Autore Topic: Parolo da leader “L’Europeo, il segreto di una grande Lazio”  (Letto 412 volte)

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La Repubblica



Parolo da leader “L’Europeo, il segreto di una grande Lazio”
GIULIO CARDONE
ROMA

Senza tanti giri di Parolo. «Mi ritengo un leader silenzioso. Preferisco dare l’esempio in campo. Però nello spogliatoio serve anche chi alza la voce quando è necessario. Nella Lazio noi vecchi cerchiamo di insegnare gli atteggiamenti giusti ai giovani. Siamo in pochi: io, Lulic, Marchetti, Biglia, Radu, Ciro…».
Ciro? Immobile ha 26 anni.
«Quando fai parte di un gruppo vincente come quello degli Europei, impari in fretta e cambi mentalità. Capisci che il talento non basta se non sai sacrificarti, soffrire e aiutare i compagni. La Nazionale di Conte si basava su massima applicazione e ferocia agonistica, come la Juve che non molla mai. Certi concetti li ho imparati a 30 anni, li avessi capiti a 24 la mia carriera sarebbe stata diversa».

Con Ventura l’Italia è cambiata molto?
«No, la base è quella: se sai fare risultato soffrendo, come contro Spagna e Macedonia, sei una grande squadra. Sono persone diverse, Conte e Ventura, ma i principi di gioco sono simili. Poi il nuovo ct darà la sua impronta, com’è giusto».

Anche nella Nazionale ci sono dei leader non silenziosi?
«Certo: Chiellini, Bonucci, Buffon, De Rossi».

Il 15 c’è Italia-Germania: che effetto le farà vedere Klose assistente di Löw?
«Nello spogliatoio l’anno scorso già si vociferava che quello sarebbe stato il suo futuro. Il giocatore- simbolo della Germania sulla panchina della nazionale: un segnale importante per il calcio, una cosa romantica».

A Napoli si capirà il reale valore della Lazio?
«Abbiamo dimostrato la nostra mentalità nelle ultime tre partite: a Torino dopo il 2-2 ci siamo rovesciati di nuovo in avanti, contro il Sassuolo abbiamo saputo soffrire. Un risultato positivo a Napoli sarebbe un’ulteriore prova del nostro spessore».

A Napoli si saranno pentiti di non aver scelto Immobile?
«Hanno preferito il nome, anche se poi Milik è forte. Nessuno che si sia fatto delle domande sul perché di quei due anni deludenti di Ciro all’estero, magari esaminando il contesto. Brava la Lazio a crederci, è uno da 20 gol a campionato. Segna a ogni partita, credo segnerà anche al Napoli: poi toccherà a noi non subire gol».

Ritiene che il tridente della Lazio sia sottovalutato?
«Meglio, così loro capiscono che devono ancora dimostrare tanto. Hanno un talento straordinario, ma serve continuità e sono migliorati molto in questo. Possono diventare i più forti del campionato, Felipe Anderson fa giocate incredibili, è cambiato, maturato, avverte la fiducia del tecnico e di tutto il gruppo: noi gli chiediamo di essere decisivo, lui si sente importante e fa la differenza».

Ci racconta Simone Inzaghi in tre aggettivi?
«Coerente, aperto, ambizioso. Ha voglia di vincere e di emergere, ci trasmette questa energia. È uno vero in tutto quello che fa. Da applausi, poi, per come ha gestito il caso Keita».

Il senegalese fa ancora le sue monellate?
«No, si è messo a disposizione del gruppo, ha capito che il talento non basta, senza spirito di sacrificio non vai da nessuna parte. Nel ritiro in Germania ci siamo dati delle regole, tutti devono rispettarle e remare nella stessa direzione: lì è nata la nuova Lazio».

Quanto le pesa non giocare la Champions?
«Tanto, è il mio sogno. Ne ho realizzati molti, ho vissuto Europei e Mondiali, ma mi mancano la Champions, un trofeo e un gol in nazionale: in Macedonia era regolare, me l’hanno annullato».

Diciamo che il sogno si realizza e che a fine stagione Lotito le chieda di convincere de Vrij e Anderson a non trasferirsi altrove. Cosa direbbe ai suoi compagni?
«Che vincere alla Lazio è unico e che possiamo aprire un ciclo. Ricorderei la festa a Formello per il terzo posto, le emozioni di quella notte. Poi, una volta convinti loro, mi girerei verso Lotito e gli direi che anche la società deve fare la sua parte, imparando dagli errori di due anni fa, quando sbagliammo tutti. Lo sta già facendo e i risultati si vedono, anche se il cammino è ancora lungo».

Peccato che l’Olimpico sia sempre semivuoto.
«L’orgoglio (a proposito della protesta contro le barriere in curva, ndr) a volte può essere più forte dei sentimenti. Ma io nei tifosi vedo la voglia di tornare allo stadio, me ne accorgo dai loro occhi quando esultano in trasferta: se continueremo a giocare con questo spirito, li convinceremo. Il laziale è particolare: preferisce vincere 2-1 soffrendo che 4-0 in scioltezza».

Che esperienza è stata la visita di Amatrice?
«Forte e toccante. Ho apprezzato la reazione e la voglia di ripartire della gente del posto».

Il leader silenzioso in futuro farà l’allenatore?
«Non credo proprio. Per me i calciatori che dopo 15-16 anni di ritiri e sacrifici si mettono ad allenare, continuando questa vita, sono un po’ matti. Ho aperto una scuola calcio a Varese, mi dedicherò ai bambini, cercherò di trasmettere i valori positivi dello sport. Però senza tante parole».

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