Autore Topic: ex Jugoslavia e Balcani  (Letto 13456 volte)

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Offline aaronwinter

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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #20 : Sabato 16 Maggio 2015, 10:56:47 »
Considerazione a latere - ma neanche tanto.

Josip Broz Tito aveva fatto un vero miracolo, e per un tempo incredibilmente lungo, tenuto conto del contesto.

(peraltro, ancora oggi a Lubiana dicono con orgoglio di essere la città che ne accolse il termine della vita. Per quanto non attesero molto subito dopo a dire di essere più Austriaci che Balcanici)
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #21 : Sabato 16 Maggio 2015, 17:12:51 »
alen, d'accordissimo su tutto.
ma partiamo da un presupposto ineludibile: i serbi in kosovo sono sempre di meno (dubito fortemente che adesso raggiungano le 100mila unità) e vivono di pensioni e finanziamenti da parte di Belgrado. quanto può ancora durare questa situazione?
l'accesso ai servizi pubblici è limitato, all'istruzione idem. Vivono in qualche villaggio attorniato da altre popolazioni a loro ostili.

Quella che descrivi è una situazione che descrive perfettamente il Kosovo che si trova a sud del fiume Ibar,
ma al nord vi sono comuni a netta maggioranza serba
(senza considerare gli sfollati post guerra).
Quindi bisognerebbe addivenire ad un'altra divisione.
Non credo sia la soluzione migliore, anzi. La soluzione migliore sarebbe che si facesse piazza pulita delle varie segregazioni etniche, in modo da renderle meno permeanti della quotidianità.
Certo lo si sarebbe dovuto fare ponendolo come questione per riconoscere l'indipendenza del Kosovo,
ma non è mai troppo tardi.
Resto dell'idea che l'appoggio a qualsiasi modifica dei confini scatenerà un domino impossibile da arrestare
(domino che tra l'altro si è in precedenza azionato proprio per il motivo opposto, ossia che si sono voluti considerati intangibili i confini di quelle che - in precedenza - era solo entità amministrative all'interno di uno stato comune).


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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #22 : Sabato 16 Maggio 2015, 17:18:41 »
Josip Broz Tito aveva fatto un vero miracolo, e per un tempo incredibilmente lungo, tenuto conto del contesto.

Si stava meglio quando si stava peggio. È un vecchio motto popolare che però è stato inconsciamente riattualizzato da un sondaggio del portale web di news MojeVreme.hr. E i risultati sono sorprendenti, altro che “Jugonostalgia” qui siamo di fronte a un vero e proprio rimpianto dei bei tempi andati. Le domande sono state formulate in modo anonimo a ultraquarantacinquenni e il risultato se lascia a bocca aperta da una parte, dall’altra fa molto meditare e dovrebbe far molto meditare soprattutto i politici della Croazia e della Bosnia-Erzegovina ai cui cittadini è stato proposto il questionario.

Al sondaggio denominato “Un tempo andava meglio?” hanno partecipato in tutto 2.200 cittadini di Croazia e Bosnia-Erzegovina, ma gli analisti hanno elaborato le oltre 1.700 risposte fornite dagli ultra 45enni. Orbene l’82% dei croati che hanno avuto anche un esperienza di vita nella ex Jugoslavia ha risposto che sotto la Repubblica federativa si viveva meglio. Ma non basta. Il 74% degli intervistati ha anche dichiarato che, seppur a determinate condizioni, sarebbe disposto a vivere in un regime con un partito unico e il 40% dichiara che Josip Broz Tito era una persona positiva. Solamente il 4% ha detto che si viveva peggio nell’oramai rottamata Jugoslavia e il 6% ha risposto invece «Dio non voglia che ricapiti», pensando al vecchio regime di Tito.

Dei favorevoli alla Jugoslavia il 14% si è apertamente dichiarato un “jugonostalgico”, mentre il 62% ha rifiutato per sè questa etichetta. Il 22%, inoltre, si è definito «occasionalmente» “jugonostalgico”. Se si esamina il 40% degli intervistati che hanno definito Tito come «una persona positiva» di questi solo l’8% ammette che il defunto maresciallo era un dittatore, per il 31% invece lui era in assoluto una brava persona.

Tra gli intervistati il 56% si è dichiarato credente, mentre il 36% si è professato ateo. Durante la Jugoslavia il 78% dei credenti ha affermato di essersi recato in chiesa o in un edificio di culto, mentre il 38% ha spiegato che sotto Tito frequentava regolarmente i riti religiosi.

Da un punto di vista sociale il 69% sostiene che la corruzione era di gran lunga minore nella vecchia Jugoslavia che nella moderna Croazia e solo il 2% sostiene il contrario. C’è la convinzione che il potere d’acquisto è oggi maggiore ma ben il 91% è convinto che i bambini crescevano più sicuri sotto la Jugoslavia che nella Croazia di oggi e solo il 4% ritiene che i bambini siano oggi più sicuri.
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/04/09/news/sorpresa-i-croati-rimpiangono-tito-1.11201879?ref=fbfpi

Il Maresciallo godeva dell'enorme prestigio acquisito nella lotta di Liberazione,
lotta combattuta non solo contro gli occupatori, ma anche contro i loro alleati locali che - a differenza dell'armata popolare - si differenziavano per rigida appartenenza etnica.
La lezione da apprendere per il futuro sarebbe proprio questa.
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #23 : Martedì 19 Maggio 2015, 10:29:40 »
La certezza di un lavoro, la possibilità di muoversi senza bisogno di visti in tutto il mondo, le ferie pagate e un'eguaglianza sociale come oggi non si riesce neanche a immaginare: sono questi gli elementi su cui si fond la cosiddetta "Jugonostalgia" nei Paesi della ormai frammentata Federazione di Tito, e che rafforzano il sentimento ogni anno che passa, almeno stando agli ultimi risultati della ricerca condotta dal portale croato "Moje Vrijeme". Fra i 2.200 intervistati nel Paese che pure agì come miccia delle secessioni oggi oltre l'80 per cento dei cittadini rimpiange il lavoro, l'assicurazione sanitaria e la pensione, ma anche valori quali "la solidarietà sociale" e l'uguaglianza fra le popolazioni che abitano la regione, che un tempo convivevano senza barriere etniche e confini politici.

Il dato davvero sorprendente, fanno notare i promotori della ricerca, è propiro che le risposte positive provengono dai due Stati che più degli altri hanno pagato un prezzo di sangue per dividersi dalla Federazione, Bosnia e Croazia, attraverso conflitti che hanno interamente occupato gli anni '90. Non c'è molta differenza con i dati di un'altra ricerca, condotta questa volta nella Serbia che in quegli stessi anni stava dalla parte opposta del fronte: una ricerca condotta da "Ninamedia" conferma che su 1200 intervistati, 900 credono che in Jugoslavia si vivesse "meglio" sotto tutti i punti di vista, a partire da quello sociale. Sono proprio gli aspetti che riguardano più da vicino la società a concentrare l'attenzione degli analisti, per spiegare in qualche modo questo "ripensamento" a posteriori. Igor Stikic, professore all'Università di Edimburgo, preferisce parlare di "interesse per la Jugoslavia" più che di nostalgia per il passato.

Secondo Stikic, i dati emersi nella ricerca vengono ben riassunti in alcuni graffiti comparsi recentemente sui muri delle città che si sono separate: "Quando eravamo compagni vivevamo come signori - diceva il testo - mentre ora che siamo signori, viviamo come bestie". Naturalmente, osserva Stikic, più ci si allontana da quei tempi, meno se ne scorgono i difetti. "Quello che però salta all'occhio è che, da un punto di vista politico, l'interesse per la Jugoslavia non esiste. Oggi non c'è una forza politica che vorrebbe riportare in vita la Federazione o che propenda per una riunificazione sotto qualsiasi modello, e dunque sappiamo che una cosa del genere non è possibile. Dal punto di vista sociale, invece, esiste una fortissima nostalgia che si concentra in particolare sugli anni '60 e '70, fino agli inizi degli anni '80. Dal punto di vista culturale, infine, è naturale che resti vivo l'interesse verso un'eredità così grande come quella lasciata nel campo della cinematografia, della letteratura e dell'arte, e che ancora oggi rappresenta la principale fonte d'ispirazione per le nuove generazioni". E proprio i giovani rappresentano il secondo "fattore sorpresa" dei sondaggi condotti in tutta la regione.

