Ricordate il Chievo dei miracoli, per il quale si spesero energie mediatiche e toni quasi messianici?
Poi venne fuori che, se avesse inteso assaggiare il sangue di qualche giocatore, il conte Dracula sarebbe stato costretto a spalmarlo sul pane: tale era il livello di ematocrito.
Il Parma è stato così: una favola di plastica, un presepe avvelenato ma con una fila molto più lunga di Magi, questuanti e farabutti.
La storia del sodalizio crociato in una dimensione reale si chiude con la presidenza Ceresini, deceduto proprio nel corso della stagione che portò alla prima promozione nella massima serie.
Lì inizia l'era Parmalat, già presente come sponsor, intercettando a livello di immagine l'entusiasmo, la voglia di freschezza e di novità di quegli anni.
Primo portiere straniero: Taffarel, approdato a chiara fama durante le Olimpiadi di Seul in un Germania-Brasile da strapparsi i vestiti di dosso.
Sinergie mai così esplicite con l'azienda a capo della società, e giocatori scelti nei Paesi in cui meglio potevano fungere da testimonial: ad esempio per il ruolo di terzo centrale difensivo, col fresco Campione del Mondo Buchwald e il povero Andrés Escobar in lizza prima della scelta di Georges Grün.
Il belga, a proposito, elemento polivalente e di enorme intelligenza tattica nel creare superiorità numerica.
Altra innovazione nel contesto dell'innovativo modulo di Nevio Scala, che trovò la quadratura del cerchio al secondo anno di A con Benarrivo: acquistato dal Padova come riserva di Alberto Di Chiara a sinistra; reinventato a destra a formare, in coppia con l'eroe di xxxx-Lecce, le Frecce Tricolori.
E poi l'atmosfera intorno alla squadra, col dettaglio degli allenamenti ai giardini pubblici ben speso per creare un'aura di genuinità, di calcio a misura d'uomo attorno al progetto.
In realtà si trattava di quella che nell'NBA si chiama franchigia: vale a dire un trust tecnico e societario dalla collocazione potenzialmente itinerante, senza un vincolo geografico obbligato.
Peccato che fra i giganti del basket dipenda da un criterio organizzativo alla luce del sole, mentre nella città di Bevilacqua e della Certosa diventò un contenitore in cui far transitare un po' di tutto.
A detta dello stesso Scala, il giro di boa fu rappresentato dall'ingaggio di uno splendido cowboy, ma ormai bollito e buono solo per il circo, come Stoičkov.
Basta col miracolo di provincia firmato da elementi tatticamente atipici come il sindaco Osio, Cuoghi, Brolin.
Basta con la versione 2.0 del medesimo, comprensiva dei vari Crippa e Zola, cui si deve quella che il tecnico di Lozzo Atestino ha definito la miglior partita della sua gestione: il ritorno della finale di Supercoppa Europea col Milan, rimontando ai supplementari lo 0-1 interno dell'andata con reti di Sensini e, appunto, Crippa.
Si entrava in una fase sempre più sganciata dalla componente tecnica, anche nella conduzione della squadra.
Si puntava teoricamente allo spettacolo con Ancelotti e Malesani, si finì quasi sempre per praticare un calcio avaro con una coppia di muscolari a proteggere Thuram e Cannavaro.
Cosa bollisse realmente in pentola lo avremmo capito qualche anno dopo: e l'esplosione del bubbone non sortì un effetto risanatorio, ma avviò al contrario la fase più torbida nella gestione della società.
È scivolato nel dimenticatoio uno fra gli scandali amministrativi più vergognosi degli ultimi anni: il cambio di denominazione operato nel 2004 quando il vecchio Parma AC (legato alla fallita Parmalat) confluì disinvoltamente nel "nuovo" Parma FC (formalmente libero da ogni vincolo con la vecchia proprietà), conservando organico e titolo sportivo in barba a qualsiasi decenza formale e sostanziale.
Peggio del già spudorato Lodo Petrucci: lo si potrebbe definire un vero e proprio Lodo Baraldi, dal nome di uno dei personaggi-chiave in questa vicenda di banditismo societario.
Non che le acrobazie in materia siano una novità nel capoluogo ducale: basta pensare a quanto accaduto a cavallo degli anni '60 e '70
Schiantato da una doppia retrocessione che l'ha condotto in serie D, il Parma AS viene rilevato da una nuova proprietà e ribattezzato già allora - anche lì senza colpo ferire - Parma FC.
Il neonato (si fa per dire) sodalizio dura poco e conclude la propria vicenda con la mancata iscrizione al campionato.
Dalle serie inferiori sale l'AC Parmense, seconda realtà cittadina fresca di fondazione nel 1968.
Che però, dopo una sola stagione disputata con la propria ragione sociale, riesuma le divise crociate e la denominazione di Parma AC giunta fino alle vicende di cui sopra: ancora una volta, senza la minima soluzione di continuità a livello tecnico e societario.
Da qui l'equivoco sull'anno di fondazione, che alcuni collocano nel 1913 (quando nacque il primo Parma FC di una lunga serie, divenuto Parma AS nel 1930 per sottolineare la nuova vocazione polisportiva) e altri nel 1968 (quando nacque la suddetta AC Parmense).
Da qui, in maniera quasi ovvia, l'ineffabile parabola di Ghirardi: che, in un Paese serio, avrebbe trascinato nel baratro non solo questo gaglioffo con la faccia da pappa e bavaglino, ma anche o innanzitutto gli addetti a controlli rivelatisi puramente virtuali anche di fronte all'evidenza.
Cosa uscirà dalle ceneri di quest'ennesimo crac? Non l'iscrizione alla serie B, a meno di miracoli.
Sempre in un Paese serio, ne uscirebbe più in generale una riflessione sui miracoli di provincia.
Vicende come quella del Padova di Rocco, del Verona di Bagnoli, del Vicenza di Guidolin rappresentano l'anima del calcio, che senza di esse risulterebbe irreparabilmente più arido, prevedibile, incapace di accendere autentiche emozioni.
Quando però una realtà supera in maniera così clamorosa i confini della propria dimensione, forse sarebbe il caso di verificare cosa ci sia davvero dietro.