Autore Topic: Saronni (e Moser)  (Letto 1223 volte)

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ThomasDoll

Saronni (e Moser)
« : Mercoledì 22 Marzo 2023, 12:44:41 »
«Moser? Solo a lui l’aiuto dei medici»
L’ex campione: con le parole sono più veloce io, lui ne soffriva
Corriere della Sera22 Mar 2023di Marco Bonarrigo
(Bettini)

Talento

Giuseppe Saronni, 65 anni, da ragazzino era considerato un talento assoluto.
Tra i 13 e i 17 anni ho vinto quasi 150 corse, tra pista strada e cross, ed è passato al professionismo a soli 19 anni per ritirarsi a 32. Il nonno materno Tito Brambilla, classe 1897, gregario di Libero Ferrario, fu il primo italiano a diventare campione del Mondo nel 1924 a Zurigo

A trentacinque anni dalla loro sfida finale (la cronometro Firenze-Pistoia del 24 ottobre 1987), Beppe Saronni sente ancora sul collo il fiato e gli improperi dell’acerrimo rivale Francesco Moser, 71 anni, il più anziano dei due giganti del ciclismo italiano moderno. Moser ha una nuova fidanzata dopo il divorzio, un figlio celebre influencer e Belén come ospite fissa nel suo maso di montagna. Saronni che ha 65 anni e la stessa moglie da 45, si gode la pensione in Brianza e le cene tra vecchie glorie.

Saronni, Moser ha detto al «Corriere» che tra voi era scontro continuo, in corsa e fuori: impossibile andare d’accordo con uno che si sentiva superiore perché veniva dalla città.

«Lui evoca sempre il confronto tra un montanaro trentino con dieci fratelli che zappava la terra e un borghese di Milano. Peccato che io sia cresciuto a Buscate, nella campagna lombarda. Papà Romano era autista di bus di linea, mamma Giuseppina casalinga: eravamo quattro fratelli, si campava con un solo stipendio».

Lei pedalava e lavorava.

«Sì, per portare qualche soldo a casa: tre allenamenti a settimana, tre giorni di lavoro in fabbrica alla Olivetti e poi la gara alla domenica. Aggiustavo macchine da scrivere e imparavo a montare e smontare le Logos, le calcolatrici da cui vennero sviluppati i primi computer».

Perché il ciclismo?

«Per via di mio nonno materno Tito Brambilla, classe 1897, gregario di Libero Ferrario, il primo italiano a diventare campione del Mondo nel 1923 a Zurigo, ai tempi eroici di Binda e Guerra. Era un corridore indipendente, gregario a gettone come usava all’epoca. E poi per merito di mio padre, buon ciclista dilettante. Anche da mia madre ho ereditato qualcosa: giocava a basket in serie A nella Bernocchi Legnano, una delle prime squadre femminili italiane. Reclutavano atlete tra le apprendiste delle loro filande».

Da ragazzino lei era considerato un talento assoluto.

«Tra i 13 e i 17 anni ho vinto quasi 150 corse, tra pista strada e cross. I premi erano tubolari, pantaloncini di lana o caschetti di cuoio. Preziosi perché si usuravano facilmente. Grazie ai premi non dovevo chiedere ai miei genitori i soldi per comprarli. Dopo l’oro agli Europei di velocità, ho partecipato alle Olimpiadi di Montreal. A 19 anni, nel 1977, mi hanno autorizzato a passare direttamente professionista: era rarissimo».

Che ciclismo era, il suo?

«Ruspante e favoloso. Un gruppo di industriali italiani investiva su squadre e corridori contendendoseli a suon di milioni: c’erano i Del Tongo dei mobili, il Teofilo Sanson dei gelati, i Bagnoli della Sammontana, i Fornari della Scic Cucine, Belloni della Termozeta e Rancilio delle macchine da caffè. Erano appassionati, entusiasti e competenti, sempre presenti alle corse. Oggi le squadre, nel ciclismo come nel calcio, sono proprietà di fondi di investimento».

Cos’è cambiato?

«I costi del ciclismo si sono gonfiati. Dai piccoli industriali appassionati si è passati ai gruppi assicurativi e automobilistici e adesso addirittura agli Stati sovrani come Bahrain ed Emirati Arabi. Per allestire una squadra di alto livello servono almeno trenta milioni a stagione, in Italia si fatica a trovarne tre».

Perché Moser la soffre ancora così tanto?

«Ho sei anni meno di lui, sono arrivato nel professionismo quando Francesco era un Dio acclamato dalle folle e dai giornalisti. Il ciclismo era lui. Ho cominciato a batterlo presto e in più avevo la battuta pronta e la lingua affilata, al contrario di Moser, goffo e lento nell’esprimersi. Nel confronto televisivo perdeva sempre e non gli è mai andato giù. Dovrebbe farsene una ragione».

Ancora Moser: «Saronni ha avuto solo tre o quattro anni forti, forse troppo per il suo fisico. Infatti d’un tratto ha smesso. Io nel 1984 a Città del Messico feci il Record dell’Ora e vinsi Milano-Sanremo e Giro d’Italia».

«A dire il vero io ho vinto venti corse l’anno per sei stagioni di fila, non tre o quattro. E preferirei non parlare della famosa seconda giovinezza di Moser...».

Parliamone, invece.

