Autore Topic: SEBASTIANO FANTE ITALIANO  (Letto 58004 volte)

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Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #20 : Martedì 4 Settembre 2018, 10:56:39 »
Arch, hai un pvt. Anzi due dato che quello di un paio di mesi fa non ha avuto riscontro alcuno.
E' che tu (ancora) lavori troppo, ecco che è; se ti dedicassi un pochino alla sana nullafacenza cui ho dedicato anima e corpo, avoja a scrive!  :D

Nota per i passanti: l' amico Arch probabimente si riferiva al mio libro mai pubblicato ed in parte andato smarrito nella memoria di chissà quale vecchio pc e pretenziosamente intitolato La matematica e le origini del Tango.
Ogni capitolo era rigorosamente ispirato alle vicende, se non proprio vere approssimativamente verosimili, della mia musa di turno.
Se non mi menate troppo vi metto qui quelle dalla discendente diretta di una ebrea sefardita e di due altre liaison (la s finale non ce la metto perché la mia religione non mi permette di declinare le parole straniere) asturiane del tempo che fu.
I personaggi sono storici, l'origine del tango storicissima e la matematica è quella che è e non si discute.
Ad Arch avevo promesso che gli avrei mandato qualcosa in pvt ieri sera ma mi sono addormentato davanti alla tv, e stamattina non ho tempo de cerca' perché necesse este che io scenda in ispiaggia che me se sta a fa' tardi, ma entro stasera cerco, trovo e pubblico.
Sicuro eh!  8)

ma si, un topic letterario. Sarà un piacere. Mi sa che tu omo de monno sei.
(P.s. io spesso scrivo e scrivo di tutto...ma sono raccontini da squilibrato, ironici, forse divertenti ma, da squilibrato...). Se mi permettete, presto ve ne darò prova...

Un autentico, lieve anco leggero, emozionante topic-fuga

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #21 : Martedì 4 Settembre 2018, 13:17:36 »
A cosooo, io non ho ricevuto niente a cui non ho risposto. E vieppiù risponderei a te, immenso Frusta (vocativo), che leggo sempre molto volentieri!!
Quando mi invii qualcosa accertati che il destinatario sia proprio io invece di guardare, in tal modo confondendoti, le vergogne indecenti delle tue vicine canariche di beach.
Aspetto con impazienza i tuoi scritti.

Ti ricordo, inoltre, che mi avevi proposto di andare in Val d'Orcia e speriamo di poter organizzare al più presto questa uscita alla quale chiunque può aderire, se può e vuole.  ;) ;) :) :)

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #22 : Martedì 4 Settembre 2018, 13:30:40 »
Ma ciai guardato nel pvt di questo biancocelesti.org qui?
Ho scritto rispondendo ogni volta al tuo pvt, quindi non me potevo sbaglia'.
Vabbe' che la presbiopia incalza e che per fare il figo faccio finta de vedecce senza occhiali, ma questo sito mi dà il tutto inviato proprio a te.
Vabbe' stasera metto gli occhiali e ti rispedisco il tutto non qui ma alla tua mail.  ;)
Per val d'O un giorno qualsiasi dell' ultima settimana di settembre.
Se partiamo in due non c'è problema, se siamo deppiu' bisogna mettersi d'accordo con TD.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #23 : Martedì 4 Settembre 2018, 13:45:21 »
Ho sempre risposto ai tuoi privati. Boh.
Ottimo per fine settembre, eccetto il 26. 8)

ThomasDoll

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #24 : Martedì 4 Settembre 2018, 13:54:07 »
avvisatemi prima, ragazzi, che rischiate di non trovarmi

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #25 : Martedì 4 Settembre 2018, 23:06:32 »
Posto qui qualcosina della "Matematica e le origini del Tango".
I due argomenti erano trattati a capitoli aternati e (come potete constatare) in due stili diversi.
I personaggi sono tutti storici, e le loro invenzioni/creazioni pure.



CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE PRIMA
TITOLO
9, 10 e 11 luglio
OVVERO
Il  Malleus maleficarum, la sfera armillare, il triangolo sferico ed il trentasettesimo compleanno che la meno tolemaica dei miei cinque lettori festeggerà in tre step: oggi, domani e dopodomani. Auguri.
IN PRATICA
Come superare (quasi) senza danni apparenti sei secoli abbondanti e riproporsi più recidivi e degni della sbarra della Santa Inquisizione che pria.

Verso la fine del 400 i padri domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, avvertendo la necessità di dotare la Giustizia di uno strumento  che non fosse condizionato dai pregiudizi e dalla superstizione, posero mano all’opera che avrebbe finalmente illuminato con la fiaccola della civiltà le tetre stanze dei tribunali ecclesiastici: il Malleus maleficarum.
Spero che la vocale femminile del genitivo plurale evidenziata in rosso basti ad assolvere i due compari da ogni sospetto di misoginia.
Laddove, partendo da presupposti inconfutabili come il fatto che le donne, a causa della loro debolezza e a motivo del loro intelletto inferiore (e infatti femina deriva da fe + minus, fede minore), sono per natura predisposte a cedere alle tentazioni di Satana o che i pettegolezzi pubblici sono sufficienti a condurre una persona al processo e che, anzi, una difesa troppo vigorosa da parte del difensore è prova del fatto che anche quest'ultimo è stregato, vengono fornite ampie dimostrazioni sul fatto che, in quanto rappresentanti di Dio, i giudici sono immuni dai poteri delle streghe quindi i loro giudizi non possono non rispecchiare la Volontà Divina.
L' opera riscosse a tal punto i consensi fra i giudici e gli inquisitori che fu a lungo il libro più stampato e diffuso dopo la Bibbia ed ancor oggi in tanti si chiedono come mai in molti processi venga così colpevolmente ignorato.
Più o meno intorno a quel periodo Ferdinando e Isabella di Castiglia terminavano la loro reconquista scalciando da Granada il povero Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil in quale, fringando, si portò via, insieme agli scapaccioni di sua madre (no llores como una mujer lo que no supiste defender como un hombre) il rimpianto del suo regno perduto ed i rammarichi di Myriam, una piccola sefardita con tre grosse colpe:
1) quella di essere l’unica ebrea in tutta la Spagna ad aver avuto libero accesso alla biblioteca di Boabdil.
2) quella di aver tradotto in arabo le note in latino che Plato Tiburtinus scrisse in calce alle sue considerazioni in arabo ed in ebraico sulla costruzione della sfera armillare dell’ universo tolemaico.
3) quella di aver affermato che possono essere considerati sferici quei triangoli i cui lati sono formati da sezioni di cerchio.
Con l'aggravante di avere i capelli rossi e gli occhi verdi.
Qualche anno dopo le sue ceneri si mischiarono con quelle di Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano e Pace Xurtino, condannate insieme a lei a Tanina Goicoechea, bruciata in effige perché latitante, a salire sulla pira eretta dal Santo Uffizio in piazza  sant’ Erasmo a Palermo.
A domani quello che era successo qualche anno prima.


CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE SECONDA


TITOLO
10 luglio
OVVERO
Il secondo giorno di un compleanno atolemaico
SOTTOTITOLO
Se sei un’ebrea sefardita e vivi a Granada nel XV secolo è bene che tu sappia che l’unica moneta che hai a disposizione per comperare un po’ di matematica è il sesso. 

Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil, l’ultimo dei sultani andalusi, amava la bellezza, la scienza e i colori violenti; la biblioteca del suo palazzo di Granada, da Euclide ad Abu Kamil Shuja ibn Aslam, da Archimede ad Al - Battānī Da Eratostene a Tolomeo, custodiva i manoscritti di ogni grande della matematica, della fisica e dell’astronomia.

Per sfogliare quei manoscritti Myriam avrebbe dato in cambio tutto quello che aveva, e le uniche cose che aveva erano custodite dal suo lungo talled di lino: due occhi fosforescenti, una cascata di capelli rossi, una mente matematica e un corpo da peccato mortale.

