Autore Topic: Relativismo al prenestino  (Letto 4107 volte)

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Offline fish_mark

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Relativismo al prenestino
« : Mercoledì 11 Novembre 2015, 11:12:44 »
Stamattina procedo come sempre verso l’ufficio mio avvolto nei miei pensieri. Ascolto la rassegna stampa di radio radicale, il mio caffè mattutino, tra le polemiche della politica e le prospettive di imminente ricchezza prodotte dall’alleggerimento fiscale contenute nella legge di stabilità. Intanto compare sul mio smartphone un messaggio di un amico laziale che mi pone l’interrogativo angoscioso (e irresolubile per certi versi) della posizione di Keita sul 4231 di mister Pioli. Sono domande a cui è difficile rispondere così, sic et simpliciter.

Insomma, con la mente affaticata da questi pensieri, fermo al semaforo in attesa di un verde che dia un rilancio anche simbolico al mio futuro prossimo, il mio sguardo si posa sul marciapiede di una piazzetta dove procede solitaria una donna di evidenti origini orientali. La donna è avvolta in un abito con i colori molto accesi, dal rosa all’arancio, non bruttissimo, che la copre completamente, lasciandole soltanto una fessura per gli occhi. Potrebbe sembrare un burqa, ma manca la griglia al posto della fessura, in ogni caso la donna non si può vedere in volto. Rimango sorpreso per una immagine così estrema a cui non ero ancora abituato, soprattutto nel mio quartiere. Mentre la seguo attraversare la strada la vedo incrociare un’altra donna anche lei avvolta in uno scialle color crema che le copre completamente la testa anche se si vede chiaramente il viso, ovviamente orientale. Tutto questo nel mezzo di un gruppo di persone, uomini e donne, occidentali e italiani. Una immagine che non mi ha lasciato indifferente tanto è vero che mi ha spinto ad aprire questa riflessione con chi lo vorrà.

Sono di sinistra, anche internazionalista, mi è sempre piaciuto e mi ha sempre emozionato l’incontro con un’altra persona proveniente da mondi vicini e lontani, comunque diversi dal mio, perché sono convinto e lo sarò per sempre che è un occasione di scambio e di arricchimento, mio personale come suo. Tuttavia, da sinistra e con il mio spiriti progressista, vocato al cambiamento, cresciuto in un paese di forti tradizioni cattoliche ma che ha vissuto le battaglie civili per la liberazione della donna, dal divorzio all’aborto, come anche le rivoluzioni del costume – la liberazione sessuale su tutte -, questa scena non mi può lasciare indifferente. Faccio fatica ad accettare tutto questo in nome del relativismo culturale. Non so se posso accettarlo: anzi, forse no, non voglio accettarlo. Non sto qui ad invocare leggi che impongano certi costumi, aborro la prospettiva di vedere un vigile urbano intimare l’alt a una pakistana imponendogli di scoprirsi il capo. Mi basta sapere che il nostro paese, con la sua tradizione millenaria di civiltà e di accoglienza, saprà “emendare” questa condizione di donna, sicuramente minoritaria e deteriore, semplicemente vivendo qui da noi e con noi.

un uomo di una certà mi offriva sempre olio canforato, spero che ritorni presto l'era del cinghiale biancoazzurro
STURM UND DRANG
Ganhar ou perder, mas sempre com democracia

Offline disabitato

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #1 : Mercoledì 11 Novembre 2015, 18:36:31 »
Post troppo lungo. Una sintesi?
DISCLAIMER: durante la scrittura di questo post non è stata offesa, ferita o maltrattata nessuna categoria di utenti o nessun utente in particolare. Ogni giudizio su persone, cose o utenti rimane nella mente dello scrivente e per questo non perseguibile.

CP 4.0

Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #2 : Mercoledì 11 Novembre 2015, 18:42:18 »
Post troppo lungo. Una sintesi?

poi sempre cambia' canale(forum) ;)

Offline DinoRaggio

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #3 : Mercoledì 11 Novembre 2015, 19:25:59 »
La questione è se la donna vuole scoprirsi il capo. Mi sembra che le seconde (terze, ecc.) generazioni di donne musulmane immigrate, quelle che crescono frequentando anche amici italiani, siano più propense ad abbandonare i costumi tradizionali, e qui per costumi intendo non solo l'abbigliamento. Il richiamo dell'Occidente, forte già nei Paesi musulmani, nell'Occidente stesso diviene quasi irresistibile, provocando la reazione degl'immigrati di prima generazione, quelli ancora attaccati ai costumi tradizionali, reazione che va dallo stupore alla violenza, in alcuni casi.

