Autore Topic: L'incredibile parabola di Lotito Da salvatore a tiranno in 12 anni  (Letto 565 volte)

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L'incredibile parabola di Lotito Da salvatore a tiranno in 12 anni
« : Mercoledì 20 Luglio 2016, 11:02:57 »
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Il 19 luglio del 2004 evitava il fallimento al club, ora è odiatissimo



Ci siamo, sono dodici anni, 4383 giorni di Claudio Lotito alla presidenza della Lazio. Era il 19 luglio 2004, e l’impreditore romano sposato con Cristina Mezzaroma acquistò 18.268.506 di nuove azioni della Lazio (che corrispondevano al 26,9% del club), spendendo circa 18 milioni di euro, uno sconto dei crediti che vantava con la Regione Lazio allora presieduta da Storace. La curva Nord si schierò al suo fianco, lo voleva presidente, era l’idolo di tutti, aveva salvato la società più antica della Capitale da un fallimento inevitabile per i debiti accumulati dalla gestione Cragnotti poi ingigantiti dall’interregno di Capitalia. «Ho preso questa squadra al suo funerale e l'ho portata in condizione di coma irreversibile. Spero presto di renderlo reversibile», è stata per anni la sua frase cult. Niente da fare per Tulli, il neo presidente Lotito, accentratore, dispotico e un po’ «Lotirchio» come lo chiamano, comincia a controllare i bilanci e scopre buchi ovunque. L’operazione risanamento riesce nel corso degli anni, un successo da quel punto di vista ma, col passare del tempo, la riconoscenza si è trasforma in odio. Da salvatore a tiranno, il primo strappo sotto l’Agenzia dell’Entrate con la tifoseria che aveva cercato di assecondare con l’ingaggio di Candreva poi la guerra alla curva, gli arresti dei tifosi, la scalata dei Casalesi, il caos Chinaglia e tante tensioni. Un rapporto che si incrina col passare degli anni fino a far esplodere la contestazione nel febbraio 2014 durante Lazio-Sassuolo con l’intero Olimpico che mostrò il cartello «Libera la Lazio» (anche ieri scritte e striscioni ad Auronzo). Nel mezzo due Coppa Italia, quella storica contro la Roma e una Supercoppa a Pechino vinta contro l’Inter del triplete, ma anche sette qualificazioni alle coppe, una sola fugace apparizione in Champions, e qualche campionato anonimo. Senza dimenticare le grane giudiziarie, tante, troppe: Calciopoli, il processo con Roberto Mezzaroma, i casi Infront e Iodice solo per citare gli ultimi in ordine di tempo. Ma anche la scalata alla Figc, l’amicizia con Tavecchio e l’impegno in Lega Calcio, a suo dire, per rilanciare il calcio. I laziali lo considerano un «Marchese del Grillo» moderno: «Io sono io, voi non siete un c....»., ha tanti nemici e una tifoseria, anzi due visto che dal 2011 anche la Salernitana è sua, ormai in guerra contro di lui. Non c’è passione nelle sue azioni tanto che, pure a fronte di risultati sportivi ben al di sopra della storia della Lazio, se si esclude l’epopea cragnottiana, è odiato da quelli che dovrebbero amarlo a suo dire. È questo il fallimento più grande ma lui non se ne cura, va dritto per la sua strada. Non si piega, a chi gli chiede se volesse un giorno vendere la società, risponde che la lascerà a suo figlio. Di certo, oggi c’è poco da festeggiare, troppi veleni, troppa rabbia, troppe divisioni nel mondo Lazio.

Luigi SALOMONE

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