Autore Topic: Ancora sul fattore campo  (Letto 1095 volte)

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BobCouto

Ancora sul fattore campo
« : Martedì 6 Settembre 2011, 04:50:03 »
Per questo piccolo ragionamento, assumiamo che: una squadra che vince una partita ha ottenuto il massimo possibile, quindi il 100%: quella che l'ha perduta il minimo, quindi lo 0%. Due squadre che pareggiano hanno ottenuto il medesimo rendimento, che quindi non può che ammontare al 50%. Ne consegue che il vecchio sistema di attribuire 2 punti alla vittoria era realmente equo, tra le altre cose.

Il totalone di tutte le partite di A giocate nella storia (23196) vede la vittoria della squadra che gioca "in casa" nel 49% delle occasioni, e di quella che gioca "in trasferta" nel 20%. I pareggi ammontano al 31% circa.

Questi numeri testimoniano, ce ne fosse bisogno, dell'esistenza di quell'elemento immateriale, ma concreto, che chiamiamo "fattore campo", senza il quale, come ovvio, il numero di vittorie in casa o fuori sarebbe equamente distribuito, su un campione così vasto di partite.

Tuttavia, l'idea di tentare di "scomporre" il fattore campo può essere interessante: lo si può immaginare composto, a colpo d'occhi, da fattori certamente di tipo psicologico, ma ve ne sono senz'altro di pratici, o una combinazione di entrambi, senza trascurare il contributo tecnico e tattico.

Prima di tutto, analizzando i dati storici, salta all'occhio che il vantaggio dovuto al fattore campo, inizialmente assai elevato (partendo dalla stagione 1929/30, la prima di serie A con la formula attuale, per avere una base più omogenea possibile), è andato sempre decrescendo nel tempo. Le squadre di casa, nel primo campionato a girone unico, raccolsero il 70% dei punti disponibili: e nella stagione 1947/48 il rendimento interno fu del 74%, cioè quasi IL TRIPLO di quello esterno. Nello scorso campionato, invece, le squadre di casa non sono arrivate - sempre considerando che la vittoria valga il doppio del pari - al 60%: siamo a una volta e mezza il rendimento esterno.

Un grafico del rendimento interno degli ultimi dieci anni, costruito a partire dal 1940, ha un andamento discendente, in modo costante: tranne un'inversione di tendenza a partire dal 1982 e fino al 1991, con una risalita piuttosto chiara che riporta fino ai livelli di fine anni '70: dal 1992 in poi la discesa riprende, con un andamento ancora più ripido del precedente, e l'andamento è tuttora in corso.

L'attenuazione del fattore campo può essere - in parte - spiegata da fattori pratici: negli anni '30 le trasferte erano certamente può faticose e avventurose di oggi (nonostante la puntualità dei treni): così come lo erano le condizioni in cui i calciatori soggiornavano nella città ospite: i terreni di gioco, inoltre, erano molto "caratteristici", nel senso che erano profondamente diversi tra loro, specie nelle situazioni più estreme, e di certo offrivano molti vantaggi a chi ne conosceva bene segreti e trappole. Si nota una certa accentuazione del fattore campo nel periodo bellico e negli anni immediatamente successivi: un ulteriore mattone all'ipotesi che i disagi negli spostamenti abbiano il loro peso.

La varie formule adottate non sembrano aver influito sulla storia del fattore campo: dalle 18 squadre iniziali si passa a 16, poi a 20 (e anche a 21) nel dopoguerra, per tornare a 18, a 16, di nuovo a 18 e infine a 20: il tutto senza che l'andamento - costantemente in discesa, come detto - ne risenta in alcun modo.

Anche il numero di spettatori non sembra aver alcun peso. Può darsi che la presenza di pubblico "amico" influenzi in qualche modo le vicende del campo, ma se questo è vero, giocare di fronte a 50.000 spettatori invece di 20.000 non fa alcuna differenza. L'aumento del pubblico, dall'inizio della serie A, è stato sempre costante fino alla metà degli anni '80, poi il trend si è invertito: a questo aumento non ha corrisposto la crescita del rendimento interno delle squadre, che invece è sempre stato in calo. Vero è che nel periodo 1982-1991, quello dell'inversione di tendenza, si sono raggiunte le medie-spettatori più alte, specie nel periodo 1983-86, ma le curve spettatori e quella fattore-campo sembrano andare ciascuna per conto loro, nel complesso.

