Siamo quelli del 12 maggio, giorno di San Pancrazio.
E' la nostra festa, visto che nel 1974 abbiamo coronato il sogno dello scudetto e nel 2004 siamo andati a prenderci una splendida Coppa Italia al Delle Alpi, al cospetto della Juventus. Uno scudetto e una Coppa dai significati importanti: uno sembrava l'inizio di una favola trasformatasi presto in tragedia, l'altro sembrava la fine di un'età dell'oro che lasciava spazio all'ultima grande serata di gala, prima dei saluti frettolosi dell'alba dell'indomani.
Dal sogno del '74 mutato in tragedia ci siamo svegliati cadendo dal letto. Abbiamo ricominciato a sognare vent'anni dopo, e stavolta il sogno è diventato una realtà durata dieci anni. Dalla rovinosa caduta seguita a quel 12 maggio di undici anni fa è nata una Lazio solida, pragmatica, conscia del proprio valore e dei propri limiti, che ha portato a csa tre trofei in undici anni e sta per giocarsene un quarto. Una squadra che ha ritrovato il gioco e l'amore dei propri tifosi e si dibatte per svincolarsi dalla morsa di un potere calcistico che, oggi come allora, condiziona: i due scudetti conquistati nella storia dalla Lazio hanno avuto un prologo che poteva evolversi trionfalmente ma non lo fece, per questioni non sempre legate al prato verde.
Oggi sembriamo di nuovo sulla rampa di lancio, meno vicini del '73 e del '99, meno forti anche del 2004, forse, ma con dentro le forze per provarci ancora.
A due giorni dallo scempio dell'Olimpico, sento la voce di squadra unita, forte e convinta, che non pensa a mollare ed è convinta di poter piegare gli eventi a proprio favore. Questa è la Lazio che vogliamo, la stessa che seppe riprovarci dopo la delusione del '73 e del '99, la stessa che nel 2004 ci rivelò che, se anche finiva una stagione d'oro, non era ancora il momento di ammainare bandiera.
Ma poi, si può ammainare il cielo?