Autore Topic: La cicatrice di Roma  (Letto 13699 volte)

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Offline Skorpius

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #100 : Giovedì 26 Marzo 2015, 17:46:37 »
Non è vero, F_M, che la strage fu scoperta dopo la liberazione.

 Aggiunge uno storico americano" Per i tedeschi prendere i colpevoli è irrilevante: la rappresaglia non è intesa a punire loro o a vendicare gli uccisi, ma a restaurare pubblicamente il loro potere ferito". Inoltre a causa dell'enormità dell'attentato i tedeschi non poterono più proibire ai giornali di tacere delle continue perdite di uomini e mezzi che subivano negli ultimi mesi per opera dei partigiani e questo fece capire ai resistenti di tutta Italia che a Roma il movimento di liberazione era ben vivo e che i tedeschi non erano imbattibili. Vi è da considerare, ancora, che dopo la strage delle Ardeatine i sentimenti dei cittadini romani, anche di quelli più prudenti, furono improntati su un odio profondo contro i nazisti e ciò è dimostrato dall'esponenziale incremento dei sabotaggi, degli attacchi e degli attentati.

Non capisco come si conciliano questi due concetti.
Inoltre mi sembra che l'ultimo punto confermi esattamente quanto detto da cartesio: la strage aveva come scopo inseguito la rappresaglia per ottenere la parte in grassetto
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline AlenBoksic

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #101 : Giovedì 26 Marzo 2015, 18:00:56 »
Inoltre mi sembra che l'ultimo punto confermi esattamente quanto detto da cartesio: la strage aveva come scopo inseguito la rappresaglia per ottenere la parte in grassetto

Plurime testimonianze riportate da storici di ogni tipo e riferite a regioni lontanissime e diversissime tra loro dimostrano che spesso la popolazione incolpava i partigiani del dover subire le rappresaglie,
così come incolpava tedeschi e fascisti dei bombardamenti alleati, visto che essi non ci sarebbero stati se non avessero voluto proseguire la guerra.
L'occupazione tedesca era invisa da subito precisamente e principalmente per questo motivo.
Il comportamento tenuto poi dalle truppe non era certo di quelli che ispirassero simpatia, anzi: spesso i rapporti erano più che tesi con gli stessi militi della RSI, figuriamoci con la semplice popolazione civile.
D'altronde come biglietto da visita esibirono l'eccidio di Boves
http://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Boves
(interessante notare come la rappresaglia scatti comunque)
Voglio 11 Scaloni

Offline Arch

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #102 : Giovedì 26 Marzo 2015, 20:22:33 »
Scusami Skorpius, davvero, ma mi sembra che le due frasi citate e grassettate siano congrue.

Offline Wild Bill Kelso

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #103 : Giovedì 26 Marzo 2015, 22:56:22 »
Il titolo del topic, La cicatrice di Roma, riflette appieno ciò che sono state e che sono tutt'ora le Fosse Ardeatine. Una cicatrice, una ferita non rimarginata, un segno che resta in eterno. L'eterogeneità politica e sociale dei martiri fa di quella strage un avvenimento emblematico che lega 335 storie diverse che finiscono però tutte a Roma.
Muoiono commercianti, soldati, operai, stracciaroli, stagnari, antiquari, intellettuali, monarchici, comunisti, socialisti, liberali e persino chi è completamente privo di appartenenza politica. E in mezzo ci finisce anche un sacerdote cattolico, oltre ai soliti cittadini ebrei. Il nazismo combatteva evidentemente contro l'Umanità, il genere umano.

Come già ricordato da Arch, l'attentato di Via Rasella non fu l'unico atto di guerra che si verificò a Roma dal 10 settembre '43 al 4 giugno '44. Dopo l'epica battaglia di Porta San Paolo e della Montagnola, nei mesi successivi gli scontri proseguirono in tutta la città finendo per coinvolgere anche l'area di Tivoli e dei Colli Albani.
Come non ricordare l'azione del gennaio del 1944 quando Maria Teresa Regard (che ho avuto l'onore di conoscere) fa saltare in aria il bar della Stazione Termini dove si riunivano i soldati tedeschi (morirono in 20).

