Ricordo - ormai una ventina d'anni fa - una lezione di Storia del Teatro Antico nella quale si faceva riferimento al travestitismo intersessuale come espediente scenico, che naturalmente poteva essere utilizzato in ambiti artistici molto diversi.
Come esempio di livello popolare, o comunque poco elevato, la nostra insegnante citò Maurizio Ferrini e la signora Coriandoli.
Come esempio di alto livello citò proprio Anna Marchesini dopo averla vista a teatro in M. Butterfly, dove interpretava un personaggio dalle fattezze androgine.
Il suo nome provocò un certo stupore, per il contrasto fra l'immagine più nota dell'artista - quella legata al Trio - e il tono letteralmente estasiato con cui veniva descritta la sua performance interpretativa in un contesto molto più colto, a cui non veniva associata nell'immaginario collettivo.
Credo che l'aneddoto riassuma il rapporto fra la Marchesini e il grande pubblico: il sodalizio con Solenghi e Lopez le ha dato fama e popolarità - e magari riscontri economici diversi da quelli del palcoscenico più nobile -, ma ha impedito a molti di percepirne il reale spessore artistico.
Che si intuiva fra le righe - paragonata ai pur bravi colleghi - anche nella sua versione nazionalpopolare, senza però svelarne a fondo una complessità e una finezza appartenenti davvero a un'altra dimensione.
Quasi un destino alla Giuni Russo, una voce unica della quale all'uomo della strada è giunto solo il pop - sia pure stellare rispetto a tanta produzione nel settore - di Un estate al mare.
Che la terra le sia lieve.