E' poi giusto (per quanto comprensibilissimo, dal nostro punto di vista occidentale) questo tuo desiderio di "emendare" una condizione che una donna musulmana potrebbe considerare "normale"? Come quelle nuotatrici musulmane che hanno una specie di pigiama come costume, qualcosa che a noi pare bizzarro (per usare un eufemismo) ma che a loro forse sta bene così.

 
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

Offline Frusta

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #4 : Mercoledì 11 Novembre 2015, 23:25:29 »
La questione è se la donna vuole scoprirsi il capo. Mi sembra che le seconde (terze, ecc.) generazioni di donne musulmane immigrate, quelle che crescono frequentando anche amici italiani, siano più propense ad abbandonare i costumi tradizionali, e qui per costumi intendo non solo l'abbigliamento. Il richiamo dell'Occidente, forte già nei Paesi musulmani, nell'Occidente stesso diviene quasi irresistibile, provocando la reazione degl'immigrati di prima generazione, quelli ancora attaccati ai costumi tradizionali, reazione che va dallo stupore alla violenza, in alcuni casi.

E' poi giusto (per quanto comprensibilissimo, dal nostro punto di vista occidentale) questo tuo desiderio di "emendare" una condizione che una donna musulmana potrebbe considerare "normale"? Come quelle nuotatrici musulmane che hanno una specie di pigiama come costume, qualcosa che a noi pare bizzarro (per usare un eufemismo) ma che a loro forse sta bene così.

In realtà le cose non procedono come noi occidentali siamo portati a credere: la donna musulmana non ha alcun problema a togliersi il velo in un contesto dove nessuna donna musulmana porta il velo, ma si sente terribilmente in colpa se deve vivere fra altre donne musulmane che lo indossano.

Questo è l'esempio più noto.
Università del Cairo:




E non sempre, in contesti "laici" è la leva religiosa a far si che un certo numero di ragazze indossino il velo.
In Germania si sta discutendo se vietare come in Francia l'uso del velo, e lo si sta facendo per un motivo prettamente "tedesco". 
Succede che ragazze di seconda o terza generazione che fino a qualche anno fa se ne sarebbero fregate al cubo di indossare il velo, all'improvviso vanno in giro velate "contagiando" le loro correligionarie coetanee in cambio di una piccola somma, diciamo 100 euro mensili, che verrebbe loro versata da una qualsiasi delle tante “associazioni culturali musulmane” finanziate, insieme alla costruzione delle moschee, dai petrodollari delle charity islamiche.
Il motivo prettamente "tedesco" consiste nel fatto che, tecnicamente, in Germania è un crimine, ovvero evasione fiscale. Chi fa questo sta esercitando una professione nel campo della pubblicità, venendo pagato in nero. Inoltre viola le regole sul lavoro minorile e quelle sulle classi fiscali.
Se pensiamo che con 100 euro spesi per far portare il velo a una decina di ragazze in una scuola superiore, si può ottenere che tutte le ragazze di origini islamiche della scuola si sentano spinte a metterlo, si può arrivare all'islamizzazione estetica di un intero quartiere-ghetto (in Italia ancora non ce ne sono ma in Inghilterra, Francia e Germania si) semplicemente pagandone un centinaio.
Il fenomeno è stato collaudato in Turchia, dove fino a qualche anno fa il velo era caduto praticamente in disuso e dove si sta assistendo una epidemia di hijab semplicemente perché è bastato pagare un certo numero di ragazze per indossarlo. E questa è stata una delle strategie di Erdogan, che ha anche finanziato quel giochino pseudo-identitario per riportare l’islam nell’arena politica.
Poi, qui da noi, possiamo anche parlare di battaglie civili, liberazione della donna eccetera, ma si tratta di discorsi ai quali il mondo musulmano è assolutamente refrattario.
Molto di più potrebbe far breccia in quel mondo quello che noi, per "cultura", siamo portati a rifiutare, e cioè una sciacquetta in minigonna che facesse proselitismo fra le sue coetanee; ma questo, a quanto pare, lo hanno capito molto meglio di noi. Ed è un pericolo che stanno neutralizzando con la massima cura.

Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Skorpius

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #5 : Giovedì 12 Novembre 2015, 09:09:45 »
Il sistema tedesco sarebbe vietare di portare il velo per presunta evasione fiscale? Una strozzata del genere nella patria del diritto moderno non ce la vedo
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline Er Matador

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #6 : Giovedì 12 Novembre 2015, 09:57:49 »
La questione è se la donna vuole scoprirsi il capo. Mi sembra che le seconde (terze, ecc.) generazioni di donne musulmane immigrate, quelle che crescono frequentando anche amici italiani, siano più propense ad abbandonare i costumi tradizionali, e qui per costumi intendo non solo l'abbigliamento. Il richiamo dell'Occidente, forte già nei Paesi musulmani, nell'Occidente stesso diviene quasi irresistibile, provocando la reazione degl'immigrati di prima generazione, quelli ancora attaccati ai costumi tradizionali, reazione che va dallo stupore alla violenza, in alcuni casi.

E' poi giusto (per quanto comprensibilissimo, dal nostro punto di vista occidentale) questo tuo desiderio di "emendare" una condizione che una donna musulmana potrebbe considerare "normale"? Come quelle nuotatrici musulmane che hanno una specie di pigiama come costume, qualcosa che a noi pare bizzarro (per usare un eufemismo) ma che a loro forse sta bene così.
Parto dal secondo punto: dove si trovano le donne in questione?
Se la risposta è “a casa loro”, sono il primo a difenderne il diritto di coltivare tradizioni per noi bizzarre o peggio.
Anche nel caso in cui tali usanze rappresentino un fattore di oppressione e coercizione, la exit strategy più sensata passa per un'evoluzione interna alla loro società, senza maestrini di democrazia e pareri non richiesti a complicare la situazione.
Se la risposta è “a casa nostra”, il discorso cambia completamente.
Intanto per una questione giurisdizionale: senza perdersi in astratte considerazioni sulla superiorità dell'una o dell'altra cultura, è semplicemente ovvio che la nostra goda di una certa “centralità” da noi come la loro nel Paese d'origine.
In secondo luogo perché chi vive in uno Stato diverso dal proprio è tenuto a rispettarne i principi di base: se la legge vigente ritiene a torto o a ragione che circolare a volto coperto vada proibito per ragioni di sicurezza, di fronte a questa considerazione un certo abbigliamento e la cultura che lo ispira devono passare in secondo piano.
Occorre, inoltre, valutare la reale consistenza del concetto di scelta individuale applicato a retroterra culturali in cui sia la nozione di individualismo (opposto all'appartenenza al gruppo come base dell'identità personale) e di scelta (in opposizione a quelli di dovere, appartenenza, sottomissione ecc.) sono assai evanescenti.
Ammettiamo che alle donne venga concesso di indossare o meno il velo, come sarebbe sacrosanto in termini puramente teorici: quante di loro potrebbero scegliere in maniera davvero libera?
E quante, invece, porterebbero l'hijab o chi per esso perché costrette a vario titolo da familiari o autorità religiose?
Nel momento in cui il concetto di scelta individuale appare così incerto e fragile, imporre la proibizione del velo – in sé un'intrusione nella sfera personale, non lo nego – rappresenta il male minore, un modo per difendere donne che vivono nel nostro Paese da coercizioni ben più pressanti e strisciante neo-schiavismo.