A Boabdil non parve vero prendersi un anticipo del paradiso di Allah infilandosi nel letto di quella splendida urì in cambio delle chiavi della sua biblioteca.
E Myriam ritenne un prezzo accettabile farsi frugare dalle mani di Boabdil per qualche minuto ogni tanto in cambio delle lunghe ore di paradiso che avrebbe trovato fra le pagine di quei manoscritti.
Era il dieci luglio 1488, Myriam aveva compiuto da un giorno sedici anni e da quel momento  fino al 2 gennaio 1492, giorno in cui Isabella di Castiglia avrebbe deciso di ripulire Granada dai mori e dai sefarditi, divise il suo tempo fra la stanza da letto e la biblioteca del sultano Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil.
Se qualcuno dei miei cinque lettori dovesse sbavare di piacere trovandosi fra le mani Gli Sphaerica o i De habitationibus e De diebus et noctibus di Teodosio o Cosmographica et astronomica quaedam di Francesco Maurolico farebbe bene a ringraziare Myriam per la trascrizione dei primi e per la possibilità di realizzazione che diede al secondo traducendo in arabo e redigendo in latino le note di Plato Tiburtinus sulla trigonometria sferica di Al – Battānī.
Quando il 2 gennanio del 1492 Myriam ricevette l’ultimo abbraccio di Boabdil, in lacrime per il suo paradiso perduto che comprendeva anche lei, la ragazza cercò invano di rincuorarlo dicendogli che era riuscita finalmente a calcolare l’obliquità dell’ellittica ed a correggere i moti lunari di Tolomeo e che aveva fissato la precessione degli equinozi in 54’’ 33’’’, 1° ogni 66 anni, e tutto in virtù della combinazione della sfera armillare con il globo celeste che, grazie a lui, aveva potuto realizzare.
Boabdil la strinse ancora più forte e le consigliò di arraffare quanto più poteva dalla sua biblioteca e di fuggire il più lontano possibile da Granada e dalla Spagna perché per mori e sefarditi quelli che stava preparando la cattolicissima regina Isabella non sarebbero stati di certo i tempi migliori.
Quello che Myriam riuscì a trafugare dalla biblioteca del sultano lo scopriremo domani.
La santa Inquisizione lo scoprì  il 10 aprile del 1509, esattamente tre mesi prima di quel 10 luglio che la vide salire insieme ad Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano, Pace Xurtino e Tanina Goicoechea in effige perché latitante, sul rogo eretto dal Santo Uffizio al centro della piazza sant’ Erasmo di Palermo.

CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE TERZA
TITOLO
11 luglio
SOTTOTITOLO
il triangolo sferico

OVVERO
Se sei una sefardita del XV secolo ed hai pagato le tue visite nella biblioteca di un sultano con le sue nella tua camera da letto non puoi avere scampo
INSOMMA
Se sei un’ebrea che ha avuto un musulmano come amante, anche se hai la mente matematica più brillante del tuo tempo, per avere scampo devi fà la mignotta.
Ed è più o meno quello che fece Myriam. Prima con un carovaniere per raggiungere Cartagena, poi con l’armatore di una galea diretta a Napoli, poi con buona parte dell’equipaggio per arrivarci intera insieme al suo bagaglio ed infine, in maniera quantitativamente proporzionale al trascorrere degli anni, per sopravvivere una volta arrivata lì.
Non durante i primi sei anni, però; quelli furono tutti di Luca Gaurico: matematico, fisico e astronomo illustre che, se non avesse deciso di applicare la scienza all’astrologia, forse avrebbe potuto far prendere alla vita di Myriam una piega diversa.

Ma forse se non l’avesse incontrata avrebbe preso una piega diversa anche la sua.

Gaurico trovò subito illuminante quel che Myriam aveva tradotto in latino delle opere di Abu Kamil Shuja ibn Aslam e Al – Battānī, e cominciò subito ad accarezzare l’idea di costruire su quelle basi la Sphaera armillaris-instrumentum, l’astrolabio più rigoroso che si fosse mai visto in occidente: in scala la copia perfetta della sfera celeste.

Erano passati tre anni da quando Myriam aveva lasciato la biblioteca di Boabdil ma non ebbe nessuna difficoltà a guardare di nuovo il firmamento dal centro del suo cerchio massimo: dal sole.

Non dalla Terra come aveva scritto Tolomeo o come avevano urlato Tomás de Torquemada e Francisco Jiménez de Cinseros citando l’Ecclesiaste o il libro di Giosuè mentre gettavano fra le fiamme i papiri di Al-jayyani.

Gli stessi che Myriam aveva tradotto in latino e che stava ora srotolando davanti agli occhi eccitati di Gaurico: “Sicut lineae…Come le linee su di un piano, il percorso più breve fra due punti di una sfera è l’ arco del cerchio massimo o minore che ne è il percorso più lungo… Inde totum instrumentum intra quintam armillam, quae meridianum representet, et in ipso meridiani plano firmetur, includatur et super mundi polis per clavos meridiano insertos, secundum altitudinem poli, collocatos, circumduci possit. Haec quidem est fabrica.”

Insomma, immaginando l’ universo come una sfera perfetta composta da sfere concentriche con tante geodetiche quante ne servivano come percorso dei pianeti conosciuti, Gaurico costruì una specie di bestemmia semovente così descritta qualche anno dopo dal cancelliere della Santa Inquisizione davanti al domenicano frate Antonio La Peña, delegato in Sicilia dal padre spirituale dei cattolicissimi Ferdinando ed Isabella Tomás de Torquemada:
«... composita di due mezzi cerchij di bronzo ed vn'asta di ferro attaccata alli detti, quali cerchij et asta di ferro attaccata seruono per posamento e sostegno di detta sfera sopra de quali cerchij è fermato l'Orizzonte d'ottone ed tante armille quante ne seruono per le scorrimenta de li pianeti con la Terra posita infra Venere et Marte, in una con il suo meridiano e Zodiaco con li due Colluri e Legature li due Tropici, due Cerchij Polari e tre Cerchi de' Pianeti Superiori, et lo Sole in centrum».

Prima di quel giorno però Myriam aveva vissuto alcuni anni sereni ed altri disperati.
La fine dei primi coincise col momento in cui Giovanni II Bentivoglio, ex podestà di Bologna, fece rapire Luca Gaurico per sottoporlo alla tortura della mancuerda, che consisteva nell' appendere il malcapitato per le caviglie ad una fune calata da una scala a chiocciola e farlo poi da lì sbattere per cinque volte contro il muro.
Questo perché, scrutando gli astri dalla sua sfera armillare, gli aveva predetto la perdita della signoria sulla città di Bologna, poi puntualmente avvenuta, per scomunica papale.

L’inizio dei secondi coincise con quelli che dedicò alla cura di Gaurico, sopravvissuto alla mancuerda ma ridotto dai traumi cranici e dalla rottura della colonna vertebrale ad un vegetale per il resto dei suoi giorni.

Ovviamente non ci volevano né sfere armillari né particolari capacità divinatorie per predire la caduta in disgrazia di Giovanni Bentivoglio: a papa Alessandro VI era succeduto Giulio II e tutti gli amici dei Borgia erano stati automaticamente considerati nemici dai Della Rovere; ma tantè, Myriam si ritrovò di nuovo senza mezzi e con in più il povero Gaurico a carico, incapace di provvedere a se stesso e che lei non si sentì di abbandonare per quel poco che gli restava da vivere.

Era ancora bella.

Era ebrea, era stata l’amante di un musulmano, conviveva in peccato mortale con un astrologo ormai ridotto ad un rottame e per di più aveva i capelli rossi ed un corpo che induceva in tentazione, che scampo poteva avere?
Visse vendendo un po’ se stessa ed un po’ la propria scienza, interrogando la sfera armillare sulle fortune future dei propri clienti e continuando a farlo anche dopo la morte di Gaurico e poi per qualche anno ancora.

