
(3) In lingua abruzzese, lu callare indicava il calderone di rame usato per la cottura dei cibi ed appeso sul focolare. Lu callare era utilizzato anche per la pastorizzazione dei prodotti da conservare (come il pomodoro in bottiglia) e per la colorazione della canapa.

P.s.
Mi sono riletto con calma tutti i racconti. Secondo me nella hit ci sono il Sebastiano di Panzabianca, Blue tangos di Frusta e L'Ebanista di Arch.

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Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #48 : Sabato 8 Settembre 2018, 14:19:37 »
E adesso nella hit entra di diritto questo ultimo scritto di Leo. ;)

Offline leomeddix

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #49 : Sabato 8 Settembre 2018, 16:19:56 »
Faccette nere in Abissinia

Gli scorciosani, oltre che dalle pandàfiche e dalle streghe, dovevano intanto difendersi da nemici ancora più dannosi: i decreti economici fascisti. Mussolini non perdeva occasione per elogiare la sobrietà degli abruzzesi (“Fra tutte le regioni d’Italia l’Abruzzo è l’avanguardia, perché è la regione che mi ha chiesto di meno e che ha lavorato di più”) , ma di fatto le leggi fasciste penalizzavano proprio i nostri contadini. Gli scorciosani se ne resero conto già nel 1925, quando il Duce annunciò l’inizio della “battaglia del grano” per aumentare la produzione di cereali: questa politica favoriva i grossi proprietari come Marcantonio ma costringeva i piccoli contadini a sacrificare la produzione di olio e di vino che erano le principali risorse per la sopravvivenza delle famiglie . Venne poi la legge sull’ “ammasso obbligatorio”, che obbligò gli scorciosani a consegnare tutti i prodotti agricoli al Consorzio di Fossacesia, con prezzi fissati dalle autorità fasciste. L’insofferenza dei nostri contadini verso i gerarchi fossacesiani crebbe a tal punto che si arrivò pure ad ipotizzare il distacco di Villa Scorciosa dalla famelica Fossacesia per unirla a Rocca S. Giovanni (4).
La situazione si aggravò ancor di più con la rivalutazione della lira che -colpendo le esportazioni- causò un forte aumento della disoccupazione, e siccome la mancanza di lavoro rischiava di destabilizzare l’intero regime fascista, Mussolini decise di riprendere la via della colonizzazione africana conquistando l’Abissinia. Fin da subito si formarono lunghe code davanti gli uffici di arruolamento, ed anche molti scorciosani partirono come volontari in questa impresa che prometteva lavoro e gloria per tutti. Tra questi vi erano pure Leone e Pietro, ma la loro avventura africana non fu molto fortunata: Leone presto morì, probabilmente di malaria, mentre Pietro, partito con l’idea di fare qualche soldo e rientrare presto a Villa Scorciosa, per una serie di incredibili circostanze potè tornare a casa solo dieci anni dopo.
La campagna d’Abissinia fu la più contraddittoria impresa coloniale dell’Occidente, durante la quale noi italiani ci comportammo sia da benefattori che da criminali: i nostri militari abolirono la schiavitù tra quelle popolazioni, ma contemporaneamente si comportavano da schiavisti comprando a poco prezzo le madame, adolescenti indigene di 13 o 14 anni che fungevano sia da mogli che da serve (5); gli italiani si mostrarono benefattori costruendo ospedali per la popolazione locale, ma allo stesso tempo usavano i gas per sterminare senza pietà i guerriglieri etiopici .
Data l’enorme differenza tra le forze in campo (gli abissini scarseggiavano di artiglieria e possedevano un’arte militare molto primitiva) la guerra durò pochi mesi, e l’11 maggio 1936 un euforico Mussolini proclamò l’annessione dell’Abissinia. L’Italia fascista, smaniosa di rinverdire i fasti dell’antica Roma, aveva finalmente realizzato il suo sogno imperiale .