Sul primo punto ho una percezione diversa delle dinamiche relative a tale fenomeno: mi sembra che il velo emerga soprattutto come istanza identitaria di recupero, quindi non nelle prime generazioni quanto in quelle successive.
Mettiamoci per un attimo nei panni di una ragazza nata – o arrivata ancora bambina – in un Paese europeo da genitori musulmani.
Se la famiglia tenta di anteporre le tradizioni avite alla realtà circostante, la mette di fronte a un bivio.
Da una parte una cultura repressiva e piena di proibizioni; dall'altra una che la adesca con la prospettiva, in parte ingannevole, di poter fare quello che vuole, di avere diritto a tutto e, naturalmente, di vivere come le coetanee italiane: cosa sceglierà?
Il problema si pone nelle generazioni successive, quando il mondo oppressivo e ginecofobo delle origini è ormai lontano, trasfigurato dal ricordo e da connotazioni affettive.
Un luogo immaginario che diventa ancor più attraente in presenza di difficoltà socio-economiche non necessariamente legate a problemi di razzismo e integrazione, ma alle quali un altrove di quel tipo offre una via d'uscita mentale.
Atteggiamento per certi versi simile a quello di chi rimpiange le cose “di una volta”, magari con ragioni valide nello specifico, ma senza percepire la realtà materiale di quei tempi.
Atteggiamento che segue un percorso ormai consueto: quando si è perso contatto con una visione del mondo come fenomeno culturale vivo e spontaneo, se ne recuperano in maniera feticistica alcuni aspetti macroscopici.
Che per solito assumono una connotazione privativa – il rinunciare unilateralmente ad alcuni diritti, ad esempio – e si concentrano ossessivamente, con una sconsolante dimostrazione di stupidità umana, sulla donna, sul suo corpo, sul suo abbigliamento.
C'è una componente di sconfitta del nostro modello di sviluppo se chi è entrato a farne parte, una volta svanito l'effetto anestetico del benessere da conquistare, avverte immediatamente l'esigenza di colmare dei vuoti interiori.
Senza prendere il largo in un mare magnum ingestibile, mi limito ad accennare un'ipotesi.
Che il “vietato vietare”, contraddicendo le proprie radici ideologiche, si sia risolto in una concezione iperliberista e fondamentalmente elitaria.
La quale non si è limitata a ritagliare spazi di tolleranza rispetto al modello vigente, come sarebbe sacrosanto, ma ha tolto qualsiasi modello e autorità a cui fare riferimento, anche solo per ribellarsi ad essi.
Non rimane che costruirsene altri in proprio, quasi da zero: ma quanti dispongono della cultura e della consapevolezza per affrontare una simile prospettiva?
Quanti sono pronti a caricarsi sulle spalle un simile peso, che rende pienamente responsabili delle proprie scelte chiudendo a priori vie di fuga comodamente autoconsolatorie del tipo a me m'ha rovinato 'a guèra?
Una ristretta élite, appunto, lasciando il resto del mondo senza una rete di protezione in tal senso e, in ultima analisi, senza un'identità.
Da qui l'esigenza di rivolgersi in maniera illusoria, compensativa e pericolosamente velleitaria a riferimenti culturali dalla connotazione veritativa e autoritativa.
Discorso che, s'intende, non vale solo per i musulmani.

Fin qui alcuni aspetti psicologici e sociologici, che non contraddicono ma anzi si intersecano con le più concrete ed eccellenti spiegazioni portate da Frusta.
Ribadita la suicida assurdità di tenersi un alleato come l'untore wahabita, che sta smantellando metodicamente i patrimoni di complessità, ibridazione e tolleranza sedimentati dalle varie tradizioni islamiche nel corso dei secoli, mi soffermo sull'unica osservazione che non mi trova d'accordo

Molto di più potrebbe far breccia in quel mondo quello che noi, per "cultura", siamo portati a rifiutare, e cioè una sciacquetta in minigonna che facesse proselitismo fra le sue coetanee

Siamo portati a rifiutare? Ma se quasi tutto l'immaginario collettivo “moderno” è stato plasmato ed eterodiretto con quelle tecniche!
Prendiamo un dato apparentemente spontaneo quale il fumo come simbolo dell'emancipazione femminile: così condiviso da trovare puntuali repliche, dopo essere transitato da noi negli scorsi decenni, laddove il percorso compiuto dalle donne è ancora all'inizio.
La sua nascita ha persino una data precisa: il 1929. Anno in cui Edward Bernays, nipote di Freud nonché figura fondante di concetti come spin-doctor e manipolazione delle masse,  organizzò a New York la fiaccolata della “Brigata delle Libertà”.
Decine di ragazze belle, fieramente libere e ribelli, cariche di ogni significato positivo in grado di intercettare l'emotività sotterranea e le istanze di cambiamento più o meno sommerse, sfilarono con la sigaretta in bocca.
Esibendo sfacciatamente, come un trofeo, una conquista, quello che allora era considerato un privilegio maschile.
Il risalto dato all'evento dalla stampa, ovviamente preavvertita, sortì l'effetto e l'impatto emotivo sperati.
Un seme di morte era stato innestato nell'immaginario collettivo, con l'ulteriore effetto collaterale di orientare l'emancipazione femminile verso una mera emulazione di difetti tipicamente maschili: e il tutto in maniera assolutamente inconscia per i destinatari del messaggio.
La campagna sarebbe proseguita a colpi di cinema e di divi o dive avvolti in quel fumo azzurrino, ma il più era fatto e nessuno ricordava come fosse cominciato.
Ah, il committente di questo gentiluomo era la “American Tobacco Company”…

