Un simbolo di quel 90° minuto.
Nei limiti strutturali, con un corrispondente in loco non impermeabile al contesto anziché un più neutrale inviato.
Nell'umanità sincera e bonaria, simboleggiata dalla celebre manina, con cui otteneva l'indulgenza e l'affetto del pubblico.
Nell'abilità giornalistica con la quale riconvertiva in un vantaggio la propria posizione di parte, restituendo umori e sensazioni ambientali che sarebbero sfuggiti a un punto di vista troppo esterno.
Al di fuori del calcio, ricordo un servizio sull'ex Sahara Spagnolo in cui aveva trovato, fra i militanti del Fronte Polisario, alcuni in grado di esprimersi nella nostra lingua.
Parecchio colore e calore umano anche lì, ma il rigore con cui veniva ricostruita la parte più seria del reportage documentava un professionista di livello e tutt'altro che sprovveduto sul piano culturale.
Un saluto a un altro simbolo di un calcio che, di fronte al wrestling bionico dei giorni nostri, manca sempre di più.