Autore Topic: «Sogno di Vincere, penso in grande»  (Letto 778 volte)

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«Sogno di Vincere, penso in grande»
« : Venerdì 9 Ottobre 2015, 10:00:26 »
Corriere dello Sport
(link Video)
http://www.corrieredellosport.it/video/calcio/serie-a/lazio/2015/10/08-4788169/pioli_esclusivo_al_corriere_dello_sport-stadio/?cookieAccept



parte prima

PIOLI : «Sogno di Vincere, penso in grande»
 «E lo dico con tutto il cuore, vorrei riuscirci con la mia Lazio»


E’ il capitano coraggioso della Lazio. Dal concerto di Baglioni e Morandi, suo ex presidente al Bologna abbracciato due sere fa al Foro Italico, al progetto costruito con Lotito e Tare, ai sogni di allenatore venuto su dalla gavetta come il suo vice Murelli, sì quello che ai tempi dell’Avellino marcava Maradona, fedelissimo anche nell’attesa, trascorsa in modo discreto nello spogliatoio. Ieri pomeriggio, sbucati dal traffico di Roma, siamo entrati nel mondo di Stefano Pioli a Formello. Doppia seduta di allenamento appena conclusa, giornata intensa di lavoro, il solito sorriso, la passione del suo mestiere trasmessa parlandone con entusiasmo, chiarezza, anche prendendosi responsabilità e senza scappare dalle domande più scomode del nostro direttore, Alessandro Vocalelli, presente all’incontro. Cinquantuno minuti precisi di intervista, un’ora e passa compreso il backstage e la visita al suo ufficio, cinquant’anni da compiere il 20 ottobre e tanta Lazio da spiegare, partendo dal rimpianto per la Champions sfumata ai grandi obiettivi da inseguire adesso, in una stagione che pare appena ricominciata. E poi il fenomeno Guardiola, Higuain, gli esempi del Bayern Monaco, Maestrelli e l’inno della Lazio. Ha parlato di tutto o quasi, abbiamo percepito più volte il profondo amore per i colori biancocelesti e per i valori della lazialità, non a caso compresi perché prima di arrivare a Roma si era messo a studiare la storia del club che ora guida dalla panchina.
 
Come nasce Pioli alla Lazio? Chi o cosa ha suggerito il primo approccio per questa avventura?
 
«Credo che non siano mai gli allenatori a scegliere, ma noi allenatori veniamo scelti e chiamati in causa. Prima ho incontrato il ds Tare, ci fu un confronto nel suo ufficio sul tipo di gestione, sulla metodologia di lavoro, poi la sera stessa incontrai Lotito. Da lì è nato qualcosa di positivo. Ho avvertito stima, rispetto, fiducia».

Ha avuto subito la percezione che sarebbe stato l’allenatore della Lazio? E se sì, perché?

 
«Ho avuto subito delle sensazioni positive, ho dato fiducia a quello che mi aveva detto Lotito. “Stia tranquillo, sarà il nuovo allenatore della Lazio”. Ho aspettato il mio turno sapendo che la firma sarebbe arrivata più avanti, c’erano dei tempi stabiliti. Il presidente è stato di parola».
 
Quindici mesi dopo la dimensione della Lazio è quella che pensava o credeva di arrivare in un club con minori, maggiori o con queste aspirazioni?
 
«Sapevo e ho avuto la possibilità di lavorare con un club molto ben strutturato, dove si può fare bene, abbiamo tutto quello che è necessario per lavorare con professionalità, metodologie e strutture innovative. Sapevo di arrivare in un club importante, prestigioso. E’ una tappa importante per mia la crescita, un club dove si poteva essere ambiziosi ed è ciò che ho provato a fare sin dall’inizio per arrivare il più in alto possibile».

Qual è la dote che si riconosce come allenatore?

 
«Punto molto sui rapporti, sulla professionalità e sul cercare di far giocare bene la mia squadra».
 
Di alcuni allenatori si dice “quello ha un gran carattere” oppure di “grande personalità”. Di Pioli si dice “è una brava persona”. Lo vede come un pregio o un limite?
 