Abbasso la comodità

Per il regime fascista l’impresa militare in Abissinia rappresentò il momento di massimo consenso, perché la conquista di quel “posto al sole” accontentava un po’ tutti: i contadini che vi trovarono lavoro, gli industriali che si arricchirono con le forniture di guerra, e pure i preti, felici di evangelizzare un popolo tanto selvaggio. L’entusiasmo non fu scalfito neanche dalle sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni all’Italia dopo l’invasione dell’Abissinia, ed anzi il regime fascista ne approfittò per alimentare una propaganda patriottica che culminò nella “Giornata della Fede”, quando anche le donne scorciosane – più o meno convintamente – donarono le loro fedi nuziali per la difesa della Patria.
In questo clima di fanatismo militare furono coinvolti anche i bambini di Villa Scorciosa, costretti a partecipare alle parate che il fine settimana si svolgevano a Mozzagrogna. Durante queste manifestazioni venivano illustrate le leggi razziali emanate contro gli ebrei, leggi che gli scorciosani facevano fatica a comprendere, perché le uniche razze che essi conoscevano erano quella dei “signori” che comandavano e quella dei cafoni sottomessi. Altrettanto incomprensibile appariva la parola d’ordine fascista “Abbasso la comodità”, uno slogan che per gente abituata a vivere ai limiti della sopravvivenza appariva una beffa.
Tra manifestazioni nazionaliste e parate militari, quando nel 1939 fu stipulata l’alleanza militare tra Italia e Germania, a tutti apparve chiaro che presto una nuova guerra sarebbe divampata in Europa. E la guerra, alla fine, scoppiò: il 1° settembre 1939 le truppe tedesche invasero la Polonia, e due giorni dopo Francia ed Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. L’Italia non entrò subito nel conflitto: Mussolini temporeggiava perchè sapeva della nostra impreparazione militare. Ma quando i nazisti occuparono la Francia, il Duce si convinse che il conflitto fosse ormai vinto dalla Germnia, e così il 10 giugno 1940 gli scorciosani radunati al Dopolavoro ascoltarono dalla radio l’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli “amici” tedeschi. Il grande massacro stava per cominciare.





NOTE
(4) La “battaglia del grano”, con l’aumento della produzione cerealicola, portò alla diminuzione dei vitigni (in provincia di Chieti si passò da 24.000 ettari coltivati nel 1923 a 12.000 ettari nel 1929) con un netto peggioramento delle condizioni di vita nelle campagne; infatti, ogni contadino aveva sempre coltivato qualche pianta di vite per ricavarne quel po’ di vino che costituiva parte integrante della sua alimentazione. Nel censimento del 1936 la popolazione della provincia di Chieti risultava essere la più ‘rurale’ delle province italiane, con il 76% della popolazione attiva impiegata nell’agricoltura (nel Sud la media era del 55,3%, nel complesso dell’Italia il 47%). (Cfr. C. FELICE, Verde a Mezzogiorno).
(5) In Etiopia il ‘madamato’ era una forma di legame famigliare, ma in qualche modo rappresentava anche un mezzo di ascesa sociale ed economica per le indigene. Le ‘madame’ comprate dai nostri soldati svolgevano diversi ruoli: erano compagne affettive che lenivano la solitudine, lavoratrici domestiche che nutrivano ed accudivano i loro uomini, mediatrici linguistiche e culturali rispetto alla società locale. Le madame erano perlopiù adolescenti di 13 o 14 anni, perché le donne etiopi a 30 anni erano già considerate vecchie. (Cfr. G. STEFANI, Una colonia per maschi. Italiani in Africa orientale: una storia di genere).
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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #50 : Sabato 8 Settembre 2018, 16:22:12 »
Il paradiso terrestre
Mi sembra l'atmosfera dei racconti della mia nonna ciociara. Pure lei sapeva togliere il malocchio come il tuo don Domenico; ed una volta, da ragazzino, l' ho vista far gocciolare delle gocce d' olio su un piattino pieno d' acqua mormorando a bassissima voce una formula lunga e misteriosa per togliere "l' occhio rejo" ad una sua vicina di casa.
Quando le chiesi di ripetermi la formula mi disse che era impossibile, perché poteva essere detta ad alta voce soltanto la notte di Natale.
Io, che passavo in paese sia le vacanze di Natale che buona parte di quelle estive, puntualmente il 24 dicembre successivo passai all' incasso, aspettandomi chissà quale rivelazione  ;D ma rimasi un po' deluso nell' ascoltare una specie di breve filastrocca che durante il rito (ecco perché mi era sembrata così lunga) andava ripetuta sette volte: "Oculo oculora, duo ne mettora, duo ne levora."  Tutto qui.
Un po' di latino mischiato ad un po' volgare e retaggio di chissà quali stregonerie di secoli passati.
P.s.
Non ho mai saputo se poi alla sua vicina il malocchio sia stato tolto o no.  :D




