Autore Topic: D'Amico, l’intervista ai figli: "Vi raccontiamo i suoi ultimi giorni"  (Letto 278 volte)

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di Carlo Roscito

I figli raccontano Vincenzo, dall’ironia alla passione biancoceleste: "Non ha mai perso lo spirito battagliero"

                   Seduti insieme in giardino, rilassati, a godersi il venticello abruzzese che ha rinfrescato per qualche giornata un'estate torrida. Matteo e Nicolò D'Amico, la loro "vigilia", l'hanno trascorsa nella casa di Poggio Cancelli, frazione di Campotosto a un passo da Amatrice. Stasera saranno a Latina, città natale di papà Vincenzo e che testerà l'ultima Lazio prima del via ufficiale. Famiglia allargata al Francioni, un abbraccio unico che commuoverà e riscalderà il cuore. Una serata dedicata a un uomo diventato leggenda senza dimenticare mai di essere uomo. «Come giocatore è stato fenomenale, poi dipende anche dai gusti. Ma nostro padre, come persona, era indiscutibile». Come laziale neanche a dirlo. Una battuta di Matteo, che da tempo lavora brillantemente in Figc, sintetizza la sua essenza. «Diceva spesso: "Credo molto nel matrimonio, infatti mi sono sposato tre volte". Però la Lazio è l'unica che non ha mai tradito».  

Matteo D'Amico, un Memorial in onore di suo padre Vincenzo. Cosa significa per la vostra famiglia? «Una bella iniziativa, sono stato contattato dalla Lazio, mi è stata chiesta l'autorizzazione di trasformare l'amichevole con il Latina in un Memorial per papà. Abbiamo aderito con estremo piacere, nell'ultimo mese abbiamo ricevuto un'ondata di calore assurda».

Doveva aspettarselo, un affetto simile, per quello che ha rappresentato papà. «Sì, ma è andato oltre. Dal 1° luglio, giorno della sua scomparsa, sono state enormi le manifestazioni di vicinanza. Sia dirette, sia indirette, leggendo articoli e social. Ci hanno scaldato il cuore in un momento difficile. Tutti hanno sottolineato la stessa cosa: l'uomo D'Amico e il suo modo di comportarsi, sempre gentile e disponibile. Questi apprezzamenti valgono tantissimo». 

Molti l'hanno definito il laziale più laziale della storia: come figli siete d'accordo? «Papà accettava le critiche da calciatore, anche quando gli dicevano che non correva. Ripeteva sempre: "Sono stato un fuoriclasse? Forse sì, forse no. Però io, come laziale, non sono secondo a nessuno!". Rimaneva male solo quando qualcuno metteva in discussione questo aspetto. I fatti parlano per lui, non ha mai avuto una macchia. Gliel'ha riconosciuto anche la Curva Nord con lo striscione ai funerali. È voluto tornare per forza dal Torino, ha firmato in bianco, non ha messo in mora la società quando l'hanno fatto tutti gli altri. Scherzando, ma neanche troppo, la Lazio è l'unica che non ha mai tradito». 

Alla famiglia che insegnamento ha lasciato? «Io e Nicolò ne abbiamo parlato dopo la sua morte. Non ci ha mai detto cosa dovessimo fare a parole, ci mostrava la strada coi comportamenti, con il suo esempio. In questo senso, ci ha lasciato un patrimonio». 

Domanda privata, delicata: come sono stati i suoi ultimi mesi di vita? «Il solito D'Amico, non ha mai perso lo spirito battagliero. La malattia, progredendo, ti può fiaccare umanamente, eppure ha continuato a sorridere e a fare battute. Una delle ultime non so se è ripetibile...». 

Ora non può non raccontarla.  «Era il 27 giugno, il mio compleanno. Notizia di mercato: Lazio su Kerkez. Lui, leggendo i costi dell'operazione, commentò secco: "Korkaz che lo prende!". Era così, ironia sempre pronta. Se n'è andato quattro giorni dopo, forse non si è reso conto che stava finendo tutto». 

A maggio aveva rivelato la malattia su Facebook. Cosa l'ha spinto all'annuncio social? «Il tumore l'ha scoperto casualmente a novembre 2019. Non l'ha voluto dire a nessuno. Le cure rispondevano bene, a maggior ragione abbiamo rispettato la sua volontà. Poi la notizia si stava diffondendo, non potevano passare inosservate le cure al Gemelli. A quel punto ha preferito informare tutti personalmente con un singolo messaggio». 

Ultima domanda, off topic: c'è qualcuno in cui si rivedeva in campo?  «Un po  Felipe Anderson, di quelli recenti. Credo per il modo di camminare, anche per la capigliatura e il quadricipite sviluppato. La posizione era la sua a inizio carriera, entrambi con tanto estro. Ma papà impazziva per Gascoigne. L'amava tantissimo, un altro genio e sregolatezza». 

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