Oltre il 60 per cento degli intervistati nella fascia d'età fino ai 29 anni dice di guardare con "simpatia" all'epoca della Federazione governata da Tito. Secondo Branka Prpa, docente di storia a Belgrado, "ai giovani Tito piace. Oggi vivono in quel poco che è rimasto di uno Stato scomparso, scontano il senso di inferiorità avvertito dalle loro élites politiche, e dunque soffrono loro stessi di un senso d'inferiorità. Hanno bisogno di un punto di riferimento e lo cercano tornando indietro nella storia, fino ad individuare un momento in cui questa sensazione non si avvertiva". Secondo Tanja Petrovic, antropologa dell'Università di Lubiana,  è invece un sentimento di "maggiore giustizia sociale" ad attirare i giovani senza lavoro e prospettive.

Nonostante la divisione sempre più marcata fra i revisionisti della storia dalla Seconda guerra mondiale in poi, dice la studiosa, l'eredità della lotta partigiana è interpretata a Lubiana come a Sarajevo come un fattore strettamente legato alla lotta sociale in una fase di forte crisi economica. "In questa rilettura i giovani hanno un ruolo fondamentale - spiega - Recentemente abbiamo assistito persino alla formazione autonoma di cori specializzati nelle canzoni di quei tempi". Anche da un più ampio punto di vista culturale, sono i giovani ad aver raccolto l'eredità del passato.  "Gli scrittori della nuova generazione qui in Slovenia sono molto più vicini per lingua e ispirazione a quelli degli altri Paesi balcanici, rispetto a quelli di Paesi altrettanto vicini come Italia e Austria. Questo elemento - dice la Petrovic - mostra già da solo quanto antropologicamente siamo una stessa unità". Ivana Spasic, sociologa presso la facoltà di Filosofia di Belgrado, invece non crede che siano poi molti gli elementi reali su cui si fonda la Jugonostalgia.

 "Le persone - dice - evocano più che altro cose come il calore umano, la vicinanza, l'assenza di preoccupazioni per l'esistenza". La mitologia jugonostalgica diventa poi vero struggimento esistenziale di fronte ai fallimenti di un sistema capitalista ancora da  formare in questi Paesi, e che comunque propugna una continua lotta per l'affermazione di fronte a "quell'ideale di continuo progresso e avanzamento, nella società come pure nella vita dei singoli individui". Al di là dei possibili difetti "di memoria" che affliggono la Jugonostalgia, la Petrovic vede infine un elemento che non deve essere perso in questo percorso "a ritroso". La nostalgia di quei tempi, dice, è soprattutto un concetto che va amato "per non perdere il suo enorme potenziale di ricerca di un progresso comune".

A oggi le principali città ex jugoslave, da Lubiana a Sarajevo, hanno ciascuna una via intitolata a Tito. L'anniversario della sua morte, lo scorso 4 maggio, ha portato alla Casa dei Fiori di Belgrado migliaia di cittadini della passata Federazione per rendere omaggio alle spoglie del Maresciallo. Persino su temi come la libertà personale e i diritti civili, i più anziani visitatori si sono spinti a dire che "c'era molta più libertà allora", perché non erano importanti "il nome o la nazionalità di appartenenza". Un elemento  mette però tutti d'accordo senza ombra di dubbio: sarà difficile, dicono, replicare i tempi andati in un futuro troppo vicino.
http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82299&typeb=0&Jugoslavia-quanto-mi-manchi
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #24 : Mercoledì 20 Maggio 2015, 10:30:06 »
Da SKOPJE - Si è tenuto nella serata di ieri, 19 maggio, il raduno nazionale a supporto del governo di Nikola Gruevski e del suo partito, il VMRO – DPMNE, come risposta alla manifestazione di domenica organizzata dalla rete civica “Protestiram” e appoggiata dal principale partito dell’opposizione, il SDSM (Partito Socialdemocratico) di Zoran Zaev.
 Secondo le stime, sarebbero state oltre 60mila le persone accorse presso il palco, allestito di fronte l’imponente arco di trionfo “Porta Makedonija”, per dimostrare il proprio supporto al premier macedone, il cui nome -”Nikola” – è stato scandito più volte dalla folla. Il livello di partecipazione è stato dunque alto, segno dell’ottima capacità del governo di saper mobilitare i propri sostenitori, provenienti da diverse città della Macedonia, nonostante l’ondata di proteste che da inizio mese ne chiede le dimissioni in virtù degli scandali di intercettazioni, corruzione, controllo di media, crisi economica e nazionalismo crescente.

Il raduno dei sostenitori, così come quello di domenica dell’opposizione, si è svolto in modo pacifico e non violento, come riflesso anche delle parole del discorso di Gruevski e degli altri membri che sono saliti sul palco a parlare. Il premier, infatti, ha fatto diversi appelli a tutti i gruppi nazionali – macedoni, albanesi, turchi, serbi, bosgnacchi, rom – per preservare l’unità nazionale e la compattezza attorno al partito di governo, le cui bandiere erano, insieme a quella macedone, serba e russa, in maggioranza.


 Il discorso di Nikola Gruevski è stato caratterizzato dall’uso di appellativi quali “fratelli e sorelle” per rivolgersi alla folla, secondo i suoi consueti canoni paternalistici e da ripetuti attacchi all’opposizione, in primis Zoran Zaev, il quale “non solo non diventerà primo ministro, ma nemmeno sindaco di Strumica [una piccola città macedone]“.

L’obiettivo era dunque quello di dimostrare quanto fosse saldo il governo – al netto dei fatti di Kumanovo e delle successive dimissioni di tre persone chiave dell’entourage del premier – e di come il VMRO – DPMNE stia consolidando il proprio ruolo di “partito-stato” per tutta la Macedonia.

L’attenzione del governo è stata focalizzata sulla lotta al terrorismo e contro coloro che vorrebbero distruggere la Macedonia dall’esterno, attraverso infiltrazioni di cellule terroristiche o manipolazioni da parte dell’opposizione. I fatti di Kumanovo sono stati dunque al centro del discorso di Gruevski, che ha anche elencato i nomi degli 8 poliziotti ammazzati nell’operazione anti-terroristica dello scorso 9 maggio suscitando applausi di commozione da parte della folla.
 L’impressione è quindi che il governo abbia rafforzato il proprio sostegno in seguito all’operazione anti-terrorismo di Kumanovo.
 Inoltre, in molti sembrano temere il ripetersi di uno “scenario Ucraina” per il piccolo paese balcanico, paventando il pericolo di ingerenze da parte di forze straniere per destabilizzare il governo.
 Il paragone tra le proteste macedoni e quelle di Kiev dello scorso anno sembra infatti riproporre molte analogie – quali l’insoddisfazione di parte della società civile verso gli scandali che coinvolgono il governo e la crescente crisi economica – ma per il momento mancano quegli elementi che metterebbero a rischio interessi nazionali, soprattutto considerando che c’è bisogno di fare chiarezza nella relazione tra le proteste antigovernative e i fatti di Kumanovo.

Da ieri sera, i sostenitori filo-governativi hanno annunciato di volersi accampare con tende e ripari di fortuna nei pressi del palazzo del governo, seguendo dunque l’esempio dell’opposizione, che continuerà il proprio sit-in ogni giorno alle 18.
 Dopo il raduno di ieri sera è chiaro che la società macedone sembra spaccata in due, secondo linee non etniche ma politiche.
 Se da un lato infatti Gruevski sembra continuare a godere della maggioranza che da nove anni lo tiene al governo, dall’altro lato l’opposizione sembra divisa tra l’azione civica di Protestiram e il ruolo di Zaev, quale capo dell’opposizione intenzionato a cavalcare l’onda delle proteste, ovvero a voler strumentalizzare l’insoddisfazione politica e sociale a beneficio del proprio partito.
 Se le due anime principali dell’opposizione, Protestiram e SDSM, non troveranno un terreno comune, le problematiche politiche e sociali del paese rimarranno irrisolte e il potere di Nikola Gruevski del tutto intatto.

http://www.eastjournal.net/macedonia-in-sessantamila-in-piazza-per-gruevski-un-paese-spaccato-in-due/59789
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #25 : Venerdì 22 Maggio 2015, 10:39:52 »
maggio 2015

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Bandiere rossonere con l'aquila albanese e cartelli con la scritta “non sono terroristi”. Questi i simboli sventolati ieri a Pristina da alcune centinaia di persone, scese in piazza per protestare contro “l'indifferenza del governo kosovaro” nei confronti degli uccisi e arrestati dopo lo scontro armato del 9 maggio scorso a Kumanovo, nella vicina Macedonia.