«Credo a volte si confonda l’educazione e il rispetto con la mancanza di personalità. E’ un errore. Credo di avere il carattere giusto, non serve fare dei proclami o dichiarazioni che possono piacere ai media e ai tifosi. Bisogna essere pronti a intervenire con la squadra e con i singoli giocatori. Puoi alzare la voce, ci sono dei momenti in cui si fa. Ci vogliono chiarezza, idee, rispetto, carattere, altrimenti non puoi gestire un gruppo con trenta persone».

E’ considerato nella categoria un ottimo allenatore. Cosa fa di un ottimo allenatore un grande allenatore? Qual è il salto di qualità per arrivare ai livelli dei Capello, dei Lippi, degli Ancelotti?

 
«I grandi allenatori sono considerati grandi quando cominciano a vincere qualcosa. Se voglio essere considerato grande anche io devo cominciare a vincere qualcosa. E’ quello che vorrei fare e con tutto il cuore vorrei riuscirci con la Lazio. Mi trovo molto bene qui. Sono contento, orgoglioso di essere l’allenatore della Lazio, di questi colori, di questi tifosi. Il sogno, l’obiettivo è vincere qualcosa, anche se ho detto in passato che si può essere vincenti mantenendo le aspettative per le quali vieni messo sotto contratto. Ho allenato squadre che dovevano salvarsi e tutte le volte che ho centrato l’obiettivo della salvezza penso di essere stato vincente. Ora ho una squadra con la quale credo di vincere qualcosa. Potevamo già farlo, non ci siamo riusciti, è stato un peccato. Una grande stagione come quella passata andava completata con una vittoria. E penso che la Coppa Italia avevamo dimostrato di poterla meritare. Purtroppo è sfuggita, ma voglio continuare a pensare in grande. Sono arrivato alla Lazio per darle soddisfazioni, voglio ottenere successi. Non sarà facile, ma so anche di avere una squadra all’altezza».
 
Vincere qualcosa che significa? La Coppa Italia o l’Europa League? E in campionato cosa significa vincere?
 
«Vincere significa vincere una competizione, qualunque essa sia. Sarebbe importante per il nostro lavoro, per quello che cerchiamo di costruire. La Coppa Italia o altro. Vogliamo provare a essere competitivi su tutti e tre i fronti. Il campionato lo vedono tutti equilibrato, ma è difficilissimo, i valori verranno fuori. Sulla carta ci sono squadre più forti e strutturate della Lazio, ma vogliamo giocarcela con tutte. Vorrei finire come abbiamo fatto l’anno scorso quando ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti di aver dato il massimo. Se riusciremo a dare il massimo, potremo giocarci le nostre carte in tutte e tre le competizioni».
 
In campionato ci sono sempre state delle gerarchie, ma quest’anno davvero possono vincerlo cinque o sei squadre?
 
«Penso sia troppo presto. I pronostici si cambiano facilmente da una settimana all’altra. Noi non siamo mai entrati nei pronostici, neanche all’ultima giornata dell’anno scorso nessuno pensava si arrivasse al terzo posto, invece ce l’abbiamo fatta. La classifica sarà giusta guardarla a febbraio, non prima. Gli equilibri ci sono, ci vuole poco tra vincere e perdere una partita. Le squadre forti ci sono e saranno loro ad arrivare nelle prime posizioni. Ma noi possiamo competere con queste squadre forti».
 
Il Napoli è da scudetto?
 
«Il Napoli era già una squadra forte anche l’anno scorso, come noi aveva mancato i preliminari. Ha grande qualità. Juve, Roma, Napoli e forse Inter hanno qualcosa in più delle altre. Poi ci siamo noi e la Fiorentina. C’è un lotto di squadre di alto livello».

Perché il Napoli, con tre punti in meno della Lazio e avendo già giocato lo scontro diretto in casa, può pensare allo scudetto e la Lazio no?

 
«Questo non lo dico io, lo dite voi, quando fate le interviste o chiedete i pronostici. Il Napoli ha ricevuto tantissimi voti dagli addetti ai lavori, la Lazio solo uno. Credo nella mia squadra, ma credo anche ci siano dei valori da rispettare. Dobbiamo giocare ogni partita con l’assoluta convinzione di poterla vincere».
 
