Autore Topic: La macelleria messicana: TORTURA in Italia  (Letto 7156 volte)

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ThomasDoll

La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« : Mercoledì 8 Aprile 2015, 09:15:27 »
Decenni fa inorridivamo per i sistemi delle guardie carcerarie turche mostrati nel filmone "Fuga di Mezzanotte". In Italia, in realtà, non ci siamo fatti mancare niente, nemmeno in tempi più recenti, fino a ieri. Quello che successe a Genova nel 2001, tra l'irruzione alla Diaz e il resto degli inammissibili comportamenti della Polizia, però, resterà una macchia nella storia del Paese e anche dell'Unione Europea.
Qualche ricordo personale diretto ce l'ho, perché all'epoca collaboravo con il sito di un giornale che documentò la cosa puntualmente, con diverse persone che si trovavano sul posto e subirono anche loro i comportamenti allucinanti della Polizia.
Gli appunti della Corte di Strasburgo sono una vergogna per l'Italia e una macchia indelebile, proprio perché riferiscono di come le istituzioni abbiano coperto, insabbiato, ostacolato e protetto i colpevoli, assicurando loro, nel peggiore dei casi, le pene più miti.
Il fatto che in Italia non ci sia una legislazione adeguata per la tortura, poi, è da brividi: in un complesso e raffinato sistema normativo come il nostro suona come qualcosa fatto a bella posta.
Renzi deve riformare anche qua, e di corsa, che non si vive di sole tasse.

http://ilmanifesto.info/la-tortura-in-italia-e-strutturale/

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #1 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 09:31:54 »
http://www.internazionale.it/notizie/2015/04/07/genova-g8-inchiesta

Mancava poco a mezzanotte quando il primo poliziotto colpì Mark Covell con una manganellata sulla spalla sinistra. Covell cercò di urlare in italiano che era un giornalista, ma in pochi secondi si trovò circondato dagli agenti in tenuta antisommossa che lo tempestarono di colpi. Per un po’ riuscì a restare in piedi, poi una bastonata sulle ginocchia lo fece crollare sul selciato.

Mentre giaceva con la faccia a terra nel buio, contuso e spaventato, si rese conto che i poliziotti si stavano radunando per attaccare l’edificio della scuola Diaz, dove 93 ragazzi si erano sistemati per passare la notte. Mark sperò che rompessero subito la catena del cancello, così forse l’avrebbero lasciato in pace. Avrebbe potuto alzarsi e raggiungere la redazione di Indymedia dall’altra parte della strada, dove aveva passato gli ultimi tre giorni scrivendo articoli sul G8 e sulle violenze della polizia.

Proprio in quel momento un agente gli saltò addosso e gli diede un calcio al petto con tanta violenza da incurvargli tutta la parte sinistra della gabbia toracica, rompendogli una mezza dozzina di costole. Le schegge gli lacerarono la pleura del polmone sinistro. Covell, che è alto 1,73 e pesa meno di 51 chili, venne scaraventato sulla strada. Sentì ridere un agente e pensò che non ne sarebbe uscito vivo.

Mentre la squadra antisommossa cercava di forzare il cancello, per ingannare il tempo alcuni agenti cominciarono a colpire Covell come se fosse un pallone. La nuova scarica di calci gli ruppe la mano sinistra e gli danneggiò la spina dorsale. Alle sue spalle, Covell sentì un agente che urlava “Basta! Basta!” e poi il suo corpo che veniva trascinato via.

Intanto un blindato della polizia aveva sfondato il cancello della scuola e 150 poliziotti avevano fatto irruzione nell’edificio con caschi, manganelli e scudi. Due poliziotti si fermarono accanto a Covell, uno lo colpì alla testa con il manganello e il secondo lo prese a calci sulla bocca, spaccandogli una dozzina di denti. Covell svenne.

Non dimenticare
Ci sono diversi buoni motivi per non dimenticare cos’è successo a Mark Covell quella notte a Genova. Il primo è che fu solo l’inizio. A mezzanotte del 21 luglio 2001 i poliziotti occuparono i quattro piani della scuola Diaz imponendo il loro particolare tipo di disciplina ai suoi occupanti e riducendo i dormitori improvvisati in quella che in seguito un funzionario di polizia ha definito “una macelleria messicana”. Poi quegli stessi agenti e i loro colleghi incarcerarono illegalmente le vittime in un centro di detenzione che diventò un luogo di terrore.

Il secondo motivo è che, sette anni dopo, Covell e i suoi compagni aspettano ancora giustizia. Il 14 luglio 2008 quindici poliziotti, guardie penitenziarie e medici carcerari sono stati condannati per il loro ruolo nelle violenze. Ma nessuno sconterà la pena. In Italia gli imputati non vanno in prigione fino alla conclusione dell’ultimo grado di giudizio, e le condanne per i fatti di Genova cadranno in prescrizione l’anno prossimo. I politici che all’epoca erano responsabili della polizia, delle guardie penitenziarie e dei medici carcerari non hanno mai dovuto dare spiegazioni.

Le domande fondamentali su come tutto ciò sia potuto accadere rimangono senza risposta e rimandano al terzo e più importante motivo per ricordare Genova. Questa non è semplicemente una storia di poliziotti esaltati. Sotto c’è qualcosa di più grave e preoccupante.

Questa storia può essere raccontata solo grazie al duro lavoro coordinato da un pubblico ministero appassionato e coraggioso, Emilio Zucca. Con l’aiuto di Covell e di una squadra di magistrati, Zucca ha raccolto centinaia di testimonianze e analizzato cinquemila ore di video e migliaia di fotografie. Tutte insieme raccontano una storia cominciata proprio mentre Covell giaceva a terra sanguinante.