Il tuo discorso, se non ho capito male, contiene un sottinteso invito a vincere le proprie resistenze e a imparare dai nemico per sfidarlo sul suo terreno.
Laddove sono loro ad aver imparato da noi, e non solo in questo caso.
In Ciad, qualche anno fa, si diffusero tramite le consuete fonti di finanziamento delle sedicenti scuole islamiche gestite da sacerdoti-maestri, i marabù: inutile spiegare che tipo di insegnamento venisse fornito là dentro, e con quali mezzi di costrizione.
Tale iniziativa andava ovviamente a riempire alcune delle voragini socio-economiche del Paese, che non offriva molte alternative in materia di istruzione, ma a colpire la fantasia delle popolazioni locali furono le moschee in muratura.
Costruzioni seriali e sprovviste del benché minimo pregio estetico, quanto simbolo di benessere e progresso per chi sin lì aveva conosciuto solo capanne di fango.
Le logiche di base del consumismo, insieme alla globalizzazione - intesa come concetto e come modello - il missile a testata sporchissima su cui viaggia il contagio wahabita.
Ai cui fautori si può rimproverare tutto, ma non di essere stati i primi a cominciare con certi giochetti…

ma questo, a quanto pare, lo hanno capito molto meglio di noi. Ed è un pericolo che stanno neutralizzando con la massima cura
Altra osservazione assai significativa: possibile che il Male, o quello che definiamo così, sia sempre più acuto e reattivo del Bene di turno nel cogliere l'importanza e il valore strategico di simili “dettagli”?

CP 4.0

Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #7 : Giovedì 12 Novembre 2015, 10:29:11 »
Il sistema tedesco sarebbe vietare di portare il velo per presunta evasione fiscale? Una strozzata del genere nella patria del diritto moderno non ce la vedo

http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-31867732 ;)

Germany court ends ban on Islamic headscarves for teachers

13 March 2015

...
Altra osservazione assai significativa: possibile che il Male, o quello che definiamo così, sia sempre più acuto e reattivo del Bene di turno nel cogliere l'importanza e il valore strategico di simili “dettagli”?

se l'uomo non e' poi cosi capace di bonta' come ce lo dipingiamo, non mi pare tanto impossibile che il Male ne sappia sempre una piu' del Diavolo Bene.

Offline AlenBoksic

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #8 : Giovedì 12 Novembre 2015, 11:00:32 »
 rappresenta il male minore, un modo per difendere donne che vivono nel nostro Paese da coercizioni ben più pressanti e strisciante neo-schiavismo.

Scusami Mata se estrapolo questa frase dal tuo mirabile ragionamento,
ma mi capita a proposito per lanciare una provocazione:
ma siamo sicuri che le coercizioni pressanti e lo strisciante neo-schiavismo non siano anche nei canoni femminili attualmente vigenti e imperanti nel nostro paese come altrove?
Voglio 11 Scaloni

Offline Frusta

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #9 : Giovedì 12 Novembre 2015, 12:12:08 »

Citazione da: Frusta - Ieri alle 23:25:29

    Molto di più potrebbe far breccia in quel mondo quello che noi, per "cultura", siamo portati a rifiutare, e cioè una sciacquetta in minigonna che facesse proselitismo fra le sue coetanee


Siamo portati a rifiutare? Ma se quasi tutto l'immaginario collettivo “moderno” è stato plasmato ed eterodiretto con quelle tecniche!
Siamo portati a rifiutare? Ma se quasi tutto l'immaginario collettivo “moderno” è stato plasmato ed eterodiretto con quelle tecniche!
...ma siamo sicuri che le coercizioni pressanti e lo strisciante neo-schiavismo non siano anche nei canoni femminili attualmente vigenti e imperanti nel nostro paese come altrove?
Vedi Mata perché avevo scritto "cultura" fra virgolette?
AB è intervenuto considerando il fatto esattamente da quella prospettiva e quindi rifiutando quel modello.
Ed infatti è verissimo, secondo il nostro concetto di civiltà, che vi sono (dappertutto, basta considerare quello che genericamente definiamo "moda") delle forme striscianti di coercizione, ma è pur paradossalmente vero che è proprio quella l'unica arma capace di ostacolare il tipo di schiavismo rappresentato da una sedicenne che viene (con le buone o con le cattive non importa) indotta ad andare in giro imbacuccata.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline BobLovati

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #10 : Venerdì 13 Novembre 2015, 17:22:59 »
quello che sembra ragionevole è che abbiano il viso scoperto; per mille motivi ma, soprattutto, per rispetto verso le usanze e costumi del paese che ti ospita.

Ho vissuto moltissimi anni all´estero e mi sono fatto un dovere di imparare la lingua come e, se ci fossi riuscito, meglio dei locali. Ho rispettato le loro tradizioni e costumi, non rinnegando mai i miei e cercando di evitare ove fossero in contrasto.
Uno dei proverbi che spiegano la situazione è " adonde fueras haz lo que vieras (dove vai, fai quello che vedi fare) ".