Juve e Lazio, con tanti infortuni, sono quelle che possono migliorare di più e crescere ancora?
 
«Io non so come sta la Juve. Conosco bene la nostra situazione. Possiamo crescere. Veniamo da ottime prestazioni, siamo tornati a essere pericolosi per quelle che sono le nostre qualità, ma dobbiamo trovare una solidità maggiore. A parte le assenze, possiamo crescere. Dal 6 luglio non sono mai riuscito a schierare la Lazio migliore. Questa situazione ci ha creato disagio, difficoltà, ma ora siamo cresciuti per mentalità, sono cresciuti i giovani e quelli bravi che sono arrivati. Le assenze ora si potrebbero sentire meno, mi auguro di fare le scelte con la rosa al completo. Siamo una squadra competitiva».
 
In questi quindici mesi c’è stato un momento critico?
 
«I momenti difficili ci sono sempre, ma credo di avere l’esperienza e l’equilibrio giusto. Sono fatto così, quando ci sono quei momenti mi chiudo in me stesso, con i miei collaboratori, con i miei dirigenti e l’ambiente di Formello. Ho un grande rapporto con tutti, però mi chiudo nel mio lavoro, non ascolto niente di positivo o di negativo. So come funziona il calcio. Penso al mio lavoro sempre, 24 ore al giorno, cerco di migliorare quello che faccio, ogni giocatore e la squadra. I risultati fanno la differenza. Non ci sono stati momenti difficili, se non momenti delicati che arrivano in ogni stagione per tutti gli allenatori e per tutte le squadre. Vanno superati con equilibrio, convinzione nelle proprie idee, fiducia nei giocatori. Da quando sono qui mai vista poca fiducia, poca stima, poca convinzione in quello che si faceva da parte dei giocatori. Un allenatore, quando è così, deve solo pensare a dare il massimo alla propria squadra».
 
Niente momenti difficili, dice Pioli, ma Keita aveva chiesto di essere ceduto, Candreva si è arrabbiato per la fascia di capitano, la sorella di Felipe ha protestato perché il fratello non giocava. Segnali che l’hanno costretta a riprendere con forza una posizione centrale nella squadra o erano dolori di crescita?
 
«Sono segnali che in tutte le squadre ci sono, sbagliereste a pensare che l’anno scorso non ci siano stati, o che tutto filava liscio o che non ci fossero giocatori insoddisfatti. Ogni giorno può essere diverso dall’altro e se ti aspetti che tutto funzioni al 100 per cento ti trovi impreparato. Proprio oggi ho parlato con un giocatore che voleva delle spiegazioni, è normale che ci siano queste situazioni».
 
Questo giocatore si è convinto delle spiegazioni di Pioli?
 
«Credo di sì, quando parlo credo di essere chiaro e coerente tra quello che dico e faccio, sono situazioni normalissime e succederanno ancora. Se siamo un gruppo intelligente, come credo, giocando tante partite tutti avranno spazio e potranno dimostrare il proprio valore. Che ci siano facce più o meno contente fa parte del lavoro, delle dinamiche di una squadra, è giusto così. Non voglio giocatori contenti di non giocare. Devono essere arrabbiati, incazzati, basta che lo dimostrino sul campo con grande disponibilità anche nei miei confronti, ma questo non è un problema, ma soprattutto nei confronti della squadra».
 
Dopo il terzo posto, un risultato molto importante, si credeva che Pioli potesse pretendere di più in campagna acquisti dalla società. Un allenatore deve pretendere che la società faccia sforzi o il suo ruolo è allenare i giocatori messi a disposizione dal club?
 

