Autore Topic: La forza di Dia: Champions e Ramadan per la Lazio  (Letto 39 volte)

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La forza di Dia: Champions e Ramadan per la Lazio
« : Domenica 23 Marzo 2025, 10:09:36 »
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L’attaccante, impegnato in questi giorni con il Senegal, osserva le regole del mese sacro islamico insieme a Dele-Bashiru e lavora per un gran finale di stagione

ROMA - Con tutta la vita che ha dentro ce l’ha sempre fatta, Boulaye Dia. A resistere, a superarsi, a battersi, a rialzarsi. È sempre sopravvissuto a tutto. È sempre tornato in alto dal basso, più in alto di prima. Così si è preso tutto quello che il destino non gli ha mai dato o che gli ha tolto. Dia ascende da sempre. Si batte in nome e per conto della sua famiglia e degli ideali in cui crede. Ha sempre avuto due fedi fortissime, una calcistica e una islamica. Ha aggiunto quella laziale. Ci sono momenti in cui si incrociano, si fondano, e bisogna provare a viverle con la stessa intensità.

Lazio, Senegal e Ramadan: il mese intenso di Dia

Capita quando inizia il mese del Ramadan e bisogna continuare ad allenarsi, a giocare, a resistere al digiuno. È il mese sacro dei musulmani, dura 29-30 giorni, quest’anno è iniziato sabato 1 marzo e si concluderà tra il 29 e il 30 marzo prossimi. A ridosso della ripresa e di Lazio-Torino programmata lunedì 31. È un mese dedicato anche alla spiritualità, alla preghiera, alla riflessione. Per gli sportivi è più duro perché il digiuno giornaliero inizia all’alba e termina al tramonto, bisogna conciliare l’astensione dal cibo e dall’acqua con le esigenze della preparazione atletica e tattica, degli allenamenti, delle partite. Dia osservava il Ramadan anche a Salerno, lo fa alla Lazio insieme a Dele-Bashiru. L’attaccante in questi giorni si trova in nazionale. Il cittì del Senegal, Aliou Cissè, l’aveva convocato per gli impegni con il Sudan (di ieri sera) e con il Togo di martedì, validi per le qualificazioni ai prossimi Mondiali. Il primo s’è giocato in campo neutro, in Libia. Il secondo si giocherà a Diamniadio, ad una trentina di chilometri dalla capitale Dakar. Dele-Bashiru è a Formello, era rientrato nel ritorno col Viktoria Plzen, poi non è stato convocato per Bologna. Non ci sono state comunicazioni in merito al suo forfait, si è pensato automaticamente al riacutizzarsi dei problemi alla cavigilia causati dall’infortunio di Venezia. In campo, nella prima settimana di sosta, non si è visto. Va recuperato per la ripresa.

Dopo il gol al Napoli il calo di Dia, abituato a lottare

Nelle ultime settimane ha fatto parlare di più Dia, tutti a chiedersi da tempo cosa avesse, perché dopo il gol al Napoli è andato in calo (nessun gol in 7 partite). Una spiegazione adesso può esserci, lo sforzo è stato doppio. In più l’attaccante si trascina fastidi alla caviglia infortunata contro il Ludogorets, quando Chochev gli rifilò una randellata, graziata incredibilmente. Non s’è mai ripreso totalmente. Baroni spera di riaverlo al top per il finale, è stato l’innesco della Lazio a quattro punte. Si era messo al servizio dell’allenatore e dei compagni. Voglia di rigiocare, carica viscerale, chiave tattica del 4-2-3-1: Dia aveva elettrizzato come nessun altro la partenza dei biancocelesti, i primi mesi vissuti tra campionato e Coppa. Veniva dalla querelle di Salerno, s’era ritrovato fuori. Ha sempre avuto voglia di spostare confini, fin da ragazzino. È cresciuto tra le vie di Oyonnax, sotto le Alpi, comune francese del dipartimento dell’Ain della regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi. «Quando cresco sfondo nel calcio e tutti usciremo da questa situazione di povertà», ripeteva ai fratelli. In casa non c’era la televisione, non si potevano guardare le partite. Dia guardava i fratelli giocare in strada. A 12 anni il primo bivio mancato. Osservatori del Saint-Etienne arrivarono in paese, il papà decise di portarlo al campo scelto per effettuare i provini, ma l’auto si fermò, si ruppe il motore. Disse: «C’est la vie». Secondo bivio mancato, la chiamata del Lione. Aveva 15 anni, era piccolo di statura, lui che aveva fratelli sopra il metro e 85 e uno da un metro e 94. Fu scartato. Dia è cresciuto alla distanza. A 18 anni si diplomò elettricista, iniziò a lavorare in una fabbrica di auto, specializzato in serigrafie su telai. Si alzava presto la mattina, lavorava anche di notte, sfidava il freddo e il sonno. Il papà s’era ammalato, aiutava la famiglia e giocava in settima divisione. Ci fu l’occasione di fare un provino in Galles, andò bene, non se la sentì di lasciare la Francia. Dalla settima salì alla quarta e fu notato dal Reims. Aveva già 22 anni. Da lì la scalata. Dia che la dia vinta? Impossibile. 



 






 



 

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