Addio a Clarence Clemons Mitico sax di Springsteen
Per quaranta anni è stato la spalla insostituibile del Boss, vera e propria icona della E Street Band. Le lacrime di Bruce: "Era il mio grande amico, il suo ricordo vivrà sempre con noi"
dal nostro inviato ANGELO AQUARO
NEW YORK - Adesso che il futuro del rock è irrimediabilmente sprofondato nel trapassato, Bruce Springsteen piange come un vitello quel "Big Man" che da più di quarant'anni lo seguiva come un'ombra e mai invadente. Clarence Clemons è uscito dal gruppo e questa volta per sempre. Il sax del Boss se n'è andato. Ucciso da un ictus che l'ha colpito sabato scorso in Florida e con cui ha lottato per giorni: come faceva con le "note blue" che lui nero della Virginia - e quindi geneticamente jazz - aveva domato nel gergo del rock che parlava il suo capo.
Clemons era molto di più che il sassofonista della E Street Band: era il più riconoscibile e il più distante degli uomini alla corte di Bruce. Mai opposti furono l'uno più attratto dall'altro. Il Capo bianco e piccolino svernato in quel Jersey Shore in cui - prima ancora che arrivassero le caricature dei reality - sangue irlandese e italiano si miscelavano per produrre la meglio gioventù: dagli Springsteen di Bruce ai Bongiovanni di Bon Jovi. Il Sax grande e grosso sbarcato invece dalla Virginia in quell'East Cost che negli anni Sessanta e Settanta stava raccogliendo dall'East di Beach Boys & Co la fiaccola del rock'n'roll.
"Ho visto il futuro del rock e il suo nome è Bruce Springsteen" scrisse il critico Jon Landau che in quel 1971 pensò bene di buttare alle ortiche il suo mestiere da pennivendolo per trasformarsi in manager di quello che sarebbe appunto diventato l'ultimo grande divo
rock. "Ho visto il futuro della mia band e il suo nome è Clarence Clemons" deve avere pensato invece Bruce la sera di quello stesso 1971 in cui un uomo grande e nero salì a sorpresa sul palco dove lui - un cantarock felice e sconosciuto - si stava esibendo.
Era una notte buia e tempestosa: dicono proprio così le agiografie per raccontare quel fortunato e storico incontro in un locale di Asbury Park, la cittadina natale da cui di lì a poco il futuro Boss avrebbe spedito quelle cartoline ("Greetings from Asbury Park", 1973) che avrebbero cambiato la storia della musica americana. Così diversi e così complementari. Bruce country e rocker con la venerazione del vecchio "King" Elvis. Clarence blues e rock con la venerazione però di un altro king, King Curtis, il virtuoso del sax che convertì a quella musica da ballo il sassofono tenore che fino allora significava il jazz di John Coltrane.
Dice adesso Bruce che Clemons era più di un compagno di squadra: "Era il mio grande amico, il mio partner. Con Clarence al mio fianco, la mia band e io siamo stati capaci di raccontare una storia più profonda di quella contenuta nella nostra musica. La sua vita, la sua memoria e il suo amore vivranno per sempre in quella storia e nella nostra band". Gli amici che l'hanno avvicinato raccontano di un Boss devastato. E come potrebbe essere altrimenti? Adesso sì che è tutta un'altra musica: l'unico nero in quella band di bianchi era una torre per tutti e non c'era concerto che non si concludesse con l'abbraccione tra l'Uomo Bianco e l'Uomo Nero, la storia del rock che così platealmente abbracciava quella del soul e del jazz, l'espressione più viva di quello che insegnano le enciclopedie della musica.
Il critico del New York Times Ben Sisario racconta di quell'intervista in cui per spiegare "chi" e non "che cosa" Clarence rappresentava nella band Springsteen rispolverava la storia della foto di copertina di "Born to Run", l'abum della svolta e di quella canzone icona, 1975: dove c'era lui, il Boss, che si appoggiava alla spalla di Clemons. Adesso che il suo sax se n'è andato per sempre rimangono naturalmente i suoi dischi: quelli con la band e i pochi ma fortunati da solista. Fino all'ultima ospitata di Lady Gaga che - piccola fan - l'ha voluta nel suo ultimo "Born This Way". Senza parlare dei duetti con Jackson Brown e dell'adorazione di Martin Scorsese che chiamò l'icona Clarence a esibirsi nel suo "New York New York" già più di trent'anni fa.
E sì: più di trent'anni. Adesso che anche questo pezzettino di futuro del rock è trapassato quasi non credi ai tuoi occhi sbirciando sull'anno di nascita: 1944. Sembra incredibile ma il braccio destro del Boss è morto a 69 anni. Regalandoci la sua ultima lezione: perché mai come oggi la musica dei giovani s'è scoperta così vecchia.
(19 giugno 2011)