Tra chi protestava, molti familiari dei membri del gruppo armato: nove dei dieci guerriglieri uccisi e 21 dei trenta arrestati sono infatti cittadini kosovari. “Al governo kosovaro chiediamo che vengano restituiti i cadaveri degli uccisi, che vengano liberati i fermati e che si chiarisca la sorte di tutte le persone coinvolte. Se sono stai uccisi, vogliamo sapere cosa ne è stato dei corpi”, ha dichiarato Selvije Shehu, sorella di uno degli arrestati.

Da parte kosovara si lamenta la mancanza di informazioni precise da parte del governo di Skopje. “Non abbiamo ancora contattato le famiglie di coloro che sono stati uccisi perché non abbiamo ancora ricevuto ufficialmente i certificati di morte da parte del governo macedone”, ha dichiarato un portavoce del ministero degli Interni kosovaro.

Molti dei familiari e amici hanno espresso sorpresa o incredulità sulle motivazioni che hanno spinto i loro cari a prendere parte al gruppo armato, riconducibile all'irredentismo pan-albanese. Secondo le informazioni rese disponibili, molti degli uccisi o degli arrestati hanno combattuto in passato nelle fila dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK). Decisa invece la risposta di Ylber Ndrecaj, fratello di Mirsad, considerato il leader del gruppo ed ucciso a Kumanovo. “La ragione è chiara: era frustrato dalle politiche del governo di Skopje e da come gli albanesi sono trattati in Macedonia. E' andato per i suoi ideali”.

Molte informazioni sull'operazione di Kumanovo restano non chiarite. L'operazione, che ha trasformato un quartiere cittadino in un campo di battaglia, lasciando sul terreno otto poliziotti (più trentasette feriti) pone interrogativi scomodi sia al governo kosovaro che a quello macedone, i cui rapporti bilaterali si sono prevedibilmente raffreddati.

“Sono convinto che nessuno sia davvero interessato a far emergere la verità”, ha dichiarato a Radio Free Europe l'analista kosovaro Dukadjin Gorani. “Credo che la verità su Kumanovo sia davvero oscura e raccapricciante, ed estremamente scomoda per entrambi i paesi. Così che entrambi i governi, e parte dell'opinione pubblica sia macedone che kosovara, preferiscono affrontare i fatti a livello di speculazioni, piuttosto che insistere affinché si sappia davvero cosa è successo".
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Dopo-Kumanovo-in-Kosovo-protestano-i-familiari-UCK
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #26 : Martedì 26 Maggio 2015, 14:24:31 »
Quella che descrivi è una situazione che descrive perfettamente il Kosovo che si trova a sud del fiume Ibar,
ma al nord vi sono comuni a netta maggioranza serba
(senza considerare gli sfollati post guerra).
Quindi bisognerebbe addivenire ad un'altra divisione.
Non credo sia la soluzione migliore, anzi. La soluzione migliore sarebbe che si facesse piazza pulita delle varie segregazioni etniche, in modo da renderle meno permeanti della quotidianità.
Certo lo si sarebbe dovuto fare ponendolo come questione per riconoscere l'indipendenza del Kosovo,
ma non è mai troppo tardi.
Resto dell'idea che l'appoggio a qualsiasi modifica dei confini scatenerà un domino impossibile da arrestare
(domino che tra l'altro si è in precedenza azionato proprio per il motivo opposto, ossia che si sono voluti considerati intangibili i confini di quelle che - in precedenza - era solo entità amministrative all'interno di uno stato comune).


facciamo un passo indietro: 1991. perché la slovenia si salva, nonostante un elicottero abbattuto delle forze jugoslave da lubiana (appena autoproclamatisi indipendente), dalla furia di jovic e Milosevic con l'esercito slavo voglioso di dare una lezioncina e assicurante, in sede di consiglio della jugoslavia, che la pratica sarebbe stata chiusa in 24H?
la slovenia era territorialmente pura, era una nazione di sloveni, senza alcun interesse o enclave significativa per i pochi serbi  presenti, peraltro già assorbiti dalla maggioranza.
in definitiva non interessava alla Belgrado serba, non interessva milosevic in quanto serbo, anche se all'epoca belgrado era il regno del doppiogiochismo in virtù della sovrapposizione con l'etichetta di capitale della repubblica federale.
il kosovo presenta ancora una volta la classica etnia mista (a stragrandissima maggioranza albanese) che non ha alcuna volontà di convivere insieme.
secondo  tanti giornalisti occidentali, compresa la bbc, i serbi inscenarono burlette nazionalistiche già nel 1991, quando ivica stambolic (poi sfiduciato, infine fatto sparire) mandò sul posto la sua giovane creatura sloba, per sedare incidenti "farsa" tra polizia locale e "poveri" serbi maltrattati. Una creatura che poi lo avrebbe sbranato. Milosevic fu in quella specifica occasione il primo politico slavo ad aver tradito la dottrina fatta dalla fratellanza e dall'unità dei differenti popoli di Tito. Fu il primo politico che pubblicamente si lasciò scappare una frase significativa: "non permetteremo mai più che i serbi vengano picchiati". la violazione del caposaldo titiano è tale che non meriterebbe commenti.

Con un kosovo regalato all'albania si metterebbe la fine a vicende annose che risalgono al 1991. credo che possa essere una terra sacrificabile politicamente per chiedere poi lo stop sul piano politico/terroristico ad ulteriori excalation da parte degli uomini dell'aquila nera.
Il futuro di stabilità macedone si gioca in kosovo, terra oramai andata e totalmente in preda di clan politici con ex UCK che hanno fatto fuori gli ultimi uomini simpatizzanti del  filone rugova. che cappero di ordine vuoi provare a ristabilire qui, quando ci sono ufficialmente città con 80% di tasso di disoccupazione totale, ma che sono roba privata di trafficanti e spacciatori di droga che arriva dalla turchia, bulgaria e poi macedonia? il kosovo è una situazione da game over.
città e distretti con disoccupazione all'80% e che poi beneficiano di una miriade di banche (inspiegabilmente presenti sul territorio se dovesimo vedere l'income ufficilae) dove gli spacciatori depositano, cash, fraccate di denaro.
yeah, i heard that dwight wants me fired. it's just the way it is. you know what? i just don't care, i don't give a damn.
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #27 : Martedì 26 Maggio 2015, 23:07:05 »
Adesso in Ohrid, enclave ortodossa (e ci tengono a farlo sapere, croci gigantesche da 10-20 m di altezza illuminate a giorno) in area islamico-albanese (e ci tengono a farlo sapere, bandiere della Grande Albania dappertutto)

Sarà l'aria placida del lago, la situazione pare relativamente tranquilla, mentre a Skopje davanti a palazzo del  governo e parlamento I gruppi di maggioranza ed opposizione si fronteggiano, speriamo non capiti l'incidente.

Un collega che lavora a Kumanovo mi ha raccontato la tensione di quei giorni.
Ciao
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #28 : Mercoledì 27 Maggio 2015, 08:32:13 »
In Kosovo i combattenti ex UCK chiedono funerali di stato per i commilitoni caduti a Kumanovo.
http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82436&typeb=0&onore-ai-caduti-uck

L'errore è stato fatto a monte volendo modificare i confini con la forza e riconoscendo l'indipendenza del Kosovo in barba alla Risoluzione 1241 dell'ONU, senza porre alcun limite e senza ottenere alcuna garanzia.
Un caso da manuale di insipienza politica che va ad aggiungersi ad una lunga serie di misfatti compiuti dalle cancellerie europee nella zona negli ultimi 20 anni (La Croazia non avrebbe mai imbastito una guerra senza i cannoni di Genscher, per dirne una).
In Kosovo l'UE ha speso miliardi a valanga per creare un narcostato in mano a banditi di ogni risma, il tutto nell'incuranza generale, senza che nessuno se ne sia preso una minima responsabilità e ignorando una pulizia etnica per impedire la quale - a parole - lo si era riempito di uranio impoverito
(a Pristina i serbi son passati da 40mila a 40).
La soluzione non è certificare le segregazioni etniche (visto l'effetto domino che scatenerebbe una tale azione),
la soluzione dovrebbe essere togliere qualsiasi sostegno a chi le avalla e trovarsi interlocutori più credibili.
Non dovrebbe esser impossibile in un paese che vive di aiuti,
basta volerlo fare.
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #29 : Mercoledì 27 Maggio 2015, 09:12:06 »
Adesso in Ohrid, enclave ortodossa (e ci tengono a farlo sapere, croci gigantesche da 10-20 m di altezza illuminate a giorno) in area islamico-albanese (e ci tengono a farlo sapere, bandiere della Grande Albania dappertutto)


deve essere un'esperienza interessantissima: scrivici un mini diario se puoi!