   
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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #51 : Sabato 8 Settembre 2018, 16:36:39 »
Mi sembra l'atmosfera dei racconti della mia nonna ciociara. Pure lei sapeva togliere il malocchio come il tuo don Domenico; ed una volta, da ragazzino, l' ho vista far gocciolare delle gocce d' olio su un piattino pieno d' acqua mormorando a bassissima voce una formula lunga e misteriosa per togliere "l' occhio rejo" ad una sua vicina di casa.
Quando le chiesi di ripetermi la formula mi disse che era impossibile, perché poteva essere detta ad alta voce soltanto la notte di Natale.

Grande Frusta, nelle civiltà contadine tutta l'esistenza era avvolta in una cappa magica, e le magane -che per i loro servizi magici ottenevano non denaro ma beni in natura- erano gelosissime delle loro formule segrete. Una di queste formule recitava così:

“Uocchie aducchiate
Tre sande l’ha aiutate
Padre, fije e spird sande 
L’aducchiatura ni va chiù avande.
Padre, fije, Giuseppe e Maria
L’aducchiatura se ne va via”.


Traduzione: "Occhi adocchiati/tre Santi li ha aiutati/Padre, Figlio e Spirito Santo/l'adocchiatura non va più avanti./Padre, Figlio, Giuseppe e Maria/l'adocchiatura se ne va via".
È GIÀ SETTEMBRE ? NON CI POSSO CREDERE! LA MIA VITA STA PASSANDO TROPPO VELOCE. LA MIA UNICA SPERANZA È CHE SI VADA AI TEMPI SUPPLEMENTARI. (CHARLES M. SCHULZ)

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #52 : Sabato 8 Settembre 2018, 17:00:53 »
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #53 : Sabato 8 Settembre 2018, 22:58:35 »
MAPUCHE

“Quanto costa una mela?”
“Costa un sacco di botte”
“Se mi lascio picchiare un pochino
la darebbe al bambino?”

(L.Dalla)

