www.corrieredellosport.itdi Marco Ercole
L’italianizzazione dei biancocelesti si è vista con l’Udinese: ce ne erano 7 in campo, non accadeva da 12 anni ROMA - C'è stata una svolta azzurra nella Lazio da qualche anno a questa parte. Un processo di “italianizzazione” della rosa avviato con la gestione Inzaghi e intensificato in modo capillare con l’approdo di Sarri sulla panchina biancoceleste. E domenica, nella sfida con l’Udinese, si sono visti gli effetti in modo più che evidente. Se nella gara precedente in Europa League si era notata una squadra spagnoleggiante, con 4 calciatori iberici nell’undici titolare, in quella successiva all’Olimpico contro i bianconeri c’erano ben 7 italiani nella formazione di partenza.
12 anni
Provedel in porta, Lazzari, Casale e Romagnoli in difesa, Cataldi a centrocampo, Immobile e Zaccagni in attacco. Una sorta di record, perché l’ultima volta che erano stati registrati numeri simili correva l’anno 2010, curiosamente in un’altra partita con l’Udinese (ultima giornata di quel campionato) con Reja in panchina: all’epoca furono Berni, Biava, Siviglia, Brocchi, Del Nero, Rocchi e Floccari i “Magnifici 7” a portare il tricolore, cui va aggiunto pure Ledesma, già all’epoca con passaporto italiano e qualche mese dopo convocato in Nazionale da oriundo (al suo posto tra l’altro entrò poi Baronio, altro italiano). Ecco, dodici anni dopo si è vista un’alta Lazio versione azzurra, segno palese di un progetto portato avanti dal club per aiutare anche il lavoro dei propri allenatori. Se da una parte l’idea estiva - sottolineata domenica da Sarri - era quella di ringiovanire la rosa, dall’altra c’era la volontà di farlo affidando al proprio tecnico calciatori del nostro Paese, più facilmente inseribili nell’organico e al tempo stesso negli schemi.
Adattamento
A differenza di molte delle scommesse arrivate dall’estero viste nell’ultimo decennio, gli acquisti italiani necessitano di meno tempo per integrarsi e offrire un rendimento di livello, creano gruppo e senso di appartenenza, dando corpo a un processo di rifondazione. Di esempi in questa stagione ce ne sono parecchi. A partire dal portiere, Provedel, che dopo 5 minuti di campionato ha sorpassato nelle gerarchie Luis Maximiano, pagato molto di più ma per ovvi motivi meno pronto dell’ex Spezia ai ritmi e alle dinamiche della Serie A. E lo stesso discorso vale ad esempio per Cataldi, dato in partenza per alternativa del brasiliano Marcos Antonio, però ad oggi ancora considerato titolare nel ruolo di regista (con un ottimo rendimento) da mister Sarri. Poi, c’è Casale, che dopo qualche difficoltà iniziale ha recuperato la forma fisica ottimale e sta cominciando a giocare con continuità, sfoderando buone prestazioni.
Svolta
L’unico che ancora non è riuscito a confermare questa teoria è Matteo Cancellieri, che dalla sua parte ha l’impiego in un ruolo non suo al quale sta cercando di adattarsi e la giovane età (ha ancora vent’anni). A parziale compensazione però c’è Vecino, che seppur uruguaiano dà in un certo senso valore a questa analisi, dal momento che i suoi ultimi 8 anni li ha vissuti in Italia tra Fiorentina, Cagliari, Empoli e Inter. E proprio questo curriculum (oltre alla precedente esperienza con Sarri in Toscana) gli ha consentito di scalare subito le gerarchie e piazzarsi davanti a un concorrente come Basic (a Roma già dall’estate 2021), per il quale lo stesso allenatore ha speso più volte parole di apprezzamento, ma anche in molti casi a Luis Alberto, che comunque sta dando il suo contributo entrando spesso a gara in corso. L’esperienza nel Belpaese conta, insomma, ed è per questo che la società ha deciso di modificare la sua precedente strategia. Meno scommesse dall’estero e più certezze dall’Italia. Una svolta che sta rendendo la Lazio sempre più azzurra, oltre che più giovane.