«A fine carriera Francesco è stato il primo e in quel momento l’unico a far ricorso a una certa scienza, di cui disponeva in modo esclusivo. La bici con cui ha battuto il Record dell’Ora era un siluro che pochi anni dopo venne vietato perché dava vantaggi enormi. Per tacere del resto».

Se si riferisce a pratiche mediche come la trasfusione di sangue che oggi sono doping, all’epoca erano consentite.

«Sì, lo so. Ma ha sfruttato certe metodologie che il famoso professor Conconi offriva solo a lui: io e gli altri i suoi vantaggi li abbiamo subiti. Nel 1983 quando vinsi il Giro mi disse che era troppo vecchio e si sarebbe ritirato. Poi ha accettato il progetto del Record con innovazioni che non si sono rivelate sempre positive».

Perché?

«Sulla base di alcune di quelle innovazioni il ciclismo negli anni successivi ha avuto un sacco di problemi. Ma lui non aveva nulla da perdere e le ha sfruttate quando erano legali».

Potendo, lei avrebbe fatto le trasfusioni?

«Non posso rispondere a posteriori. Oggi potrei dire di no, magari allora avrei detto di sì, ma resta il fatto che lui era l’unico a usufruirne. Moser aveva il monopolio, è stato un po’ una cavia».

Lei invece si ritirò a 32 anni.

«Mi sono accontentato di una giovinezza sola dopo aver vinto due Giri d’Italia, un Mondiale, una Sanremo, un Giro di Lombardia e altre 120 corse. E i due Giri li ho vinti con le mie forze».

Moser, invece?

«Ha conquistato quello del 1984, disegnato per lui e dove la tappa dello Stelvio che gli sarebbe stata fatale venne cancellata per presunto maltempo. Superò il povero Fignon nella cronometro finale con una bici a ruote lenticolari che nessun’altro poteva permettersi. È stato bravo, ma queste cose vanno dette».

Anche i due Giri che lei ha vinto non erano proprio da scalatori.

«Infatti erano disegnati per Francesco che ho battuto sia nel 1979 che nel 1983 andando più forte di lui in salita e a cronometro. Ho vinto contro di lui e contro i suoi tifosi».

I famosi tifosi moseriani...

«Che in salita organizzavano catene umane per spingerlo quando arrancava e la notte si mettevano a fare schiamazzi sotto le camere d’albergo dove dormivo per non farmi dormire. Sa cosa mi fa impazzire?».

Cosa?

«Che nemmeno oggi, a 40 anni di distanza, Moser ammetta quanto io venissi molestato dai suoi tifosi e in che modo scorretto lo aiutavano. Ogni volta cambia discorso».

Quindi, più che di estrazione contadina e borghese, eravate di carattere completamente opposto.

«Sì. Ci beccavamo su tutto. Moser aveva un carattere impossibile anche con i suoi gregari che ancora adesso sono troppo educati per raccontare quanto venivano sfruttati e bastonati se non si sfiancavano per lui. Ma la gratitudine non è mai stata il suo forte. Le racconto una cosa».

Prego.

«Francesco ha vinto il suo mondiale a San Cristobal, in Venezuela, nel 1977. In quella corsa io che ero passato professionista da poco mi sacrificai per lui, come mi aveva chiesto il grande Alfredo Martini che dirigeva la nazionale. Pochi giorni dopo, al Giro del Lazio, eravamo in fuga io, lui e Felice Gimondi. Pensate mi abbia ricambiato il favore? No, pensò solo a vincere».

Ci sarà una qualità che gli riconosce.

«Una forza di volontà e una caparbietà mostruose. Io avevo più talento di lui ma vincevo solo quando ero in forma. Lui quando voleva».

Moser ha vinto tre Parigi-Roubaix, lei sul pavè non si è mai affacciato.

«Non gliele invidio, la Roubaix non l’avrei mai vinta perché il percorso non era adatto a me. I miei rimpianti sono diversi, ad esempio non aver mai corso il Giro delle Fiandre, che avrei potuto vincere, e aver trascurato il Tour de France dove potevo prendermi un bel po’ di tappe. Ma all’epoca i nostri sponsor erano italiani e volevano che corressimo in Italia».

Con Moser vi sentite?

«Spesso. Parla sempre solo lui, però: quando parte con i suoi discorsi è difficile interromperlo e comunque rischieremmo di litigare. Ci vediamo alle cerimonie e io compro regolarmente il suo vino che è davvero buono. Non guardo mai le fatture, ma non credo mi faccia sconti nemmeno lì».

C’è qualcosa su cui andate d’accordo?

«Nel giudicare lo stato del ciclismo italiano, che è davvero critico».

Perché?

«Per mille motivi: mancano gli sponsor, mancano i maestri, le strade sono così pericolose che i genitori non mandano i bambini ad allenarsi. E poi conta l’assenza di campioni che ispirino i giovanissimi».

Lei, quando era team manager alla Uae, ha scoperto il più luminoso di tutti, Tadej Pogacar, vincitore di due Tour.

«Difficile non notare un fenomeno del genere. Ma io preferirei soffermarmi sulla Slovenia, il Paese da cui Tadej viene. Due milioni di abitanti, fuoriclasse in tanti sport diversi, dal ciclismo allo sci al calcio al basket, una cultura straordinaria dell’educazione fisica a livello scolastico. I campioni non si costruiscono dal nulla, in Italia siamo messi male a cominciare dalla scuola».