Il fatto è che molte volte l´immigrato proviene da paesi con abitudini e tradizioni lontanissime dalle nostre e, soprattutto, quasi sempre in condizioni culturali molto arretrate.

Gli italiani che emigrarono in Sudamerica sono sempre stati presi in giro perché parlavano male il castigliano e/o il portoghese; quelli emigrati negli USA, per fuggire dal ghetto in cui venivano economicamente confinati, vietarono in moltissimi casi ai loro figli di parlare in italiano e/o nel dialetto d´origine. Imparare la nuova lingua era l´unico mezzo per riuscirci.

La situazione nell´Italia attuale è diversa; quasi tutti gli immigrati vivono nell´ambito delle loro comunità d´origine, uscendone quasi esclusivamente per lavorare. E moltissimi di loro sognano e sperano di tornare nella terra d´origine appena possibile; secondo me, un errore madornale perché spesso accade che non ci tornino più.

Vedremo come progrediranno, se capiranno l´antifona; basta pensare che Joe Petrosino migliorò i rapporti con i locali creando un gruppo di poliziotti italo-americani per controllare Little Italy, ancora oggi la più popolosa città italiana
Laziale, Ducatista e fiumarolo

Siamo noi fortunati ad essere della Lazio, non la Lazio ad avere noi

“LA MOGLIE DI CESARE DEVE NON SOLO ESSERE ONESTA, MA ANCHE SEMBRARE ONESTA.”

Offline DinoRaggio

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #11 : Venerdì 13 Novembre 2015, 18:40:43 »
Parto dal secondo punto: dove si trovano le donne in questione?
Se la risposta è “a casa loro”, sono il primo a difenderne il diritto di coltivare
Se la risposta è “a casa nostra”, il discorso cambia completamente.
Diciamo "in campo neutro", mi riferivo alle gare internazionali di nuoto dove le nuotatrici musulmane divengono una sorta di attrazione circense proprio per il loro abbigliamento da gara, qualcosa che nel loro paese suscita (credo) molto meno clamore.

Sul velo, credo che in Italia ci sia ancora una legge (varata negli anni di piombo) che proibisca l'uso di indumenti (e affini) che coprano e/o nascondano i lineamenti del volto e quindi l'identità di chi li porta. Direi dunque che in Italia ci si dovrebbe adeguare alle leggi italiane, che proibiscono il velo non per andare contro la religione musulmana ma per motivi di sicurezza, legge che può essere un retaggio di un passato violento, ma che è ancora in vigore e va quindi rispettata.   

Sulle foto di Frusta, direi che un passaggio obbligato per comprendere la differenza fra la foto del 1978 e quella del 1995 è la rivoluzione religiosa in uno dei maggiori Stati musulmani, cioè l'Iran. Non so in che condizioni era la Persia dello Scià alla vigilia della Rivoluzione del 1979, ma credo che l'ascesa di Khomeini fu un fatto abbastanza appoggiato dalla popolazione di quello Stato, forse una crisi di rigetto verso valori "occidentali".
E ra gisumin all'ùart!

La serie A è un torneo di limpidezza cristallina, gli arbitri non hanno alcunché contro la Lazio e si distingueranno per l'assoluta imparzialità, non ci saranno trattamenti di favore o a sfavore nei confronti di alcuno. Sarà un torneo di una regolarità esemplare. (19-8-2016)

Offline Er Matador

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #12 : Sabato 14 Novembre 2015, 01:20:57 »
Diciamo "in campo neutro", mi riferivo alle gare internazionali di nuoto dove le nuotatrici musulmane divengono una sorta di attrazione circense proprio per il loro abbigliamento da gara, qualcosa che nel loro paese suscita (credo) molto meno clamore.
Ah, perfetto.
Credo che anche in questo caso valgano dei criteri, sia pure estranei a questioni politico-culturali qui decisamente accessorie: vale a dire che scelte del genere non influiscano sulle prestazioni.
Se ad esempio si scoprisse che quel tipo di abbigliamento scivola più facilmente nell'acqua, facendo guadagnare preziosi centesimi di secondo, saremmo di fronte a una palese irregolarità.
Probabile che accada l'esatto contrario: e questo non significa comunque falsare, almeno in parte, la graduatoria finale?