Fino a quando Ferdinando II d’Aragona, dopo aver riconquistato Napoli, lasciò che frate Antonio La Peña perpetuasse nel suo regno l’opera del suo compianto padre spirituale Tomàs de Torquemada.

Poteva avere scampo una donna ebrea che era stata amante di un musulmano, che era vissuta da pubblica peccatrice con un astrologo, che aveva indotto chissà quanti cristiani in tentazione con il suo corpo da peccato mortale e che pretendeva di indovinare il futuro con uno strumento del demonio che, contraddicendo l’ Ecclesiaste ed il libro di Giosuè sconfessava la Sacra Bibbia ponendo il sole al centro dell’universo?
Ovviamente no.
E per di più aveva i capelli rossi.
E così il 10 luglio del 1509, il giorno successivo al suo trentasettesimo compleanno, insieme ad Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano, Pace Xurtino e Tanina Goicoechea in effige perché latitante, salì sul rogo eretto dal Santo Uffizio in piazza  sant’ Erasmo a Palermo.

Ci salì pensando che la certezza che quel fuoco non sarebbe stato un anticipo di quello eterno come stava berciando frate La Peña era la stessa che l’aveva indotta a porre il sole al centro della sua sfera armillare.
E ci salì ripetendo come un mantra, in latino, l’arabo di Al – Battānī:
“…Astrolabivm Armillare construitur ex quatuor armillis, scilicet zodiaco, coluroque solstitiali: ac duabus, quae medium includentes zodiacum volvi possint super duos clavos in zodiaci polis insertos et utrinque prominentes…”
Poi, un istante prima che il fuoco l’ invadesse pensò al fresco della biblioteca di Granada ed al tepore delle braccia di Gaurico, pensò alla figlia avuta da chissà quale dei suoi amanti occasionali e che era riuscita a nascondere al braccio secolare della Chiesa, guardò oltre le fiamme frate La Peña che continuava a berciare spruzzando acqua santa dal suo ridicolo aspersorio e sorrise.
Era stata più felice di lui.

Il giorno dopo, l’11 luglio del 1509, da qualche parte di un universo che in quel momento finalmente riusciva a considerare nella sua semplicissima realtà, guardò un punto lontano oltre mezzo millennio nel futuro e decise che sarebbe tornata.

Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #26 : Martedì 4 Settembre 2018, 23:09:04 »
BLUE TANGOS
(Ah, Sudamerica...)
Le notti d’estate di fine ottocento a Baires perdono umidità e languori dalle casitas dischiuse sui barrios di San Cristobal.
Perdono note basche che solo ballerini furtivi s’azzardano a raccattare.  Escono dalle mani brune di Rosendo Mendizabal ed alternano i ritmi lunghi dei venti di seta dei Pirenei alle risacche brevi e insospettate delle onde di Bilbao.
Rosendo perde anima dalle mani e versa sul pianoforte i paradossi di quel suo cognome biscaglino.
Sarebbe basco se avesse le mani da levantador de pedras, i capelli lisci e lo sguardo meno effimero, ma ha la pelle languida e i capelli spessi da negrito, e le sue mani mulatte estorcono dal pianoforte semicerchi rapidi che vengono catturati dai vortici delle caviglie di Juana e si fondono coi suoi fianchi di animale femminile.
Ana indica la prigionia reciproca di Ramon e Juanita e la padronanza da domatori di cani selvatici con cui cercano di prolungarla.
“Rosendiño, a che serve ballare?”
“E a che serve viaggiare, Anita? Sono due modi di andare e di venire, niente di più.”
“Ma cosa è questo, Rosendo? Le tue note se ne vanno in fretta e poi sembra che tardino a tornare.”
“Se vuoi posso chiamarlo Pronto Regreso, così può sembrare che tornino più in fretta, Anita.”
“No Rosendiño, il ritorno non deve essere pronto, qui non è importante andare e venire, è importante indugiare.”
“Dammelo tu allora un nome, Anita.”
“Tango.”


TU BOCA
(Ah, sudamerica…)
Nei pomeriggi provvisori di fine ottocento l’estate di Buenos Aires consuma i suoi amori urgenti nel sottovoce inevitabile delle casitas sprangate sui barrios di San Cristobal.               
Rosendo Mendizabal versa nella sordina del pianoforte il suo destino incerto e persistente.
Sarebbe basco se il suo cognome carnivoro da animale riproduttore riuscisse a riscattare la dannazione delle sue sopracciglia di velluto, del suo collo sottile e delle sue mani da preda.

Todo en el amor es triste, mas, triste y todo, es lo mejor que existe.

Rosendo nasconde la dolcezza irreparabile del suo sguardo da femmina tra le note scure della sua mano sinistra per non svelarlo alla bocca da poeta di Ramòn Campoamor che affida a quelle note i versi e le nostalgie dei suoi amori asturiani.

Para formar tan hermosa
esa boca angelical,
hubo competencia igual
entre el clavel y la rosa,
la púrpura y el coral.


La voce si alza di un tono ed lo sguardo diventa adunco quando Juana scende dalle scale spingendo verso l’uscita l’odore di dormitorio pubblico e di brillantina da droghiere degli ultimi clienti del pomeriggio.

¡Bien haya la dulce boca,
que sólo sus frescos labios
el aura pasando toca;
que haciendo el ámbar agravios,
su miel a gustar provoca!


Tra poco è sera e la casita si aprirà ai venti di catrame ed ai clienti della notte che arriveranno dal porto. Juanita ha lo sguardo glauco ed i capelli trasparenti da galiziana celtica ed i suoi fianchi da giumenta mansueta si accorderanno ai ritmi di Rosendo e si apriranno ai versi di Ramòn.

¡Oh, bien haya cuando ufana
dando enojos a la rosa,
muestra su cerco de grana,
fresca como la mañana,
como el azahar olorosa!


E Rosendo toglie la sordina al piano e non sa più cosa fare del suo pudore quando Ana accavalla le gambe sulla coda del pianoforte.
“Cosa si prova ad essere donna, Anita?”
“E cosa si prova a vivere da donna senza la seccatura di esserlo Rosendiño? Provamelo ballando"
“Cosa?”
“Che la menzogna è più comoda del dubbio”

De ese tesoro las llaves
dame, y sus dones ardientes
libaré en besos süaves,
sin que lo canten las aves,
ni lo murmuren las fuentes.


Anita è morbida e sottile, ha i capelli dai riflessi gitani ed i fianchi da allodola senza padrone. La sua bocca da femmina sillaba gli ultimi versi accordandoli a quella del poeta.

Y si con sombras de bien
tal ez el mal se divisa,
es porque en ella se ven
guardar la miel de su risa
las flechas de su desdén.

E mentre la chiude sull’ ultima parola tronca e poi la riapre sul sorriso del casquè,  legge su quella di Rosendo,  per l’ unica volta nella sua vita, incredibile e inaspettata, la voglia insopprimibile di un bacio.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #27 : Mercoledì 5 Settembre 2018, 09:57:48 »
Posto qui qualcosina della "Matematica e le origini del Tango".
I due argomenti erano trattati a capitoli aternati e (come potete constatare) in due stili diversi.
I personaggi sono tutti storici, e le loro invenzioni/creazioni pure.



CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE PRIMA
TITOLO
9, 10 e 11 luglio
OVVERO
Il  Malleus maleficarum, la sfera armillare, il triangolo sferico ed il trentasettesimo compleanno che la meno tolemaica dei miei cinque lettori festeggerà in tre step: oggi, domani e dopodomani. Auguri.
IN PRATICA
Come superare (quasi) senza danni apparenti sei secoli abbondanti e riproporsi più recidivi e degni della sbarra della Santa Inquisizione che pria.

