Da appassionato di vecchia data del calcio teutonico, fui davvero felice del suo arrivo alla Lazio.
Calciatore di spessore, professionista ideale, caratterialmente schivo ma in grado di farsi rispettare da tutti, sia in campo che fuori, figura internazionale come poche altre al mondo.
Per indole, si potrebbe dire che è stato un elemento della Nazionale prestato alle squadre dove ha militato.
Anche a Monaco lo pensavano/pensano in molti.
E pur amandolo, e manco poco, talvolta si infiammavano più per il Toni di turno che per il bomber crucco, di certo non meno generoso e forte del compagno, ma spesso disciplinato all' inverosimile, freddo in area come al bar, lucido come un calcolatore della Olivetti che fu.
Insomma, meno scenico di quanto le platee odierne - non di rado adoranti di immagini e distratte dalla sostanza- pretenderebbero.
E poi quella adorata Nazionale, quasi una ossessione, perennemente al centro dei suoi piani.
In realtà proprio questa maniacale capacità di gestire ed organizzare il suo mestiere, unita ad una feroce determinazione e ad un meticoloso lavoro psicofisico sull' uomo e sullo sportivo, gli ha permesso di diventare una autentica Leggenda del Calcio.
Ho letto che qualcuno ha ironizzato, poco elegantemente, sul suo ritiro.
Sarebbe bastata una appena decente connessione internet per accorgersi che le offerte non gli mancavano.
Oltre a quelle esotiche, alquanto remunerative, vi erano diverse proposte di compagini tedesche interessate al suo ingaggio, un paio di prima serie e tre o quattro di seconda, più qualche richiesta dalla Polonia, la sua patria natia.
Infine gli Usa, dove pare che il Nostro avesse un certo interesse di vita, oltre che di sport.
Non Barca o Real, chiaro.
Ma manco il Brescello, però.
Conoscendo il tipo, penso che avrebbe chiuso volentieri alla Lazio.
Poi avrà ragionato attentamente sul resto, as usual, e si sarà reso conto che la Nazionale, la sua prima squadra, è un' occasione da non lasciarsi sfuggire, ora come ora.
La sua Storia con Noi si è chiusa in maniera non idilliaca, vero.
Tendo a pensare che fosse un periodo particolare, con Lotito e Tare concentrati sugli impegni istituzionali (e non) delle reciproche Nazionali, con De Martino che aveva una cena di classe a Viterbo e con Manzini che aveva rimorchiato una babbiona finlandese a Piazza di Spagna.
Battute a parte, era veramente un momento complicato per la società ed in tutto questo bailamme, probabilmente nessuno ha avuto il coraggio di comunicare al giocatore che il suo ingaggio appariva francamente spropositato in relazione ai servigi che egli poteva offrire in campo, quantomeno a 38 anni suonati.
Servigi che, a parere dello scrivente, potevano non essere del tutto irrisori, a patto di accettare appunto un rinnovo annuale a cifre meno succulente per le casse del club.
Le mie scarsissime fonti in passato mi hanno raccontato di un Klose voluto fortissimamente da Lotito, piuttosto che da Tare, come da mito popolare.
Anche nella chiusura del rapporto, ho avuto la sensazione che i rapporti di forza fossero esattamente questi, in particolar modo dando per scontate le storiche difficoltà comunicative sia del Presidente che del DS.
Chissà che con un precedente insediamento di Diaconale e Peruzzi, due figure atte a lavorare sulle relazioni umane e più propense a dialogare con un carattere orgoglioso e con una personalità forte come quella del centravanti di Opole, certe tensioni non potessero essere acuite e, magari, risolte in maniera diversa.
Non lo sapremo mai e, a questo punto, poco importa.
Quel che invece sappiamo, è che Miro Klose ha giocato per Noi.
Un Campione, un Mito, una Leggenda.
Grazie a Lui per aver indossato onorevolmente la Nostra Maglia.
Grazie a chi lo ha portato a Roma, sfruttando un arguto gentlemen's agreement che forse prevedeva una non eccessiva esposizione mediatica, ma che ha consentito al tedesco di sviluppare al meglio i suoi ultimi anni di carriera ed a Noi di goderci un fuoriclasse.
E grazie alla Lazio, che non manca mai di regalare emozioni.
Mai.
Buona fortuna, Miro.
E sempre Forza Lazio.