L'errore è stato fatto a monte volendo modificare i confini con la forza e riconoscendo l'indipendenza del Kosovo in barba alla Risoluzione 1241 dell'ONU, senza porre alcun limite e senza ottenere alcuna garanzia.
Un caso da manuale di insipienza politica che va ad aggiungersi ad una lunga serie di misfatti compiuti dalle cancellerie europee nella zona negli ultimi 20 anni (La Croazia non avrebbe mai imbastito una guerra senza i cannoni di Genscher, per dirne una).
In Kosovo l'UE ha speso miliardi a valanga per creare un narcostato in mano a banditi di ogni risma, il tutto nell'incuranza generale, senza che nessuno se ne sia preso una minima responsabilità e ignorando una pulizia etnica per impedire la quale - a parole - lo si era riempito di uranio impoverito
(a Pristina i serbi son passati da 40mila a 40).
La soluzione non è certificare le segregazioni etniche (visto l'effetto domino che scatenerebbe una tale azione),
la soluzione dovrebbe essere togliere qualsiasi sostegno a chi le avalla e trovarsi interlocutori più credibili.
Non dovrebbe esser impossibile in un paese che vive di aiuti,
basta volerlo fare
.


parto dalle fine: sai perfettamente che non è possibile. prova a fare politica e a metterti in concorrenza con le 3 o 4 famiglie ex UCK che dominano politicamente il kosovo.
ti arriva una scarica di mitraglietta appena esci dal bar centrale di pristina e vieni sepolto (sempre se si degnano di farti trovare il cadavere ai tuoi familiari) sotto 3 metri di terra fresca. giornalisti kosovari indipendenti che hanno fatto indagini sui giri di traffici e su villone appariscenti costruite (out of the blue) da parte dei capoccia locali, hanno lasciato presto questa nostra amata terra, volando in cielo.
il kosovo è andato ed è una vicenda gestita piuttosto male.

tantissimo oppio afgano viene sequestrato dalla turchia che vanta sulla carta la migliore narco-polizia al mondo e che offre training costanti agli stati confinanti.
la verità, poi, è che dopo Ankara la bulgaria non sequestra una mazza, la macedonia pure e il kosovo manco ci pensa.
il discorso andrebbe allargato anche a Belgrado dove ben sai che scorrono fiumi di droga (e qualche anno fa ci rimise la pelle djindjic, uno che detestava la criminalità organizzata serba). è la nuova economia balcanica, baby.
yeah, i heard that dwight wants me fired. it's just the way it is. you know what? i just don't care, i don't give a damn.
i'll go home and find something to do.

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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #30 : Mercoledì 27 Maggio 2015, 10:40:41 »
Ma tu pens
deve essere un'esperienza interessantissima: scrivici un mini diario se puoi!
parto dalle fine: sai perfettamente che non è possibile. prova a fare politica e a metterti in concorrenza con le 3 o 4 famiglie ex UCK che dominano politicamente il kosovo.
ti arriva una scarica di mitraglietta appena esci dal bar centrale di pristina e vieni sepolto (sempre se si degnano di farti trovare il cadavere ai tuoi familiari) sotto 3 metri di terra fresca. giornalisti kosovari indipendenti che hanno fatto indagini sui giri di traffici e su villone appariscenti costruite (out of the blue) da parte dei capoccia locali, hanno lasciato presto questa nostra amata terra, volando in cielo.
il kosovo è andato ed è una vicenda gestita piuttosto mal

Io penso che questo stato di cose sia molto facilmente modificabile dai burattinai del Kosovo,
è che manca del tutto la volontà politica di farlo.
Questo è il discorso da affrontare.
In caso contrario le situazioni marce possono solo incancrenirsi e degenerare.
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #31 : Mercoledì 27 Maggio 2015, 10:56:31 »
Per esempio il Kosovo indipendente e democratico oltre ad esportare terroristi in Macedonia è anche una fucina di combattenti per l'ISIS,.
il tutto nella (quasi) completa indifferenza del sistema politico mediatico occidentale.
Forse sarebbe il caso di spendere meglio i nostri soldi visto che in Kosovo l'UE spende ben 116 euro per abitante
(in Bosnia la cifra è 33, in Serbia 28)
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #32 : Mercoledì 27 Maggio 2015, 11:39:52 »
La situazione in Macedonia è molto grave e dopo i conflitti armati in Kumanovo, le istituzioni europee hanno capito che non può essere esclusa la possibilità che gli islamisti radicali esetendano le loro azioni: a dirlo è l'inviato del Parlamento europeo, lo sloveno Ivo Vajgl
Vajgl, che è uno dei tre mediatori nelle trattative con il leader macedone del VMRO-DPMNE , Nikola Gruevski e quello dell'opposizione socialdemocratica Zoran Zaev su come superare la crisi politica, dice che i problemi in Macedonia si collocano a diversi livelli: "Abbiamo una situazione post-transizionale in cui il principio base è quelli di appropriarsi delle proprietà statali della ex Jugoslavia, e il livello di corruzione è molto alto. All'interno dei gruppi etnici ci sono poi interessi in gran parte determinati dall'estero", ha detto Vajgl in un'intervista ad un quotidiano di Zagabria.

Alla domanda se i colloqui hanno toccato anche l'Albania, Vajgl ha risposto: "Penso che fra gli albanesi sia difficile determinare chi rappresenta un'autentica struttura politica e sociale , e che questo sia possibile solo sotto la guida delle idee su cui nessuno vuole parlare, ma sono lì. Ed i questo caso l'idea è quella della "Grande Albania".

Vajgl ricorda che il primo ministro albanese Edi Rama ha minacciato di porre il veto all'ingresso della Macedonia nella NATO e questa situazione, sottolinra, complica le cose ed impedisce che l'incidente di Kumanovo possa spiegarsi solo con un'indagine indipendente, anche se ci sono un sacco di indicazioni per ritenere che i conflitti di Kumanovo abbiano legami con l'islamismo radicale."Alcune di delle persone che hanno preso parte alla Kumanovo erano esperte in azioni terroristiche molto professionali - dice - avevano combattuto in Siria e Iraq e dunque si può intuire l'idea con la quale erano arrivate a Kumanovo : questa è la "Jihad" e questo è il progetto della diffusione sul suolo europeo dell' Islam radicale,ma forse ci sono stati anche altri motivi come il progetto di "Grande Albania" o la connessione con la scena politica interna, anche se è difficile credere che qualcuno sia stato disposto ad assumersi la responsabilità per la morte di otto agenti di polizia ".
http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82497&typeb=0&macedonia-a-rischio-jihad
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #33 : Giovedì 28 Maggio 2015, 09:17:52 »
Il vicepresidente del Parlamento serbo, Igor Becic, stava annunciando lunedì l'intervento in aula del presidente della Repubblica italiana - Mattarella, of course - quando è incappato in una gaffe clamorosa, da ridolini.
 Invece di Sergio Mattarella ha introdotto "Giorgio Mortadela" per poi correggersi quasi subito.


:chapeau:
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #34 : Venerdì 29 Maggio 2015, 19:10:25 »
Migliaia di persone a Pristina, capitale del Kosovo, hanno reso omaggio alle salme dei combattenti dell’Uck uccisi a Kumanovo, in Macedonia, il 9 giugno scorso. Lo riporta l’agenzia Reuters. Kumanovo, seconda città della Repubblica di Macedonia, è stata teatro di scontri tra terroristi dell’Uck e forze speciali della polizia macedone, intervenute in modo preventivo per sgominare quella che è stata indicata dal governo di Skopje come una cellula dormiente pronta a colpire nel paese. Gli scontri hanno lasciato sul terreno 22 morti, di cui otto agenti di polizia macedoni e quattordici terroristi. Di questi, otto hanno trovato sepoltura al Cimitero dei Martiri di Pristina in una cerimonia organizzata dalle famiglie dei caduti e dall’associazione dei veterani dell’Uck. Una folla di persone, tra famigliari, ex-combattenti e gente comune, ha reso omaggio a quelli che ritiene essere “eroi“, in una parata d’onore fatta di bandiere dell’Uck e divise militari. Il governo di Pristina non ha partecipato alla cerimonia e non ha rilasciato dichiarazioni a riguardo.