Verso la fine del 400 i padri domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, avvertendo la necessità di dotare la Giustizia di uno strumento  che non fosse condizionato dai pregiudizi e dalla superstizione, posero mano all’opera che avrebbe finalmente illuminato con la fiaccola della civiltà le tetre stanze dei tribunali ecclesiastici: il Malleus maleficarum.
Spero che la vocale femminile del genitivo plurale evidenziata in rosso basti ad assolvere i due compari da ogni sospetto di misoginia.
Laddove, partendo da presupposti inconfutabili come il fatto che le donne, a causa della loro debolezza e a motivo del loro intelletto inferiore (e infatti femina deriva da fe + minus, fede minore), sono per natura predisposte a cedere alle tentazioni di Satana o che i pettegolezzi pubblici sono sufficienti a condurre una persona al processo e che, anzi, una difesa troppo vigorosa da parte del difensore è prova del fatto che anche quest'ultimo è stregato, vengono fornite ampie dimostrazioni sul fatto che, in quanto rappresentanti di Dio, i giudici sono immuni dai poteri delle streghe quindi i loro giudizi non possono non rispecchiare la Volontà Divina.
L' opera riscosse a tal punto i consensi fra i giudici e gli inquisitori che fu a lungo il libro più stampato e diffuso dopo la Bibbia ed ancor oggi in tanti si chiedono come mai in molti processi venga così colpevolmente ignorato.
Più o meno intorno a quel periodo Ferdinando e Isabella di Castiglia terminavano la loro reconquista scalciando da Granada il povero Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil in quale, fringando, si portò via, insieme agli scapaccioni di sua madre (no llores como una mujer lo que no supiste defender como un hombre) il rimpianto del suo regno perduto ed i rammarichi di Myriam, una piccola sefardita con tre grosse colpe:
1) quella di essere l’unica ebrea in tutta la Spagna ad aver avuto libero accesso alla biblioteca di Boabdil.
2) quella di aver tradotto in arabo le note in latino che Plato Tiburtinus scrisse in calce alle sue considerazioni in arabo ed in ebraico sulla costruzione della sfera armillare dell’ universo tolemaico.
3) quella di aver affermato che possono essere considerati sferici quei triangoli i cui lati sono formati da sezioni di cerchio.
Con l'aggravante di avere i capelli rossi e gli occhi verdi.
Qualche anno dopo le sue ceneri si mischiarono con quelle di Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano e Pace Xurtino, condannate insieme a lei a Tanina Goicoechea, bruciata in effige perché latitante, a salire sulla pira eretta dal Santo Uffizio in piazza  sant’ Erasmo a Palermo.
A domani quello che era successo qualche anno prima.


CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE SECONDA


TITOLO
10 luglio
OVVERO
Il secondo giorno di un compleanno atolemaico
SOTTOTITOLO
Se sei un’ebrea sefardita e vivi a Granada nel XV secolo è bene che tu sappia che l’unica moneta che hai a disposizione per comperare un po’ di matematica è il sesso. 

Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil, l’ultimo dei sultani andalusi, amava la bellezza, la scienza e i colori violenti; la biblioteca del suo palazzo di Granada, da Euclide ad Abu Kamil Shuja ibn Aslam, da Archimede ad Al - Battānī Da Eratostene a Tolomeo, custodiva i manoscritti di ogni grande della matematica, della fisica e dell’astronomia.

Per sfogliare quei manoscritti Myriam avrebbe dato in cambio tutto quello che aveva, e le uniche cose che aveva erano custodite dal suo lungo talled di lino: due occhi fosforescenti, una cascata di capelli rossi, una mente matematica e un corpo da peccato mortale.

A Boabdil non parve vero prendersi un anticipo del paradiso di Allah infilandosi nel letto di quella splendida urì in cambio delle chiavi della sua biblioteca.
E Myriam ritenne un prezzo accettabile farsi frugare dalle mani di Boabdil per qualche minuto ogni tanto in cambio delle lunghe ore di paradiso che avrebbe trovato fra le pagine di quei manoscritti.
Era il dieci luglio 1488, Myriam aveva compiuto da un giorno sedici anni e da quel momento  fino al 2 gennaio 1492, giorno in cui Isabella di Castiglia avrebbe deciso di ripulire Granada dai mori e dai sefarditi, divise il suo tempo fra la stanza da letto e la biblioteca del sultano Abu 'Abd Allāh Muhammad, detto Boabdil.
Se qualcuno dei miei cinque lettori dovesse sbavare di piacere trovandosi fra le mani Gli Sphaerica o i De habitationibus e De diebus et noctibus di Teodosio o Cosmographica et astronomica quaedam di Francesco Maurolico farebbe bene a ringraziare Myriam per la trascrizione dei primi e per la possibilità di realizzazione che diede al secondo traducendo in arabo e redigendo in latino le note di Plato Tiburtinus sulla trigonometria sferica di Al – Battānī.
Quando il 2 gennanio del 1492 Myriam ricevette l’ultimo abbraccio di Boabdil, in lacrime per il suo paradiso perduto che comprendeva anche lei, la ragazza cercò invano di rincuorarlo dicendogli che era riuscita finalmente a calcolare l’obliquità dell’ellittica ed a correggere i moti lunari di Tolomeo e che aveva fissato la precessione degli equinozi in 54’’ 33’’’, 1° ogni 66 anni, e tutto in virtù della combinazione della sfera armillare con il globo celeste che, grazie a lui, aveva potuto realizzare.
Boabdil la strinse ancora più forte e le consigliò di arraffare quanto più poteva dalla sua biblioteca e di fuggire il più lontano possibile da Granada e dalla Spagna perché per mori e sefarditi quelli che stava preparando la cattolicissima regina Isabella non sarebbero stati di certo i tempi migliori.
Quello che Myriam riuscì a trafugare dalla biblioteca del sultano lo scopriremo domani.
La santa Inquisizione lo scoprì  il 10 aprile del 1509, esattamente tre mesi prima di quel 10 luglio che la vide salire insieme ad Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano, Pace Xurtino e Tanina Goicoechea in effige perché latitante, sul rogo eretto dal Santo Uffizio al centro della piazza sant’ Erasmo di Palermo.

CAPITOLO SEDICESIMO, PARTE TERZA
TITOLO
11 luglio
SOTTOTITOLO
il triangolo sferico

OVVERO
Se sei una sefardita del XV secolo ed hai pagato le tue visite nella biblioteca di un sultano con le sue nella tua camera da letto non puoi avere scampo
INSOMMA
Se sei un’ebrea che ha avuto un musulmano come amante, anche se hai la mente matematica più brillante del tuo tempo, per avere scampo devi fà la mignotta.
Ed è più o meno quello che fece Myriam. Prima con un carovaniere per raggiungere Cartagena, poi con l’armatore di una galea diretta a Napoli, poi con buona parte dell’equipaggio per arrivarci intera insieme al suo bagaglio ed infine, in maniera quantitativamente proporzionale al trascorrere degli anni, per sopravvivere una volta arrivata lì.
Non durante i primi sei anni, però; quelli furono tutti di Luca Gaurico: matematico, fisico e astronomo illustre che, se non avesse deciso di applicare la scienza all’astrologia, forse avrebbe potuto far prendere alla vita di Myriam una piega diversa.

Ma forse se non l’avesse incontrata avrebbe preso una piega diversa anche la sua.

Gaurico trovò subito illuminante quel che Myriam aveva tradotto in latino delle opere di Abu Kamil Shuja ibn Aslam e Al – Battānī, e cominciò subito ad accarezzare l’idea di costruire su quelle basi la Sphaera armillaris-instrumentum, l’astrolabio più rigoroso che si fosse mai visto in occidente: in scala la copia perfetta della sfera celeste.

Erano passati tre anni da quando Myriam aveva lasciato la biblioteca di Boabdil ma non ebbe nessuna difficoltà a guardare di nuovo il firmamento dal centro del suo cerchio massimo: dal sole.

Non dalla Terra come aveva scritto Tolomeo o come avevano urlato Tomás de Torquemada e Francisco Jiménez de Cinseros citando l’Ecclesiaste o il libro di Giosuè mentre gettavano fra le fiamme i papiri di Al-jayyani.

