"Stanley, hai 32 anni, pensi di riuscire a giocare un altro paio di stagioni?"
Dopo che Joe Smith, l'allenatore del Blackpool, disse questa frase, Stanley Matthews giocò per altri 18 anni tra la prima e la seconda divisione inglese, vinse il Pallone d'Oro, partecipò a due Mondiali, trascinò il Blackpool al secondo posto in campionato e chiuse la carriera allo Stoke, riportandolo dalla seconda alla prima divisione, intanto giocò tre finali di F.A. Cup vincendone una.
Basterebbe forse, ma questo è un tentativo di consumare un'apologia, e non basta nemmeno dire di Pelè, che lo definì "l'uomo che ci ha insegnato come si dovrebbe giocare a calcio", o che si dicesse di lui che potesse dribblare un avversario nello spazio di una moneta da un penny.
Forse raccontando quello che è successo negli ultimi minuti di quella finale con il Bolton, nel 1953, quando lui aveva 38 anni ed Elisabetta entrava per la prima volta a Wembley da regina di Inghilterra.
Si insomma, erano centomila più una regina giovane a vedere Stanley, all'ultimo minuto, forse nel recupero, sul 3 a 3, prendere palla sulla fasca destra, fare la sua finta, andarsene sul fondo e metterla di interno destro sul secondo palo per Perry, 4 a 3.
Ma non basta, l'apologia si compie quando un bambino di otto anni ti dice che nell'allenamento di ieri ha provato a giocare in alto a destra come Stanley.
Continuassero pure a dire che è solo gente che gioca al calcio.