(Il Fatto Quotidiano 01.02.2011)
OGNI MALEDETTA DOMENICA
MECCA GIALLOROSSA
Si chiude il mercato dei giocatori, continua quello societario. Cordata araba per la Roma
(di Oliviero Beha)
Non ricordavo da anni un simile Luna Park nel suk del calciomercato invernale: acquisti e vendite come se piovesse, spesso sotto forma di scambi, prestiti e bizantinismi contrattuali all’insegna di una meravigliosa opacità. E pensare che tutti si lamentano che non c’è più in giro un euro. L’ambaradan dell’hotel milanese fino a ieri scoppiettante di dirigenti e procuratori spesso simili e confondibili tra loro, quasi che il mestiere li somatizzasse e li trasformasse in centinaia e centinaia di “cinesi del bosco rotondo”, per come si vestono, si muovono, parlano, usano il linguaggio come fosse un dialetto interno al già specifico “calcese”, una specie di “procuratorese”... l’ambaradan dicevo ha prodotto moltissimo fumo e qualche arrosto, come nel caso dell’acquisto di Pazzini da parte di Moratti deciso a metter mano al portafoglio di famiglia e di azienda petrolifera per tentare di contrastare il Milan.
E PAZZINI ha testimoniato la sua nobiltà fin da subito, trasformando in due gol e un rigore la bontà della squadra contro un Palermo tanto ricco di talento quanto privo di senno. Ma il trasferimento di Pazzini, sventatamente ceduto alla Samp due anni fa dalla Fiorentina per meno della metà di quello che l’Inter lo ha ora pagato, in milioni e Babiany, non ci dice solo che il Patron della Saras sta facendo per il simpatico e callipigio Leonardo quello che non aveva mai neppure promesso al norcino catastale Benitez. Ci dice anche che il presidente della Sampdoria, altro petroliere, Riccardo Garrone, si è evidentemente stufato e sta cominciando a sbaraccare. Prima il teddy boy di Bari vecchia, certamente per colpa di colui ineducato fino al midollo ma comunque svenduto, poi il giovane faccia di monello toscano dagli occhi intelligenti che a Firenze arrivò nel giorno disgraziato di Bojinov e soffrì d’ombra fin da allora. Adesso è rimpianto e non vale meno di Gilardino, per dire della straordinaria competenza e trasparenza di tecnici e operatori di mercato... E se Garrone si dice saturo e invoca altre partecipazioni societarie e il fantasma dell’azionariato popolare, non è un segnale da poco. Perché se è vero che finora abbiamo assistito alla girandola dei giocatori, spesso in supplenza di gladiatori sfortunati e incidentati in numero ben superiore alla media di altri anni, e poi a quello che una volta era il cosiddetto “valzer delle panchine” e ora è una specie di lap dance per “mister cubisti”, adesso con i presidenti stiamo arrivando al dunque di un pallone pieno di spilli, che ormai rimbalza a fatica.
Rimangono solidi i notabili da sempre nel calcio, come Berlusconi che non comprava da anni con questa intensità (e capacità, se ne intende, sceglie spesso bene ed è sprecato come presidente del Consiglio o come sex symbol...), oppure la Moratti family in attesa che per la “Milano da calciare” arrivino notizie dal Tribunale di Napoli, leggi l’inchiesta sulle intercettazioni e il lodo arbitrale. O ancora il giovane Agnelli, che si muove per ora a suo relativo disagio nel cantiere-Juventus, laddove si dimostra che nel calcio – lealtà sportiva a parte, ma per tutti – non bastano i soldi. L’art. 5 del menabò di Gianni Brera mai abbastanza rimpianto anche come “Gadda dei poveri” mentre impazzano calcese, procuratorese e giornalistese subsportivo, ovvero “chi ha i soldi vince”, viene per ora clamorosamente smentito dalle attuali disgrazie juventine. Hanno speso una barca di milioni per ritrovarsi sotto l’Udinese come classifica ma soprattutto come gioco. Dunque soldi sì, ma se li spendi bene. Come in fondo sembra averli spesi il Napoli – e qui cominciamo con la gens nova della Rotondolatria –, meritatamente secondo e con un presidente entusiasta che attira entusiasmo e sembra addirittura migliorato nelle interviste, almeno fino a prova del contrario. E altrettanto bene, e molti di meno, li ha spesi Lotito, fin qui in proporzione il mentore del latinorum di una Lazio che fa la sua parte e ha ridotto il monte ingaggi.