Il tutto in un clima atroce fatto di privazioni, fame, miseria, delazioni, deportazioni e torture. Rastrellamenti ed esecuzioni sommarie i tedeschi li perpetrarono dapprincipio, soprattutto per l'odio che nutrivano nei confronti dell'Italiano traditore. E i GAP risposero, sia nei confronti dei servi fascisti sia e soprattutto contro l'occupante.


Ma la vigliacca rappresaglia dei boia germanici fu per loro un atto normale, d'altronde le SS e la Whermacht con le loro uccisioni indiscriminate avevano già insanguinato l'Europa. E a Roma avevano cominciato presto. Il tempo di mettere a punto la famigerata organizzazione tedesca ed ecco che il 7 ottobre deportano in Germania di 1500 carabinieri che si erano rifiutati di passare con gli sgherri di Salò.
Dopo 9 giorni, il 16 ottobre, oltre mille cittadini romani di religione ebraica vengono spediti ad Auschwitz, i nomi presi direttamente nella Prefettura fascista. Mentre le deportazioni dei mesi successivi avvennero spesso grazie a delazioni di fascisti convinti desiderosi di compiacere l'alleato tedesco e ben contenti di mostrarsi ai torturatori della Banda Koch.
Il 27 di Ottobre ci fu il famigerato rastrellamento di Montesacro con oltre 300 cittadini romani spediti a morire di fame e di stenti direttamente in Germania nelle fabbriche dell'organizzazione Todt.
A novembre ci saranno retate a Pietralata e persino nel ricco quartiere Prati. Mentre il 17 Aprile del 1944 assisteremo al rastrellamento del Quadraro quando truppe tedesche, coadiuvate dalla Gestapo, dalle SS e dai soliti accoliti della Banda Koch arresteranno circa 800 cittadini colpevoli di abitare in una borgata proletaria che persino negli anni d'oro del Fascismo non aveva mai abbassato la testa. Di questi cittadini romani, spediti a lavorare come schiavi nei campi di concentramento, soltanto la metà sopravviveranno.

QUESTI CRIMINI NON SONO STATI LA CONSEGUENZA DI AZIONI PARTIGIANE.


Nel dopoguerra il dibattito che si aprì sulla vicenda di Via Rasella fu però molto eclatante e per certi versi aspro soprattutto tra gli storici. Se da un lato quasi tutti convennero che si trattò nient'altro che di una legittima azione militare contro un occupante (per giunta feroce), dall'altro ci si chiese, viste le conseguenze, dell'opportunità di un'azione così importante ma certamente non più grave di tante altre.

Sì, per quanto mi riguarda. Si trattò di un'azione opportuna e certamente legittima. Non era nient'altro che una delle tante azioni che i GAP avevano messo in atto contro la canaglia nazista e i loro tirapiedi repubblichini e che rientrava in un disegno ben preciso, quello di far sentire a Kappler e a Kesserling che non erano affatto ben voluti e che si stavano muovendo (non soltanto in senso figurato) su un terreno minato.
I patrioti romani non sapevano quando sarebbe arrivata la liberazione della Capitale, potevano immaginarlo, forse intuirlo, ma non avevano certezze. Dallo sbarco di Anzio del 22 Gennaio 1944, gli angloamericani erano rimasti bloccati, Alexander e Clark subirono diversi scacchi da parte della Whermacht e a Roma non si poteva certamente lasciare agli occupanti la possibilità di far giungere aiuti militari né di avere il tempo di organizzarsi in una strenua difesa della Città Eterna.
Cosa? È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l'abbiamo deciso noi. È forse finita quando i tedeschi bombardarono Pearl Harbour? Col cazzo che è finita! E qui non finisce, perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.

Offline cartesio

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #104 : Giovedì 26 Marzo 2015, 23:47:36 »
certo chem; ma da queste parti c´è anche chi cerca di "revisionare storicamente" Mussolini che, parole sue, voleva 1.000.000 di morti (italiani) per sedere al tavolo dei vincitori.