Ci saranno un nuovo Moser e un nuovo Saronni?

«Non credo proprio e di sicuro non esisterà mai più una rivalità del genere. Con tutti i suoi eccessi e con i nostri caratteracci, sono stati anni meravigliosi: decine di migliaia di persone che stavano a bordo strada ad aspettare ore per tifare per te e contro di te, magari litigando tra loro ma innamorati persi dello sport».

Nipote d’arte

Mio nonno Tito, classe 1897, era un gregario di Libero Ferrario, il primo italiano a diventare campione del mondo ai tempi eroici di Binda e Guerra

La mamma cestista Giocava a basket in serie A nella Bernocchi Legnano, una delle prime squadre femminili italiane. Reclutavano atlete tra le apprendiste delle loro filande

ThomasDoll

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #1 : Mercoledì 22 Marzo 2023, 12:54:21 »
«A 71 anni amo un’ex ciclista Belén? Ormai siamo parenti, a Natale era nel mio maso»
L’ex campione: con Saronni litigavo persino in aereo
Corriere della Sera20 Mar 2023

Vignaiolo Francesco Moser, 71 anni, è stato ciclista professionista dal 1973 al 1988 e si è guadagnato il soprannome di «Lo Sceriffo» per la capacità di gestire il gruppo durante la corsa. Dopo il ritiro dalla carriera ciclistica, si è ritirato in campagna. Nella tenuta di Maso Villa Warth, sulle colline a nord di Trento, coltiva diverse varietà di uve. Ha tre figli, Francesca, Carlo e Ignazio
A35 anni dal ritiro, Francesco Moser detiene ancora il record italiano di vittorie su strada: 273. Nella storia del ciclismo, solo Eddy Merckx e Rik Van Looy hanno vinto di più. Oggi, a 71 anni, quanto va in bici? «Tutte le settimane. In salita, attivo la pedalata elettrica».

Lei usa la bici elettrica?

«Non sono un ciclista scatenato: far fatica è inutile, dato che non devo fare le gare».

La vittoria che non dimenticherà mai?

«Il Giro d’Italia 1984: anche se il Campionato del mondo e le tre Parigi-Roubaix sono altrettanto importanti, il Giro è molto di più. È una corsa di tre settimane, è più sofferta: avevo preso la maglia rosa in partenza, poi, l’ho persa con la cronometro a squadre; poi, l’ho ripresa fra Pavia e Milano... Laurent Fignon l’ha presa alle Dolomiti, poi, io l’ho ripresa alla fine... È stato tutto uno scambio di maglia». Com’è possibile che il suo record di vittorie sia imbattuto?

«Perché il ciclismo è in declino. Mancano gli sponsor: noi facevamo più corse e avevamo più squadre. E tutti correvano per il capitano, ora, invece le squadre hanno il velocista, l’uomo della corsa a tappe, l’uomo cronometro...».

C’è un italiano sul quale possiamo sperare? «In Italia, ora che ha smesso Vincenzo Nibali, non vedo grandi speranze». Lei come s’innamorò del ciclismo?

«Eravamo dodici fratelli, tre correvano. Aldo ha iniziato l’anno il cui sono nato io, nel 1951, a 17 anni, io ho cominciato a 18. Avevo smesso di andare a scuola, lavoravo in campagna, lui ha detto: prova. Pensavo di non poter essere forte, ho tentato per curiosità, poi ho visto che andavo e ho fatto tutto il necessario per arrivare al successo: uno può avere il fisico e l’attitudine, ma arrivare fino in fondo o fare le cose a metà dipende dalla testa. Io volevo sempre migliorare ed essere fra i primi, anche se ho avuto avversari importanti come Felice Gimondi, Eddy Merckx e Roger De Vlaeminck, un belga che ha corso in Italia:

volte tante sono volte arrivato ho vinto secondo contro dopo di lui, di ma lui. tante E la competizione ciclismo è uscito è diventata dai confini più forte europei. dopo I primi che il mondiali 1974. Dopo, fuori hanno Europa cominciato furono ad a Montreal arrivare i corridori nel Berlino, americani quelli dell’Est». e, con la caduta del Muro di condizione Che altro fisica serve e per testa? vincere, oltre a talento,

«Fortuna: alle Olimpiadi di Monaco del 1972 ero nella fuga giusta, poi, all’ultimo chilometro, ho bucato e sono arrivato settimo. Potevo essere bronzo o argento. Qualche anno dopo, facciamo il prologo del Giro di Germania e, nello stesso punto, avevo già vinto, ma ho bucato e sono arrivato secondo». Che cosa si ricorda del massacro degli atleti israeliani a quei giochi?

«La notte, quando i terroristi palestinesi entrarono nella casa degli israeliani nel villaggio olimpico, non ho sentito niente. La mattina, c’era polizia dappertutto in assetto di guerra, non capivamo, tant’è che non riuscendo a raggiungere la nostra mensa, scavalcammo per fare colazione in quella femminile. Ma quando abbiamo capito, quando abbiamo saputo degli undici colleghi morti, è stato uno shock». Com’era il tifo a quei tempi?

«Nei bar, c’erano discussioni enormi tra le fazioni. Il sistema era stato esasperato più che oggi nel calcio. La gente si appassionava, si creavano rivalità. Ora, la rivalità non è più di moda. Oggi, il corridore chiede scusa a quello che ha battuto. C’è il fair play, noi eravamo più ruspanti». La rivalità alla Coppi e Bartali con Giuseppe Saronni era vera e c’era anche nella vita?

