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Il calcio saluta Primo, l’ultimo dei Sentimenti
« : Sabato 15 Ottobre 2016, 10:44:38 »
Gazzetta dello Sport




Il calcio saluta Primo, l’ultimo dei Sentimenti
I cinque fratelli venivano da Bomporto, un paese in provincia di Modena. Quattro giocarono in A e Lucidio arrivò anche in Nazionale


Andrea Schianchi

L’ultimo si chiamava Primo, e da ultimo se n’è andato. Ieri, a 89 anni. Lo avevano preceduto Ennio, Arnaldo, Vittorio e Lucidio. A leggerli così sono soltanto nomi propri, niente di più, ma se aggiungiamo il cognome costruiamo un pezzo di storia: Sentimenti. Sentimenti I, Sentimenti II, Sentimenti III, Sentimenti IV, Sentimenti V. Una dinastia prestata al mondo del pallone, la famiglia Buddenbrook del calcio italiano. Soltanto il più anziano dei fratelli, Ennio, non giocò in Serie A e fu costretto a fermarsi ai campionati minori, anche se in paese, a Bomporto, provincia di Modena, si diceva che pure lui avesse qualità tecniche da meritarsi il grande palcoscenico. Non ci riuscì, si limitò a indossare la maglia del Nonantola e a rilasciare interviste su interviste, quando arrivavano a casa i giornalisti e gli chiedevano di raccontare aneddoti e curiosità di questo o quel fratello. Di strada ne fece parecchia, questa famiglia di «pallonari », girò l’Italia in lungo e in largo, divertendosi e portando a casa quei soldini che servivano a mandare avanti la baracca. Già, perché papà Arturo e mamma Augusta avevano i bollenti spiriti: di figli ne misero al mondo nove, i cinque calciatori appunto e quattro femminucce.

SGARBO
Il primo a farsi notare fu Arnaldo, detto «Noci». Di professione portiere, venne notato dall’allenatore inglese William Garbutt, che nel 1934 guidava il Napoli, e fu subito ingaggiato. Temperamento da leader e una qualità: era un pararigori. Nella stagione 194142 ne bloccò 9 consecutivi (fermò anche Piola e Meazza). La curiosità fu il modo in cui si interruppe quella striscia. Colpa del fratellino Lucidio, per tutti Sentimenti IV, all’epoca portiere del Modena. Il 17 maggio 1942, durante un NapoliModena, capitò un rigore e sul dischetto, di fronte ad Arnaldo, si presentò proprio Lucidio. Tiro e gol. I due fratelli non si parlarono per un paio d’anni, poi ci pensò papà Arturo a far da mediatore e tornò la pace.

DISTRAZIONE
Se Arnaldo legò la sua vita al Napoli e a Napoli, Lucidio, cioè Sentimenti IV, passò alla storia per la sua lunga esperienza alla Juve (dal 1942 al 1949) e per le sue 9 presenze in Nazionale. Lo chiamavano Cochi, era fenomenale tra i pali e bravissimo nelle uscite. Si era inventato uno stile, che poi fu copiato da altri portieri: si lanciava con i piedi in avanti sull’avversario che gli piombava addosso a tutta velocità, e quasi sempre lo fermava. Era, tuttavia, un po’ distratto, e questa non è una bella qualità per un portiere. Aveva l’abitudine di «battezzare» fuori i tiri con una semplice occhiata: purtroppo, a volte, calcolava male traiettoria e il pallone finiva in rete. Successe spesso nel periodo che trascorse alla Lazio, tanto che i tifosi costrinsero i dirigenti a sottoporre Sentimenti IV a un’accurata visita oculistica dalla quale risultò che ci vedeva benissimo e che il problema non era ottico, ma «di testa».

FAMIGLIA
Quando stava alla Lazio, Lucidio giocò assieme a Vittorio, ottimo centrocampista offensivo, e a Primo, difensore roccioso cui appiccicarono il nomignolo «Pagaia». Sentimenti IV, Sentimenti III e Sentimenti V: mai una squadra era stata tanto... familiare. Vittorio e Lucidio erano stati assieme anche alla Juventus: Vittorio occupava tutti i ruoli dell’attacco. Dove lo mettevano, lui stava. Anzi: dove lo metteva Felice Borel, detto Farfallino, che faceva l’allenatoregiocatore, e per il quale Vittorio stravedeva. Se gli avesse ordinato di buttarsi nel fuoco, si sarebbe tuffato senza pensarci su un attimo. Al periodo laziale di Vittorio è legato un episodio curioso. Estate 1949, Sentimenti III era appena stato ceduto dalla Juve alla Lazio, ma doveva subire un intervento chirurgico. La moglie non riusciva a dividersi tra la casa, dove c’era la figlioletta Silvana, e l’ospedale, dove c’era il marito. Allora intervennero i tifosi: si offrirono di ospitare la piccola, a turno, e di fare da babysitter, così la moglie poteva dedicarsi a Vittorio. Fu una mossa che toccò Sentimenti III: la Lazio entrò per sempre nella sua vita. Quando lo cedettero al Torino, nell’estate del 1952, scoppiò in lacrime e al presidente Zenobi disse: «Spero che la Lazio non debba mai rimpiangere questa decisione. Io questa società ce l’ho nel sangue». Lo chiamavano Ciccio il Bersagliere, per il coraggio e per l’attaccamento alla maglia. Nel 1950, durante una sfida contro l’Inter al Flaminio, sotto di tre gol all’intervallo, entrò negli spogliatoi e urlò come un matto per scatenare la reazione dei compagni: la partita si concluse 33, e Vittorio segnò pure la rete della vittoria, ma l’arbitro l’annullò sostenendo che aveva già fischiato la fine. Imprese di un calcio antico, il calcio della dinastia Sentimenti.

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