Secondo il ministero dell’interno macedone, l’obiettivo dell’intervento preventivo a Kumanovo era di “arrestare un ampio gruppo terroristico ben organizzato che stava preparando attacchi ad obiettivi strategici”. Sempre secondo fonti ufficiali, si sarebbe trattato di un gruppo armato infiltratosi da un “paese vicino” (il Kosovo, secondo il deputato governativo Antonio Miloshoski) e intenziato a “destabilizzare” la Macedonia. La polizia di confine kosovara, tramite il maggiore Baki Kelani, è stata tuttavia rapida nello smentire qualsiasi infiltrazione di uomini armati.

L’Uck è considerato, in Kosovo, l’esercito di liberazione nazionale, il fautore dell’indipendenza e della vittoria contro i serbi nella guerra del 1999. Il movimento non gode di eguale reputazione nel resto dei Balcani, dove è considerato un gruppo terrorista. Attualmente l’Uck non è più attivo, i suoi leader sono diventati importanti capi politici del Kosovo indipendente e molti combattenti furono integrati nell’esercito regolare.  Fin dall’inizio della sua attività, nei primi anni Ottanta, l’Uck è stata considerata un’organizzazione terroristica non solo dai serbi ma anche dagli Stati Uniti, almeno fino al 1998. Nel 1999 la presidenza Clinton cambia parere e il 31 marzo di quell’anno i repubblicani al Senato presentano un’interrogazione dal titolo eloquente: “Da terroristi a partner” in cui viene mostrato come l’Uck abbia finanziato la sua battaglia attraverso il traffico di droga. Tuttavia la Nato appoggiò l’Uck in chiave antiserba, per poi promuovere l’indipendenza del paese e farne una testa di ponte americana nei Balcani. Non a caso il Kosovo ospita oggi Camp Bondsteel, la più grande base militare americana in Europa.

I leader dell’Uck sono stati a più riprese accusati di crimini di guerra, andando assolti dopo lunghe e controverse vicende giudiziarie. Secondo il magistrato del Tribunale Internazionale dell’Aja, Carla del Ponte, l’Uck avrebbe rapito civili serbi, incluse donne e bambini, per trasferirli  in seguito a Burrel, in Albania, dove sarebbero stati tenuti prigionieri in attesa dell’espianto dei propri organi diretti a cliniche turche specializzate in trapianti. Alcuni sarebbero stati sottoposti a diversi espianti successivi prima d’essere definitivamente uccisi e fatti sparire.
http://www.eastjournal.net/kosovo-luck-celebra-i-caduti-di-kumanovo/60325
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #35 : Venerdì 29 Maggio 2015, 20:21:24 »
(bella quella di Giorgio Mortadella,  :D )

Appena tornato (stanco morto, un viaggio di ritorno iniziato stamane alle tre), non ho provveduto a raccogliere un vero e proprio "diario", ma qualche spunto lo condivido volentieri.

Delle bandiere della Grande Albania (impressionanti soprattutto nella zona di Tetovo, tra Skopje ed Ohrid) vi ho già detto, come delle grandi croci presidio di identità nelle enclave Ortodosse in territorio albanese attorno ad Ohrid.

Ad Ohrid, mi si è presentato un professore dell'Università di Tetovo, uno in gamba con cui ho condiviso diversi argomenti, e mi ha subito detto "sono Albanese". Il bello è che il Ministro dell'Ambiente ci ha voluti entrambi al suo tavolo a pranzo (invito peraltro consegnatoci da un solerte guardaspalle con fare minaccioso - in pratica, una "extraordinary reindition"), il professore non si è fatto scrupolo di ripetere il "sono Albanese" al tavolo, condendolo con la dizione albanese di Tetovo,  io temevo scoppiasse il finimondo, invece il Ministro è andato avanti placido a controllare lo smartphone e rispondere ad SMS.

Sulla strada del ritorno, nel mini-van che ci riportava a Skopje, ho parlato con un altro ricercatore, questo Ortodosso e di Skopje, ma cresciuto in epoca titoina a Prishtina, un ragazzo in gamba, e l'ho stimolato a condividere le sue riflessioni, che riporto per sommi capi:
  • bandiere e croci non sono segni di aggressività interetnica, in realtà dopo la disgregazione post-Tito l'allora governo macedone intuì che l'unica salvezza da eccessive tensioni interetniche sarebbe stato consentire ad ogni etnia di esporre i propri simboli, dunque la consuetudine affonda le radici nel tempo, è identitaria, sì, ma non indice di aggressività recente
  • lui ricorda con nostalgia quando la Yugoslavia Titoina era il centro del (terzo) mondo, ed ospitava intelligenze da Africa Asia e America Latina, ed esportava servizi di engineering in tali aree - lui che insegna in quel settore ha citato con orgoglio ad esempio la capacità macedone nella costruzione di dighe - non lo sapevo, doverosamente riporto
  • vescovi e muftì stanno interpretando con buon senso e moderazione i loro ruoli, per il bene della comunità: visite reciproche, auguri gli uni agli altri durante le Festività dell'uno o dell'altro credo
  • a lui di differenze religiose e culturali interessa meno che niente. Ma ci teneva a dire che a suo avviso quelli dell'UCK sono criminali
  • sui fatti di Kumanovo, tutti hanno rilevato la stranezza di una "guerra civile" durata 2 giorni. L'interpretazione prevalente è quella del caso fatto scoppiare ad arte e sotto controllo dal Governo, per distrarre l'opinione pubblica dallo scandalo delle intercettazioni e relativa corruzione ed abusi di potere
  • la cosa non è però riuscita e non ha messo in sordina il confronto (non ancora scontro) ben più importante che si gioca in piazza a Skopje tra le due anime della opinione pubblica, dopo lo scandalo delle intercettazioni ed abusi di potere: l'opposizione accampata davanti al Palazzo del Governo, la maggioranza davanti al Parlamento. In entrambi i gruppi, albanesi e macedoni, mussulmani ed ortodossi
  • Pandev era forte, ma Darko Pancev era immenso (io riporto soltanto  O0 )


Aggiungo che stanotte mi sono dovuto alzare alle 3 per partire. Fino alle 2, musica assordante techno che penetrava le mura non insonorizzate della stamberga in cui ho dormito in centro a Skopje. A 200 metri, le barricate dei 2 gruppi che si fronteggiano, ma dagli uni e dagli altri si andava a turno in discoteca.

Signori, i Balcani
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #36 : Lunedì 8 Giugno 2015, 12:10:28 »
Mi ci sono imbattuto quasi per caso - divido in 2 parti perché la lunghezza eccede i limiti per postare

Citazione
I media macedoni: i patrioti hanno sconfitto la rivoluzione colorata

di Andrew Korybko*

Oriental Review pubblica la traduzione esclusiva dell’intervista della macedone NetPress al corrispondente Andrew Korybko:

– N: “La piccola Macedonia schiaccia Soros” e “Questa non è l’Ucraina” sono alcuni dei titoli usati da alcuni media dopo il tentativo fallito di rivoluzione colorata condotto da alcune potenze occidentali e supportato dall’opposizione e dalle ONG di Soros. Pare che lo stato, le forze di sicurezza e il popolo macedone vincano costantemente le battaglie e stiano lentamente emergendo come vincitori della guerra contro l’agenda imperialista, contro Soros e gli altri finti combattenti per la democrazia, e contro i milioni di dollari riversati nella quinta colonna interna. Secondo Lei, a cosa si deve attribuire questa grande vittoria storica del popolo macedone?”