Sulle foto di Frusta, direi che un passaggio obbligato per comprendere la differenza fra la foto del 1978 e quella del 1995 è la rivoluzione religiosa in uno dei maggiori Stati musulmani, cioè l'Iran. Non so in che condizioni era la Persia dello Scià alla vigilia della Rivoluzione del 1979, ma credo che l'ascesa di Khomeini fu un fatto abbastanza appoggiato dalla popolazione di quello Stato, forse una crisi di rigetto verso valori "occidentali".
La correlazione col rifiuto dei valori occidentali è sicuramente corretta in molti contesti arabo-islamici, mentre trovo meno plausibile quella con la vicenda iraniana.
Che risente, forse, di un concetto imperante negli anni ad essa immediatamente successivi: il contagio della Rivoluzione islamica, contro il quale Saddam si trasformò nel migliore amico dell'uomo.
Quanto ci fosse di vero in quell'allarme lo si vide proprio in occasione del conflitto con l'Iraq che battezzò nel sangue la Repubblica Islamica.
Se davvero la detronizzazione dello Scià fosse stata in grado di innescare un effetto domino, si sarebbe assistito quantomeno a una spaccatura nel fronte arabo.
Che invece si schierò in blocco col raìs di Bagdad, lasciando il solo Israele a tenere aperto - sia pure di nascosto - un canale diplomatico con Teheran.
Segno di come i timori di un'islamizzazione a catena costituissero un argomentazione di facciata, al riparo della quale l'isolamento dell'Iran mirava a prevenire un altro contagio: quello scatenato dalla dimostrazione che un Paese, per giunta petrolifero, poteva scrollarsi di dosso con le proprie forze la tutela a stelle e strisce.
Questo senza considerare un altro fattore: che Khomeini e i suoi successori vengono riconosciuti come Guida spirituale non dai musulmani tout court, ma dagli sciiti.
Il che li rende l'Islam radicale sunnita non in continuità, ma in aperta conflittualità nei loro confronti: prova ne siano, fra l'altro, i pessimi rapporti intrattenuti da Teheran con Talebani, Isis e Arabia Saudita.
Passando alla situazione nella Persia dello Scià prima del 1979, il termine di confronto più verosimile è rappresentato dalla Cuba di Batista: un benessere pacchiano e oltraggioso, concentrato presso una ristrettissima élite con sede nella Capitale.
Uscendo da quest'ultima si cambiava Paese e secolo, sprofondando in un abisso di miseria, di assenza di scuole e servizi, di mortalità per le cause più banali non lontana da quella dell'odierno Afghanistan: ovvio che un termine un confronto sempre più sfacciato, quale lo sfarzo esibito negli anni '70, abbia contribuito ad esasperare definitivamente gli animi.
L'altro fattore degenerativo è costituito dalla Savak, la Polizia segreta che esautorò gradualmente il burattino della CIA per instaurare un regime di terrore fuori controllo.
I motivi conduttori della Rivoluzione furono di conseguenza due: una forte istanza nazionalista, o per meglio dire sovranista; la reazione non tanto politica, quanto dettata dall'umana esasperazione, a una pressione psicologica e poliziesca ormai insostenibile.
E la religione? Vero che il consenso popolare si orientò in massa verso la Repubblica Islamica, nonostante non mancassero le alternative: ma lì incisero soprattutto il carisma personale di Khomeini e il rischio di compromessi con le Potenze straniere, contro i quali esponenti più moderati non fornivano garanzie altrettanto solide.
Gli stessi discorsi iniziali dell'Ayatollah vertevano soprattutto sulla necessità di difendere le risorse nazionali dallo sfruttamento a opera di terzi: la morale islamica e tutto il resto vennero imposti in seguito, sfruttando un consenso conquistato con tutt'altri argomenti.
Non parlerei quindi di rigetto dei valori occidentali: anche perché, date le miserrime condizioni di vita, la maggior parte della popolazione non aveva avuto occasione di sperimentarli.

Offline Monsieur Opale

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #13 : Mercoledì 26 Ottobre 2016, 08:24:41 »
non è il Prenestino....

https://www.left.it/2016/10/26/e-invece-noi-li-avevamo-accolti-quelli-di-goro/

Chissà cosa ne pensano i nonni di questi nipoti scapestrati che a ieri Goro (e Gorino) si sono barricati cacciando un manipolo di donne e bambini rifugiati mentre loro stavano  travestiti da gladiatori rendendosi patetici agli occhi dei una nazione intera. Chissà se loro, i nonni di Goro, gliel’hanno mai raccontato che il 12 novembre del 1958 all’una e venti l’argine della marina davanti a Ca’ Romanina cedette invadendo il Bonello appena bonificato e al mattino tutto il paese si trovò sommerso dall’acqua.