«Era vera. Era difficile andare d’accordo con lui. Era sempre scontro aperto. Correvamo e, chiaramente, uno cercava di arrivare davanti all’altro o cercava di farlo perdere».

Perché era difficile andarci d’accordo?

«Io venivo dalla campagna, lui dalla città: si sentiva superiore». Litigavate in gara e anche fuori?

«Pure sugli aerei quando andavamo a correre all’estero». Siete mai arrivati alle mani?

«Era più una sfida continua. Per esempio, a un campionato in provincia di Parma nell’81, quelli davanti a me si sono fermati, io ho frenato, Saronni mi ha preso la ruota, si è arrabbiato, mi fa: non sei capace di andare in bici. E io: vediamo stasera chi è capace. La sera, avevo vinto io. Lui era più giovane di sei anni, dal ’79 ha avuto tre o quattro anni forti, forse troppo per il suo fisico. Infatti, d’un tratto, ha smesso di essere forte. Mentre io, nell’84, a Città del Messico, feci

il record dell’ora, e nello stesso anno vinsi la Milano-Sanremo e il Giro d’Italia». Com’erano state infanzia e giovinezza in campagna, a Palù, nel trentino?

«Intanto, ho rischiato di chiamarmi Decimo. Poi, siccome prima di me c’erano due sorelle che si chiamavano Lucia e Giacinta, come le pastorelle di Fatima, mi misero il nome del terzo pastore. Papà aveva le vigne, si lavorava tutti nei campi. Poi, ha avuto un ictus ed è morto all’improvviso. Io avevo tredici anni, tre fratelli correvano, uno era frate, l’altro era piccolo ed è toccato a me portare avanti i campi. Ho lasciato la scuola e mi sono messo a lavorare la terra». Manteneva la famiglia a soli tredici anni? Le piaceva o era solo dovere?

«Era l’unica cosa che sapevo fare, ed era la normalità. I muscoli me li sono fatti in campagna: portavamo i pesi, si faceva tutto a mano, non è che andavi in palestra o in discoteca». E quando anche lei ha iniziato a correre in bici, chi si occupava della terra?

«C’è stato un momento che era quasi abbandonata. Poi, Diego ha smesso di correre, se n’è occupato e ha pure modernizzato la cantina. Prima di lui, non imbottigliavamo, vendevamo a damigiane. Oggi, è tutto diverso: vendi la qualità, devi sceglier dove collocarti sul mercato... Per me, è più facile vincere le corse che fare il vino». Però il vino lo fa: il brut 51,151 si chiama come il suo record dell’ora.

«All’inizio, sulle bottiglie c’era la mia foto con la maglia rosa, poi con le foto delle varie gare vinte. C’è gente che ha tutte le collezioni. Quando ho smesso di correre, nel 1988, ho comprato una campagna e il maso dove vivo, sulle colline di Trento, ci ho fatto vicino il museo con le mie bici, le mie maglie, i trofei. La gente arriva. E oltre a occuparmi della cantina, produco bici con Fantic: bici tradizionali che si trasformano in elettriche, le FMoser». Come sono fatte le sue giornate?

«Cerco di tenere in ordine la campagna, gli operai fanno i lavori più pesanti, mentre io mi occupo dell’orto, delle galline, dei cani, e poi ricevo i clienti che vogliono le foto, i selfie».

Quattro anni fa, si è separato da sua moglie dopo quasi 40 anni di matrimonio. L’anno scorso, è arrivato il divorzio. Come è ritrovarsi single alla sua età?

«Bisogna adattarsi, stare da soli non è mica una roba semplice. Però, ora, non sono più solo: ho una nuova compagna che sta spesso da me, una ragazza che più o meno è come me». In che senso è come lei?

«Ha corso in bici, è stata campionessa d’Italia. È più giovane, del ’68. Si chiama Mara Mosole».

Come l’ha conosciuta?

«La trovavo in giro in bici, o alle Eroiche, le gare vintage: anche lei ha ancora la passione e andiamo spesso in giro insieme. Poi, più o meno con la pandemia, ci siamo avvicinati. Ma lei non vive qui perché lavora con il padre che ha un’azienda nel trevigiano». Com’è innamorarsi a 70 anni?

«Diverso da quando sei giovane. Ma non sono bravo a parlare d’amore. Posso dirle che si può vivere anche soli, ma che in due si sta meglio». Ha tre figli, che padre è stato?

«Ho sempre girato molto. Due li ho avuti mentre correvo, mentre Ignazio è nato che avevo appena smesso. Era più mia moglie che stava dietro ai figli. Io ho insegnato a tutti ad andare in bici e a stare nei campi. Francesca, la più grande, prima dirigeva la cantina, ma ora lavora col marito e ha tre figli fra i 9 e i 12 anni e il maggiore, Pietro, vince le prime garette in bici. Della cantina adesso si occupa il mio secondogenito, Carlo, mentre Ignazio vive a Milano».

Anche Ignazio correva, poi è andato al Grande Fratello. Le è spiaciuto che abbia lasciato?

«È chiaro che, se avesse continuato con la bici, sarei stato contento».

Ora, Ignazio è fidanzato con Cecilia Rodriguez e, così, lei si ritrova imparentato con Belén. Vi frequentate?