– K: Il fattore più importante per combattere efficacemente qualsiasi rivoluzione colorata, non solo quella in Macedonia, è una popolazione patriottica, e durante la grande manifestazione del 18 maggio i macedoni di ogni provenienza sono scesi nelle piazze a supportare il loro paese. Erano già al corrente del tentativo di compiere una rivoluzione colorata da parte di Zaev (leader dell’opposizione, ndt), e la presenza di irredentisti albanesi e di Sergey Stanischev, che odia la Macedonia, alla piccola manifestazione dell’opposizione ha contribuito alla reazione patriottica del giorno seguente. Da questo si può imparare che un’attiva campagna di informazione, che educhi i cittadini sulle minacce che incombono sul loro paese, messa insieme ai fallimenti del soft power dei rivoluzionari colorati, possono compattare la popolazione contro i tentativi di cambio di regime. Tutto ciò sarebbe vano, tuttavia, se i macedoni non valorizzassero già la loro identità e ne fossero fieri, perché non si può difendere ciò che non si ama davvero. Infine bisogna sottolineare che l’operazione preventiva anti-terrorismo del governo a Kumanovo e i sacrifici delle sue coraggiose forze di sicurezza hanno sventato i piani dei terroristi che prevedevano di inscenare attacchi in tutto il paese il 17 maggio (lo stesso giorno della manifestazione di Zaev), attacchi che avrebbero potuto scatenare una destabilizzazione che le potenze straniere (Albania, Bulgaria) avrebbero potuto sfruttare per intervenire e smembrare il paese.

– N: Nella nostra ultima intervista Lei ha messo in evidenza la strategia per spartire la Macedonia tra l’Albania e la Bulgaria, e da allora alcuni media greci stanno notando che d’improvviso abbiamo intrighi, tumulti e turbolenze in tutti i paesi per i quali potrebbe transitare il gas russo, tranne che in Bulgaria e Albania. Allo stesso tempo, i corpi dei terroristi che attaccarono Kumanovo sono stati sepolti in Kosovo con gli onori degli eroi da persone che portavano l’uniforme dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA), mentre la Bulgaria dichiara difensivamente che in passato ha riconosciuto la nostra indipendenza con la costituzione. Tuttavia, non è un segreto che l’attuale regime bulgaro sia filo-americano. Quindi Lei crede che il fatto che anche il ministro degli esteri russo Lavrov abbia condiviso informazioni sul piano di spartire la Macedonia sia una conferma di tale scenario aberrante?
– K: Sì, sicuramente. La Russia è stata molto scaltra a rendere pubblici i timori, molto realistici, di una possibile spartizione macedone, perché così facendo ha richiamato immediatamente l’attenzione alle azioni di Albania e Bulgaria, rendendo loro più difficile mettere in atto il complotto. Occorre sottolineare che Albania e Bulgaria operano in coppia, la prima in modo più aggressivo e la seconda più indirettamente e di nascosto. I media e commentatori bulgari hanno escogitato un’astuta tattica di auto-umorismo criticando le loro stesse forze armate, dicendo che non sono in grado di invadere nessuno. Il che è vero, ma ciò che non viene detto è che un possibile coinvolgimento bulgaro (per esempio la morte di un suo militare) fornirebbe il pretesto per una risposta militare NATO e/o americana, specialmente se fosse coinvolto il terrorismo (reale o solo preteso per ‘giustificare’ la reazione). La Bulgaria non fa segreto di essere il punto di riferimento dell’UE e della NATO per tutte le cose riguardanti la crisi macedone, perciò la possibilità che la Bulgaria venga usata come esca per coinvolgere altri paesi in un conflitto militare più ampio è purtroppo molto reale. Inoltre, in mezzo a questo scandalo tutti si stanno dimenticando della cospirazione dapprima suggerita da Bozhidar Dimitrov, una versione perversa degli eventi che hanno portato alla riunificazione della Crimea, secondo la quale la Bulgaria occuperebbe gran parte della Macedonia in seguito a un’invasione dell’Albania.

Vorrei anche parlare del modo in cui la Bulgaria e i suoi media e rappresentanti di stato parlano della Macedonia. Nonostante ribadisca in continuazione di riconoscere l’indipendenza della Macedonia, la Bulgaria non si comporta come se lo credesse davvero. Quasi sicuramente le dichiarazioni ufficiali arrivate dal paese nelle ultime due settimane, cioè da quando è scoppiato lo scandalo Lavrov, sono una reazione di difesa alle accuse. In realtà la Bulgaria tratta la Macedonia come se fosse la sua “Piccola Bulgaria” ed essa ne fosse la ‘sorella maggiore’ che ha il diritto di interferire nei suoi affari. Dopotutto non si può spiegare in altro modo la retorica bulgara dell’ ‘amicizia’, ‘fratellanza’ e ‘solidarietà’ mentre viene mandato Stanischev a Skopje e invitato Zaev a Sofia. L’Albania e il Kosovo, suo satellite occupato, potrebbero servire da basi per qualsiasi guerra non convenzionale lanciata dal KLA o da qualche altra organizzazione terroristica, ma la Bulgaria è la base per organizzare il tentativo di rivoluzione colorata e ha dimostrato la sua influenza su Zaev e il suo movimento di cambio regime. Insieme, gli attuali governi di questi due paesi operano come infidi confinanti della Macedonia e devono essere trattati con il massimo sospetto e cautela, considerate le circostanze del pericoloso complotto di spartizione.
– N: Come commenta il fatto che il leader dell’opposizione Zoran Zaev ha promesso che l’albanese diventerà la seconda lingua ufficiale in Macedonia e verrà insegnato a partire dall’asilo, ma anche il fatto che il giorno seguente agli attacchi di Kumanovo si faceva sorridente i selfie con dei sostenitori del KLA nel posto dove il sangue degli eroici caduti macedoni non era ancora asciugato? Crede che questo, insieme alla presenza del politico bulgaro anti-macedone Sergey Stanishev alla protesta dell’opposizione, si possa considerare la conferma del coinvolgimento dell’opposizione nell’oscuro progetto di spartizione della Macedonia?

– K: Certamente, è sicuramente così. Il ruolo di Zaev è sempre stato di dividere, non di unificare, ma egli usa la falsa retorica della solidarietà per promuovere i progetti di spartizione. Zaev da solo non è nessuno, ma le persone e le potenze dietro di lui sono tutto e intendono usarlo per introdurre la federalizzazione del paese. Se la otterranno, il paese verrà di fatto già diviso lungo linee etniche e religiose, e Skopje diventerà una città spaccata in due com’era Berlino e com’è tuttora Nicosia a Cipro. Incoraggiare il nazionalismo delle minoranze etniche in uno stato multiculturale è un modo sicuro per esacerbare le tensioni esistenti e fomentare una crisi internazionale, il tutto nell’intento di creare un pretesto per l’intervento internazionale e formalizzare la spartizione del paese. Tale interferenza esterna non dev’essere per forza militare, potrebbe anche essere politica (ad esempio incontri mediati dall’UE e/o dalla NATO) e economica (come sanzioni contro il governo legittimo).
Riguardo al comportamento deplorevole di Zaev a Kumanovo, esso è estremamente rozzo e dimostra che non ha davvero nessuna vergogna nella ricerca del potere. Quell’uomo è un megalomane con sindrome narcisistica (da cui i selfie sorridenti scattati durante il lutto nazionale), e se crede che un po’ di foto con i terroristi aumenteranno il suo potere e la sua fama, non ci pensa due volte a farsele. Mi aspetto che Zaev continui con queste bravate, e ne faccia di sempre più audaci. Come ha giustamente sottolineato, egli festeggia con i terroristi, e questo mi fa tornare in mente le foto di John McCain con i terroristi dell’ISIL in Siria. Non c’è davvero differenza, se non che McCain ha di fatto potere e influenza mentre Zaev è un tirapiedi che rincorre disperatamente entrambi.

Forse è per queste ragioni che Zaev è così aperto riguardo alle sue affiliazioni anti-macedoni con il KLA e Stanischev. Ovviamente potrebbe intrattenere questi rapporti in segreto, ma vuole ‘mostrare il suo valore’ per il piano statunitense di cambio regime, così da non essere scaricato e rimpiazzato da Branko Crvenkovski (il che è inevitabile, ma l’ingenuo Zaev, accecato dai sogni di potere e fama, non lo capisce). Le sue scandalose azioni da alto tradimento sono dirette sia a rassicurare i suoi manovratori americani e occidentali, sia ad incitare la quinta colonna interna. In questa prospettiva, Zaev non è nient’altro che un essere umano debole che crede che la sua ultima speranza di ottenere potere e fame gli stia rapidamente sfuggendo di mano, il che spiega le sue azioni disperate e patetiche.