No, señor juez, nessuna coltellata signor giudice; è stato il barile del carburo che è scoppiato come un cohete alla fiesta di san Isidro, ed una esquirla, una scheggia de roble, ha colpito el señor Dueño alla gola.
Lui aveva appena sputato il sigaro e stava allungando la mano sui capelli del niño del mapuche, ma il niño, hablando con respeto, si era pisciato addosso dalla paura, e quando gli ho urlato “huyes” è scappato proprio mentre il barile scoppiava.
Gli ho urlato “scappa” anche se sapevo che il señor Dueño mi avrebbe fatto frustare a sangue, signor giudice, perché il señor Dueño non era un buon dueño e, valgame Dios, i niños non sono donne, perché non ne ho mai sentito uno che urlasse di piacere quando, Maria Santa Virgen mi perdoni, gli strappava i vestiti nella baracca dietro al magazzino.
Quando il mapuche era arrivato seguito dal niño, Alemán aveva detto: ”Mira el niño, Dueño, mira qué piel; sembra la pelle di una bambina, mira que labios, dueño...”
Ed il señor Dueño: “Los guantes! - gli aveva risposto- prepara i guantoni.”
E si era messo a ridere coi suoi denti d’oro.
Quando lei lo ha visto, signor giudice, il señor Dueño era morto, ma lo ha visto lo stesso che era un gigante.
Vinceva le scommesse nelle fiere uccidendo un vitello con un pugno coi suoi guanti da boxe, anche se solo io ed Alemán sapevamo della herradura, del ferro di cavallo che c’era nascosto dentro.
E quando ha detto al mapuche che gli avrebbe dato cento dollari americani se fosse riuscito a restare in piedi per tre round si è capito subito che la fame gli avrebbe risposto di si.
Però il mapuche si muoveva bene e descansava i colpi girando intorno al señor Dueño che se ne stava in mezzo al quadrato e rideva col sigaro acceso che puzzava in mezzo ai denti d’oro.
Però quando ha cercato di accorciare la distanza si è sentito bruciare gli occhi da un soffio di fumo maligno e non ha visto il pugno con la herradura che gli spezzava la clavicola e gli scardinava la spalla.
Allora Alemán ha capovolto con un calcio il barile del carburo, ha messo le mani aperte sopra le guance del niño e ce lo ha messo seduto levantándolo por la cabeza e sussurrando: “Mira, niño, mira como es fuerte tu padre...”
E’ brutto il rumore dell’omero che si spezza, signor giudice, e quando il señor Dueño ha visto il mapuche con le braccia morte sui fianchi gli ha tirato un pugno allo sterno ed uno sulla cintura.
Al secondo colpo il mapuche ha soffiato: “No mas...” ed è caduto in ginocchio.
E quando ho visto il señor Dueño sollevare il pugno e guardarlo sulla fronte come guardava i vitelli nelle fiere, ho gridato anche io: “No mas!!!” ma non ho potuto far altro che vedere il pugno calare e il mapuche crollare perché Alemán, Dios lo maldiga, mi aveva afferrato per le spalle.
“Non bisogna mai lasciar bagnare il carburo -ripeteva sempre el señor Dueño- e soprattutto se è bagnato tenetegli il fuoco lontano.”
Forse non ci ha pensato quando ha sputato il sigaro acceso vicino al barile, signor giudice, o non si era accorto che il niño si era pisciato sotto per la paura.
E poi che Alemán assordito dal colpo non lo poteva sentire mentre con le mani sulla scheggia di rovere che gli perforava la gola rantolava:”Tamponami la giugulare... tampo-na-mi... la giu-gu- la-re...”.
Ed anche se lo avesse sentito non credo che sarebbe riuscito a farlo; so che è praticamente impossibile, signor giudice.
Ed io infatti non ci ho nemmeno provato.

Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #54 : Lunedì 10 Settembre 2018, 10:23:14 »
Belli, senza dubbio. Mi ritrovo nelle atmosfere di Leo ma pure nei racconti dall'altro mondo di Frusta.
Belli. Grazie Ragà.


Se sei in zona pure tu, o quando e se ti capiterà di esserci, fammi un fischio.


O Frusta, scusami, ti leggo solo ora e... Grazie. In realtà, pur avendo ben salde e vive le mie radici ciociare, ho sempre vissuto a Roma. Poi 4 anni fa mi sono trasferito a Zagarolo e tra qualche giorno  mi appresto all'ennesimo trasloco per tornare nell'urbe dove ho mia figlia. Qui si sta benissimo ma i figli so i figli.
Devo dire che questa esperienza zagarolese, tra le tante cose, mi ha consentito di osservare il mondo minor della vita su rotaia. Seguono alcuni racconti sui caratteri che mi hanno più divertito mentre facevo avanti e indietro da Roma. 



Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #55 : Lunedì 10 Settembre 2018, 10:43:13 »
Minchia, quanto siete bravi!! Io che ci sto a fare in mezzo a voi?? ???

Offline leomeddix

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #56 : Lunedì 10 Settembre 2018, 10:59:27 »
Minchia, quanto siete bravi!! Io che ci sto a fare in mezzo a voi?? ???