«Certo, è stata anche qua. Abbiamo fatto Natale insieme. Poi, i giovani sono andati in montagna per conto loro, io sono rimasto a casa, non è che m’intrometto».

Che effetto le fa la famiglia in cronaca rosa? «Non lo trovo strano: pure io da giovane ci stavo sulle copertine». Ma non per i pettegolezzi.

«Quelle sono cose a cui non sto dietro: non guardo Internet, non ho i social, il telefono lo uso solo per telefonare».

Al Grande Fratello, Cecilia era fidanzata, ma si è messa con suo figlio. Lei tifava affinché ci restasse o perché tornasse dall’altro?

«Ognuno sceglie la sua vita. Io ho le mie idee, ma non sempre si avverano e mi adatto». Ignazio e Cecilia si sposeranno?

«Non lo so, non mi pronuncio». Su Instagram, si è vista la proposta di matrimonio con l’anello di fidanzamento.

«Hanno detto che si sposano quest’anno, ma ci credo quando lo vedo. Avevano detto agosto, ma da agosto a ottobre c’è la vendemmia».

Sa che i geriatri vogliono far cominciare la terza età non a 65 ma a 75 anni? Che ne pensa?

«Mi ricordo di mio padre a 67 anni, quando è morto: lo vedevo molto vecchio. Io ne ho 71 e penso che potrò pedalare in giro per il mondo ancora per un sacco di tempo».

L’infanzia tra le vigne Papà aveva le vigne, si lavorava tutti. Poi ha avuto un ictus ed è morto. Io avevo 13 anni ed è toccato a me portare avanti i campi, andavo sul trattore senza patente

Ignazio e Cecilia Mio figlio Ignazio e Cecilia Rodriguez hanno detto che si sposano quest’anno, in agosto. Ma gli ho ricordato che in quel periodo si vendemmia

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #2 : Mercoledì 22 Marzo 2023, 13:38:33 »
saronniano.

Saronni era un lampo nella pioggia. Un grande ciclista. Un ciclista pure insolito e con una sola giovinezza. Il passaggio è di una verità estrema...

Di Moser ricordo il tono lamentoso di quando le cose non andavano. Insopportabile.

Mi interesserebbe poi sentire Fignon riguardo al giro dell'84, mi piacerebbe proprio.

Poi, nel dopo, come ho avuto già occasione di dire, Moser diventa un gradevole simpaticone e Saronni un antipatico livoroso.
Mah.

ThomasDoll

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #3 : Giovedì 23 Marzo 2023, 12:55:09 »
epilogo...

Moser-Saronni L’ultimo duello
La verità sulla lite tra i due ex ciclisti Il trentino: «Ora con lui non parlo più»
Corriere della Sera23 Mar 2023Di Marco Bonarrigo
(Olympia)
In pista Francesco Moser e Beppe Saronni rivali anche sul parquet del Palasport di Milano alla Sei giorni nel 1982
«Con la complicità di quel tipo lì avete montato una polemica indegna. Non parlerò mai più con un giornalista e nemmeno con lui». E giù il telefono. No, Francesco Moser non ha preso bene l’intervista di ieri al Corriere di «quel tipo lì», alias Giuseppe Saronni, coprotagonista di una feroce rivalità che ha fatto la storia del ciclismo italiano e dopo 40 anni non si è stemperata. Tutto era cominciato lunedì con il trentino che, raccontandosi, accusò Saronni di «essersi sempre sentito superiore a lui perché uomo di città» e di una permanenza molto breve ai vertici del ciclismo «per aver chiesto troppo al suo fisico». Il lombardo ha risposto per le rime: Moser ha vinto il suo unico Giro d’Italia nel 1984 grazie «alle spinte dei tifosi» (che avrebbero anche regolarmente molestato Saronni con «schiamazzi notturni davanti agli hotel in cui dormiva»), alle salite «spianate» dagli organizzatori e a una longevità atletica favorita da «una certa scienza, di cui lui disponeva in modo esclusivo». Riferimento alle bici spaziali delle cronometro e del Record dell’Ora e al supporto del celebre professor Conconi.

Sugli eccessi per amore del tifoso moseriano c’è ampia letteratura. Dopo la tappa del San Pellegrino al Giro 1978, Giovanbattista Baronchelli (superbo scalatore) disse ai cronisti: «Moser è salito a spinte dei tifosi, questo non è sport». Il trentino rispose da par suo: «Baronchelli non sa che cosa sia l’intelligenza, con la testa che si ritrova un Giro d’Italia non lo vincerà mai». Tista oggi ha 69 anni: «Francesco aveva ragione, mai vinto un Giro, io: due volte 2°, una volta 3° e tre 5°. Nelle rare salite che gli organizzatori inserivano sul tracciato per non rovinargli la festa, quando non ce la faceva più Moser si faceva spingere approfittando della distrazione dell’elicottero. Sempre nel 1978, sul Bondone, a casa sua, presi ombrellate, sputi e insulti dal suo clan e dovetti farmi largo a schiaffoni. Non dico che organizzasse i tifosi ma con il suo modo di fare li aizzava. Era un gran corridore, ma un Giro con salite vere non l’avrebbe vinto. Come Saronni, se posso permettermi».