«Il ruolo dell’allenatore è allenare, ma dare anche indicazioni alla società, soprattutto se hanno lavorato insieme nell’anno precedente. E’ quello che ho fatto. Insieme abbiamo scelto di dare continuità alla squadra dell’anno scorso, eravamo sicuri e siamo sicuri che potesse fare meglio, che potesse crescere, che fosse solo all’inizio del percorso. Era fondamentale dare continuità a questi giocatori e la società è stata molto brava, ha rifiutato offerte importanti per alcuni di loro, lasciando andare chi ha giocato poco e sarebbe stato ingiusto tenerli, perché quest’anno non avrebbero trovato spazio. Le mie idee erano quelle. Abbiamo preso giocatori nuovi, giovani, che avevano già dato dimostrazione delle proprie qualità. Stanno dando dei risultati e ce ne daranno ancora. E’ giusto fare chiarezza. Se avessimo saputo di giocare il ritorno del preliminare di Champions senza Marchetti, Biglia, Klose e Djordjevic saremmo intervenuti. Ma non si poteva prevedere quello che è successo».

Quindi è questo quello che Pioli ha chiesto? Mancini arriva e si fa comprare quindici giocatori. Non è una qualità, è una condizione per allenare?

 
«Non mi permetto di giudicare. Se Mancini l’ha fatto, è perché riteneva che andasse fatto. Io ha dato le indicazioni che ritenevo giuste e in relazione alle possibilità della società».
 
Torniamo al campionato. La Juve quindi resta la più attrezzata per lo scudetto?
 
«Al momento la Juve è la squadra più forte del campionato insieme alla Roma».
 
La Juve quindi può continuare a pensare allo scudetto nonostante il profondo rinnovamento. La Lazio come deve riposizionarsi?
 
«Mai dare nulla per scontato nella vita come nel calcio. Quest’anno dico sempre scordiamoci il passato e il terzo posto, non lo dico per non avere pressioni o responsabilità, la squadra è stata confermata per crescere e migliorare. Se diamo per scontato che faremo bene perché l’anno scorso abbiamo giocato un bel calcio e segnato tanti gol, è un errore. Ogni stagione ha la sua storia. Non abbiamo cambiato tanto, ma tra uscite ed entrate sono cambiate 15 facce, ci sono dinamiche diverse. Alcuni infortuni hanno rallentato l’inserimento dei nuovi. Sono mancati giocatori che sono punti di riferimento. Le difficoltà ci sono per tutti. Il Chelsea ha vinto la Premier, quello che tutti dite l’allenatore numero uno (Mourinho, ndr) è in difficoltà. Il Borussia Moenchengladbach ha perso cinque partite, il Monaco ha dei problemi. Noi due obiettivi a cui tenevamo li abbiamo mancati, questo ci ha tolto qualcosa, ci ha destabilizzato, non averli centrati un pochino ci ha spiazzato».
 
Juve e Lazio hanno avuto più infortuni a causa della Supercoppa a Shanghai ad inizio agosto. L’impegno ha condizionato il lavoro o è stato solo un caso?
 
«Che noi abbiamo lavorato un po’ diversamente, pur mantenendo lo stesso metodo, per la Supercoppa sicuramente sì. Ma crediamo di aver fatto le cose nel momento e nel posto giusto. Non vorrei toccare il tema infortuni, perché non porta bene. Ora come infortuni stiamo meglio dell’anno scorso. Siamo partiti con situazioni di giocatori che si portavano problemi dall’anno precedente e hanno fatto fatica a superarli».
 
Le viene rimproverato di perdere nei grandi appuntamenti. Lo avverte come un problema oppure è una sciocchezza che diciamo noi media?
 
«Abbiamo perso due finali, non le abbiamo perse con il Canicattì, ma con la Juve, è normale si possa dire che Pioli non ha vinto. E’ la verità. Abbiamo sempre perso con la Juve, questo mi dà fastidio, credo per come l’abbiamo giocata si potesse vincere la finale di Coppa Italia, è il rimpianto principale, sarebbe stata una serata bellissima. Poi abbiamo perso 5-0 con il Napoli e 4-0 con il Chievo, mica potevo pensare che non ci fossero critiche solo perché l’anno scorso si era fatto un buon lavoro o che non venissi messo in discussione. Tra l’altro non è un problema, mi ci metto tanto io in discussione, le critiche giuste vanno accettate, anche se a volte sono esagerate così come possono essere esagerati i complimenti. L’importante è poter lavorare nel miglior modo possibile. La Lazio mi sta dando questa grande occasione, sto cercando di sfruttarla con tutto me stesso».
 