Gli stessi che Myriam aveva tradotto in latino e che stava ora srotolando davanti agli occhi eccitati di Gaurico: “Sicut lineae…Come le linee su di un piano, il percorso più breve fra due punti di una sfera è l’ arco del cerchio massimo o minore che ne è il percorso più lungo… Inde totum instrumentum intra quintam armillam, quae meridianum representet, et in ipso meridiani plano firmetur, includatur et super mundi polis per clavos meridiano insertos, secundum altitudinem poli, collocatos, circumduci possit. Haec quidem est fabrica.”

Insomma, immaginando l’ universo come una sfera perfetta composta da sfere concentriche con tante geodetiche quante ne servivano come percorso dei pianeti conosciuti, Gaurico costruì una specie di bestemmia semovente così descritta qualche anno dopo dal cancelliere della Santa Inquisizione davanti al domenicano frate Antonio La Peña, delegato in Sicilia dal padre spirituale dei cattolicissimi Ferdinando ed Isabella Tomás de Torquemada:
«... composita di due mezzi cerchij di bronzo ed vn'asta di ferro attaccata alli detti, quali cerchij et asta di ferro attaccata seruono per posamento e sostegno di detta sfera sopra de quali cerchij è fermato l'Orizzonte d'ottone ed tante armille quante ne seruono per le scorrimenta de li pianeti con la Terra posita infra Venere et Marte, in una con il suo meridiano e Zodiaco con li due Colluri e Legature li due Tropici, due Cerchij Polari e tre Cerchi de' Pianeti Superiori, et lo Sole in centrum».

Prima di quel giorno però Myriam aveva vissuto alcuni anni sereni ed altri disperati.
La fine dei primi coincise col momento in cui Giovanni II Bentivoglio, ex podestà di Bologna, fece rapire Luca Gaurico per sottoporlo alla tortura della mancuerda, che consisteva nell' appendere il malcapitato per le caviglie ad una fune calata da una scala a chiocciola e farlo poi da lì sbattere per cinque volte contro il muro.
Questo perché, scrutando gli astri dalla sua sfera armillare, gli aveva predetto la perdita della signoria sulla città di Bologna, poi puntualmente avvenuta, per scomunica papale.

L’inizio dei secondi coincise con quelli che dedicò alla cura di Gaurico, sopravvissuto alla mancuerda ma ridotto dai traumi cranici e dalla rottura della colonna vertebrale ad un vegetale per il resto dei suoi giorni.

Ovviamente non ci volevano né sfere armillari né particolari capacità divinatorie per predire la caduta in disgrazia di Giovanni Bentivoglio: a papa Alessandro VI era succeduto Giulio II e tutti gli amici dei Borgia erano stati automaticamente considerati nemici dai Della Rovere; ma tantè, Myriam si ritrovò di nuovo senza mezzi e con in più il povero Gaurico a carico, incapace di provvedere a se stesso e che lei non si sentì di abbandonare per quel poco che gli restava da vivere.

Era ancora bella.

Era ebrea, era stata l’amante di un musulmano, conviveva in peccato mortale con un astrologo ormai ridotto ad un rottame e per di più aveva i capelli rossi ed un corpo che induceva in tentazione, che scampo poteva avere?
Visse vendendo un po’ se stessa ed un po’ la propria scienza, interrogando la sfera armillare sulle fortune future dei propri clienti e continuando a farlo anche dopo la morte di Gaurico e poi per qualche anno ancora.

Fino a quando Ferdinando II d’Aragona, dopo aver riconquistato Napoli, lasciò che frate Antonio La Peña perpetuasse nel suo regno l’opera del suo compianto padre spirituale Tomàs de Torquemada.

Poteva avere scampo una donna ebrea che era stata amante di un musulmano, che era vissuta da pubblica peccatrice con un astrologo, che aveva indotto chissà quanti cristiani in tentazione con il suo corpo da peccato mortale e che pretendeva di indovinare il futuro con uno strumento del demonio che, contraddicendo l’ Ecclesiaste ed il libro di Giosuè sconfessava la Sacra Bibbia ponendo il sole al centro dell’universo?
Ovviamente no.
E per di più aveva i capelli rossi.
E così il 10 luglio del 1509, il giorno successivo al suo trentasettesimo compleanno, insieme ad Agatuzza Vanarco, Gracia Gulisano, Pace Xurtino e Tanina Goicoechea in effige perché latitante, salì sul rogo eretto dal Santo Uffizio in piazza  sant’ Erasmo a Palermo.

Ci salì pensando che la certezza che quel fuoco non sarebbe stato un anticipo di quello eterno come stava berciando frate La Peña era la stessa che l’aveva indotta a porre il sole al centro della sua sfera armillare.
E ci salì ripetendo come un mantra, in latino, l’arabo di Al – Battānī:
“…Astrolabivm Armillare construitur ex quatuor armillis, scilicet zodiaco, coluroque solstitiali: ac duabus, quae medium includentes zodiacum volvi possint super duos clavos in zodiaci polis insertos et utrinque prominentes…”
Poi, un istante prima che il fuoco l’ invadesse pensò al fresco della biblioteca di Granada ed al tepore delle braccia di Gaurico, pensò alla figlia avuta da chissà quale dei suoi amanti occasionali e che era riuscita a nascondere al braccio secolare della Chiesa, guardò oltre le fiamme frate La Peña che continuava a berciare spruzzando acqua santa dal suo ridicolo aspersorio e sorrise.
Era stata più felice di lui.

Il giorno dopo, l’11 luglio del 1509, da qualche parte di un universo che in quel momento finalmente riusciva a considerare nella sua semplicissima realtà, guardò un punto lontano oltre mezzo millennio nel futuro e decise che sarebbe tornata.

si da il caso che proprio in questi gg io stia leggendo contemporaneamente un libro sulla spagna araba ed uno sugli ultimi 1000 anni in Sicilia. E leggendoti è come se continuassi il percorso, anzi, il viaggio.

Atmosfere, umori, ironia, storia. Grazie. Complimenti.
Continuo a leggere ma, come al solito, me stampo tutto e poi leggo di nuovo.

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #28 : Mercoledì 5 Settembre 2018, 11:03:43 »
Scritto in privato al Frusta. Robba bona quella che scrive. :)

Per TD: non ci sei a fine mese?

Offline Frusta

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #29 : Mercoledì 5 Settembre 2018, 15:26:59 »
Insomma io gli volevo fare una sorpresa presentandoci tutti e due all' improvviso davanti all' ingresso del Val d'O e invece si rischiava di non trovarlo.
L' unica è far decidere a lui:
TD, quale giorno dell' ultima settimana di settembre, tolto il 26, il sabato e la domenica possiamo Arch ed io (poi se qualcuno altro si aggrega ok sennò è lo stesso) venire a pranzo da te?
Se invece di fine settembre vuoi che veniamo i primi di ottobre è lo stesso, eh!
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Pomata

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #30 : Mercoledì 5 Settembre 2018, 16:35:55 »
Un aplauso a tutti, me fa’ male la testa ;D