Nemmeno la media realizzativa sembra avere un qualche significato: molto elevata nei primi anni, circa tre reti a partita, è andata scendendo di pari passo con l'attenuazione del fattore campo, per assestarsi intorno ai due gol: dal 1992 in poi ha ripreso a salire, per attestarsi sulle due reti e mezza a partita: ma del "terzo gol" oggi beneficiano le squadre che giocano in trasferta, non quelle di casa.

Rimane la curiosità dell'inversione di tendenza nel periodo 1982-1991: non spiegabile con ragioni pratiche; né con la formula del torneo, già adottata dal 1968 e che non aveva cambiato le carte in tavola; né con le medie realizzative, più o meno uguali a quelle del decennio precedente; troppo netta, infine, per essere spiegata con l'aumento di pubblico.

Non restano che motivazioni tattiche: la data del 1982 è quella di un evento calcistico troppo importante per non essere... sospetta. Il vero vincitore di quel mondiale fu individuato, in modo tragicamente errato, nel gioco all'italiana, ma interpretandolo nel modo peggiore: così come tutti imitavano negli anni '50 il Grande Torino sistemista, con risultati grotteschi, senza capire che la grandezza di quelle squadra era negli interpreti e non nel modulo, ci fece a gara ad adottare un difensivismo fine a sé stesso, mortificando l'aspetto tecnico e manovriero, che invece del calcio all'italiana erano componenti fondamentali, non essendo la sua natura difensivista sinonimo di non-gioco. Il tutto culminò, a mio avviso, con l'orrido mondiale del '90, che fu un autentico insulto al gioco del calcio.

Uno sport, nel corso del tempo, non può che veder crescere l'aspetto tecnico, perché si giova dell'esperienza accumulata e nel miglioramento di materiali e metodi di allenamento. Dal calcio ci si aspetta che vinca chi è più bravo, e che quindi il peso dei fattori esterni sia sempre meno influente: ecco perché la diminuzione del fattore campo è da interpretare come sinonimo di crescita e di salute del gioco: e questa crescita è stata continua, negli anni. Tranne, appunto, in quel decennio in cui si manifestò un regresso: che fu individuato e oggetto di contromisure regolamentari, per fortuna, che tutti conosciamo. Dal 1992, appunto, anno di introduzione di alcune nuove regole, l'andamento in discesa è ripreso, chiaro e netto, per diventare ancora più scosceso dal 1995, anno di introduzione dei tre punti a vittoria, elemento che ha stabilito il taglio più netto col passato: è crollato il numero di pareggi e salito parecchio quello delle vittorie esterne. Nel 2003/04 le squadre di casa hanno reso il 58%, contro il 42% di quelle esterne: è il minimo storico. Si va verso un calcio "puro", dove l'elemento casalingo rivestirà un'importanza minima: vincerà chi gioca meglio a pallone.

CiPpi

Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #1 : Martedì 6 Settembre 2011, 07:19:40 »
un'altra chiave di lettura della invertenza di tendenza (pessima asssonanza, lo so) e' che proprio in quel periodo c'e' un esplosione di soldi in contesti calcistici 'minori', primo fra tutti il Napoli, ma anche le merde,cosi come l'importazione del calcio totale, e qui dissento dalla tua analisi, ed aggressivo che porta indubbiamente ad un diverso approccio alla partita anche fuori casa.

ma bisognerebbe vedere esattamente che tipo di variazione di tratta, aumentano soprattutto le vittorie fuori casa a discapito di quelle in casa? o aumentano i pareggi? oppure e' l'aumento di uno dei due, x o 2, che si avvicinano agli 1, ma questi in realta' non diminuiscono, ecc.ecc.

in ogni caso mi pare sia rimasto fuori quello che credo sia il vero fattore campo.

e cioe' il fattore campo.

dal momento che le misure non sono stabilite esattamente, ma permesse all'interno di valori minimo/massimo per tutti gli aspetti del rettangolo di gioco, incluse le porte, lo scarto di anche un solo metro di lunghezza o 10 cm di altezza puo' fare una grande differenza al momento di giocarsela.