Come porci
I poliziotti irruppero nella Diaz. Alcuni gridavano “Black bloc! Adesso vi ammazziamo”. Ma si sbagliavano di grosso se credevano di dover affrontare i black bloc che avevano scatenato i disordini in alcune zone della città durante le manifestazioni di quel giorno. La scuola era stata messa a disposizione dal comune di Genova a dei ragazzi che non avevano nulla a che fare con gli anarchici: avevano perfino organizzato un servizio di sicurezza per accertarsi che i black bloc non potessero entrare nello stabile.
Uno dei primi ad accorgersi dell’irruzione fu Michael Gieser, un economista belga di 35 anni che si era appena messo il pigiama e stava facendo la fila davanti al bagno con lo spazzolino in mano. Gieser crede nel dialogo e in un primo momento si diresse verso gli agenti dicendo: “Dobbiamo parlare”. Vide i giubbotti imbottiti, gli sfollagente, i caschi e le bandane che nascondevano i volti dei poliziotti, cambiò idea e scappò di corsa per le scale.

Gli altri furono più lenti. Erano ancora nei sacchi a pelo. I dieci spagnoli accampati nell’atrio della scuola si svegliarono sotto i colpi dei manganelli. Alzarono le mani in segno di resa, ma altri poliziotti cominciarono a picchiarli in testa, provocando tagli e ferite e fratturando il braccio a una donna di 65 anni. Nella stessa stanza alcuni ragazzi erano seduti davanti al computer e mandavano email a casa. Tra loro c’era Melanie Jonasch, 28 anni, studentessa di archeologia a Berlino, che si era offerta di lavorare nella scuola e non aveva neppure partecipato ai cortei.

Melanie non riesce ancora a ricordare cosa accadde. Ma molti testimoni hanno raccontato che i poliziotti l’aggredirono e la colpirono alla testa con tanta violenza che perse subito conoscenza. Quando cadde a terra, gli agenti la circondarono continuando a picchiarla e a prenderla a calci, sbattendole la testa contro un armadio e alla fine lasciandola in una pozza di sangue. Katherina Ottoway, che vide la scena, ricorda: “Tremava tutta. Aveva gli occhi aperti ma rovesciati all’insù. Pensai che stesse morendo, che non sarebbe sopravvissuta”.

Nessuno dei ragazzi che erano al piano terra sfuggì al pestaggio. Come ha scritto Zucca nella sua requisitoria: “Nell’arco di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra furono ridotti all’impotenza. I gemiti dei feriti si univano agli appelli a chiamare un’ambulanza”. Per la paura, alcune vittime persero il controllo dello sfintere. Poi gli agenti si diressero verso le scale.

Nel corridoio del primo piano trovarono un piccolo gruppo di persone, tra cui Gieser, che stringeva ancora il suo spazzolino: “Qualcuno suggerì di sdraiarsi, per dimostrare che non facevamo nessuna resistenza, così mi sdraiai. I poliziotti arrivarono e cominciarono a picchiarci, uno dopo l’altro. Io mi riparavo la testa con le mani e pensavo: ‘Devo resistere’. Sentivo gridare ‘basta, per favore’ e lo ripetevo anch’io. Mi faceva pensare a quando si sgozzano i maiali. Ci stavano trattando come animali, come porci”.

I poliziotti abbatterono le porte delle stanze che si affacciavano sui corridoi. In una trovarono Dan McQuillan e Norman Blair, arrivati in aereo da Stansted, vicino Londra, per manifestare a favore di “una società libera e giusta dove la gente possa vivere in armonia”, spiega McQuillan. Avevano sentito la polizia al piano terra e insieme a un amico neozelandese, Sam Buchanan, avevano cercato di nascondersi con le loro borse sotto dei tavoli in un angolo di una stanza buia. Una decina di agenti fece irruzione nel locale e li illuminò con una torcia. McQuillan scattò in piedi, alzò le mani e cominciò a ripetere “Calma, calma”, ma non servì a fermare i poliziotti. McQuillan ne uscì con un polso rotto. “Sentivo tutto il loro veleno e il loro odio”, ricorda Norman Blair.

Gieser era in corridoio: “Intorno a me era tutto coperto di sangue. Un poliziotto gridò ‘Basta!’ e per un attimo sperammo che tutto sarebbe finito. Ma gli agenti non si fermarono, continuarono a picchiare di gusto. Alla fine ubbidirono all’ordine, ma erano come dei bambini a cui si toglie un giocattolo contro la loro volontà”.

Ormai c’erano poliziotti in tutta la scuola. Picchiavano e davano calci. Secondo molte vittime c’era quasi del metodo nella loro violenza: gli agenti pestavano chiunque gli capitasse a tiro, poi passavano alla vittima successiva lasciando a un collega il compito di continuare a picchiare la prima. Sembrava importante che tutti fossero pestati a sangue. Nicola Doherty, un’assistente sociale di Londra di 26 anni, racconta che il suo compagno, Richard Moth, si sdraiò sopra di lei per proteggerla. “Sentivo i colpi sul suo corpo, uno dopo l’altro. I poliziotti si allungavano per raggiungere le parti del mio corpo che erano rimaste scoperte”. Nicola cercò di proteggersi la testa con il braccio. Le ruppero il polso.

Un crescendo di violenza
Un gruppo di uomini e donne fu costretto a inginocchiarsi in un corridoio in modo che i poliziotti potessero colpirli più facilmente sulla testa e sulle spalle. Daniel Albrecht, 21 anni, studente di violoncello a Berlino, fu colpito così violentemente che dovettero operarlo per fermare l’emorragia cerebrale. Fuori dall’edificio, i poliziotti tenevano i manganelli al contrario, usando il manico ad angolo retto come un martello.

In questo crescendo di violenza ci furono momenti in cui i poliziotti scelsero l’umiliazione. Un agente si mise a gambe aperte davanti a una donna inginocchiata e ferita, si afferrò il pene e glielo avvicinò al viso. Poi si girò e fece la stessa cosa con Daniel Albrecht, che era inginocchiato lì accanto. Un altro poliziotto interruppe un pestaggio per prendere un coltello e tagliare i capelli alle vittime, tra cui Nicola Doherty. Un altro chiese a un gruppo di ragazzi se stavano bene e quando uno disse di no, partì un’altra scarica di botte.