Malimortè... Sbrigati a mandare altri racconti, sennò quando passi dalle mie parti il ragù alla bolognese non te lo faccio.  :sciarpaD:
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Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #57 : Lunedì 10 Settembre 2018, 14:36:10 »
The Pointer
Treno mondo minor. A volte mi capita di osservare il curioso comportamento di una figura certamente importante: il Capotreno (maiuscola per l’occasione deferente) o, con una scelta semantica d'avanguardia, "Addetto alla controlleria". Devo dire, io quasi preferisco la seconda, mi fa rima con giocoleria ma, attenzione! lui o lei sono serissimi. Eh si, perché il fischiettante capotreno di partenza poi sul treno diventa, anzi, impersona la legge, l'autorità  incontrastata, il dominus, il pater familias. Certo, qualche tempo fa al Presidente Mattarella (pater repubblicae) era presa la smania e il gusto di prendere i mezzi pubblici, riempiendo così ogni volta il vagone di uomini della scorta, giornalisti e telecamere, e privando di fatto la comunità di un'utilità. Ecco, giusto in quel caso, ma solo in quel caso, il capotreno dovrebbe cedere lo scettro. Nel frattempo, in base a congiunture astrali oscure ai più, ogni tanto il Capotreno, vestiti i panni del Controllore, controlla! Chi come me è viaggiatore seriale - che fa più fico de pendolare - deve solo fare i giusti movimenti e le giuste espressioni. C'è una mimica dell'onesto che non sfugge mai al Controllore, e per legittimare la tua presenza su quel vagone ti basteranno una mano in tasca e un cenno di doverosa apprensione. Ma non è finita. Diciamolo pure con piglio da anatomopatologo, esiste una nuova figura già consolidatasi da tempo: l'abbonato o il possessore di titolo di viaggio visibilmente onesto che sembra dire: “il biglietto è timbrato, cazzo! L’ho comprato levandomi il pane di bocca e l’ho timbrato! Guardami, ti prego, verificami, accertati della mia stessa esistenza” E’ il c.d. passeggero petulans che fiero espone il titolo di viaggio debitamente obliterato e, state tranquilli, non lo metterà via finché il Controllore non gli impartirà la benedizione ("andate a casa e baciate i vostri bambini, dite loro che è stato il Controllore!") e lo accarezzerà materno. Poi, infine, ci sono loro: quelli della razza portoghese. Si narra che un giorno lontano, un Papa Leone qualcosa (X?), accogliendo una delegazione diplomatica di portoghesi, li ringraziò dei doni ricevuti (tra gli altri anche due ghepardi) viepiù decretando che fino al termine del loro soggiorno essi sarebbero stati ospiti suoi e di Roma, senza pagare. Dobbiamo osservare, il soggiorno dura ormai da secoli ma, ora c'è il controllore! Già, il Controllore: un raro esperto di fisiognomica della colpa. Se sei sul suo treno senza un regolare titolo, stanne certo, lui ti beccherà. Il Controllore tu lo vedi che passa e, anche un po’ scoglionato, poggia lo sguardo stanco sul biglietto, sull’abbonamento o sulle tette della gnocca. Sorride, poi però all’improvviso si ferma. Per i passeggeri è un chiaro gesto intimidatorio, anzi, di più, un oscuro presagio: qualcosa di grave sta per succedere. La signora di Ciampino abbassa lo sguardo e gelida sussurra: … “si è fermato…” Lui è lì fermo e immobile come un cane da punta, fissa quella insospettabile faccia da impiegato (sono i peggiori) - peraltro letteralmente accampato con tendine e scendiletto in un dei posti più desiderati dell’intero convoglio – il quale da mezzora rimesta nel portafoglio senza trovare l’agognato pezzetto di carta. E allora i finestrini 'improvviso si spalancano, entra aria gelida, le fioche luci ottocentesche della vettura si spengono come candele al vento e la gente ammutolisce. L’impiegato recita le sue preghiere e gioca l’ultima carta: all’entrata, con abile scelta tattica, aveva messo la borsa con il suo segretissimo contenuto sul vano posto a 30 metri dal suo agognato sedile. Ultima spe, il perniciosissimo individuo fa chiaramente intendere che dentro quel bagaglio c’è non già il biglietto di una ridicola corsa ma l’abbonamento trentennale omnibus che, purtroppo, per via dell’affollamento del treno, ahilui, non potrà né raggiungere né esibire. Ma il Controllore può ciò che l’impiegato non immagina: oltre a camminare sui passeggeri, il Controllore può separare le acque! Così, ad un suo cenno s’apre una via tra la folla, essa conduce alla borsa dell’impiegato nel frattempo illuminata dall’occhio di bue dell’unanime cordoglio. Il resto della storia non è bello raccontarlo. Le erinni della contravvenzione e l’ignominia inferta dagli uomini col biglietto ora spazzano i resti di chi solo provò. Amen.