Boks XV

Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #2 : Martedì 6 Settembre 2011, 10:13:26 »
gli arbitri e i loro assistenti?
la pressione psicologica che subiscono?
lo sentono il pubblico? e ciò li condiziona?

Offline Skorpius

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #3 : Martedì 6 Settembre 2011, 10:41:15 »
Per questo piccolo ragionamento, assumiamo che: una squadra che vince una partita ha ottenuto il massimo possibile, quindi il 100%: quella che l'ha perduta il minimo, quindi lo 0%. Due squadre che pareggiano hanno ottenuto il medesimo rendimento, che quindi non può che ammontare al 50%. Ne consegue che il vecchio sistema di attribuire 2 punti alla vittoria era realmente equo, tra le altre cose.

Il totalone di tutte le partite di A giocate nella storia (23196) vede la vittoria della squadra che gioca "in casa" nel 49% delle occasioni, e di quella che gioca "in trasferta" nel 20%. I pareggi ammontano al 31% circa.

Questi numeri testimoniano, ce ne fosse bisogno, dell'esistenza di quell'elemento immateriale, ma concreto, che chiamiamo "fattore campo", senza il quale, come ovvio, il numero di vittorie in casa o fuori sarebbe equamente distribuito, su un campione così vasto di partite.

Tuttavia, l'idea di tentare di "scomporre" il fattore campo può essere interessante: lo si può immaginare composto, a colpo d'occhi, da fattori certamente di tipo psicologico, ma ve ne sono senz'altro di pratici, o una combinazione di entrambi, senza trascurare il contributo tecnico e tattico.

Prima di tutto, analizzando i dati storici, salta all'occhio che il vantaggio dovuto al fattore campo, inizialmente assai elevato (partendo dalla stagione 1929/30, la prima di serie A con la formula attuale, per avere una base più omogenea possibile), è andato sempre decrescendo nel tempo. Le squadre di casa, nel primo campionato a girone unico, raccolsero il 70% dei punti disponibili: e nella stagione 1947/48 il rendimento interno fu del 74%, cioè quasi IL TRIPLO di quello esterno. Nello scorso campionato, invece, le squadre di casa non sono arrivate - sempre considerando che la vittoria valga il doppio del pari - al 60%: siamo a una volta e mezza il rendimento esterno.

Un grafico del rendimento interno degli ultimi dieci anni, costruito a partire dal 1940, ha un andamento discendente, in modo costante: tranne un'inversione di tendenza a partire dal 1982 e fino al 1991, con una risalita piuttosto chiara che riporta fino ai livelli di fine anni '70: dal 1992 in poi la discesa riprende, con un andamento ancora più ripido del precedente, e l'andamento è tuttora in corso.

L'attenuazione del fattore campo può essere - in parte - spiegata da fattori pratici: negli anni '30 le trasferte erano certamente può faticose e avventurose di oggi (nonostante la puntualità dei treni): così come lo erano le condizioni in cui i calciatori soggiornavano nella città ospite: i terreni di gioco, inoltre, erano molto "caratteristici", nel senso che erano profondamente diversi tra loro, specie nelle situazioni più estreme, e di certo offrivano molti vantaggi a chi ne conosceva bene segreti e trappole. Si nota una certa accentuazione del fattore campo nel periodo bellico e negli anni immediatamente successivi: un ulteriore mattone all'ipotesi che i disagi negli spostamenti abbiano il loro peso.

La varie formule adottate non sembrano aver influito sulla storia del fattore campo: dalle 18 squadre iniziali si passa a 16, poi a 20 (e anche a 21) nel dopoguerra, per tornare a 18, a 16, di nuovo a 18 e infine a 20: il tutto senza che l'andamento - costantemente in discesa, come detto - ne risenta in alcun modo.

Anche il numero di spettatori non sembra aver alcun peso. Può darsi che la presenza di pubblico "amico" influenzi in qualche modo le vicende del campo, ma se questo è vero, giocare di fronte a 50.000 spettatori invece di 20.000 non fa alcuna differenza. L'aumento del pubblico, dall'inizio della serie A, è stato sempre costante fino alla metà degli anni '80, poi il trend si è invertito: a questo aumento non ha corrisposto la crescita del rendimento interno delle squadre, che invece è sempre stato in calo. Vero è che nel periodo 1982-1991, quello dell'inversione di tendenza, si sono raggiunte le medie-spettatori più alte, specie nel periodo 1983-86, ma le curve spettatori e quella fattore-campo sembrano andare ciascuna per conto loro, nel complesso.