Alcuni riuscirono a sfuggire alla violenza, almeno per un po’. Karl Boro scappò sul tetto, ma poi fece l’errore di rientrare nella scuola e subì lo stesso trattamento degli altri. Riportò gravi lesioni alle braccia e alle gambe, una frattura cranica e un’emorragia toracica. Jaraslav Engel, polacco, riuscì a uscire dalla Diaz arrampicandosi sulle impalcature, ma fu preso sulla strada da alcuni autisti della polizia che gli spaccarono la testa, lo scaraventarono per terra e rimasero a fumare mentre il suo sangue scorreva sull’asfalto.

Due studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen, furono tra gli ultimi a essere presi. Si erano nascosti in un armadio usato dagli addetti alle pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia che si avvicinava sbattendo i manganelli sulle pareti delle scale. La porta dell’armadio venne aperta, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una decina di poliziotti schierati a semicerchio intorno a lui. Zuhlke attraversò di corsa il corridoio e si nascose nel bagno. I poliziotti la videro, la seguirono e la trascinarono fuori per i capelli. In corridoio, l’aggredirono come cani addosso a un coniglio. Fu colpita alla testa e poi presa a calci da ogni parte finché sentì collassare la gabbia toracica. La rimisero in piedi appoggiandola a una parete dove un poliziotto le dette una ginocchiata all’inguine mentre gli altri continuarono a prenderla a manganellate. Scivolò giù, ma la picchiarono ancora: “Sembrava che si divertissero, quando gridavo di dolore sembrava che godessero ancora di più”.

I poliziotti trovarono un estintore e spruzzarono la schiuma sulle ferite di Martensen. Zuhlke venne afferrata per i capelli e scaraventata per le scale a testa in giù. Alla fine, trascinarono la ragazza nell’ingresso del piano terra, dove avevano ammassato decine di prigionieri insanguinati e sporchi di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone. Non si muovevano e Zuhlke, tramortita, chiese se erano vivi. Nessuno rispose e lei rimase supina. Non muoveva più il braccio destro ma non riusciva a tenere fermi il braccio sinistro e le gambe, che si contraevano convulsamente. Il sangue le gocciolava dalle ferite alla testa. Un gruppo di poliziotti le passò accanto: uno dopo l’altro si sollevarono le bandane che gli coprivano il volto e le sputarono in faccia.

Mussolini e Pinochet
Perché dei rappresentanti della legge si comportarono con tanto disprezzo della legge? La risposta più semplice può essere quella che ben presto venne urlata dai manifestanti fuori dalla Diaz: “Bastardi!”. Ma stava succedendo qualcos’altro, qualcosa che emerse più chiaramente nei giorni seguenti.

Covell e decine di altre vittime dell’irruzione furono portati all’ospedale San Martino, dove i poliziotti camminavano su e giù per i corridoi, battendo il manganello sul palmo delle mani, ordinando ai feriti di non muoversi e di non guardare dalla finestra, lasciandoli ammanettati. Poi, senza che fossero stati medicati, li spedirono all’altro capo della città nel centro di detenzione di Bolzaneto, dove erano trattenute decine di altri manifestanti, presi alla Diaz e nei cortei.

I primi segnali che c’era qualcosa di più grave possono sembrare banali. Alcuni poliziotti avevano vecchie canzoni fasciste come suoneria del cellulare e parlavano con ammirazione di Mussolini e Pinochet. Diverse volte ordinarono ai prigionieri di gridare “Viva il duce” e usarono le minacce per costringerli a intonare canzoni fasciste: “Uno, due, tre. Viva Pinochet!”.

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #2 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 09:36:05 »
(segue)
Le 222 persone detenute a Bolzaneto furono sottoposte a un trattamento che in seguito i pubblici ministeri hanno definito tortura. All’arrivo furono marchiati con dei segni di pennarello sulle guance e molti furono costretti a camminare tra due file di poliziotti che li bastonavano e li prendevano a calci. Una parte dei prigionieri fu trasferita in celle che contenevano fino a 30 persone. Qui furono costretti a restare fermi in piedi davanti al muro, con le braccia in alto e le gambe divaricate. Chi non riusciva a mantenere questa posizione veniva insultato, schiaffeggiato e picchiato. Mohammed Tabach, che ha una gamba artificiale e non riusciva a sopportare la fatica della posizione, crollò. Fu ricompensato con due spruzzate di spray al pepe e, più tardi, un pestaggio particolarmente feroce.

Norman Blair ricorda che mentre era in piedi nella posizione che gli avevano ordinato una guardia gli chiese: “Chi è lo stato?”. “La persona davanti a me aveva risposto ‘Polizei’, così detti la stessa risposta. Avevo paura che mi pestassero”.

Stefan Bauer osò dare un’altra risposta: quando una guardia che parlava tedesco gli chiese di dove era, rispose che veniva dall’Unione europea e aveva il diritto di andare dove voleva. Lo trascinarono fuori, lo riempirono di botte e di spray al pepe sulla faccia, lo spogliarono e lo misero sotto una doccia fredda. I suoi vestiti furono portati via e dovette tornare nella cella gelida con un camice d’ospedale.

Tremanti sui pavimenti di marmo delle celle, i detenuti ebbero solo qualche coperta, furono tenuti svegli senza mangiare e gli venne negato il diritto di telefonare e a vedere un avvocato. Sentivano pianti e urla dalle altre celle.

Uomini e donne con i capelli rasta vennero brutalmente rasati. Marco Bistacchia fu portato in un ufficio, denudato, costretto a mettersi a quattro zampe e ad abbaiare. Poi gli ordinarono di gridare “Viva la polizia italiana!”. Singhiozzava troppo per ubbidire. Un poliziotto anonimo ha dichiarato al quotidiano La Repubblica di aver visto dei colleghi che urinavano sui prigionieri e li picchiavano perché si rifiutavano di cantareFaccetta nera.

Minacce di stupro
Ester Percivati, una ragazza turca, ricorda che le guardie la chiamarono puttana mentre andava al bagno, dove una poliziotta le ficcò la testa nel water e un suo collega maschio le urlò: “Bel culo! Ti piacerebbe che ci infilassi dentro il manganello?”. Alcune donne hanno riferito di minacce di stupro, anale e vaginale.