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #31 : Giovedì 6 Settembre 2018, 10:02:25 »
Borsa Americana
Mio padre mi raccontò un giorno…, per la verità, non uno, ogni tanto, tra l’affabulatorio e il malinconico per il tempo che fugge, Lui amava ricordare che a margine della liberazione due cose erano evidenti anche a un bambino: i tedeschi che scappavano e si lasciavano dietro di tutto e gli americani che arrivavano ovunque trionfalmente e distribuendo balocchi. In realtà, dai suoi racconti è sempre emerso che anche i primi, per come la realtà possa apparire ad un bimbo, in fin dé conti a lui non avessero mai fatto nulla di ché, anzi, poiché erano di stanza con una specie di deposito di armi e munizioni nella sua “SCVOLA” - così sta ancora scritto sul suo muro vicino casa coi fasci scalpellati – ci raccontava di come di questo bimbetto di 9/10 anni che gironzolava giornalmente tra mostrine, giberne, ardiglioni e tascapane, i germanici avessero fatto la loro mascotte. Immagino delle truppe regolari di poveri cristi partiti da chissà dove: Westfalia, Renania, Sassonia, e costretti ad abbandonare le loro vacche, i loro alpeggi, il loro impiego. Persone sicuramente fregiate ma non segnate da quelle “s” runiche e, men che meno, animate da una qualche volontà di potenza; solo poveri cristi lasciati lì a svernare in un piccolo paesino della campagna ciociara con le sere illuminate dai bombardamenti su Cassino. Chissà, vedere questo uttro li avrà distratti dal tragico. Allora succede che di quei giorni del “nuovo inizio” al bambino Sebastiano fossero rimasti indelebili nella mente due episodi pronti ad insistere inattaccabili nella memoria dell’uomo. Dai suoi racconti ho sempre immaginato la piazza del paese in bianco e nero, forse Piazza Italia, un’eccitata turba di bambini finalmente a colori che divertita si addossa ad una jeep yankee: l’immagine stereotipa ma vera della Liberazione. La piazza è punteggiata sicuramente anche da adulti ma, più decentrati, essi sono attenta e silenziosa quinta di una baldanzosa riffa tra mammocci. Vedo volare una, anzi, due, dico, tre borse color verde militare, è finalmente la bengodi dopo anni di stecchetta. Dentro, ogni genere di leccornia from U.S.A., e Sebastiano è lì pronto ad afferrare l’attimo che fugge, anzi, vola con i suoi balocchi, perché… “Il bimbo è sveglio e nu'gliu freghi mai”. Allora gliù mammoccio afferra la borsa senza esitazioni. Non ci sono credibili concorrenti: ora il tesoro è suo! Ma bambini lo siamo stati tutti e la voglia di vedere cosa c’è dentro è troppo forte. Sebastiano resta fermo immobile, eccitato ma al tempo stesso ipnotizzato dalla curiosità, è assorto, forse imbambolato e coi pensieri vola placido planando lontano dalla piazza, senza attenzione per il resto. Lui che già immagina di distribuir le grazie di quel tesoro ai fratelli più piccoli. Ma all’improvviso la realtà irrompe, arriva lei, Renata, una ragazza fatta, potrà aver avuto tra i 16 e i 18 anni, e strappare quella borsa dalle esili mani del bimbo Sebastiano le sembrerà un gioco. Così è. Mi ha sempre colpito la serenità filosofica “del pesce grande mangia pesce piccolo” con la quale papà raccontava questa storia, senza mai esprimere il minimo rancore per Renata. E’ così. Doveva andare così. Ma la rivincita non tarda a farsi avanti. Nei boschi lungo la via della fuga tedesca, sulle colline circostanti il paese, è possibile trovare ogni genere di vettovagliamento lasciato dagli sconfitti. Il bimbo Sebastiano è in missione con mamma Rosa e non si accontenta certo delle possibilità che la cosa può voler dire per una massaia, Lui non vuole, lui non può. Sebastiano vola alto e… trova una moto, credo una BMW nuova nuova, “fiammante!”, papà diceva, e armato dell’espressione impunita del mammoccio di paese, la vuol portare con se. A Sebastiano fregacazzi del pane e di quanto questo possa sfamare una famiglia in tempi di magnagatti, lui vuole portare a casa quel pesantissimo giocattolo. E vuole spostarla ma lei è un monolite. Mamma Rosa gli molla un ceffone chiedendogli aiuto per riportare a casa quanto trovato. Papà, potevi ritornare e nasconderla, che so, sotterrarla… per riprenderla tempo dopo… gli faccio io. “Si, certo che sono tornato ma, era pesantissima… non si spostava, certo sotterrarla…” e accompagna ancora con un'espressione di rimpianto. Ad oltre cinquantanni da quell’episodio, Lui ci pensava ancora trasognato. Si è bambini per troppo poco tempo nella vita. Sebastiano e la sua moto.

Offline leomeddix

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #32 : Giovedì 6 Settembre 2018, 11:33:57 »
Socialisti contro fascisti

Il prezzo pagato dall’Italia nella prima guerra mondiale fu altissimo: 650.000 morti, un milione di feriti, una società dilaniata dalle divisioni tra interventisti e neutralisti, un sistema politico inceppato.
Nelle città mancava di tutto, ma la situazione non era migliore in paesi come Villa Scorciosa, dove l’assenza prolungata degli uomini mandati al fronte aveva causato il dimezzamento della produzione agricola, costringendo donne ed anziani a sforzi massacranti per sostituirli. Come se ciò non bastasse, nel settembre 1918 l’Abruzzo fu colpito da una tremenda epidemia di febbre spagnola che causò migliaia di morti . Tutta la rabbia accumulata dagli abruzzesi esplose nell’estate del 1919, quando in numerosi centri la popolazione inferocita scese nelle strade per protestare contro il rincaro dei prezzi, con violente aggressioni ai commercianti accusati di imboscare le merci. Le violenze maggiori si ebbero a Lanciano, con la devastazione di numerosi negozi, e ad Ortona, dove nel maggio 1920 i carabinieri uccisero e ferirono numerosi manifestanti, tra cui donne ed invalidi .
Il malcontento era forte soprattutto tra i reduci, i quali durante la guerra era stata promessa l’assegnazione delle terre . Tra questi vi era anche Giuseppe, che avevamo lasciato coi suoi muli sull’Altipiano di Asiago. Quattro anni di trincea erano stati per lui una esperienza durissima, ma anche una grande palestra di solidarietà. E così, una volta tornato in paese, Giuseppe volle mettere a frutto quell’esperienza organizzando insieme ad altri compagni una sezione del Partito socialista. Per gli scorciosani si trattava di una novità rivoluzionaria, perché secoli di oppressione li avevano resi diffidenti verso ogni forma di organizzazione politica. Ora invece per la prima volta essi uscivano dalla loro solitudine, idealmente uniti ai milioni di ‘cafoni’ che in tutto il mondo lottavano per i propri diritti. I contadini socialisti avevano imparato dalla guerra una grande lezione: quello che succedeva nel resto del mondo riguardava anche loro, e fu con questo spirito che decisero di organizzare a Fossacesia una manifestazione di solidarietà a favore di Sacco e Vanzetti, due anarchici italiani ingiustamente condannati a morte negli Stati Uniti .
Da noi i socialisti erano molto combattivi: guidarono gli scioperi contro le requisizioni del grano, crearono le prime cooperative, e grazie a queste iniziative nelle elezioni del 1920 conquistarono la maggioranza in molti comuni . Questi successi allarmarono gli agrari i quali, perciò, cominciarono a finanziare i primi gruppi fascisti, la cui attività principale era distruggere le sedi delle cooperative e perseguitare gli oppositori. La violenza squadrista fu subito sperimentatata a Fossacesia quando, nel dicembre 1922, i capi socialisti locali furono malmenati e condotti in casa di Michelangelo Mayer, segretario del fascio, davanti al quale furono costretti a gridare: “Viva l’Italia! Viva Casa Savoia! Viva la bandiera tricolore!” .
Anche a Villa Scorciosa si formò un nucleo fascista, guidato da Pietro Brighella e Sabatino Roselli; quest’ultimo, in particolare, era molto temuto dagli scorciosani perché usava infiltrare i suoi camerati nelle riunioni socialiste, allo scopo di individuare i “sovversivi” e poi punirli. Le minacce di “purghe” e bastonature erano all’ordine del giorno, e per evitare il peggio Giuseppe  con il compagno di partito Domenico decise di emigrare in Brasile.
Le Camice Nere, grazie alla connivenza di Prefetti e carabinieri, spadroneggiavano impunemente, arrivando –nel 1924- ad impedire i comizi elettorali dei candidati antifascisti. A Vasto furono affissi manifesti che ‘invitavano’ a votare con “giudizio”, ed in caso contrario si minacciavano gravi ritorsioni . Tutte queste minacce ebbero effetto, perché in provincia di Chieti i fascisti trionfarono con l’80% dei consensi, e addirittura in molti comuni le liste di opposizione non ottennero neanche un voto. La nostra provincia sembrava talmente ‘fascistizzata’ che Mussolini decise di far svolgere proprio a Chieti (definita “beata città-camomilla”) il processo-farsa contro i sicari che avevano assassinato Giacomo Matteotti, un coraggioso deputato socialista -molto legato alla terra abruzzese- che aveva denunciato gli abusi elettorali dei fascisti .
Ormai l’onda nera non trovava più ostacoli: il 3 gennaio 1925 Mussolini annunciò lo scioglimento delle organizzazioni “sovversive” e qualche mese più tardi ottenne tutti i poteri: sulle macerie della fragile democrazia liberale era nata ufficialmente la dittatura fascista del Duce.


