Buongiorno a tutti.
Archiviata questa stagione della Lega Pro, mi interesserebbe conoscere l'opinione di Er Matador - come pure quella di ogni altro utente. Ma credo che al Mata vada riconosciuta una primazia su un tema da lui ben conosciuto - sulla proposta di riforma di play-off e play-out annunciata per la stagione 2016-17, che vedrà - secondo programmi - il ritorno alle 60 squadre, 20 per girone.
In sintesi: verrà allargato a ben 28 (sic!) il numero delle pretendenti alla quarta promozione (oltre alle vincenti dei tre gironi), con due distinte sessioni di play-off.
Sessione A - Vi sarà una prima tornata di scontri diretti tra 24 squadre (dalla terza alla decina di ogni girone) dalla quale usciranno 12 team, che si uniranno alle seconde di ciascun girone e alla vincente della Coppa Italia di Lega Pro per un successivo turno a eliminazione diretta fra 16 Club.
Sessione B - Le otto squadre superstiti si sfideranno infine in un'inedita 'Final Eight' che determinerà la quarta promossa.
Per i play out resterà un assetto simile all'attuale (ultima retrocessa e dalla quintultima alla penultima a battagliare per evitare le altre due retrocessioni), con qualche aggiustamento tecnico da apportare, visto che la prima formulazione delle condizioni per evitare lo spareggio retrocessione (un certo numero di punti di distacco fra la quintultima e la penultima e fra la terzultima e la quartultima) presenta alcune sconcertanti incongruenze.
Per maggiori info si veda, ad esempio, la notizia al seguente link: http://www.corrieredellosport.it/news/calcio/lega-pro-serie-d/lega-pro/2016/06/10-12302110/lega_pro_cambia_tutto_playoff_con_28_squadre/
Sulla questione delle 60 squadre, cui si era già tentato di tornare col ricorso (respinto) del Seregno, AlenBoskic ha già introdotto il concetto fondamentale: una follia, nel momento in cui la diffusa precarietà nella situazione contabile dei club imporrebbe un’ulteriore riduzione degli organici.
Misura peraltro già in preventivo con la rinuncia alla Seconda Divisione, quando si considerava l'attuale formula una mera fase di passaggio verso l'obiettivo della Lega Pro a due gironi.
Del resto, la difficoltà nell'affrontare le crescenti spese imposte da un campionato professionistico non lascia spazio a molte soluzioni: o si diminuiscono i costi stagionali, e bisognerebbe capire come, o si diminuisce il numero dei club per limitare la presenza di quelli finanziariamente inadeguati.
Da dove viene, allora, questa sconcertante inversione di tendenza?
Mi scuso con gli amministratori del Forum se introduco Lotito anche in questo topic, e spero che il mio intervento non generi flame, ma qui il Nostro c'entra senza se e senza ma: parola del nuovo Presidente della Lega Pro, Gabriele Gravina.
Qualcuno lo ricorderà a capo del Castel di Sangro, protagonista della favola che portò nella serie cadetta un borgo da poche migliaia di anime, prima di cedere formalmente il timone della società a Luciano Russi: compianto Magnifico Rettore dell'Università di Teramo, a conferma dell'approccio atipico con cui quella realtà così transeunte - in seguito più volte fallita, e ad oggi senza un sodalizio che ne continui la vicenda sportiva - si era affacciata al calcio che conta.
Bella pagina di sport, ma oggi il suo nome evoca gli scenari, assai meno fiabeschi, di un conflitto interno quantomai duro e lacerante: quello che lo ha opposto per anni a Macalli nella lotta per i vertici delle istituzioni di categoria, e per capire il quale occorre un passo indietro.
Mario Macalli è un dirigente al quale si possono rimproverare - che poi le critiche siano in buona fede e senza secondi fini è un altro discorso - una gestione fortemente monocratica e magari di aver fatto il suo tempo, trovandosi ai vertici federali della terza serie dal 1997 dopo un'esperienza da commissario nel biennio 1988-1990.
Ma al quale va riconosciuto un forte impatto sulla situazione gestionale dei club, all’epoca del suo primo mandato affollata da mancate iscrizioni e lanci estivi della spugna, al punto da aver reso promozioni e retrocessioni sul campo una sorta di optional.
Il suo budget tipo, basato sull'elementare considerazione che non era possibile buttare soldi nel pallone come un tempo, segna un'inversione di tendenza: riportando entro dimensioni fisiologiche le situazioni societarie gravemente critiche e garantendo un periodo di relativa stabilità.