Perfino l’infermeria era pericolosa. Richard Moth, che aveva difeso con il suo corpo la compagna, era coperto di tagli e lividi. Gli misero dei punti in testa e sulle gambe senza anestesia. “Fu un’esperienza molto dolorosa e traumatica. Dovevano tenermi fermo con la forza”, ricorda. Tra le persone condannate il 14 luglio ci sono anche alcuni medici della prigione.

Tutti hanno dichiarato che non fu un tentativo di costringere i detenuti a confessare, ma solo un esercizio di terrore. E funzionò. Nelle loro testimonianze, i prigionieri hanno descritto la sensazione d’impotenza, di essere tagliati fuori dal mondo in un luogo senza legge e senza regole. La polizia costrinse i prigionieri a firmare delle dichiarazioni. Un francese, David Larroquelle, ebbe tre costole rotte perché non voleva firmare. Anche Percivati si rifiutò: gli sbatterono la faccia contro la parete dell’ufficio, rompendole gli occhiali e facendole sanguinare il naso.

All’esterno arrivò una versione dei fatti molto distorta. Il giorno dopo il pestaggio Covell riprese conoscenza all’ospedale e si accorse che una donna gli stava scuotendo la spalla. Pensò che fosse dell’ambasciata inglese, poi quando l’uomo che era con lei cominciò a scattare foto si rese conto che era una giornalista. Il giorno dopo il Daily Mail pubblicò in prima pagina una storia inventata di sana pianta secondo cui Covell aveva contribuito a pianificare gli scontri (ci sono voluti quattro anni perché il Mail si scusasse e risarcisse Covell per aver violato la sua privacy).

Mentre alcuni cittadini britannici venivano pestati e trattenuti illegalmente, i portavoce del primo ministro Tony Blair dichiararono: “La polizia italiana doveva fare un lavoro difficile. Il premier ritiene che lo abbia svolto”.

Le forze dell’ordine italiane raccontarono ai mezzi d’informazione una serie di menzogne. Perfino mentre i corpi insanguinati venivano trasportati fuori dalla Diaz in barella, i poliziotti raccontavano ai giornali che le ambulanze allineate nella strada non avevano nulla a che fare con l’incursione, che le ferite dei ragazzi erano precedenti all’incursione, e che l’edificio era pieno di estremisti violenti che avevano attaccato gli agenti.

Il giorno dopo, le forze dell’ordine tennero una conferenza stampa in cui annunciarono che tutte le persone presenti nell’edificio sarebbero state accusate di resistenza aggravata e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Alla fine, i tribunali italiani hanno respinto tutti i capi di accusa contro ogni singolo imputato, Covell compreso. I tentativi della polizia d’incriminarlo per una serie di reati gravissimi sono stati definiti “grotteschi” dal pubblico ministero Enrico Zucca.

Nella stessa conferenza stampa, furono esibite quelle che la polizia descrisse come armi: piedi di porco, martelli e chiodi che gli stessi agenti avevano preso in un cantiere accanto alla scuola, strutture in alluminio degli zaini, 17 macchine fotografiche, 13 paia di occhialini da nuoto, 10 coltellini e un flacone di lozione solare. Mostrarono anche due bombe molotov che, come ha concluso in seguito Zucca, erano state trovate in precedenza dalla polizia in un’altra zona della città e introdotte alla Diaz alla fine del blitz.

Queste bugie facevano parte di un più ampio tentativo di inquinare i fatti. La notte dell’incursione, un gruppo di 59 poliziotti entrò nell’edificio di fronte alla Diaz dove c’era la redazione di Indymedia e dove, soprattutto, un gruppo di avvocati stava raccogliendo le prove degli attacchi della polizia ai manifestanti. Gli agenti andarono nella stanza degli avvocati, li minacciarono, spaccarono i computer e sequestrarono i dischi rigidi. Portarono via tutto ciò che conteneva fotografie e filmati.

Poiché i magistrati rifiutavano di incriminare gli arrestati, la polizia riuscì a ottenere l’ordine di espellerli dal paese, con il divieto di tornare per cinque anni. In questo modo i testimoni furono allontanati dalla scena. In seguito i giudici hanno giudicato illegali tutti gli ordini di espulsione, così come i tentativi d’incriminazione.

Nessuna spiegazione
Zucca ha lottato per anni contro le bugie e gli insabbiamenti. Nella memoria che accompagna la richiesta di rinvio a giudizio ha dichiarato che tutti i dirigenti coinvolti negavano di aver avuto un ruolo nella vicenda: “Neppure un funzionario ha ammesso di aver avuto un ruolo sostanziale di comando per qualsiasi aspetto dell’operazione”. Un alto funzionario ripreso in video sulla scena ha dichiarato che quella notte era fuori servizio ed era passato alla Diaz solo per accertarsi che i suoi uomini non fossero feriti. Le dichiarazioni della polizia cambiavano continuamente ed erano contraddittorie, e sono state platealmente smentite dalle prove fornite dalle vittime e da numerosi video. “Nessuno dei 150 poliziotti presenti all’operazione ha fornito informazioni precise su un singolo episodio”.

Senza Zucca, senza la determinazione dei magistrati italiani, senza l’intenso lavoro di Covell per trovare i filmati sull’incursione alla Diaz, la polizia avrebbe potuto sottrarsi alle sue responsabilità e ottenere false incriminazioni e pene detentive contro decine di vittime. Oltre al processo per i fatti di Bolzaneto, che si è appena concluso, altri 28 agenti e dirigenti della polizia sono sotto accusa per il loro ruolo nell’incursione alla Diaz. Eppure, la giustizia è stata compromessa.
Nessun politico italiano è stato chiamato a rendere conto dell’accaduto, anche se c’è il forte sospetto che la polizia abbia agito come se qualcuno le avesse promesso l’impunità. Un ministro visitò Bolzaneto mentre i detenuti venivano picchiati e a quanto sembra non vide nulla, o almeno nulla che ritenesse di dover impedire. Secondo molti giornalisti, Gianfranco Fini – ex segretario del partito neofascista Msi e all’epoca vicepremier – si trovava nel quartier generale della polizia. Nessuno gli ha mai chiesto di spiegare quali ordini abbia dato.