Ma poi viene la Roma e il Palermo, la Sampdoria, il Genoa, la Fiorentina... per parlare di un pugno di squadre in situazioni tecniche e societarie molto diverse che comunque rappresentano una parte cospicua del nostro pallone di ieri e di oggi, non si sa se di domani. La Roma è ai supplementari per la cessione del club forse a una cordata di americani, o magari di arabi con un Emiro già azionista di Unicredit attraverso il fondo di Abu Dhabi, Aabar (voce d’agenzia da fonti finanziarie che precisano come la proposta d’acquisto verrà fatta attraverso una società lussemburghese che si chiama Claraz Sa), oppure in extremis alla famiglia Angelucci, industriali farmaceutici con interessi assai diversificati anche nell’editoria. Fare cronaca su di loro è impresa ardua, perché come in Mezzogiorno di fuoco estraggono subito dalla fondina la querela o la minaccia della stessa.
È UN PECCATO, perché questo restringe al massimo comunicazione e informazione. Se poi oltre che dar notizie ti arrampichi sulla parete liscia del commento o dell’opinione, apriti cielo: il free climbing della parola diventa la scalata dell’Everest e non sai mai a che punto ti toglieranno i chiodi dalla parete. Ma fateci salire in cima, così poi si vede meglio un po’ tutto e se ne parla, non vi pare? Comunque la Roma, molto appetita e molto costosa da vari punti di vista, dovrebbe andare a star meglio dopo l’impero dissanguato dei Sensi. Non è detto che sia così per le altre della lista. Di Garrone ho detto, Preziosi sembra un altro che movimenta in dosi industriali il mercato di calciatori e adesso anche di allenatori ma potrebbe decidere che il gioco non è più tale. Zamparini si lamenta un giorno sì e l’altro pure, specie degli arbitri e spesso con ragione. Infine Della Valle: come canta Battiato consegnandoci Brel “ci voleva del talento” non “per diventare vecchi senza diventare adulti” ma per trasformare la società del fair play e del terzo tempo e la squadra di Prandelli detto “il Ferguson italiano” in questa povera cosa di oggi. E udite udite in un anno e mezzo, da quando la famiglia ha capito che la Cittadella come e dove la volevano loro non sarebbe andata in porto. Davvero un peccato. Significa non conoscere le leggi non scritte dell’emotività spesa nel pallone: qualche anno per costruire qualcosa di promettente, in primis per l’immagine della proprietà e poi sul campo, e solo dei mesi per far crollare il Colosso non di Rodi ma di Casette d’Ete. Dal Colosso crollato al Colosseo da restaurare... Davvero si nota un autolesionismo che la proprietà tinta di improprietà sembra fingere di ignorare. Come se tale trasformazione non li riguardasse da vicino. E pensare che arrivando a Firenze accolto come un Principe rinascimentale anche per l’innata eleganza e morbidezza, Don Diego aveva promesso l’azionariato popolare, una forma di coinvolgimento tanto auspicabile quanto assente dalle italiche contrade rotonde. Promesse mai mantenute, come oggi credo che accadrà con Garrone e la Sampdoria. E aggiungo che temo siano i vertici del calcio che privilegiando lo status quo proprio se ne freghino di questo coinvolgimento responsabile, e preferiscano cercare di imporre una tessera del tifoso buona soprattutto per veicolare altri prodotti. È l’ennesima dimostrazione di un calcio che soddisfa soltanto i diritti televisivi, se già stasera si rigioca Milan-Lazio, la prima e la terza in classifica, e si teme la neve e si fanno cominciare le partite a rischio infortuni perché il calendario “non ha buchi”. Il calendario magari no, essendo strapieno, ma il pallone di certo sì, essendo sgonfio e tendenzialmente bancarottiero...