E la «certa scienza» a supporto della seconda giovinezza del trentino? Saronni: «Nella 16ª tappa del Giro 1983, che stravinsi, Moser mi affiancò dicendomi: mi ritiro, sono troppo vecchio per le corse a tappe. Provai quasi tenerezza. L’anno dopo però si prese Sanremo e Giro dopo aver fatto il Record dell’Ora. Ma non era vecchio?». Moser si era legato al professor Francesco Conconi, lo scienziato innamorato del ciclismo che rivoluzionò la sua preparazione e lo aiutò nella scelta di bici così estreme da esser messe fuori legge pochi anni dopo. E le famose trasfusioni, frutto di studi pionieristici scandinavi? All’epoca non erano doping, lo diventarono solo nel 1986. Nel 1999 Moser avrebbe dichiarato ai Nas di Bologna di averle utilizzate, appunto, fino al 1985. In un’intervista più recente spiegò che «accusarmi è come macchiare le vittorie di Bartali e Coppi dicendo che hanno preso delle sostanze che solo poi sono state vietate. La vera novità furono gli allenamenti col cardiofrequenzimetro, le ripetute in salita con bici da pista, il manubrio a corna di bue...». Come replica Saronni? «Capisco che le mie parole non gli abbiano fatto piacere ma è la pura verità dei fatti. La prossima settimana io e lui dovremmo presentare assieme una tappa del Giro d’Italia: spero che l’incazzatura gli passi prima». Alla presentazione ci sarà anche Baronchelli, la saga continua.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #4 : Giovedì 23 Marzo 2023, 13:54:35 »
secondo me Baronchelli mena a tutti e due.  :laughing6:

e cmq Moser stava in bici con un'eleganza che poi ho ritrovato solo in Indurain e in Bugno. Và detto.

Offline Il lodolaio

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Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #5 : Giovedì 23 Marzo 2023, 15:46:06 »
All'epoca ero per Moser, poi ho smesso, mi sono reso conto dei punti criticabili.
E mi ricordo dei Giri d'Italia disegnati con pochissime salite per favorirlo.
Oh vivacchiare...

ThomasDoll

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #6 : Giovedì 23 Marzo 2023, 16:21:07 »
All'epoca ero per Moser, poi ho smesso, mi sono reso conto dei punti criticabili.
E mi ricordo dei Giri d'Italia disegnati con pochissime salite per favorirlo.

Baronchelli sostiene che i giri d'Italia piatti per favorire Moser siano anche quelli che ha poi vinto Saronni...  :evil4: :evil4: :evil4:

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #7 : Giovedì 23 Marzo 2023, 16:43:39 »
Baronchelli sostiene che i giri d'Italia piatti per favorire Moser siano anche quelli che ha poi vinto Saronni...  :evil4: :evil4: :evil4:

che poi è vero. Nessuno dei due è mai stato mai in grado nemmeno di pensare di fare una salita tipo Mortirolo, Stelvio etc.
In effetti, la grandezza di Saronni si deve proprio a questo aver approfittato di giri tagliati su misura per Moser.
Nei giri disegnati per Pantani, per dire, sarebbero stati entrambi delle comparse.

Cmq è vera pure la storia dei tifosi di Moser, na sottospecie de riommici, der ciclismo però.

Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #8 : Venerdì 24 Marzo 2023, 09:49:15 »
Quando uscì di scena Gimondi, la scena era finalmente sgombra per il nuovo dominatore.

In teoria.

Moser è stato un grandissimo passista, su questo non c'è discussione possibile. Nonché un faticatore capace di arrivare al limite della sofferenza fisica e anche oltre. Nonché uno che riusciva a far simpatizzare per lui organizzatori, tifosi e carovane.

Nelle gare a tappe, sul lungo termine soffriva la presenza delle salite: normale, per uno altro un metro e ottanta (e nel ciclismo di mezzo secolo fa). Il meglio lo diede sulle gare di un giorno: secondo al Mondiale del '76, inevitabilmente sconfitto da uno specialista quasi imbattibile in volata come Maertens; primo l'anno dopo quando sempre in volata si trova assieme al più battibile Thurau, mentre il terzo posto se lo prende il "vecchio" Bitossi togliendolo d'imperio ("ragazzo, hai fatto abbastanza, ora lasciami passare") a un ragazzetto fastidioso che era rimasto sempre nel gruppo dei migliori.

E arriviamo al primo dei "fattacci": il Mondiale di San Cristobal del 1978. Moser è ancora una volta tra i favoriti, favoriti che però stavolta contemplano anche il fastidioso ragazzetto. Che, a un certo punto, tenta il colpaccio e va in fuga: ma Moser non lo agevola di certo, lui vuole - legittimamente - rivincere. La fuga decisiva è ancora una volta a due: ma stavolta Moser è beffato da Knetemann, che in volata non è certo uno specialista. E inizia la moda delle scuse allegate dal trentino: che spiega come Knetemann, certo di non poter competere con Moser in volata, gli avesse chiesto di non essere staccato nel tratto finale: dove c'era una "leggera salita" di cui, dice Moser "non mi ero accorto" (d'altra parte aveva fatto solo una decina di giri sul circuito!  :D) e questo bastò per sbagliare la volata.

Ma il dualismo vero e proprio esplode l'anno successivo, in un Giro disegnato sfacciatamente per Moser, vince... Saronni. Che aveva qualità complessive nettamente migliori del trentino, da cui forse perdeva qualcosina sul passo ma lo compensava senza problemi sfruttando al massimo la squadra: non amava invece particolarmente le salite anche se con Moser non c'era partita nemmeno lì: e non c'era, decisamente, partita nelle volate (una specialità che Moser ha sempre invidiato, parole sue, al Beppe). Tutto il Giro è costellato di polemiche e dei rosicamenti del trentino, che credeva ormai di essere padrone della scena e invece si trovò ad essere di nuovo il numero due.