Gran parte dei rappresentanti della legge coinvolti nelle vicende della scuola Diaz e di Bolzaneto – e sono centinaia – se l’è cavata senza sanzioni disciplinari e senza incriminazioni. Nessuno è stato sospeso, alcuni sono stati promossi. Nessuno dei funzionari processati per Bolzaneto è stato accusato di tortura: la legge italiana non prevede questo reato. Alcuni funzionari di polizia che all’inizio dovevano essere accusati per il blitz alla Diaz hanno evitato il processo perché Zucca non è riuscito a dimostrare che esisteva una catena di comando. Ancora oggi, il processo ai 28 funzionari incriminati è a rischio perché Silvio Berlusconi vorrebbe far approvare una legge per rinviare tutti i procedimenti giudiziari che riguardano fatti accaduti prima del giugno 2002. Nessuno è stato incriminato per le violenze inflitte a Covell. E come ha detto Massimo Pastore, uno degli avvocati delle vittime, “nessuno vuole ascoltare quello che questa storia ha da dire”.

La lezione della Diaz
È una storia di fascismo. Circolano molte voci che poliziotti, carabinieri e personale penitenziario appartenessero a gruppi fascisti, ma non ci sono le prove. Secondo Pastore, però, così si rischia di perdere di vista la questione principale: “Non si tratta solo di qualche fascista esaltato. È un comportamento di massa della polizia. Nessuno ha detto no. Questa è la cultura del fascismo”. La requisitoria di Zucca parla di “sospensione dello stato di diritto”.

Cinquantadue giorni dopo l’irruzione nella Diaz, diciannove uomini usarono degli aerei pieni di passeggeri per colpire al cuore le democrazie occidentali. Da quel momento, politici che non si definirebbero mai fascisti hanno autorizzato intercettazioni telefoniche a tappeto, controlli della posta elettronica, detenzioni senza processo, torture sistematiche sui detenuti e l’uccisione mirata di semplici sospetti, mentre la procedura dell’estradizione è stata sostituita dalla “consegna straordinaria” di prigionieri.

Questo non è il fascismo dei dittatori con gli stivali militari e la schiuma alla bocca. È il pragmatismo dei nuovi politici dall’aria simpatica. Ma il risultato appare molto simile. Genova ci dice che quando il potere si sente minacciato, lo stato di diritto può essere sospeso. Ovunque.

Traduzione di Maria Giuseppina Cavallo.

Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian il 17 luglio 2008, con il titolo “The bloody battle of Genoa”.

Offline Fabio70rm

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #3 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 09:56:24 »
Io ho visto il film Dias; atroce.

E all'epoca stavo facendo un corso di certificazione Steinberg per software audio professionale, con me c'era un signore di Genova, dovette interromperlo e correre a perchè il figlio, di dodici anni, in uno dei casini che successe, fu intercettato e picchiato da numerose manganellate della polizia.

Anni dopo ho saputo che gli ruppero tutte e due le braccia, incrinato quattro costole e rotto gli incisivi e i canini.

La sua colpa? Stava fotografando, per il giornalino della sua scuola, le cariche dei poliziotti ad un corteo pacifico o quasi.

Dodici anni....
Polisportiva SS LAZIO, l'unica squadra a Roma che vince invece di chiacchierare!!

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #4 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 10:00:32 »
E se ti fai un giro sul web c'è parecchia gente che giustifica l'accaduto con le violenze che la polizia avrebbe subito. Come se esistesse un diritto alla rappresaglia cieca e indiscriminata...
Hanno picchiato anziani, disabili, bambini, quelli della rete Lilliput, reporter di Famiglia Cristiana, senza ragione, infierendo in modo disumano, tanto che non sembrano addirittura verosimili certi racconti: sembra di sentir parlare di nazisti, o di Contras, o che. Crudeltà inimmaginabili in Italia, il Paese della "brava gente". C'è da avere paura, perché, per fortuna in modo isolato, certi fatti sono accaduti anche dopo, vedi Cucchi, Magherini eccetera.

Offline AlenBoksic

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #5 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 10:13:36 »
E se ti fai un giro sul web c'è parecchia gente che giustifica l'accaduto con le violenze che la polizia avrebbe subito.

Purtroppo la "civiltà" del cittadino medio italiano è tale che trova del tutto normale che un fermato dalla polizia venga manganellato di santa ragione come quasi sempre accade.
Scene del genere si vedono solo da noi.
Questo in linea generale.
Nel caso in questione poi ignoranza, pregiudizi, partito preso e mancanza d'informazione fanno il resto.

P.S.: Il web è una magnifica cosa ma amplifica a dismisura la necessità di parlare di tutto da parte di tutti, spesso in toni odiosi e violenti. C'è una violenza verbale straripante su quasi ogni argomento.
Voglio 11 Scaloni

Offline Fabio70rm

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #6 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 10:37:25 »
Comunque, avendoci a che fare per lavoro, posso dire che la Polizia, rispetto ai Carabinieri, è ben altra cosa...
Polisportiva SS LAZIO, l'unica squadra a Roma che vince invece di chiacchierare!!

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #7 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 11:35:47 »
in che senso? Meglio o peggio?
Comunque rifiuto di accollare alla Polizia o ai Carabinieri in generale l'accaduto, mentre sono convinto che per fare un lavoro del genere ci si sia preparati per benino, inclusa scelta selettiva degli uomini. Quindi una parte di, ben precisa.

Offline AlenBoksic

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #8 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 11:38:27 »
Peggio presumo.
Questo dipende anche dalle differenze istituzionali tra i due corpi.
cmq son sempre diffidente rispetto a queste generalizzazioni: pdm come brave persone esistono e coesistono ovunque
Voglio 11 Scaloni

Offline zorba

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #9 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 11:38:43 »
Comunque, avendoci a che fare per lavoro, posso dire che la Polizia, rispetto ai Carabinieri, è ben altra cosa...

in che senso? Meglio o peggio?

