Autore Topic: Saronni (e Moser)  (Letto 1370 volte)

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Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #20 : Martedì 28 Marzo 2023, 09:56:21 »
ahò, e scrivete... ché er ciclismo è dopato ma bellissimo. Ve sete ammosciati.
Hello Buoi! (mogl y buoi d paes tuoi - cit. Pomata), date seguito!

voo ricordate il simpaticissimo Urs Freuler? e nnamo...

Knut Knudsen, Contini, Rosola, Raas, Van Impe, Worre, i fratelli Marino e Ismael Lejarreta, il fedele Bombini, il fedelissimo Panizza, Visentini, Pollentier, Beccia...

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #21 : Martedì 28 Marzo 2023, 10:30:14 »
Knut Knudsen, Contini, Rosola, Raas, Van Impe, Worre, i fratelli Marino e Ismael Lejarreta, il fedele Bombini, il fedelissimo Panizza, Visentini, Pollentier, Beccia...

esattamente

Emanuele Bombini fedelissimo di Saronni. Figura oscura, delle poche importantissime sulle quali si costruisce il mito del campione.

Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #22 : Martedì 28 Marzo 2023, 12:39:09 »
esattamente

Emanuele Bombini fedelissimo di Saronni. Figura oscura, delle poche importantissime sulle quali si costruisce il mito del campione.

Da ragazzino "adotti", perlomeno così è stato per me, un idolo per quasi tutte le discipline sportive. Cosi seguivo Formula Uno, tennis, ciclismo, atletica, quest'ultima anche da pessimo praticante, oltre naturalmente il calcio. Adoravo Villeneuve, McEnroe, Saronni, Lewis: tutti quelli che mi sembravano avere qualcosa di speciale oltre le doti del campione. L'interesse per le varie discipline in realtà finì col tramonto dei miei idoli: l'idea che SuperMac potesse perdere da un totem già esistente al tempo della mia "scoperta", come era per esempio Borg, mi causava sofferenza ma faceva parte di una lotta tra divinità: quando Mc cominciò a perdere da Lendl, la magìa finì: il cecoslovacco non faceva parte del mondo dell'infanzia e il suo avvento distrusse quel mondo incantato di buoni e cattivi. L'idea che uno come Fondriest o addirittura un Cipollini abbiano vinto un Mondiale su strada mi è insopportabile, se ripenso alle gare epiche della mia era di tifoso: ma l'epica era nei miei occhi, prima di tutto.

Altra cosa molto segnante, per me, è la cicatrice delle amarezze per l'occasione mancata, ben poco compensata dai successi raccolti in seguito: la finale di Wimbledon 1980 ce l'ho ancora stampata dentro a fuoco, mentre dell'anno successivo, quando Mac strapazzò facilmente Borg, ricordo ben poco. Cosi come Goodwood fu un piccolo contentino che non "ricomprò" minimamente la tremenda delusione di Praga. E questa visione vale anche per il mio rapporto con la Lazio: il  "vero" scudetto anche se non vinto per me sarà sempre quello del 1999, stagione al cui confronto le emozioni del 2000 valgono quanto la lettura di un elenco del telefono. Per questo l'Italia del 1982, che colse il sogno al momento del sogno, resta inarrivabile nel mio vissuto di tifoso. Dalla passione sportiva, ho ricavato la convinzione, che vale anche nella vita, che esista un momento "giusto" per vincere: e che le sconfitte dei sogni, spesso, restino irrecuperabili, nell'anima.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #23 : Martedì 28 Marzo 2023, 13:36:19 »
Da ragazzino "adotti", perlomeno così è stato per me, un idolo per quasi tutte le discipline sportive. Cosi seguivo Formula Uno, tennis, ciclismo, atletica, quest'ultima anche da pessimo praticante, oltre naturalmente il calcio. Adoravo Villeneuve, McEnroe, Saronni, Lewis: tutti quelli che mi sembravano avere qualcosa di speciale oltre le doti del campione. L'interesse per le varie discipline in realtà finì col tramonto dei miei idoli: l'idea che SuperMac potesse perdere da un totem già esistente al tempo della mia "scoperta", come era per esempio Borg, mi causava sofferenza ma faceva parte di una lotta tra divinità: quando Mc cominciò a perdere da Lendl, la magìa finì: il cecoslovacco non faceva parte del mondo dell'infanzia e il suo avvento distrusse quel mondo incantato di buoni e cattivi. L'idea che uno come Fondriest o addirittura un Cipollini abbiano vinto un Mondiale su strada mi è insopportabile, se ripenso alle gare epiche della mia era di tifoso: ma l'epica era nei miei occhi, prima di tutto.

Altra cosa molto segnante, per me, è la cicatrice delle amarezze per l'occasione mancata, ben poco compensata dai successi raccolti in seguito: la finale di Wimbledon 1980 ce l'ho ancora stampata dentro a fuoco, mentre dell'anno successivo, quando Mac strapazzò facilmente Borg, ricordo ben poco. Cosi come Goodwood fu un piccolo contentino che non "ricomprò" minimamente la tremenda delusione di Praga. E questa visione vale anche per il mio rapporto con la Lazio: il  "vero" scudetto anche se non vinto per me sarà sempre quello del 1999, stagione al cui confronto le emozioni del 2000 valgono quanto la lettura di un elenco del telefono. Per questo l'Italia del 1982, che colse il sogno al momento del sogno, resta inarrivabile nel mio vissuto di tifoso. Dalla passione sportiva, ho ricavato la convinzione, che vale anche nella vita, che esista un momento "giusto" per vincere: e che le sconfitte dei sogni, spesso, restino irrecuperabili, nell'anima.

Guarda, Robé, mi sono talmente ritrovato in ciò che hai scritto che boh. Oso aggiungere che tutti degli eroi citati per quello che facevano appagavano anche il gusto dell'esteta. Erano bellissimi da vedere.

La corsa, la coordinazione, l'impostazione di Carl Lewis sembravano uscite dalle mani di Fidia, di Scopa, di Prassitele. Nessuno correva con quella grazia. Il tocco di McEnroe (del quale ho ancora la borsa delle racchette e la racchetta stessa, l'ultimo modello usato, quello della Prince in fibra), la temerarietà di Villeneuve, lo scatto di Saronni in quel mondiale ti rimangono negli occhi per sempre.
E' vero, unici.

Infine, Wimbledon. Mitica quella dell'80, un reale scontro tra leggende; ma la finale che più mi ha dato gusto è quella contro Connors dell'84: 6–1, 6–1, 6–2 con Jimbo che bestemmiava nei cambicampo. Che goduria.