Ci sarà anche chi vuole "revisionare storicamente" Mussolini, ma non penso che dovremmo rinunciare all'analisi dei fatti solo per questo.

Mi piacerebbe riuscire a rispondere a tutti coloro che hanno replicato ai miei interventi, ma non ne ho il tempo. Inoltre c'è un aspetto sgradevole delle discussioni su Via Rasella, nelle quali, oltre ad arrivare i deprecabili giudizi sui presenti anziché confronti sulle tesi, si introducono elementi estranei che disturbano la discussione.
Faccio un esempio.

Leggo in alcune risposte che l'uccisione in un atto di guerra di 32 soldati germanici fu inutile stante il particolare tipo di militari che costituivano il plotone. Innocui soldatini che marciavano cantando "Humpf, Mein maedel", altoatesini  e per di più cattolici.

Nessuno, prima dell'intervento di Arch, ha scritto per di più cattolici. Il loro cattolicesimo non è affatto stato citato.

Invece noto che gli altoatesini sono diventati germanici. Da quando? Anche ammettendo che non si sentissero italiani, al massimo potremmo dirli tirolesi, forzando un po' austriaci, germanici mai.
Aggiungo che nessuno ha detto che fossero innocui. La frase che ho scritto in uno dei miei interventi era

Quell'atto di guerra ha comportato la morte di una trentina di "militari per caso", messi lì proprio perché non erano in grado di compiere azioni militari degne di questo nome, senza ottenere alcun vantaggio militare.

I militari appartenevano all'11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordinanza) [fonte: Wikipedia]. L'entusiasmo con cui entrarono nel battaglione è ben descritto su WIkipedia:

La chiamata al servizio di guerra nell'Alpenvorland è stata definita da qualche autore come un vero e proprio "rastrellamento di sudtirolesi" nelle vallate, dovuto alla nota volontà dei tedeschi di impiegare tutte le risorse umane disponibili, tanto da arrivare a schierare nelle ultime fasi del conflitto anche i giovanissimi della Hitlerjugend e gli anziani del Volkssturm. Per la maggior parte, gli arruolati erano contadini, artigiani, pastori e mugnai, molti dei quali montanari: ricevettero una cartolina indirizzata «All'obbligato al servizio di guerra»[12], che lapidariamente enunciava: «Vi viene dato l'ordine di presentarVi in base all'ordinanza del commissario supremo»[13]. Chi avesse tentato di rifugiarsi in montagna per sottrarsi all'arruolamento avrebbe rischiato la condanna a morte, nonché la persecuzione dei propri cari secondo la norma penale tedesca della Sippenhaft (traducibile come "responsabilità del clan"), come minacciava un manifesto in lingua italiana del gennaio 1944:

« Coloro che sono chiamati al servizio di guerra ricevono lo stesso trattamento in vigore nelle analoghe organizzazioni del grande Reich germanico. La parificazione avviene anche per quanto riguarda la disciplina e le punizioni. [...] Chi non ottempera all'ordine di presentazione, di visita o di chiamata o comunque si sottrae allo stesso o tenta di sottrarsi con la fuga o danneggiando dolosamente la propria salute viene punito con la pena di morte. In casi meno gravi la pena può essere commutata nel carcere duro fino a 10 anni. Le stesse pene sono comminate per i complici. Fino alla cattura dei rei o dei loro complici, possono essere arrestati i loro congiunti, e cioè la moglie, i genitori, i figli sopra i diciotto anni e fratelli e sorelle che convivono col reo o complici[14]. »
Chi si presentava, dopo un paio di settimane di addestramento, riceveva un modulo prestampato individuale da firmare, sul quale era scritto: «L'arruolato svolge il proprio servizio presso il reggimento in qualità di volontario»; a chi tentò di rifiutarsi di firmare fu spiegato che ciò avrebbe comportato il trasferimento immediato al fronte oppure in un lager. Josef Prader, reduce del III Battaglione del "Bozen", anni dopo ricordò: «Ci fecero firmare cartellini sui quali era scritto che eravamo volontari. Io dissi che, se volevano, potevano anche arruolarmi, ma non come volontario. Mi risposero che mi avrebbero definito come pareva e piaceva a loro, e che se facevo tante storie, sarei finito in Russia. Ecco come eravamo volontari...»[15].