La vita al tempo del Duce

Con l’avvento della dittatura fascista ogni voce di dissenso fu messa a tacere.
In Abruzzo, uno degli ultimi atti di protesta contadina si ebbe proprio nei pressi di Villa Scorciosa, alla contrada Sterpari, dove nel giugno 1926 un gruppo di braccianti scioperò dopo che un loro compagno era stato malmenato dal fattore . Ma si trattò di un episodio isolato, perché i nostri contadini –nel fondo del proprio animo- rimanevano istintivamente conservatori: per loro ‘socialismo’ significava sciopero, e lo sciopero rappresentava la massima infrazione all’ordine naturale. Per questo motivo la maggioranza di essi non si oppose al fascismo, del quale anzi apprezzavano l’esaltazione dell’etica ‘rurale’ e la promessa di stabilità sociale.
Il Fascismo era un padrone onnipotente ed onnipresente, tanto che Mussolini arrivò a “fascistizzare” pure il tempo libero creando l’Opera Nazionale del Dopolavoro. Nel 1925 una sede del Dopolavoro fu inaugurata anche a Villa Scorciosa, e –per ironia del destino- a presiederlo fu eletto proprio Giuseppe, il “sovversivo” che anni prima, per le sue idee socialiste, era stato costretto ad emigrare.
Dalla ‘fascistizzazione’ non si salvavano neppure i giovanissimi scorciosani che, vestiti da Balilla, il sabato erano costretti a marciare -più o meno romanamente- in piazza, cantando le strofe di Giovinezza sotto l’occhio vigile di Pietro Brighella. L’indottrinamento proseguiva a scuola, dove i bambini –appena entrati in classe- dovevano onorare prima il Padre del Cielo con una preghiera, e poi i padri dell’Italia fascista gridando in coro: “W il Re, salute al Re, W il Duce, a noi!”.
Alcuni però rimanevano allergici a questo indottrinamento: Annina -ad esempio- figlia di quel Giuseppe perseguitato dai fascisti, si rifiutava di imparare le poesie inneggianti a Mussolini provocando l’ira della maestra, che per punizione la rinchiudeva dentro l’aula fino a sera. In quell’epoca i metodi educativi delle maestre erano di una severità che sfiorava il sadismo: gli atti di indisciplina erano puniti facendo inginocchiare gli alunni sui ceci, oppure colpendoli con numerose vergate usando bacchette di ulivo che i bambini dovevano portare da casa . Questi metodi violenti erano approvati dai genitori, convinti che tali punizioni avessero un grande potere ‘educativo’ sui bambini. E del resto, neanche i padri mostravano molta tenerezza verso i figli, sia per riaffermare la loro autorità ma anche perché –data l’alta mortalità infantile- non era opportuno stringere legami affettivi troppo forti con creature che da un momento all’altro potevano morire .
Per i bambini scorciosani l’età dell’infanzia durava poco, perché presto erano chiamati a svolgere ruoli da “adulti”: tornati da scuola, dovevano governare papere e galline, fare la guardia ai vigneti e condurre le pecore al pascolo . Le bambine avevano anche il compito di accudire i fratelli minori quando i genitori andavano a zappare nei campi, e nei periodi lavorativi più intensi si usava somministrare ai piccoli lu papambrone, una bevanda-droga a base di oppio che funzionava da sonnifero. Questa usanza –che oggi ci appare assurda- in quell’epoca veniva considerata un rimedio lecito ed utile, perchè permetteva alle mamme di attendere più liberamente alle proprie occupazioni . La miseria, insomma, aveva fatto di Villa Scorciosa un paese di oppiomani.

È GIÀ SETTEMBRE ? NON CI POSSO CREDERE! LA MIA VITA STA PASSANDO TROPPO VELOCE. LA MIA UNICA SPERANZA È CHE SI VADA AI TEMPI SUPPLEMENTARI. (CHARLES M. SCHULZ)

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #33 : Giovedì 6 Settembre 2018, 11:45:21 »
che bella cosa sto microcosmo. Grazie.

(Grande Leo!)

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #34 : Giovedì 6 Settembre 2018, 12:37:10 »
ANTONIO L'EBANISTA.

Antonio Gallarello quando è morto aveva 60 anni. Era venuto a Roma, che era un ragazzo, da un paese della Campania, vicino a Benevento.

Come tanti artigiani privi di lavoro e vittime della tremenda crisi economica del primo decennio del Novecento, Antonio aveva cercato un riscatto dalla povertà e aveva il desiderio di vivere un’esistenza dignitosa. Roma gli sembrò il luogo migliore. Conosceva un mestiere, quello dell’ebanista. L’ebanista non è un semplice falegname; ha cura dei dettagli, pazienza, gusto, sa trattare le diverse essenze lignee con proprietà e perizia. Si dice che il tipo di lavoro che si fa rifletta la personalità. In Antonio questo assunto era pienamente verificato.

Uno dei cavalli di battaglia della propaganda fascista, in quei tempi, era quello della “famiglia”. Gli Italiani dovevano metter su famiglia e procreare per il benessere della Patria e dell’Impero. I figli, se femmine, dovevano esser abituate al mestiere di madre, di casalinga, di moglie; se maschi venivano indirizzati verso attività paramilitari per poi divenire soldati. Ma tutti al servizio del Duce.

Antonio non fece eccezione. Si sposò e crebbe sette figli. Tanti altri italiani fecero lo stesso: si sposarono e crebbero figli. Negli anni ’20 e ’30 vi fu un netto incremento demografico. Allora si costruirono case in gran numero e queste case dovevano essere arredate. Per Antonio fu la manna del cielo. Il suo mestiere era richiestissimo. Mobili di noce, di castagno, di palissandro.
Influenzato dal gusto razionalista del tempo, i suoi mobili erano privi di pesantezza e invasività. Erano mobili lineari, funzionali, moderni insomma. Andavano a ruba.

Via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, è una strada antica. Un rettifilo largo e alberato che collega Santa Maria Maggiore e Santa Croce, due poli ecumenici della cristianità. Su questa strada vi era il laboratorio di Antonio. Duecento metri prima di Santa Croce, adiacente l’acquedotto neroniano e prospiciente le tombe repubblicane di Via Statilia. Luoghi importanti e storici con in mezzo, quasi baricentrica, la bottega di un ebanista.

Antonio amava il suo lavoro e, di conseguenza, amava accontentare i suoi tanti clienti. I mobili oggi durano lo spazio di un mattino, cigolano, svergolano, traballano. Antonio sapeva che i mobili devono durare per un’esistenza e non devono mai sottostare all’effimero delle mode. Linee perfette, legni solidi, dettagli preziosi. Il cliente doveva sapere che i soldi spesi non sarebbero stati rimpianti e prima di spendere doveva avere la percezione di come sarebbero stati esattamente realizzati i mobili. Antonio aveva un metodo infallibile: costruiva prima i mobili in miniature perfette, le sottoponeva al cliente e solo dopo l’approvazione li costruiva nella giusta grandezza. Un lavoratore (un uomo) previdente, consapevole, geniale e onestissimo.