Un successo parziale ma concreto sul quale si abbatte un fattore extra-calcistico come la crisi: colpendo in particolare le PMI, quindi gli imprenditori da cui dipende buona parte dei club.
Da lì a una nuova ondata di precarietà il passo è breve: e riforme come il cambio di denominazione in Lega Pro e il riassorbimento dell’ex C2 in un’unica categoria puntano proprio, stavolta con minore successo, a fronteggiare la nuova emergenza.
A offuscare la sua stella è anche una vicenda poco chiara, con l'acquisto e la successiva rivendita di marchi societari riconducibili al Pergocrema/Pergolettese: un possibile conflitto di interessi, dovuto al fatto che nel periodo interessato i cremaschi militano nella categoria da lui presieduta.
Si tratta della stagione 2011/2012, nella quale la società gialloblù arruola alcuni giovani di scuola laziale e figura più o meno legittimamente
in orbita Lotito: avvio a razzo, poi una smobilitazione che porterà al fallimento passando per una sofferta salvezza.
Alla fine dell'anno solare Macalli viene rieletto battendo il suo ormai storico oppositore Gravina, in elezioni delle quali lui stesso denuncia la scarsa regolarità, e quindi riconfermato.
Nel frattempo il clima si surriscalda con la faida che porterà al duello Tavecchio-Albertini per designare i vertici della FIGC.
E la Lega Pro, per quanto malmessa in proprio, in tale sede rappresenta un 17% dei voti.
Il che trasforma la lotta tra Macalli e Gravina – non a caso inaspritasi proprio in quel periodo, col secondo a vibrare colpi sempre più bassi nei panni di oppositore – in un clone di quella in atto ai piani alti, con gli stessi blocchi elettorali in campo.
Aggiungiamoci il fatto che intanto Lotito è entrato nel calcio minore col Salerno Calcio, proprio nella già citata stagione 2011/2012, e il cerchio si chiude.
In questa desolante escalation rientra anche la celeberrima telefonata che Iodice, nella primavera del 2015, registra e mette a disposizione di merdadellarepubblica.it.
Pochi mesi dopo, siamo alle perquisizioni nella sede della FIGC nonché presso le abitazioni di Macalli e Tavecchio; mentre Lotito, in seguito alla telefonata con Iodice, viene indagato per estorsione con l’accusa – pardon, l’ipotesi di reato – di aver subordinato l’erogazione dei contributi ad alcune società al loro sostegno elettorale.
Di tutta questa vicenda rimangono i sei mesi di inibizione a Macalli; della sua controparte giudiziaria, ovviamente, nulla.
Ah, la sanzione da parte del Tribunale federale nazionale accoglie solo in parte la richiesta di otto mesi da parte dell’accusa, a capo della quale si trova il procuratore Palazzi: questo per chi si illudeva di cambiare aria scendendo di categoria.
La spallata va a segno in luglio, con la mancata approvazione del bilancio, le dimissioni di Macalli e il commissariamento.
Un paio di mesi prima delle votazioni di dicembre arriva una notizia a inasprire il conflitto: Tavecchio si candida ufficialmente per il secondo mandato ai vertici della FIGC, col redde rationem elettorale fissato per gennaio 2017, rendendo ancor più strategico controllare il pacchetto di voti della Lega Pro.
Da lì in avanti, il balletto delle candidature va fuori controllo.
Si affaccia tale Paolo Marcheschi: ufficialmente sub commissario sotto la reggenza del magistrato Tommaso Miele e candidato forte di un blocco di società settentrionali; ufficiosamente uomo del Centro-Destra ma non sgradito alla controparte politica e, si mormora, indicato da Renzi in persona per il ruolo svolto durante il commissariamento.
Gravina, forse perché considera Lotito un avversario ostico, tenta un clamoroso riposizionamento nei suoi confronti: addirittura sembra sul punto di diventare il suo candidato.
Il ribaltone non va a segno, e a rappresentare il partito di Macalli-Lotito è il già designato Raffaele Pagnozzi, già sconfitto da Malagò nella corsa alla presidenza del CONI: a conferma di un bipolarismo sempre più esasperato e del coinvolgimento della Lega Pro come campo di battaglia.
Si arriva alle elezioni di dicembre, coi due candidati più il terzo incomodo Marcheschi, e Gravina – legato, non si sa se a livello personale o anche in affari, anche a Giancarlo Abete – la spunta.