E soprattutto, cerchiamo di non generalizzare, precisando che alcuni bipedi, indossando le divise di polizia o carabinieri...
Là dove torneranno ad osare le aquile (e dal 26.05.2013, ci siamo andati un pò più vicino!!!!)

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #10 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 13:11:58 »
E' doveroso, sempre, non generalizzare, caro Zorba. La fiducia nelle forze dell'ordine è uno dei pilastri della democrazia.
Proprio per questo stupiscono le coperture istituzionali di cui hanno goduto i torturatori, ma anche le generiche resistenze delle forze dell'ordine rispetto all'introduzione del reato di tortura. E la posizione dei sindacati della Polizia sulle questioni-Aldrovandi, Cucchi e su questa stessa questione. Ci vorrebbe pochissimo, basterebbero inchieste serie all'interno dei corpi di polizia.
E invece tocca a noi ricordarci che le forze dell'ordine sono qui per difenderci, non per torturarci o ucciderci...

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #11 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 18:26:31 »
Mancava poco a mezzanotte quando il primo poliziotto colpì Mark Covell con una manganellata sulla spalla sinistra...

Nel 1988 l’Italia ha ratificato la Convenzione dei diritti umani contro la tortura, ma a quella convenzione non ha mai adeguato il codice penale.
Da noi il torturatore, che sia un funzionario di Polizia, o una maestra d'asilo, o un paramedico di un ospedale psichiatrico giudiziario, o un governante di un ospizio, o chiunque abbia la minima possibilità di esercitare violenze arbitrarie su chi non è in grado di difendersi, non può essere giudicato per tortura.
Una aberrazione di cui dovremmo vergognarci: prima vi si porrà un necessario (e civile) rimedio e meglio sarà.

P.s.
Sui perché di questa aberrazione bisognerebbe farci un discorso approfondito, ed in parte, caro TD, una volta lo abbiamo già fatto, e fu quando parlammo della denazistizzazione della Germania a cui non ha fatto mai riscontro la defascistizzazione dall'Italia.
Io non so qui quanti saranno d'accordo con me ma Mussolini non ha inventato nulla, ha solo scattato una fotografia del paese: il fascismo non è altro che italianità allo stato puro. Italiano e Fascista sono la stessa parola: metti una divisa addosso ad uno stronzo, dai un minimo di potere al più insignificante degli idioti e ti troverai ad avere di problemi con un lei-non-sa-chi-sono-io nel migliore dei casi o uno spaccarotella con la pistola spianata nel peggiore.
Certo, ci sono delle eccezioni, ma la caratteristica delle eccezioni è quella di confermare la regola; quindi gli italiani, salvo casi più unici che rari, più che fra fascisti ed antifascisti, vanno divisi fra fascisti di destra, fascisti di centro e fascisti di sinistra. Ognuno abbarbicato come una cozza al proprio pezzettino di potere o alla propria miserabile facoltà di sopruso; grosso o piccolo non importa, purché sia proporzionato alla miserabile statura di chi lo esercita.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Arch

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #12 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 18:47:10 »
Non mi sento né fascista di destra, né di centro, né di sinistra.  Quello che è sicuro è che in ogni paese, in genere, il cappello in testa o la divisa fa diventare prepotenti e protervi. Specialmente in Italia. I sindacati delle forze dell'ordine sono corporazioni a sé stanti. La crème de la crème di ciò che non si dovrebbe essere.
In Italia la tortura fu praticata a Genova e seguita ad essere praticata di nascosto.
Grazie TD per averci risvegliato ricordi che non devono assopirsi.

ThomasDoll

Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #13 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 19:03:43 »
Credo (andando a braccio, posso documentarmi ma posto "a pelle") che ci sia un collegamento diretto tra lo squadrismo pre e post marcia su Roma e certe degenerazioni interne alla Polizia. Non so contestualizzare quelle dei carabinieri. Invoco l'intervento di Giglic per quanto riguarda la prima, ma ho idea che la consuetudine poliziotta di avere simpatia per il faccione, rilevata direttamente con occhi e orecchie, sia dovuta a quello, dunque fascista "originale". Poi sì, la foto al Paese com'era Mussolini la fece, tant'è che se lo magnò con una certa facilità. Rispetto al fascismo va anche ripresa, ripercorsa, riletta la polizia politica, e forse in queste cinque righe e mezza abbiamo incluso tutti i pezzetti del mosaico.

Offline Fabio70rm

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #14 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 19:14:37 »
in che senso? Meglio o peggio?
Comunque rifiuto di accollare alla Polizia o ai Carabinieri in generale l'accaduto, mentre sono convinto che per fare un lavoro del genere ci si sia preparati per benino, inclusa scelta selettiva degli uomini. Quindi una parte di, ben precisa.

Non era una generalizzazione è che ho trovato, a livello medio, più umanità nei Carabinieri che nella Polizia.

Ma è una mia personale esperienza.

Poi magari arriva la persona che ha trovato il contrario...

Fermo restando che, come giustamente sottolineato da Alen e Zorba, trovi ovunque il peggio e il meglio.

In generale non so da cosa dipendi questa differenza, ma almeno per me c'è ed è abbastanza significativa...
Polisportiva SS LAZIO, l'unica squadra a Roma che vince invece di chiacchierare!!

Offline Fabio70rm

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #15 : Mercoledì 8 Aprile 2015, 19:26:31 »
A proposito di macelleria e di fatti del G8:

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/04/08/diaz-orfini-vergogna-per-de-gennaro_cf98e866-d340-401e-b6f1-23c370535717.html


Diaz, Orfini contro De Gennaro: 'Una vergogna sia presidente di Finmeccanica'
Lo dissi quando fu nominato capo gruppo industriale e lo ripeto



All'indomani della condanna dell'Italia da parte della Corte Europea per i fatti della scuola Diaz durante il G8 di Genova nel 2001, scoppia la polemica in casa Pd. Su Twitter, il presidente Dem Matteo Orfini attacca a muso duro l'allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro.

"Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza. Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica". Lo scrive il presidente del Pd Matteo Orfini su Twitter in riferimento alla sentenza della Corte di Strasburgo sui fatti del G8 di Genova.