A cinquanta metri dal laboratorio di Antonio negli anni ’30 e ’40 c’era l’ambasciata tedesca. L’ambasciata dei nostri alleati. Vedeva passare le austere automobili del rigido cerimoniale germanico, ma non ci faceva caso. Antonio politicamente era di blande idee mazziniane, ma non le ostentava. Ne parlava in famiglia con i figli. Fuori taceva, in quei tempi anche i muri avevano le orecchie.

Allo scoppio della guerra le sue preoccupazioni erano rivolte ai figli e al timore che diminuisse il lavoro.  La “gente” non si sposava quasi più perché gli uomini erano impegnati nel conflitto. Chi in Russia, chi in Grecia, chi in nord Africa, chi in Francia.
E molti non tornavano. Poi venne Badoglio, il pavido Re, lo sbando e i tedeschi padroni di Roma. Non più amici ma invasori. L’ambasciata era presidiata da corrusche SS.

Vincenzo Gallarello era uno dei figli di Antonio. Anima ribelle, sensibile e affascinato dalle idee del clandestino Partito d’Azione, a cui anche Antonio, a modo suo, era vicino. Un altro figlio, Ugo, di appena quattordici anni, subiva l’ascendente del fratello Vincenzo e lo imitava. Antonio, Vincenzo e Ugo capirono che i valori di libertà e solidarietà insiti nell’ideale azionista non avevano nulla a che spartire con la tirannide nazi-fascista imperante in Italia. Roma pativa la feroce repressione tedesca a cui i fascisti facevano da servi.

Qualcosa andava fatta. Antonio non poteva essere operativo a causa dell’età avanzava, ma cedette alle pressioni di Vincenzo e permise l’ utilizzo del suo negozio per le riunioni segrete del P.d’A. Nottetempo in quei locali si organizzavano le forme di resistenza, si stilavano documenti, si pianificavano le azioni. Un delatore prezzolato denunciò questa attività illegale e il famigerato questore Caruso fece irruzione con i suoi sgherri nel negozio la notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1944. Antonio fece scudo a Vincenzo che riuscì a fuggire insieme ad altri.
 
Antonio si assunse ogni colpa scagionando tutti i presenti. Ma non ci fu verso: Antonio venne arrestato e così pure Ugo e un altro azionista, Bruno Annarumi. Trasferiti in carcere furono malmenati violentemente. Ugo, dopo un duro interrogatorio, venne rilasciato stante la sua giovane età. Altri interrogatori violenti non fecero deflettere Antonio e Bruno dalla loro linea comportamentale. Nulla uscì dalle loro bocche.

Il 24 marzo 1944 gli occupanti tedeschi operarono la più feroce rappresaglia urbana della storia della 2^ guerra mondiale. Per “vendetta” contro l’azione di Via Rasella gli zelanti contabili della morte Priebke e Caruso stilarono una lista di 335 italiani da giustiziare. Tra loro ebrei, cattolici, proletari, artisti, militari, aristocratici, antifascisti, apolitici, atei, giovani, anziani.
Nelle cave ardeatine, in terra di catacombe e di antichi martiri cristiani, nel segreto più assoluto, furono assassinati altri moderni martiri. La barbarie, la follia umana, l’oscenità della violenza più brutale raggiunsero il punto apicale.

Antonio, con Bruno, era tra i martiri.

Vincenzo e Ugo cercarono il padre a lungo. Nessuno in città era a conoscenza dell’avvenuta strage. Poi pian piano il velo della vergogna si cominciò a dipanare.
Alcuni contadini di Via Ardeatina e alcuni frati di un convento prossimo alle cave, rivelarono che qualche notte prima avevano sentito forti esplosioni. Si cominciò a sospettare che molti carcerati fossero stati uccisi proprio lì. I tedeschi avevano infatti minato le grotte dove erano i cadaveri per impedirne il ritrovamento. 

Vincenzo e Ugo non si rassegnarono. Con l’aiuto di un frate e di una laureanda in medicina, eludendo la sorveglianza di sentinelle tedesche, si calarono con la disperazione nell’anima e la volontà di sapere, all’interno delle grotte. Inutile narrare ciò che i loro occhi straziati videro. Inutile raccontare il continuo doloroso pellegrinaggio dei famigliari attoniti sul luogo della strage. Il riconoscimento dei propri cari avvenne tramite un brandello di vestito o di un orologio, di un documento stracciato, di un anello. E poi l’opera pietosa ma professionale del prof. Ascarelli, medico umanista che, dopo la Liberazione di Roma, riuscì a dare un nome a quasi tutti quei poveri resti. Antonio fu riconosciuto dalla presenza di segatura e riccioli di legno nel risvolto dei pantaloni.

La strage ha svolto un’opera parificatrice antropica della città. Tutti gli strati sociali hanno avuto in essa le loro vittime. Ha fatto capire che la libertà poteva e doveva essere conquistata da tutti perché della tirannide tutti erano stati vittime. Formò una coscienza etica e civile in tutta la popolazione. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è fortemente connesso alla memoria collettiva dei romani. Ogni tentativo di rimozione, revisione storica, falsificazione delle vicende, è fallita. E’ patrimonio collettivo inalienabile.

In Via Santa Croce in Gerusalemme oggi al posto del mobilificio di Antonio vi è un autosalone. L’ambasciata tedesca è ora la residenza dell’ambasciatore inglese. L’acquedotto neroniano è sempre lì e tra le sue arcate giocano i bambini. Le tombe repubblicane sono state recintate. A dieci metri c’è un’osteria frequentatissima. A venti un ottimo bar. Santa Croce, con le sue snelle paraste e la facciata ondulata e solenne, sorveglia lo scorrere della vita degli uomini.

Una targa commemorativa ricorda Antonio e Bruno. E’ bene guardarla quando si passa lì.


P. S. Una vecchia signora di 100 anni, che durante la guerra abitava vicino alla bottega di Antonio Gallarello, si sposò nel 1939. Suo marito, amico di Antonio, fece fare da lui l’arredamento del loro appartamento. Antonio fece i mobili in miniatura e poi quelli effettivi. La vecchia signora oggi abita in un altro quartiere, ma i mobili sono quelli d’allora, di ottanta anni fa. Perfetti.



Offline franz_kappa

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #35 : Giovedì 6 Settembre 2018, 12:42:02 »
ANTONIO L'EBANISTA.
[...]
MERAVIGLIOSO e commovente.
Grazie.
Buon viaggio, caro Piero.

Panzabianca

Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #36 : Giovedì 6 Settembre 2018, 12:51:53 »
...segatura e riccioli di legno nel risvolto dei pantaloni.

Grazie Arch. Bellissimo.

Offline leomeddix

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #37 : Giovedì 6 Settembre 2018, 12:52:44 »
Grande Arch!  :clapcap:
È GIÀ SETTEMBRE ? NON CI POSSO CREDERE! LA MIA VITA STA PASSANDO TROPPO VELOCE. LA MIA UNICA SPERANZA È CHE SI VADA AI TEMPI SUPPLEMENTARI. (CHARLES M. SCHULZ)

Offline Arch

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #38 : Giovedì 6 Settembre 2018, 13:13:31 »
Grazie e bravissimi voi, cari amici. Vi leggo incantato.
Che bello spazio questo!

Offline Holly

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Re:SEBASTIANO FANTE ITALIANO
« Risposta #39 : Giovedì 6 Settembre 2018, 19:20:43 »
Da lettrice appassionata vi comunico la mia personalissima soddisfazione nello scorrere tanti piccoli gioielli letterari.
Dopo aver trascorso tanti anni in una libreria, dopo aver visto pubblicate le peggiori immondizie, vi dico che queste righe, nella loro piccola infinita compiutezza, sono per palati fini e meriterebbero altra gloria.

Grazie, e continuate eh  8)