Io amo parlare di dualismo e non di rivalità, perché per un lustro, dal 1979 al 1983, il confronto non è proprio esistito: Saronni ha dominato quegli anni in lungo e in largo, nei confronti di Moser e spesso anche in assoluto.

Nel 1980 Hinault chiuse ogni discussione stravincendo Giro e Mondiale.

Il 1981 è l'anno delle infamie. Il Giro e il Mondiale furono l'apoteosi delle zozzerie (letteralmente, a partire dai secchi di piscio lanciati dai tifosi di Battaglin) perpetrate dalla mafia della carovana. Che però non poté far nulla a Goodwood: su un circuito, va detto per onestà, disegnato appositamente per Saronni: così come pro-Saronni era l'altimetria del Giro 1983. Moser ormai è declinante e ridotto a mesta comparsa.

Il Giro 1984, con un Moser rinato dopo i nuovi metodi di allenamento (!) e sulla cresta dell'onda per il record dell'Ora (che, è bene ricordarlo, fu annullato nel 2000 per l'uso di una bicicletta non conforme), gli organizzatori disegnarono il percorso direttamente a Palù di Giovo: ed ebbero cura anche di far sparire la tappa dello Stelvio, per un'allerta meteo che poi si rivelò infondato. Ricordo benissimo la squadra trasversale che scortava Moser anche in bagno; ricordo l'ultima cronometro con l'elicottero che infastidiva il povero Fignon e spingeva Moser. Fu una delle più grosse porcate sportive che abbia mai visto.



Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #9 : Venerdì 24 Marzo 2023, 09:50:40 »
Baronchelli sostiene che i giri d'Italia piatti per favorire Moser siano anche quelli che ha poi vinto Saronni...  :evil4: :evil4: :evil4:

Baronchelli dovrebbe spiegare quale fu il suo ruolo a Praga.

Ma ricorda male: il Giro 1979 fu disegnato per Moser, quello 1983 per Saronni. Peccato li abbia vinti entrambi Beppe...

Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #10 : Venerdì 24 Marzo 2023, 09:53:49 »
che poi è vero. Nessuno dei due è mai stato mai in grado nemmeno di pensare di fare una salita tipo Mortirolo, Stelvio etc.
In effetti, la grandezza di Saronni si deve proprio a questo aver approfittato di giri tagliati su misura per Moser.
Nei giri disegnati per Pantani, per dire, sarebbero stati entrambi delle comparse.

Cmq è vera pure la storia dei tifosi di Moser, na sottospecie de riommici, der ciclismo però.



Beh, questo è l'arrivo della Cuneo-Pinerolo 1982. Qualche salitella mi pare ci fosse.

Pantani barava, non è confrontabile con nessuno dei due.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #11 : Venerdì 24 Marzo 2023, 11:53:53 »


Beh, questo è l'arrivo della Cuneo-Pinerolo 1982. Qualche salitella mi pare ci fosse.

Pantani barava, non è confrontabile con nessuno dei due.

Quello dietro è Monsieur Hinault...

Saronni era fortissimo. In salita, però, credo che fosse un succhiaruote.
Poi però aveva la forza di conservare la sparata finale da finisseur di alto rango.

P.s. quando Pantani fu fermato a Madonna di Campiglio, Cipollini e Gotti (per fare solo due nomi tra i primissimi che mi  vengono in mente) avevano un ematocrito di poco inferiore al Cesenate, e che naturalmente nun c'ha manco uno che viene dalle Ande.
Vinse Gotti, un onesto gregario per qualche "oscuro" motivo assurto a protagonista di un giro da dimenticare.

(Pantani si drogava, forse si dopava anche ma, del resto, come il resto della truppa. A parità di doping, era cmq il più forte).

ThomasDoll

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #12 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:17:24 »
Sarebbe interessante approfondire la connessione tra assunzione di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni sportive e lo sviluppo di consuetudine alle sostanze stupefacenti. Ce vorebbe uno che ce capisce...
Donati, un vero guru dell'antidoping, parla di campioni che non lo erano, ma da sempre la fatica estrema viaggia a braccetto con gli aiuti chimici in grado di stimolare e migliorare la risposta alla stanchezza. Quanto invece all'uso di steroidi e a cose che migliorano la forza, alzo zero.
L'autoemotrasfusione di Conconi, praticata largamente negli anni '80 dai fondisti italiani che hanno mietuto successi tra atletica, sci di fondo e ciclismo, si colloca in maniera sghemba: lungi dall'essere "bomba", come era la stricnina, la caffeina, l'efedrina, alterava la portanza energetica del sangue, in questo surrogata poi dal più comodo Epo. Il presupposto però era un soggiorno in quota che arricchiva l'ematocrito, il cui effetto veniva differito, appunto, dalla conservazione artificiale e dalla trasfusione del sangue "ricco". Chi ha soggiornato in montagna a lungo praticando costantemente sport sa che quando riscendi al livello del mare, dopo un paio di giorni di adattamento, voli, letteralmente, per un paio di settimane. Dalla comparsa dell'Epo, comunque, alla deflagrazione totale di tutti i record delle gare di resistenza nell'atletica, il passo è stato brevissimo.
Certo, se uno ha a che fare con i tapponi dolomitici ed ha a disposizione una cosa che ti fa sopportare quella fatica bestiale è dura non prenderla.
Trattandosi poi di sostanze che hanno effetti per forza variabili sul fisico di chi le assume, come qualunque farmaco, è dura sostenere che se un dopato vince in una platea di dopati le proporzioni siano state rispettate: magari è semplicemente quello che riesce a massimizzare gli effetti dell'aiutino.
Restano le belle pagine di sport scritte: se Pantani le ha scritte barando, sempre belle rimangono, uno può ricordarsele come fossero un bel film.
E Pantani di bei film ne ha mostrati a bizzeffe.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #13 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:43:48 »
in una certa ottica, un campione è anche chi riesce a massimizzare gli effetti dell'aiutino, se vogliamo.