– N: Dal punto di vista distorto di Washington e Bruxelles, la realizzazione del Balkan Stream rappresenterà la loro capitolazione nel Balcani, ma questo significa che non si rassegneranno fino alla fine. Quando sarà esattamente la fine e cosa possiamo aspettarci dopo?
– K: Gli USA sono disposti a fare qualsiasi cosa per ostacolare il Balkan Stream: che sia provocare la cancellazione ufficiale del progetto, il suo sabotaggio segreto (ad esempio con una guerra terrorista secessionista in Macedonia) o ritardandolo quanto più possibile. Il modo più efficiente dal punto di vista dei costi è costituito dalle rivoluzioni colorate, e tutti i paesi lungo il percorso del gasdotto sono a modo loro vulnerabili. Al momento vediamo questa tattica all’opera in Macedonia, ma anche Ungheria e Serbia ne sono suscettibili. Le proteste dell’anno scorso contro Viktor Orban erano una prova di rivoluzione colorata intesa a raccogliere intelligence sulla reazione del governo e a rafforzare l’infrastruttura sociale per il cambio di regime. Anche le calunnie di Orban da parte di McCain, che lo aveva definito un ‘dittatore neofascista’, servivano a formare un’opinione internazionale (occidentale) negativa sul leader del paese, per preparare nelle menti degli europei la rivoluzione colorata. Riguardo alla Serbia, sappiamo tutti che la prima rivoluzione colorata vi accadde nel 2000, ed esiste una considerevole e comprensibile rabbia contro i piani del primo ministro Aleksandar Vucic di modificare la costituzione serba per cancellare i riferimenti al Kosovo, e di arrestare Vojislav Seselj. C’è il timore che questo malcontento popolare possa venire sfruttato dalle ONG occidentali per scatenare nel paese una rivoluzione colorata e bloccare il progetto del Balkan Stream.

Anche in Grecia non mancano le minacce di rivoluzione colorata. Se Syriza farà dei passi indietro rispetto alla sua piattaforma anti-austerità, e capitolerà all’UE, perderà notevole supporto nella sua base. Ne potrebbero seguire elezioni anticipate che potrebbero frantumare l’attuale coalizione di governo e creare nel paese abbastanza disordine politico da fargli accantonare il Balkan Stream indefinitamente. Se Alba Dorata guadagnerà abbastanza supporto, potrebbe preparare il campo per un’aumento della tensione con il suo opposto Syriza: una situazione destabilizzante che potrebbe venire sfruttata da qualche provocazione esterna per istigare la violenza nelle strade.
La Turchia d’altra parte è internamente più stabile della Grecia da un punto di vista politico e quindi offre una certa resistenza ai piani di rivoluzione colorata. Ciò però non significa che ne sia del tutto immune, visto che le legittime proteste contro il governo (come durante gli avvenimenti del Parco Gezi) potrebbero venire sfruttate dai sostenitori dell’oscuro movimento Gulen (il cui leader è attualmente di base negli USA), da gruppi terroristi di sinistra (come il Partito Rivoluzionario di Liberazione del Popolo, che in aprile orchestrò un rapimento mortale), e/o i militanti nazionalisti curdi; tutti in grado di provocare una disastrosa destabilizzazione della Turchia. Mentre Ankara è probabilmente abbastanza forte da sconfiggere ciascuna di queste minacce e portare quindi avanti i piani per il Balkan Stream, le conseguenze potrebbe essere enormi e portarla ad alzare il prezzo per il gasdotto a titolo di risarcimento. Se la Turchia d’improvviso cambiasse idea, recedesse da un contratto in essere e cercasse di rinegoziare per una cifra esorbitante a causa dei tumulti subiti per ospitare il gasdotto, ciò potrebbe creare una situazione finanziaria insostenibile che porrebbe fine al progetto.
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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #37 : Lunedì 8 Giugno 2015, 12:12:49 »
Seconda Parte

Citazione
– N: La Macedonia dovrebbe anche considerare la possibilità di dichiarare certe ONG finanziate dal denaro straniero non gradite, quando mettono in pericolo l’ordine costituzionale e la sicurezza nazionale? Una legge simile è stata firmata pochi giorni fa dal presidente russo Putin, e anche a Belgrado c’è un’iniziativa per mettere al bando l’organizzazione serba ‘Canvas’, i quali attivisti, o ‘rivoluzionari in affitto’, finanziati da Soros e da USAID, hanno l’incarico di provocare rivoluzioni colorate e rovesciare i governi presi di mira in tutto il mondo usando la forza e la violenza. In Macedonia, in questo contesto, venivano offerti 3.500 dollari agli attivisti ‘Canvas’ che presentavano un’idea di successo. Da notare tra l’altro che, nell’EAU, ‘Canvas’ è compresa nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.

– K: In teoria l’idea delle ONG non è cattiva, ma sfortunatamente questo concetto dalle buone intenzioni è stato dirottato dai servizi di intelligence occidentali per facilitare rivoluzioni colorate e destabilizzazioni all’interno degli stati bersaglio. Di questo ci sono miriadi di prove, ed è nell’interesse della sicurezza nazionale di ogni paese il monitorare questi gruppi e identificare quelli infiltrati dall’Occidente per attività a scopo di cambio regime. In molti casi, come le ONG affiliate a George Soros, non sono infiltrate a tali nefasti scopi, ma sono proprio create apposta. Ovvero alcune ONG sono istituite come fronti per le rivoluzioni colorate, tutte le loro operazioni sono dirette in un modo o nell’altro all’obiettivo finale. In alcuni casi magari prendono parte ad attività ‘normali’ come l’aiuto ai senza tetto o ai disoccupati, per guadagnare la fiducia della comunità, ma è solo una tattica per raccogliere supporto per la missione finale, cioè il rovesciamento del governo al momento indicato.

Non tutti gli impiegati delle ONG ne sono al corrente; alcuni sono stati indotti a supportare questi gruppi con l’imbroglio (a volte attraverso le attività ‘normali’ di cui parlavo poc’anzi), ma siccome l’intenzione dell’organizzazione in questione è ostile e contraria alla sovranità dello stato, occorre per forza porre delle limitazioni alle attività di tutti gli impiegati, non importa chi siano. Misure come questa non fermano del tutto l’attività delle ONG anti-governative, perché queste possono sempre portarle avanti sottobanco e illegalmente, ma almeno rendono loro difficile operare e potrebbero portare all’arresto e alla condanna di alcuni dei loro leader. Ciò invierebbe un segnale forte a quanti intendono rovesciare il governo, ovvero che l’affiliazione a gruppi illegali mirati al cambio di regime comporta delle conseguenze legali; questo potrebbe scoraggiare alcuni giovani vulnerabili e impressionabili dal partecipare alle loro attività.
Un’altra cosa da menzionare è che alcune ONG non sono coinvolte direttamente nella destabilizzazione politica, ma cercano invece di dividere la società e cambiarne i valori, l’etica e i principii. Il dissesto sociale può facilitare la destabilizzazione politica e può perciò essere visto come una legittima minaccia allo stato. Il tentativo, da parte di alcune lobby estreme, di imporre il privilegio omosessuale (noto in Occidente come ‘diritti gay’) alle società tradizionali è una precisa provocazione, come lo sono le organizzazioni che promuovono aggressivamente la democrazia liberale di stampo occidentale in stati con diverse forme di democrazia. Questo fa parte della più ampia ‘guerra di valori’ in corso tra l’Occidente e il resto del mondo, nella quale l’Occidente propugna la conformità forzata ai suoi ideali soggettivi mentre il resto del mondo cerca di conservare il suo approccio indipendente e non interferisce nella sovranità degli altri. In questo caso si può osservare una chiara linea di demarcazione tra il mondo unipolare (l’Occidente) e quello multipolare.
– N: Alcuni media greci hanno rivelato un piano per l’annessione di territori facenti parte di paesi ortodossi allo scopo di creare una Grande Albania, sottolineando che la strategia USA contro l’ortodossia in Grecia viene promossa da alcuni media e dall’establishment ‘artistico’ di sostenitori atei, e ovviamente tutto questo viene applicato anche in Macedonia. Come mai i paesi ortodossi sono uno dei bersagli preferiti dei centri di potere occidentali? Alcuni sostengono che la spinta provenga dall’ideologia satanica e dalla tendenza del nuovo ordine mondiale a promuovere qualsiasi cosa sia contro natura, come l’appoggio ipocrita al cibo OGM, l’imposizione aggressiva dell’omosessualità e i duri colpi contro l’Ortodossia e i valori della famiglia tradizionale.