 

Il M5S chiede le dimissioni di Gianni De Gennaro da presidente di Finmeccanica. "Basta ipocrisia- dice Vittorio Ferraresi- De Gennaro si deve dimettere. È stato nominato da un governo di centrosinistra ed è inaccettabile e vergognoso che ancora oggi parli chi ha lasciato i responsabili al suo posto. Si prendano le proprie responsabilità gli esponenti di destra e sinistra che hanno acconsentito a tutto ciò".

La posizione di Sel: "Siamo - dice il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni - talmente convinti che sia una vergogna che Gianni De Gennaro sia stato nominato da Renzi al vertice di Finmeccanica, da permetterci di chiedere a Matteo Orfini, presidente del Pd, di fare qualcosa di più che un semplice tweet: chieda al Presidente del Consiglio (che è anche segretario del Pd) di risolvere il problema sollevato, faccia in modo che il partito da lui presieduto e il suo governo chiudano una vicenda che non ha giustificazioni. Altrimenti sono solo parole in libertà.

"Orfini punta il dito contro De Gennaro? - commenta Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea.  - Benissimo, finalmente siamo d'accordo! Per noi di Rifondazione l'ex capo della polizia non avrebbe dovuto avere più nessun ruolo pubblico dopo la vergognosa mattanza di Genova e anzi avrebbe dovuto rispondere di quella macelleria messicana. Invece, tra i tanti incarichi, De Gennaro dopo Genova è diventato prima capo di gabinetto agli Interni, poi commissario per l'emergenza rifiuti, nominato da Monti sottosegretario per la Sicurezza e da Letta presidente di Finmeccanica: deve proprio avere un santo in paradiso! Ora il Pd, invece che fare due parti in commedia, licenzi De Gennaro". "A Genova noi c'eravamo ed eravamo tra quelli che prendevano le botte, come e con Arnaldo Cestaro, che ha fatto condannare l'Italia dalla Corte di Strasburgo per il massacro della Diaz", conclude.

 Si schiera con la Polizia Claudio Scajola, ministro dell'Interno all'epoca dei fatti. "Assolutamente non mi sento responsabile politico di quanto avvenuto alla Diaz nel 2001", dice ai microfoni de ilfattoquotidiano.it. "Genova è stato un terribile esempio di scontro fra dimostranti e dimostranti che erano venuti per mettere a ferro e fuoco Genova. E dove ci sono state delle colpevoli azioni di alcuni singoli membri della forza di polizia".

Santanché, sinistra non strumentalizzi sentenza -  "Le forze dell'ordine non meritano un nuovo processo mediatico ingeneroso a quasi 14 anni dai fatti di Genova. Non si puo' demonizzare chi ogni giorno mette a rischio la propria vita, lavorando in condizioni spesso precarie e con stipendi ridotti all'osso. La sinistra ideologica non strumentalizzi la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo: tutti ricordano di cosa furono capaci alcuni suoi illustri protagonisti durante quei giorni". Lo afferma Daniela Santanchè, Forza Italia.



http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/04/08/diaz-de-gennaro-da-falcone-alle-brpassando-per-il-g8_09d737f2-6044-49f2-859a-18ed3dc63dc1.html

PROFILO: De Gennaro: da Falcone alle Br, passando per il G8



Una vita da sbirro, un soprannome da duro, una carriera costellata di successi e macchiata da un'ombra, l'irruzione della polizia nella scuola Diaz durante il G8 di Genova, che neanche l'assoluzione definitiva ha completamente cancellato: Gianni De Gennaro,  dal luglio del 2013 alla guida di Finmeccanica, dopo quarant'anni passati ad inseguire - e spesso prendere - mafiosi, brigatisti, terroristi. Sette anni da capo della polizia, unico non americano ad aver ricevuto la massima onorificenza dell'Fbi, quattro alla guida dei servizi segreti e uno da tecnico prestato alla politica come sottosegretario con delega agli 007, lo 'Squalo' - come lo chiamavano i suoi piu' stretti collaboratori - e' sempre stato un uomo di poche parole, con le idee molto chiare e capacita' riconosciutegli anche dai suoi nemici.

"All'inizio degli anni novanta mi diedero un pezzo di carta e mi dissero 'fai la Dia' - racconto' quando il governo Prodi lo nomino' commissario straordinario per l'ennesima emergenza rifiuti in Campania - Non avevo nulla, lo staff era composto praticamente solo da me. Con l'autista ci fermavamo in una traversa di via Barberini e in macchina scrivevo le relazioni. La differenza e' che di rifiuti ho dovuto studiare, di mafia qualcosa sapevo". E in effetti, a combattere la mafia De Gennaro ha passato buona parte della sua vita, artefice di quella squadra di investigatori di razza che annoverava tra le sue fila l'ex capo della Polizia Antonio Manganelli e l'attuale capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Alessandro Pansa. Nato a Reggio Calabria il 14 agosto del 1948, De Gennaro entra in polizia nel 1973.

Con il grado di commissario ottiene il suo primo incarico alla questura di Alessandria e nel 1975 viene trasferito alla questura di Roma e assegnato alla Squadra mobile come dirigente della narcotici prima e alla Criminalpol del Lazio poi. Sono gli anni di piombo ma anche quelli in cui la 'mala' romana diventa criminalita' organizzata, con l'arrivo dei marsigliesi e degli ambasciatori di Cosa Nostra. Nel 1984 lo Squalo e' trasferito alla Criminalpol per dirigere prima il Nucleo centrale anticrimine, poi il Servizio centrale operativo. Anni in cui si solidifica il rapporto con Giovanni Falcone, che affianca per 11 anni.