Nemmeno la media realizzativa sembra avere un qualche significato: molto elevata nei primi anni, circa tre reti a partita, è andata scendendo di pari passo con l'attenuazione del fattore campo, per assestarsi intorno ai due gol: dal 1992 in poi ha ripreso a salire, per attestarsi sulle due reti e mezza a partita: ma del "terzo gol" oggi beneficiano le squadre che giocano in trasferta, non quelle di casa.

Rimane la curiosità dell'inversione di tendenza nel periodo 1982-1991: non spiegabile con ragioni pratiche; né con la formula del torneo, già adottata dal 1968 e che non aveva cambiato le carte in tavola; né con le medie realizzative, più o meno uguali a quelle del decennio precedente; troppo netta, infine, per essere spiegata con l'aumento di pubblico.

Non restano che motivazioni tattiche: la data del 1982 è quella di un evento calcistico troppo importante per non essere... sospetta. Il vero vincitore di quel mondiale fu individuato, in modo tragicamente errato, nel gioco all'italiana, ma interpretandolo nel modo peggiore: così come tutti imitavano negli anni '50 il Grande Torino sistemista, con risultati grotteschi, senza capire che la grandezza di quelle squadra era negli interpreti e non nel modulo, ci fece a gara ad adottare un difensivismo fine a sé stesso, mortificando l'aspetto tecnico e manovriero, che invece del calcio all'italiana erano componenti fondamentali, non essendo la sua natura difensivista sinonimo di non-gioco. Il tutto culminò, a mio avviso, con l'orrido mondiale del '90, che fu un autentico insulto al gioco del calcio.

Uno sport, nel corso del tempo, non può che veder crescere l'aspetto tecnico, perché si giova dell'esperienza accumulata e nel miglioramento di materiali e metodi di allenamento. Dal calcio ci si aspetta che vinca chi è più bravo, e che quindi il peso dei fattori esterni sia sempre meno influente: ecco perché la diminuzione del fattore campo è da interpretare come sinonimo di crescita e di salute del gioco: e questa crescita è stata continua, negli anni. Tranne, appunto, in quel decennio in cui si manifestò un regresso: che fu individuato e oggetto di contromisure regolamentari, per fortuna, che tutti conosciamo. Dal 1992, appunto, anno di introduzione di alcune nuove regole, l'andamento in discesa è ripreso, chiaro e netto, per diventare ancora più scosceso dal 1995, anno di introduzione dei tre punti a vittoria, elemento che ha stabilito il taglio più netto col passato: è crollato il numero di pareggi e salito parecchio quello delle vittorie esterne. Nel 2003/04 le squadre di casa hanno reso il 58%, contro il 42% di quelle esterne: è il minimo storico. Si va verso un calcio "puro", dove l'elemento casalingo rivestirà un'importanza minima: vincerà chi gioca meglio a pallone.

Se capisco bene individui nella psicologia della squadra "fuori casa" particolarmente sparagnina il motivo del fattore campo.

Mi viene in mente il cmpionato 1994-95 della lazio
Lazio    63 punti   
In casa 12 vittorie 3 pareggi 2 sconfitte (come la juve campione)
Fuori casa 7 vittorie 4 pareggi 6 sconfitte

Eppure la squadra giocava nello stesso identico modo fuori e dentro
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

BobCouto

Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #4 : Martedì 6 Settembre 2011, 11:04:45 »
Nell'appiattimento tecnico-tattico, Skorpius, più che altro. Ed è UNO dei fattori, non l'unico.

Offline Skorpius

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #5 : Martedì 6 Settembre 2011, 11:10:07 »
Nell'appiattimento tecnico-tattico, Skorpius, più che altro. Ed è UNO dei fattori, non l'unico.

non capisco bene il rapporto causa effetto tra appiattimento tecnico e fattore campo

Vediamo se quadra (almeno questo elemento): un squadra di potenziale 100 a causa del suo atteggiamento rinunciatario e pauroso fuori casa rende 75, questa disparità di rendimento dovuta ad atteggiamento psicologico genera anche una disparità di risultati.

