Difficile esprimere qualcosa che non appaia banale, già detto o già analizzato quando si parla di Villaggio e del suo Fantozzi.
E forse questa considerazione porta a riflettere su un tratto particolare della sua personalità: il rapporto con la morte.
Argomento che faceva capolino nelle sue dichiarazioni da almeno una ventina d’anni a questa parte, sia pure col cinismo e l’amarezza mescolati, nel consueto e irripetibile cocktail, al lato comico della situazione.
Un’evoluzione dell’uomo per certi versi parallela a quella del suo personaggio.
Gli ultimi capitoli della saga come
Fantozzi va in pensione, a parte la minore freschezza e ispirazione, segnano anche una progressiva evanescenza della componente comica a favore di riflessioni più profonde e malinconiche.
Si diceva del rapporto con la morte, leggibile sotto diverse angolazioni.
La sua scomparsa, innanzitutto, ha suscitato comprensibile emozione: ma, diversamente da quanto accade in analoghe circostanze, non ha inciso sulla percezione del personaggio.
Nessuna riscoperta dopo un più o meno lungo oblio, dato che la sua fama non ha conosciuto soluzioni di continuità.
Nessuno stravolgimento del palinsesto, se non nell’immediato, dato che i suoi film – a maggior ragione nei mesi estivi, periodo di repliche – non hanno mai smesso di andare in onda.
Nessuna rivalutazione, dato che Fantozzi – a differenza dell’opera di un Totò, per dire – non ha avuto bisogno di passare per le Forche Caudine di un’iniziale incomprensione.
Nessun progetto artistico di particolare spessore lasciato a metà, col contorno di rimpianti, Ucronie e maldestri tentativi di sequel.
Neppure la sensazione che investe, come se gli anni trascorsi da allora arrivassero addosso tutti insieme, quando se ne va un personaggio legato a emozioni e ricordi.
Forse perché per il grande pubblico - quello più ristretto dei teatri ha continuato ad apprezzarne le doti nella recitazione - era artisticamente già morto dopo Fantozzi.
Non che non avesse più nulla da dire: semplicemente, dopo l’invenzione di una simile maschera, non c’era più molto da dire.
Di fatto la valutazione al riguardo si è stabilizzata in via definitiva, conferendo allo scrittore e attore genovese il quantomai raro privilegio di conoscere in vita il giudizio dei posteri.
O forse perché “l’ultima maschera italiana”, come è stato definito il ragioner Ugo, ha davvero fermato il tempo.
Nell’immaginario collettivo è eternamente uguale a sé stesso, definitivamente immortalato nelle sembianze del Paolo Villaggio di trenta o quaranta anni fa: al punto da rendere quasi impercettibile, con tutto il rispetto per la persona, la scomparsa del suo ideatore.
Uguale a sé stesso ma non fossile: se è vero che tante situazioni comiche, nate come rappresentazioni del presente di allora, si sono trasformate in archetipi senza tempo e in grado di fornire chiavi di lettura anche nel presente di oggi.
A proposito: Fantozzi in realtà è morto, come ossessivamente voluto dal suo creatore.
“Temevo che mi sopravvivesse” fu la sua giustificazione: che sembrava dare un calcio senza motivo neanche alla fortuna, ma a un pezzetto di immortalità.
Poi uno ci pensa, e si ricorda che anche Agatha Christie si congedò dal suo protagonista più noto in
Sipario. L’ultima avventura di Poirot.
O che Camilleri, in una recente intervista, parlava – e non senza un certo disagio – di Montalbano come di una persona quasi reale, sfuggita dalla pagina e dallo schermo per dotarsi di un’esistenza autonoma.
Chissà, forse per noi comuni mortali è difficile comprendere il legame psicologico, persino la rivalità, che si crea con un alter ego letterario ingombrante: così ingombrante da fare ombra al suo autore o addirittura cannibalizzarlo, sovrapponendosi completamente a lui nella percezione dall’esterno.
E poi, tornando al fermare il tempo, non si può dimenticare una sorta di immortalità della risata nelle sequenze più note.
Le si è viste mille volte, sapendole praticamente a memoria; le si rivede per la millesima volta; si ride per la millesima volta.
Quanti altri comici, compresi i grandissimi, hanno saputo ottenere un simile risultato?
Quale capolavoro di comicità continua a funzionare a pieno regime benché privato dell’effetto-sorpresa, dell’
aprosdoketon, senza il quale anche la migliore battuta arriva attutita e depotenziata?
Oggi ricordiamo con affetto e stima un attore e scrittore.
Non è escluso che i posteri, rileggendo la nostra epoca nei suoi personaggi, lo ricordino come un pensatore di più nobile lignaggio.
P.S. Per quanto riguarda il Villaggio extra-Fantozzi, merita una citazione
Il volpone, tratto dall’omonima commedia di Ben Jonson