– K: Si tratta assolutamente di questo. In Occidente non esiste la libertà di religione, ma solo la libertà DALLA religione, il che è una differenza importante. Sebbene in paesi come gli USA ci siano molti individui devoti e pacifici, il loro governo fa tutto il possibile per escludere la religione dalla vita pubblica e trasformarla in un espediente politico a cui i candidati aderiscono a parole ogni qual volta le elezioni sono dietro l’angolo. Questa ideologia estremista deriva dall’ateismo e dall’iper-liberalismo occidentale, entrambi dominanti fra le classi politiche occidentali. Questi ideologhi militanti odiano in modo assoluto l’idea della religione e i valori tradizionali, perché sono indottrinati a pensare che tali concetti siano ‘regressivi’ e ‘repressivi’. Immaginano invece un futuro dove l’uomo uccide Dio e lo sostituisce con il credo pseudo-religioso dei ‘diritti umani’ estremi come il privilegio omosessuale, la diffusione della pornografia e il femminismo militante della varietà ‘Pussy Riot’, tutti attivamente promossi nelle società occidentali.
Di fatto, per promuovere la loro agenda stanno addirittura riscrivendo la Bibbia. In Occidente viene venduta una manipolazione eretica della Bibbia chiamata ‘la Bibbia della Regina James’, nella quale i propagandisti hanno rimosso ogni riferimento contro l’omosessualità. Il prossimo passo sarà molto probabilmente cambiare la Bibbia per rendere Dio una lesbica, così da giustificare il loro femminismo gay, pornografico e militante alle generazioni future. Un’altra cosa che stanno includendo nei loro precetti anti-religiosi è la cieca obbedienza al ‘dio’ del riscaldamento globale, usandolo come giustificazione inappellabile per ogni sorta di abusi di potere da parte dei governi delle cosiddette ‘democrazie’. Ciò non significa che il cambiamento climatico non sia in qualche modo un fenomeno reale, ma che in molti paesi occidentali sta venendo elevato a religione di stato e usato per pratiche ipocrite anti-democratiche contro la popolazione.

L’Ortodossia e l’Islam tradizionale (al quale aderisce la grande maggioranza dei mussulmani) sono le difese più potenti contro tali mali, e questo è il motivo per cui l’Occidente fa di tutto per eliminarli. Come si può vedere dalla creazione statunitense dei talebani, di al-Qaeda e ora dell’ISIL, sta facendo tutto il possibile per rovinare la reputazione del vero Islam e farne uno strumento violento di distruzione. Più passa il tempo e più si espande l’influenza dei ‘chierici’ anti-mussulmani, più è probabile che l’Islam fasullo promosso dagli USA venga erroneamente associato all’Islam vero, a tutto svantaggio degli effettivi attributi della religione, come la pace, la stabilità e i valori tradizionali. Riguardo all’Ortodossia, il piano è di mettere i credenti l’uno contro l’altro (come la riacutizzazione, operata dagli USA, del conflitto tra sciiti e sunniti) e di infiltrare la religione dall’interno. Sette cattoliche stanno facendo passi indietro capitolando a questi complotti anti-religiosi (supportando il ‘matrimonio gay’, il sacerdozio femminile ecc.) e sono intese a influenzare nel tempo le menti e le anime dei credenti ortodossi. Inoltre, siccome la popolazione dei paesi ortodossi generalmente si fa impressionare dal soft power occidentale più delle loro controparti mussulmane, vengono usati i media per fare il lavaggio del cervello ai fedeli e far loro abbandonare i valori tradizionali per ‘accettare’ le politiche anti-religiose come ‘normali’, ‘progressiste’ e, nel caso del privilegio omosessuale, ‘cool’ e ‘inevitabili’.

Il modo migliore per fronteggiare questa aggressione asimmetrica contro i fedeli è che l’Ortodossia e l’Islam tradizionale si alleino nella lotta ai mali distruttivi propagati e imposti dall’Occidente. Gli USA fecero l’esperimento di mettere gli ortodossi e i mussulmani tradizionali gli uni contro gli altri durante le guerre balcaniche degli anni ’90, e, avendo avuto abbastanza tempo per analizzare ed elaborare i dati d’intelligence raccolti in quel periodo, stanno tornando alla carica per una versione ‘perfezionata’ del loro piano di guerra tra Ortodossia e Islam tradizionale. Se i pacifici credenti ortodossi e mussulmani verranno manipolati per farli combattere l’uno contro l’altro, allora la strategia ‘divide et impera’ dell’anti-religioso Occidente avrà successo e porterà forse alla sconfitta definitiva dell’aderenza a entrambe le regioni.

*Andrew Korybko è analista politico e giornalista per http://sputniknews.com/ . Attualmente vive e studia a Mosca. In esclusiva per Oriental Review.

Fonte:  Oriental review.org

Traduzione: Anacronista
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Offline AlenBoksic

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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #38 : Martedì 9 Giugno 2015, 08:37:24 »
Al netto della propaganda è un articolo molto interessante,
specie per quanto riguarda la pretesa di voler dettare ovunque e a chiunque i nostri "diritti umani".
È anche da notare come siamo portati a definire molte delle affermazioni di Korybko come propaganda,
ma siamo noi stessi vittime di una propaganda altrettanto feroce ma molto più persistente che viene però divulgata sotto forma di "libera informazione".
Quanto al tuo ottimo reportage sulla situazione in loco mi pare molto importante questo

  • vescovi e muftì stanno interpretando con buon senso e moderazione i loro ruoli, per il bene della comunità: visite reciproche, auguri gli uni agli altri durante le Festività dell'uno o dell'altro credo

Nell'attuale disfacimento economico e sociale degli stati spesso le istituzioni religiose si sostituiscono ad essi nelle funzioni assistenziali, questo però - specie in paesi dove etnia e religione si sovrappongono - porta inevitabilmente alla costruzioni di comunità separate con conseguenze che possono essere tragiche.
Evitare contrapposizioni e sottolineare la comune appartenenza è quindi fondamentale per evitare che la situazione degeneri
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Offline AlenBoksic

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Re:Macedonia, rischio guerra civile
« Risposta #39 : Sabato 11 Luglio 2015, 18:28:55 »
Il premier serbo Aleksandar Vucic è stato contestato oggi da gruppi di musulmani al cimitero di Potocari, presso Srebrenica, durante le commemorazioni solenni per i vent'anni del massacro di 8mila musulmani da parte delle truppe serbo-bosniache di Ratko Mladic. Quando Vucic con il resto della delegazione serba ha fatto ingresso al cimitero, si sono levate salve di fischi e cori di disapprovazione, mentre è stato applaudito l'ex presidente americano Bill Clinton, che poco prima era stato accolto dalle Madri di Srebrenica. Su un lato della collina dove riposano migliaia di musulmani massacrati è stato inoltre esposto uno striscione con la scritta "Per ogni serbo, 100 musulmani uccisi", la frase che usava pronunciare Vucic quando era ministro del governo presieduto da Milosevic.

Un gruppo di musulmani al cimitero ha anche tentato di aggredire Vucic che a quel punto è stato portato via dalla sicurezza. Il capo della comunità islamica Husein Kavazovic, che stava per iniziare l'orazione funebre per i 136 neo-identificati, ha ammonito la folla di «mantenere la dignità nel dolore e non permettere il trionfo di chi ha causato tale dolore: voltate la testa da quelli che sono qui per vari motivi - ha detto - è ora della preghiera».Per l'Italia era presente la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha parlato alla cerimonia solenne e ha poi deposto fiori al memoriale che ricorda i musulmani trucidati dai serbi.
Più tardi il sindaco di Srebrenica Camil Durakovic ha chiesto pubblicamente scusa a Vucic e al popolo della Serbia: l'incidente «è stato una grande delusione per noi, una macchia che ha fatto più male a noi che a Vucic, in questo luogo santo», ha detto Durakovic . Forse «non siamo popoli maturi», ha detto ancora il sindaco affermando che la presenza di Vucic alla commemorazione era intesa come «un passo avanti verso la riconciliazione».

http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/07/11/news/srebrenica-il-premier-serbo-preso-a-sassate-1.11759549
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