Forse avrei dovuto scrivere "militari per forza", invece che "militari per caso". Si trattava comunque di gente impreparata alla guerra e che non voleva farla. Gente di cui il comando tedesco non si fidava, e che quindi veniva destinata a compiti di contorno, come pattugliare le vie di Roma, città aperta.

e ffforza lazzzio

Ai nostri giorni si può scegliere la propria religione, Hadouch, ma non la propria tribù. D. Pennac, La Prosivendola.

Offline cartesio

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #105 : Giovedì 26 Marzo 2015, 23:58:25 »
Ma la vigliacca rappresaglia dei boia germanici fu per loro un atto normale,

Esatto.

Normale e prevedibile.

 d'altronde le SS e la Whermacht con le loro uccisioni indiscriminate avevano già insanguinato l'Europa.

Appunto.

Anche per questo Salvo D'Acquisto si dichiarò responsabile della morte (forse casuale) di alcuni soldati tedeschi, salvando la vita a più di 20 persone. 2 tedeschi morti, 22 italiani imprigionati nel rastrellamento.
e ffforza lazzzio

Ai nostri giorni si può scegliere la propria religione, Hadouch, ma non la propria tribù. D. Pennac, La Prosivendola.

Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #106 : Venerdì 27 Marzo 2015, 01:14:04 »
Esatto.

Normale e prevedibile.

Appunto.

Anche per questo Salvo D'Acquisto si dichiarò responsabile della morte (forse casuale) di alcuni soldati tedeschi, salvando la vita a più di 20 persone. 2 tedeschi morti, 22 italiani imprigionati nel rastrellamento.

In base a questo, ogni azione di "non collaborazione" (i tedeschi classificavano come passibile di rappresaglia anche questo) da parte della popolazione civile in un paese occupato è classificabile come un crimine esso stesso, perché "può scatenare rappresaglie". 

Una visione che non può essere sostenuta seriamente in alcun contesto.

La lotta partigiana caratterizzò tutta la II guerra mondiale, in tutti i paesi occupati. Gli stessi inglesi disponevano di un'efficientissima organizzazione di lotta clandestina, che doveva essere condotta dalla popolazione.

Se si delegittima l'attacco di Via Rasella perché "causa di certa rappresaglia", viene dietro tutto il movimento resistenziale. Anche su Sant'Anna di Stazzema (episodio assai poco noto fino a pochi anni fa come gran parte delle nefandezze hitleriane compiute in Italia, in omaggio alla strategia atlantica del dopoguerra) il revisionismo reazionario s'è esercitato nel cercare "colpe dei partigiani": e così potrebbe essere per ogni episodio simile.

Il quadro - falso - che esce da certe inversioni di responsabilità sarebbe quello di una popolazione civile che convive tranquillamente con l'occupante, a Roma, non fosse per quegli irresponsabili del CLN che guastano l'idillio sabotando i binari, i rifornimenti, e tutto il resto. Ma a me non sembra, ad esempio, che la mancanza di reazione agli occupanti avesse impedito, pochi giorni dopo l'ignobile fuga dei fascisti da Roma, il rastrellamento di duemila persone nel Ghetto.

La popolazione romana era terrorizzata dai tedeschi, Via Rasella o no. Il comando tedesco era a Frascati e forse qualche anziano, ai Castelli, ancora può raccontare cosa dovesse subire la popolazione.

Quando fu girato Roma città aperta, nel 1945, la gente vedeva le comparse vestite da soldati tedeschi e scappava, spaventata. Sapevano che erano comparse di un film, ma quelle divise seminavano il terrore lo stesso.

Non si può trattare la realtà storica senza cercare, per quanto possibile, di inquadrarla profondamente.

Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #107 : Venerdì 27 Marzo 2015, 01:27:12 »
Non lasciarci qua, Fùhrer,

dove il Duce governa senza paese e senza potenza,

dove i partigiani non danno pace,

dove la notte in ogni angolo si spara e si strepita,

dove ogni notte ci saltano le rotaie,

dove il treno salta per aria,

dove le lettere arrivano dopo tante settimane,

non è questa la nostra patria; eppure perseveriamo

dalle foci del Tevere fino alle Alpi...

Al diavolo questo maledetto paese,

tutti gridiamo in coro:

non lasciarci qua, Fuhrer, prendici in patria nel Reich.

Offline Frusta

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #108 : Venerdì 27 Marzo 2015, 07:08:44 »
La domanda che vorrei porre a Zapruder, Arch, Wild Bill Kelso eccetera è: potendo tornare indietro nel tempo, ripetereste l'attentato di via Rasella?
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Arch

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #109 : Venerdì 27 Marzo 2015, 08:34:13 »
Io sì. Stando, naturalmente, in quelle condizioni. Con il mio Paese sotto un'occupazione feroce, con il mio Paese annichilito da una guerra scellerata, con il mio Paese alla fame, con le deportazioni, le repressioni, i milioni di morti, le città distrutte, con la privazione della libertà ecc., ecc.

@ Cartesio. ok, soldati tirolesi, di lingua madre tedesca, belligeranti con i germanici, ma non germanici.

Offline cartesio

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #110 : Venerdì 27 Marzo 2015, 08:49:17 »
Se si delegittima l'attacco di Via Rasella perché "causa di certa rappresaglia", viene dietro tutto il movimento resistenziale. Anche su Sant'Anna di Stazzema (episodio assai poco noto fino a pochi anni fa come gran parte delle nefandezze hitleriane compiute in Italia, in omaggio alla strategia atlantica del dopoguerra) il revisionismo reazionario s'è esercitato nel cercare "colpe dei partigiani": e così potrebbe essere per ogni episodio simile.

Così come non si può condannare il movimento resistenziale per le conseguenze di un'azione, non si può giustificare qualsiasi azione.
Per fortuna ci siamo liberati decenni fa da quel tipo di retorica risorgimentale che giustificava tutto in nome del processo unitario.
Liberiamoci anche quel tipo di retorica resistenziale che che giustificava tutto in nome della resistenza ai nazifascisti.

Quel che mi sembra evidente è che l'azione di Via Rasella abbia dei caratteri particolari che hanno in tanti ha suscitato dubbi e sospetti. Io sono tra questi. E sono anche tra coloro che non pensano che la resistenza all'invasore giustifichi qualsiasi prezzo, soprattutto se pagato da altri. Gli stessi resistenti stavano bene accorti a non farsi prendere, chi invece era all'oscuro dei loro piani non poteva prepararsi e difendersi.


Incidentalmente e non limitatamente a questa discussione, ogni persona dotata di senso critico è revisionista. Qualsiasi conclusione precedente va esaminata ed eventualmente modificata. Einstein arrivò alla relatività revisionando il concetto di simultaneità, che sembrava far parte di ciò che è ovvio, ed in quanto tale non sottoponibile a discussione.
e ffforza lazzzio

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Offline AlenBoksic

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #111 : Venerdì 27 Marzo 2015, 09:08:48 »
 E sono anche tra coloro che non pensano che la resistenza all'invasore giustifichi qualsiasi prezzo, soprattutto se pagato da altri.

Se prendiamo i documenti coevi delle varie autorità e generali tedeschi noteremmo come ovunque e spesso ritorna la necessità di debellare il movimento resistenziale, causa quotidiana di perdite umane e danni materiali.
Questo ci spiegherebbe anche bene a chi convenisse l'inazione e a chi convenisse l'accettazione del potere di deterrenza delle rappresaglie,
il tutto a non considerare il dibattito interno alla Resistenza sull'efficacia e l'opportunità di tali azioni.
Stiamo conducendo un dibattito sganciato dalla realtà del tempo e troppo influenzato dal fatto che sappiamo cosa c'è scritto sulla pagina successiva del grande libro della Storia.
Voglio 11 Scaloni

Offline Arch

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #112 : Venerdì 27 Marzo 2015, 09:14:28 »
Cartesio.
"Liberiamoci anche quel tipo di retorica resistenziale che giustificava tutto in nome della resistenza ai nazifascisti."
Posso non considerarla retorica? Personalmente giustifico tutto ciò che venga fatto in nome della resistenza a ogni autoritarismo.