Ho inquadrato bene almeno questo elemento?
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline WombyZoof

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #6 : Martedì 6 Settembre 2011, 12:21:36 »
dall'anno di introduzione de 3 punti, vi risulta che vi si sia stata una classifica che sarebbe finita diversamente che con i 2 punti?    ogni tanto facevo questo conteggio e non trovavo differenze. 

«Per un centimetro Beppe, per un centimetro»

Offline giamma

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #7 : Martedì 6 Settembre 2011, 14:04:08 »
Molto interessante, comunque secondo Desmond Morris che ne parla a fondo nel suo libro "Le tribù del calcio" dando spiegazioni di tipo etologico.
Il libro è del 1981 ed è molto difficile da trovare , se siete in grado di leggere in inglese potete trovarne una copia in pdf "The soccer tribe".
Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe. (C. H. Spurgeon)

Offline carpelo

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #8 : Martedì 6 Settembre 2011, 14:43:58 »
Alcune piccole domande ed osservazioni a questo interessante studio.
Hai escluso i vari derbies dai tuoi conteggi? Hai pesato ogni stagione al netto dei derbies che si sono disputati?

...
Anche il numero di spettatori non sembra aver alcun peso. Può darsi che la presenza di pubblico "amico" influenzi in qualche modo le vicende del campo, ma se questo è vero, giocare di fronte a 50.000 spettatori invece di 20.000 non fa alcuna differenza. L'aumento del pubblico, dall'inizio della serie A, è stato sempre costante fino alla metà degli anni '80, poi il trend si è invertito: a questo aumento non ha corrisposto la crescita del rendimento interno delle squadre, che invece è sempre stato in calo. Vero è che nel periodo 1982-1991, quello dell'inversione di tendenza, si sono raggiunte le medie-spettatori più alte, specie nel periodo 1983-86, ma le curve spettatori e quella fattore-campo sembrano andare ciascuna per conto loro, nel complesso.
 Per pignoleria andrebbero pesati questi aumenti di pubblico. Faccio un esempio: diciamo che a San Siro ci vanno sempre 40.000 spettatori, mentre a Bari ce ne sono andati solo 1.000 perchè lo stadio è piccolo e malridotto. Poi quest'anno rifanno lo stadio di Bari e il pubblico risponde calorosamente: 40.000 di media. Tutti gli altri stadi fanno lo stesso numero di presenze, ma nel conteggio totale il +4000% del Bari incide in positivo. Succede però che il Bari è pur sempre il Bari ed anche se a San Siro la gente inizierà a disertare lo stadio per andare a vedere il curling, il Milan e l'Inter mediamente vinceranno, mentre i galletti pugliesi finiranno dritti dritti in B con pochissime vittorie casalinghe. Insomma voglio dire, la presenza di pubblico può pure essere d'aiuto, ma se non sei forte, più di tanto non potrai giovartene.

...Rimane la curiosità dell'inversione di tendenza nel periodo 1982-1991: non spiegabile con ragioni pratiche; né con la formula del torneo, già adottata dal 1968 e che non aveva cambiato le carte in tavola; né con le medie realizzative, più o meno uguali a quelle del decennio precedente; troppo netta, infine, per essere spiegata con l'aumento di pubblico.

Non restano che motivazioni tattiche: la data del 1982 è quella di un evento calcistico troppo importante per non essere... sospetta. Il vero vincitore di quel mondiale fu individuato, in modo tragicamente errato, nel gioco all'italiana, ma interpretandolo nel modo peggiore: così come tutti imitavano negli anni '50 il Grande Torino sistemista, con risultati grotteschi, senza capire che la grandezza di quelle squadra era negli interpreti e non nel modulo, ci fece a gara ad adottare un difensivismo fine a sé stesso, mortificando l'aspetto tecnico e manovriero, che invece del calcio all'italiana erano componenti fondamentali, non essendo la sua natura difensivista sinonimo di non-gioco. Il tutto culminò, a mio avviso, con l'orrido mondiale del '90, che fu un autentico insulto al gioco del calcio...
Bhe però ai Mondiali del '90, mi pare che l'Italia fosse una delle nazionali meno difensiviste e più piacevoli da vedere. Molto peggio quella dell'86. Inoltre in quel quasi decennio, ci son stati il Napoli di Maradona, la Juve di Platini, il Milan di Sacchi, la Samp di Mancini, il Verona di Bagnoli. Insomma non mi pare che la serie A sia stata così difensivista