Da allora, il contraccolpo del mancato accordo con Lotito diventa la ragione unica delle sue dichiarazioni: il predecessore e gli avversari elettorali spariscono dai suoi discorsi, lasciando il patron della Lazio come riferimento polemico obbligato.
Nulla di strano, se appena ci si riflette: da un lato, un bersaglio così in vista serve come traino per il posizionamento mediatico e politico.
Dall’altro, il reduce di una manovra da 8 settembre deve pur rassicurare i nuovi-vecchi padroni in merito alla propria fedeltà: e quella è la scorciatoia migliore, poiché garantisce immediati riscontri ed evita, dato l’affollamento, prese di posizione individuali da cui sarebbe difficile dissociarsi in seguito.
Tirando le somme di questa storiaccia:
1) Gravina arriva al vertice dopo una lotta dura e sporca, quindi con la necessità di marcare una netta discontinuità nei confronti di chi l’ha preceduto
2) I punti forti del predecessore erano, appunto, il budget tipo e la riduzione degli organici nei gironi
3) I voti costano, anche in termini di promesse elettorali
4) Il mandato di Gravina è a termine, con scadenza nell’autunno 2016 per il rinnovo delle cariche al termine del quadriennio olimpico
Il neo presidente deve dunque accontentare i suoi elettori, favorevoli a un format pletorico per partecipanti e numero di partite, concettualmente non lontano dalla serie A a 20 squadre.
E deve farlo in tempi brevi, prima che inizi la nuova stagione.
Le 60 squadre e i play-off extralarge si spiegano così: con un clientelismo che spurga dal peggio della Prima Repubblica.
Ma, e non è un dettaglio insignificante, senza i soldi della Prima Repubblica.
Ancora una considerazione sui play-off: AlenBoksic ha osservato prima di me il teorico impatto sulle ultime gare di campionato, riducendo il numero delle formazioni senza più obiettivi.
Il nocciolo della questione è quello ma, a mio modo di vedere, in un senso molto diverso: una formula così sconsideratamente gonfiata rappresenta, casomai, la resa incondizionata all’incapacità di garantire la regolarità del torneo.
E una resa del tutto inefficace, poiché lascia sul tavolo le vere motivazioni che spingono i club a non dannarsi per ottenere il massimo:
a) la pessima ibridazione col modello NBA. Formalmente, si lascia la parola al campo per promozioni e retrocessioni.
Di fatto, per i piani alti concorrono quanti hanno i mezzi e l’interesse al salto di categoria: gli altri si fanno da parte, e non saranno i play-off a 128 squadre a farli desistere
b) La mancata erogazione degli stipendi, cronicizzata nelle ultime stagioni, ha di fatto sostituito le scommesse agli emolumenti ufficiali come fonte di reddito per i giocatori.
Per quanto si cerchi di arginare il fenomeno, quale delle due fonti si rivela più sicura, remunerativa e puntuale nei pagamenti?
c) L’inserimento della criminalità organizzata, nel giro delle scommesse e nel calcio minore in generale, ormai stabile e difficilmente reversibile finché il gioco varrà la candela
Aggiungendo, in merito al punto b), che una picconata violentissima è stata inferta con la sentenza sul Lanciano, punito in maniera assai blanda in rapporto all’accusa.
L’attaccante Manuel Turchi avrebbe, infatti, firmato la rinuncia agli stipendi di novembre-dicembre 2015, disinnescando la messa in mora e altre conseguenze per il club – di suo in difficoltà economiche – con una dichiarazione non veritiera.
Fuor di metafora: si sospetta che il giocatore abbia rinunciato a quanto gli spettava non su pressioni più o meno lecite, ipotesi già gravissima, ma ottenendo in cambio i soldi per altre vie meno “ufficiali”.
Al di là del suo particolare status – marito, oltre che dipendente, della presidentessa Valentina Maio – e degli inevitabili accostamenti con
L’allenatore nel pallone, i possibili sviluppi sono chiari quanto inquietanti.
Una società non è in grado di corrispondere gli ingaggi? Sana l’irregolarità, che la porterebbe all’esclusione dal campionato di competenza, grazie a liberatorie mendaci.
E se paga lo fa in nero, risparmiando tasse equivalenti allo stipendio stesso.
Sin qui, uno fra i pochi meriti del calcio a livello dirigenziale era proprio la regolarità nel contribuire all’Erario: se i club capiscono l’antifona, buona fortuna.