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #58 : Lunedì 10 Settembre 2018, 14:43:36 »
d'

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #59 : Lunedì 10 Settembre 2018, 15:09:27 »
In the box
In effetti, questo momento si aspettava da tempo. Bè, in effetti, non si inizia un breve racconto con l'espressione "in effetti" ma, a pensarci bene e tutto sommato, l'argomento è finale. “In effetti” è usualmente usato per ammettere una verità alla fine di un discorso, una semplice asserzione di realtà, spesso una cosa che non si è molto contenti di affermare. Giornata piovigginosa, oggi, venerdì 2 febbraio 2018. Salgo di corsa sul treno, gli occhiali si appannano e l'ombrello lungo non trova posto. Mi conto le mani e alla fine non riesco nemmeno ad aprire il libro. Però, presto capisco che la mattina non è fatta per leggere ed andare in medio-oriente coi viaggiatori medievali perché, è il medio-oriente che viene da me. Bè, non proprio da me, diciamo che prende il mio treno. Così "scusate, questo trolley è di qualcuno?" diventa la password del terrore moderno. Da tempo ha sostituito le arcaiche “Fermi tutti! Questo è un dirottamento...” … “Lei è in contravvenzione”… “oggi interrogo a tappetto”… “è tutto un sogno, il 26 maggio hai perso”…o, in ultimo un terrificante  “papo, cacca!" …detta in un fetido ristorante cinese presso la stazione di Ferrara, in attesa della imminente coincidenza per il villaggio vacanza. Ma torniamo a stamane. Il signore che domanda del trolley è appena salito. Mi pare eccessivamente proattivo. Pizzo militare, faccia da impiegato, sono, anzi, siamo i peggiori. Forse scontenti del nostro lavoro, viviamo la nostra vita come una possibilità, un’occasione ogni giorno diversa, in un mondo parallelo. E allora oggi siamo questo, domani siamo quello o, almeno, ci piacerebbe esserlo. Quest’uomo oggi pare affetto da una mania antiterroristica e certo eroica (siamo sempre lì…). Gli fanno eco una serie di donne vocianti, di quelle che la mattina viaggiano in sciame e non concedono mai al silenzio la possibilità di sgranchirsi e sbadigliare. Credo incida anche quell’inconscio senso di protagonismo, pure vagamente iettatorio che aleggia sui nostri tempi, e la linea di confine tra eroi e vittime diventa sottilissima. Ma il BataClan e Aleppo sono lontani e si farebbe certamente tardi al lavoro. E poi questa mezzoretta di treno scorrerebbe altrimenti noiosa. Allora “alla prossima fermata noi mettiamo fuori il trolley”… il gruppo di aspiranti teste di “cuoio” (a volte il discrimine tra un materiale e l’altro è questione di lana caprina) decide di passare al piano di espulsione dell’ignaro trolley. Già, la valigia: piccola, color  fucsia, con una borsettina verde pistacchio attaccata ai manici allungabili. Sembrerebbe far dedurre che il terrore sia femmina. Bah, per capirlo non dovevamo andare ad Aleppo col Frosinone-Roma delle 7.41, penso io. Decido allora di richiamare il posticcio gruppo di intervento, consigliando una più saggia consegna del bagaglio al capotreno. La ragazza bionda con le unghie finte e il piercing al naso seduta accanto mi da ragione e comincia a far battute che la fanno molto più intelligente del suo aspetto. Ma arriva la Polfer. Due tizi dalle facce rurali, strappati al cuscino anti-cervicale. Si guardano ‘sto trolley come fosse una bella donna, prima davanti, poi di dietro. E alla luce della spietata ispezione uno dei due fa: “mah”. Il treno riparte senza il trolley sospetto. Sul vagone c’è soddisfazione e l’impiegato assume i chiari connotati del liberatore, dell’eroe. Chissà, alla prossima potrebbe salire Mattarella per una decorazione pret a porter e una pacca sulla spalla. Arriviamo alla stazione e tra la calca d’uscita spunta un omaccione “avete visto un trolley? …era il mio”. Imbarazzo, costernazione, fuggi fuggi. Tutti guardano l’eroico impiegato che, a questo punto, scende dal cocchio dei trionfi e prova a dare una spiegazione. L’omaccione lo ascolta perplesso. Non si era accorto di nulla, ascoltava musica chiuso com’era in the box, come tutti.