Chissà se questi trecento vigliacchi che si sono schierati per rimbalzare una decina di madri con i loro figli scampate alla guerra hanno ascoltato gli anziani del paese raccontargli che al tempo gli abitanti di Goro trovarono ristoro nella solidarietà di tutti gli altri, dopo l’alluvione. Chissà se gli hanno raccontato che quando i goranti nel 1958 hanno chiesto un rifugio hanno trovato tutte le porte aperte: niente inumani dementi o cataste di bancali quella volta.

Chissà perché quando la storia si ripete c’è sempre qualcuno che non se ne ricorda e solitamente è anche lo stesso che sbava rabbia, sventola false verità e vorrebbe legittimare i suoi istinti più bassi. Il contrappasso di quei 300 sarebbe tornare in classe a scuola degli anziani del loro paese per imparare che la solidarietà a volte è l’unica salvezza possibile quando troppe nubi si addensano. Quella stessa solidarietà che loro hanno tradito insieme alla dignità di un Paese intero che si vergogna per loro.

Loro vi diranno, vedrete, che lì nel 1958 però si trattava di italiani, senza sapere che la distinzione tra nazionalità e razze è una codardia che appartiene solo a loro e che rischia comunque di ritorcersi contro. Perché se dovessimo stupidamente sezionare le caratteristiche comuni che tengono insieme un popolo in nome dei confini e delle divisioni beh, allora sono in molti a pensare di non essere della stessa razza e di non voler essere concittadini di quei 300 di Goro.

Buon mercoledì.

(p.s. che tristezza Renzi e Bersani che parlano di “stanchezza” e “comprensione”. Che tristezza)

Offline BobLovati

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #14 : Mercoledì 26 Ottobre 2016, 10:50:11 »
a Goro e Gorino debbono solo sperare che il Po non esondi più, altrimenti sarebbe complicato per loro chiedere aiuto.

Amici padani e leghisti esclusi, evidentemente 
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Offline Frusta

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #15 : Venerdì 28 Ottobre 2016, 17:21:52 »


Va bene tutto: l'accoglienza, la solidarietà, il rispetto dei diritti umani, la stigmatizzazione del razzismo che magari serpeggia fra molti degli abitanti di Gorino che hanno protestato contro l'arrivo dei profughi. Però ciò non toglie che requisire proprietà in mano a privati con queste modalità, proprio quando molti sinistrati radical chic non volevano accogliere i profughi vicino alle loro ville a Capalbio (il cui Sindaco ebbe a dire: "Bisogna accogliere, per carità. Ma queste sò ville. E di gran lusso"), è come buttare benzina sul fuoco.
Nel frattempo mentre noi in piccolo ringhiamo contro Gorino, Renzi e Gentiloni, in grande, ringhiano contro l'Ungheria e contro Orban.
Ovviamente fa figo accusare la qualunque di razzismo, ma potrebbero ringhiare anche contro qualcuno di molto più in alto, per esempio contro Juncker e il suo Lussemburgo, che dal 2011 'ndovinatempò quanti immigrati ha accolto? ZERO.
Ed ha chi ha osato farlo notare, stizzosamente è stato risposto "ma Lussemburgo è microscopicaaa"
Certo, ma se una frazione di quattro gatti come Gorino è OBBLIGATA ad ospitare migranti, altrimenti si becca palate di merda da tutte le direzioni, non vedo perché ne debba ospitare zero Lussemburgo con 550 mila abitanti.
Evidentemente in un paradiso fiscale i migranti stonano con la tappezzeria. Come a Capalbio. Mentre a Gorino, fra morti de fame, uno più uno meno...
Ergo meglio ringhiare su Orban e Gorino, non sia mai su chi comanda la giostra.

Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Monsieur Opale

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Re:Relativismo al prenestino
« Risposta #16 : Venerdì 28 Ottobre 2016, 19:45:14 »
...vabbè, tutto accettabile ma nel caso di Goro erano 12 donne e 8 bambini
per me si sono macchiati di eterna vergogna
basta leggere le testimonianze dirette, qualcuno inneggiava ad Hitler...
Insomma tutto giusto e tutto corretto a livello generale e più alto, ma li, a Goro, hanno fatto pena
Esiste il libero arbitrio, la ragione, il rispetto e tante altre cose che potevano esercitare

ps
anche a Capalbio hanno fatto schifo