Se facciamo riferimento alle due finali con la Juve, al derby del 24 maggio e al preliminare di ritorno con il Bayer, quale partita vorrebbe rigiocare Pioli?
 

«Il preliminare. Non lo dico per mancanza di rispetto, sono convinto che la squadra presentata a Leverkusen fosse competitiva, ma quella partita vorrei rigiocarla con la squadra al completo. Per il derby abbiamo ricevuto delle critiche solo per aver provato a vincerlo. Anche il preliminare ci ha fatto capire che era giusto giocarlo così, per l’obiettivo che inseguivamo del secondo posto, dovevamo solo provare a vincere».
 
Ha giocato con tre grandi maestri come Trapattoni, Bagnoli e Ranieri. Ci tracci un profilo dei tre e cosa si è portato dietro di loro nel lavoro di allenatore?
 
«Sono stati allenatori importanti. Li ho apprezzati molto. Di Trapattoni mi è rimasto tanto dell’allenatore e della persona per l’entusiasmo e la passione che metteva nel suo lavoro. Coinvolgeva tutti, trascinava tutti. Questo è un aspetto fondamentale. Non faccio fatica ad averlo l’entusiasmo, ho avuto la fortuna di trasformare la mia passione nella professione. Di Bagnoli ho un grandissimo ricordo, pur nel suo parlare molto poco sapeva essere diretto come pochi altri. E’ l’allenatore che ho avuto che parlava meno con la squadra. Le sue valutazioni e le sue discussioni erano uno spettacolo per chiarezza e per il modo diretto di dire le cose. Ranieri a livello tattico è stato il primo a fare un certo tipo di lavoro, l’ho avuto a 27-28 anni, nell’età giusta per capirne meglio l’importanza. Mi ha fatto capire alcune situazioni. Sono stati tre allenatori importanti, ma io sono me stesso, con la mia testa, con il mio carattere e le mie idee. Cerco di portarle avanti con più decisione possibile».

Sarebbe servito un difensore centrale come Pioli alla Lazio?

 
«No. Ci sono. Abbiamo difensori centrali che sanno giocare bene a calcio, spesso lascio a loro l’impostazione, non hanno solo la tecnica, leggono bene la situazione, vedono i compagni smarcati. Credo che la Lazio sia ben attrezzata. De Vrij è un giocatore importante, ma gli stessi Gentiletti e Hoedt sanno costruire, anche Mauricio con la sua semplicità. I difensori devono essere molto semplici, rapidi nella costruzione e nella scelta. Dare ritmo significa muovere velocemente la palla da dietro, se lo facciamo sappiamo trovare gli spazi con i nostri giocatori offensivi. Quando siamo lenti, troviamo difficoltà».

Il figlio di Maestrelli ha detto che Pioli ricorda più di tutti suo papà Tommaso. L’ha colpito questo paragone?
 
«Sì ed è una cosa che mi fa piacere, perché credo che il Maestro avesse determinate caratteristiche, valori e qualità, non posso che essere orgoglioso di essere paragonato a lui. Ma devo dimostrare di poter arrivare a quel livello».

Keita può essere la scheggia impazzita come D’Amico che nel ‘74 portò una Lazio già forte a essere una Lazio da scudetto? Con la stessa fantasia e una creatività ogni tanto difficile da controllare?

 
«Ho la fortuna di avere tanti giocatori di qualità. Keita è uno di quelli, è cresciuto tanto e può crescere ancora tanto, deve continuare a lavorare, con le sue qualità può fare la differenza in qualsiasi partita. Deve continuare a lavorare con questa disponibilità, con questa voglia di correre, di sacrificarsi. Non esistono più giocatori di talento che possono permettersi di guardare la partita in attesa del pallone giusto. Ci sono due fasi di gioco, tutti devono partecipare. Keita lo sta facendo, anche i suoi compagni. Continuando così credo potremo essere all’altezza per conquistare risultati importanti. I giocatori di qualità devono stare sempre dentro la partita, così possono trovare il guizzo vincente».
 
(continua)

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