Su Indurain non s'è mai trovato niente, boh, però uno che in salita non s'è mai alzato dalla sella fuorché per andare in albergo a fine gara, e che, nonostante questo, è riuscito a tenere a bada uno scattista come Pantani senza mai cambiare rapporto ....mah.
La mano sul fuoco non ce la metto.

E' veramente difficile dare un giudizio e dire: questo era dopato e quest'altro invece no. Difficilissimo.


ThomasDoll

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #14 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:45:37 »
in una certa ottica, un campione è anche chi riesce a massimizzare gli effetti dell'aiutino, se vogliamo.

Su Indurain non s'è mai trovato niente, boh, però uno che in salita non s'è mai alzato dalla sella fuorché per andare in albergo a fine gara, e che, nonostante questo, è riuscito a tenere a bada uno scattista come Pantani, senza mai cambiare rapporto ....mah.
La mano sul fuoco non ce la metto.

E' veramente difficile dare un giudizio e dire: questo era dopato e quest'altro invece no. Difficilissimo.

ah, proprio no, su Indurain

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Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #15 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:48:28 »
ah, proprio no, su Indurain
no, dai, soffriva di asma, è risaputo
osa c'è da psicolo propriono capisco.
qui sono un esempio di civilità e non solo per molti

Orazio Scala

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #16 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:54:14 »
in una certa ottica, un campione è anche chi riesce a massimizzare gli effetti dell'aiutino, se vogliamo.

Su Indurain non s'è mai trovato niente, boh, però uno che in salita non s'è mai alzato dalla sella fuorché per andare in albergo a fine gara, e che, nonostante questo, è riuscito a tenere a bada uno scattista come Pantani senza mai cambiare rapporto ....mah.
La mano sul fuoco non ce la metto.

E' veramente difficile dare un giudizio e dire: questo era dopato e quest'altro invece no. Difficilissimo.

Ricordo le parole di uno scalatore importante, non mi sovviene il nome: fino a un certo punto, quando la strada si arrampicava e cominciavo a spingere, dopo un po' dietro di me si faceva il vuoto. Poi iniziò la diffusione dell'EPO: l'anno dopo, stessa salita, mi giro e vedo una trentina di ciclisti che mi seguono allegramente... 

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #17 : Venerdì 24 Marzo 2023, 12:56:44 »
Comunque, dalla carne di piccione ai beveroni, dalla simpamina de Coppi a Simpson imbottito di anfetamine sulla salita del Mont Ventoux, il ciclismo, insieme a pochi altri, è sport in cui la fatica diventa presto dolore vero col quale fare i conti.

La sofferenza e la malinconia di un ciclista in crisi è seconda solo a quella del pugile battuto.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #18 : Venerdì 24 Marzo 2023, 13:19:17 »
Ricordo le parole di uno scalatore importante, non mi sovviene il nome: fino a un certo punto, quando la strada si arrampicava e cominciavo a spingere, dopo un po' dietro di me si faceva il vuoto. Poi iniziò la diffusione dell'EPO: l'anno dopo, stessa salita, mi giro e vedo una trentina di ciclisti che mi seguono allegramente...

erano gli anni in cui seguivo e praticavo un po' in mtb con qualche corsetta ufficiale ogni tanto. Avevo una Kastle - Absolute team con cambio XT. La Kastle era una costola della Benetton Corse - reparto bici. Na bici de rispetto, insomma (esposta al salone di Milano nel 97 o 98. Ho ancora la rivista che ne parla). Era in acciaio e non si rompeva mai, non sgranava mai. Caricavo le borracce e ci facevo autentiche traversate, con l'assoluta certezza di tornare.

E, devo dire, facendo corse pure dilettantistiche, capivi ciò che c'era da capire. Bastava fermasse al posto ristoro a bere quegli autentici sciroppi, per i prof, e sciroppi annacquati, per i dilettanti come me. Io me sbagliavo spesso e mi fermavo a quello dei prof. ma era na merda imbevibile.

Già. Ed era così tra gente co la panza come uno scaldabagno, che correva per diletto.

Panzabianca

Re:Saronni (e Moser)
« Risposta #19 : Martedì 28 Marzo 2023, 09:15:37 »
ahò, e scrivete... ché er ciclismo è dopato ma bellissimo. Ve sete ammosciati.
Hello Buoi! (mogl y buoi d paes tuoi - cit. Pomata), date seguito!

voo ricordate il simpaticissimo Urs Freuler? e nnamo...