... Dal 1992, appunto, anno di introduzione di alcune nuove regole, l'andamento in discesa è ripreso, chiaro e netto, per diventare ancora più scosceso dal 1995, anno di introduzione dei tre punti a vittoria, elemento che ha stabilito il taglio più netto col passato: è crollato il numero di pareggi e salito parecchio quello delle vittorie esterne. Nel 2003/04 le squadre di casa hanno reso il 58%, contro il 42% di quelle esterne: è il minimo storico. Si va verso un calcio "puro", dove l'elemento casalingo rivestirà un'importanza minima: vincerà chi gioca meglio a pallone.
E qui i dati evidenziano come un altro elemento fondamentale a determinare il "fattore campo" è l'atteggiamento degli avversari, rispondendo al quesito di WombyZoof. I 3 punti non modificano classifiche già scritte, ma alterano le motivazioni delle squadre che ancora devono mettere punti in classifica. Portandole a vincere e perdere di più

Offline satanasso

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Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #9 : Martedì 6 Settembre 2011, 17:04:29 »
Grande pezzo, complimenti! Se ho ben capito vi è una traiettoria storica che segna la tendenza alla riduzione del peso del "fattore campo" nel determinare l'esito delle partite. Questa dinamica subisce però uno stallo e una parziale inversione nel periodo 1982-1991. Per spiegare questa inversione di tendenza, Bob chiama in causa ciò che potremmo chiamare l'"effetto catenaccio":

Rimane la curiosità dell'inversione di tendenza nel periodo 1982-1991: non spiegabile con ragioni pratiche; né con la formula del torneo, già adottata dal 1968 e che non aveva cambiato le carte in tavola; né con le medie realizzative, più o meno uguali a quelle del decennio precedente; troppo netta, infine, per essere spiegata con l'aumento di pubblico.
Non restano che motivazioni tattiche: la data del 1982 è quella di un evento calcistico troppo importante per non essere... sospetta. Il vero vincitore di quel mondiale fu individuato, in modo tragicamente errato, nel gioco all'italiana, ma interpretandolo nel modo peggiore: così come tutti imitavano negli anni '50 il Grande Torino sistemista, con risultati grotteschi, senza capire che la grandezza di quelle squadra era negli interpreti e non nel modulo, ci fece a gara ad adottare un difensivismo fine a sé stesso, mortificando l'aspetto tecnico e manovriero, che invece del calcio all'italiana erano componenti fondamentali, non essendo la sua natura difensivista sinonimo di non-gioco. Il tutto culminò, a mio avviso, con l'orrido mondiale del '90, che fu un autentico insulto al gioco del calcio.

Ecco, il mio unico dubbio nasce proprio qui: perchè dell'"effetto catenaccio" dovrebbe beneficiare di più la squadra che gioca in casa rispetto a quella che gioca in trasferta (ciò che spiega, nella tesi di Bob, l'interruzione della tendenza storica alla riduzione del peso del fattore campo)? Io direi invece che a beneficiarne dovrebbe/potrebbe essere la squadra che gioca in trasferta. O sbaglio? In ogni caso, non mi è chiaro come l'involuzione difensivistica del calcio del periodo 1982-1991 possa incidere, in un senso o nell'altro, sulla traiettoria evidenziata da Bob.
Sciarpe rotte eppur bisogna andar

zorba

Re:Ancora sul fattore campo
« Risposta #10 : Mercoledì 7 Settembre 2011, 08:50:05 »
Scusate se l'osservazione non fosse 'in topic', ma visto che si parla di 'fattore campo', vorrei conoscere la vostra opinione sul fattore campo ... sintetico (a mio parere, un pò sottovalutato nelle analisi pre-campionato).

Novara e Cesena (i piemontesi già dal campionato scorso in serie B), giocano su un prato di erba sintetica le partite casalinghe.

Per la nostra serie A sarà quindi una novità assoluta. Secondo voi questo elemento potrà influire sull'esito delle partite giocate in questi due stadi anche contro squadre sulla carta nettamente superiori dal punto di vista tattico, atletico e tecnico?!?

Qualcuno ha a disposizione le statistiche di rendimento interno dello scorso campionato del Novara? Quante squadre sono risultate vittoriose negli incontri giocati al 'Silvio Piola'?