Da Roma alla Sicilia fino agli Usa, le operazioni antimafia firmate dai due hanno fatto storia: Pizza Connection, Iron Tower, la collaborazione di pentiti del calibro di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, l'arresto di latitanti quali Zaza, Vernengo, Lucchese. Fino all'arresto del 2006 dell'allora numero uno di Cosa Nostra Bernardo Provenzano. Promosso per due volte per merito straordinario - la prima, nel 1980, protagonista in un conflitto a fuoco all'ambasciata belga di Roma finito con la liberazione di 30 ostaggi; la seconda nel 1990, a conclusione di una serie di importanti operazioni di rilievo internazionale contro la mafia - nel 1991 diventa vice direttore della Dia e due anni dopo direttore. Ma lo Squalo e' impegnato anche sul fronte dei sequestri di persona, dirigendo personalmente le indagini che hanno condotto alla liberazione di Esteranne Ricca, di Carmine Del Prete, di Augusto De Megni e di Patrizia Tacchella. E c'e' sempre il suo zampino nelle indagini che portano all'arresto degli ultimi brigatisti, quelli responsabili degli omicidi di D'Antona e Biagi. Dopo 6 anni da vice capo, il 26 maggio del 2000 Gianni De Gennaro arriva alla guida della Polizia."Il primo spunto concreto di indagine per venire a capo della strage di Capaci - disse il giorno del suo insediamento l'ex capo della procura di Palermo Giancarlo Caselli - lo fornirono gli uomini da lui coordinati". "Ricordo bene - disse invece l'ex picconatore Cossiga - quando Falcone lo accompagno' da me al Quirinale e me lo presento' come un grandissimo investigatore e un collaboratore di grande affidabilita' e lealta'".

L'anno nero di De Gennaro e' il 2001, quando si trova ad affrontare il G8 di Genova e finisce sotto accusa per la gestione dell'ordine pubblico e, soprattutto, per il blitz alla Diaz. Subito dopo, in una delle sue rare interviste concesse in questi anni, racconto' al Tg5 di non aver mai pensato di dimettersi. E successivamente, replicando ad Heidi Giuliani in Commissione al Senato, aggiunse: ''Non credo che il comportamento di singoli, sicuramente censurabili, debba inficiare il valore e la generosita' delle forze di polizia in generale''. De Gennaro e' stato assolto in primo grado e poi condannato ad un anno e quattro mesi per aver istigato alla falsa testimonianza l'ex questore di Genova Francesco Colucci, e' stato assolto dalla Cassazione "perche' il fatto non sussiste": "Non si e' acquisita - scrissero i giudici nelle motivazioni - alcuna prova o indizio di un coinvolgimento decisionale di qualsiasi sorta nell'operazione Diaz". Lo Squalo lascia il Dipartimento di Ps, la sua 'famiglia', nel 2007: un anno a Napoli e poi alla guida degli 007, dove resta fino a quando il governo Monti lo nomina sottosegretario con delega ai Servizi.
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Offline Skorpius

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #16 : Giovedì 9 Aprile 2015, 08:39:43 »
La creazione del reato di tortura e' una mera formalita'... Ma quanto ci piacciono le formalita'
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline Frusta

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #17 : Giovedì 9 Aprile 2015, 08:44:26 »
Credo (andando a braccio, posso documentarmi ma posto "a pelle") che ci sia un collegamento diretto tra lo squadrismo pre e post marcia su Roma e certe degenerazioni interne alla Polizia. Non so contestualizzare quelle dei carabinieri. Invoco l'intervento di Giglic per quanto riguarda la prima, ma ho idea che la consuetudine poliziotta di avere simpatia per il faccione, rilevata direttamente con occhi e orecchie, sia dovuta a quello, dunque fascista "originale". Poi sì, la foto al Paese com'era Mussolini la fece, tant'è che se lo magnò con una certa facilità. Rispetto al fascismo va anche ripresa, ripercorsa, riletta la polizia politica, e forse in queste cinque righe e mezza abbiamo incluso tutti i pezzetti del mosaico.

Non so se lo ricordi, ma qui sul forum parlammo del fatto che, dopo la guerra, in Germania si ritenne necessario che per costruire una società diversa da quella nazista fosse indispensabile comportarsi come ci si comporta dopo un’epidemia: si brucia tutto; ogni cosa che potrebbe contenere i germi dell'infezione va bruciata.
Si fecero leggi speciali e tribunali speciali affinché chiunque avesse avuto una funzione pubblica durante il nazismo, dall'ultimo dei bidelli fino al più alto dei burocrati, venisse rimosso dalla sua carica e spedito a sgomberare le macerie nel migliore dei casi o in galera nel peggiore.
Questo processo colpì circa 2.700.000 persone, e praticamente ogni tedesco dovette certificare il proprio passato.
Qui in Italia avemmo l'amnistia e, come disse Churchill, "in una notte 45 milioni di fascisti diventarono 45 milioni di antifascisti": se abbiamo certi magistrati, certi giudici e certa polizia, se la gente crepa ammazzata di botte nelle caserme, lo dobbiamo al fatto che, dopo l'epidemia, non abbiamo bruciato niente.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline AlenBoksic

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #18 : Giovedì 9 Aprile 2015, 09:14:31 »
Non so se queste fiamme purificatrici avrebbe scaturito un qualche effetto.
Quello che manca a tutti i livelli e con le diverse responsabilità è il senso civico.
In troppo larghi strati della popolazione si ritiene normale abusare della propria posizione qualora sia possibile, e quando non lo sia privilegiare il proprio tornaconto rispetto agli interessi generali.
Gli esempi in questo senso si sprecano anche (se non soprattutto) nella tanto decantata società civile.
Alla fine chi fa il proprio lavoro senza trarne guadagno, senza frodare il fisco, senza promuovere i suoi accoliti, senza certificare il falso ecc ecc viene considerato un fesso e- nel caso sia un politico - non viene più votato.
Questo atteggiamento, e il caso in questione è sotto questo aspetto da manuale, fa sì che alla fine la sanzione sia demandata in toto al potere giudiziario, quando invece ben prima dovrebbe esistere la sanzione civile.
Voglio 11 Scaloni

Offline WombyZoof

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Re:La macelleria messicana: TORTURA in Italia
« Risposta #19 : Giovedì 9 Aprile 2015, 17:46:53 »
E se ti fai un giro sul web c'è parecchia gente che giustifica l'accaduto con le violenze che la polizia avrebbe subito. C

sono gli stessi che esultarono quando i nostri vennero arrestati a varsavia.
«Per un centimetro Beppe, per un centimetro»