"E sono anche tra coloro che non pensano che la resistenza all'invasore giustifichi qualsiasi prezzo, soprattutto se pagato da altri".
Questa è un po' ingenerosa, non credi? Mi sembra che abbiano pagato. E pure tanto. Forse che tu ed io possiamo parlare liberamente su questo forum lo dobbiamo pure a loro.

"Gli stessi resistenti stavano bene accorti a non farsi prendere".
 E te credo. Tu ti saresti fatto prendere?

Offline Arch

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #113 : Venerdì 27 Marzo 2015, 09:17:50 »
A.B. Sempre la storia si è scritta conoscendo la pagina successiva. Altrimenti sarebbe cronaca.

Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #114 : Venerdì 27 Marzo 2015, 09:36:26 »
La domanda che vorrei porre a Zapruder, Arch, Wild Bill Kelso eccetera è: potendo tornare indietro nel tempo, ripetereste l'attentato di via Rasella?

A Via Rasella, quel giorno, c'erano mia nonna e mio papà, che all'epoca aveva 5 anni.

Erano ospiti presso una famiglia di amici, dopo essere stati sfollati dal casello ferroviario sulla via Ardeatina dove abitavano: un colpo di artiglieria (degli Alleati) aveva sfondato il tetto e loro s'erano salvati perché si erano messi a dormire sotto il tavolo. Nel casello abitava un'altra famiglia, mio nonno tornò nei giorni successivi per cercare di recuperare quello che potesse tornare utile, e beccò il vicino che stava facendo altrettanto. Così gli spiegò, forse in maniera un po' ruvida, che non era il caso (vennero a cercarlo i Carabinieri perché l'altro era "mezzo morto", tanto era rimasto colpito dall'accorata perorazione del mio avo, ma non ebbero il coraggio di fargli nulla, la cosa finì lì).

Mia nonna era una persona di uno spietato senso pratico, per fortuna, e, sentito il "botto", non pensò certo ad affacciarsi alla finestra o cose del genere, che costarono la vita a più di qualcuno, perché i tedeschi cominciarono a sparare all'impazzata: afferrò mio papà per un braccio, corse per le scale, uscì in strada e si liberò con uno spintone di uno che gli si era parato davanti (non fermarono donne e bambini quel giorno, ovviamente, ma uscire di lì indenni non era per niente scontato).

Mio papà mi raccontava pure delle "sottrazioni", pericolosissime com'è facile intuire, ai rifornimenti che arrivavano alla stazione Casilina: non erano "sabotaggi", ma pura e semplice fame. Che "se tajiava cor cortello". Poi lo stesso avvenne quando c'erano gli americani, naturalmente con maggior spensieratezza.

Queste sono pennellate, poche ma nitide, del quadro. Una quadro di spietatezza e cinismo. Raramente m'è capitato di ascoltare giudizi: "era così", e basta. Un altro atteggiamento che ho quasi sempre riscontrato è la poca, pochissima voglia di parlarne. Troppo devastante, per chi l'ha vissuta, quell'esperienza.

Anni fa sono stato in vacanza a Camarina, in Sicilia, dalle parti del bagnasciuga. Vittoria, il primo paese che si incontra andando verso l'interno, fu il primo in Europa liberato dagli angloamericani. Ci sono stato e m'è capitato di chiedere: pochi giovani sanno, e tra quelli che potrebbero avere memoria diretta prevale il silenzio. Un po' alla volta ho capito perché (sullo sbarco a Vittoria esiste almeno un libro): la percezione della violazione subìta prevale su tutto il resto, perché l'arrivo di uomini forti e armati che prendono in pugno la situazione da amici è certe volte più devastante, quanto a impatto sul tessuto sociale, di un'occupazione nemica.

Detto questo, rispondo: non lo so. Probabilmente, sì. I morti per "rappresaglie" furono 9.980 in tutta Italia (dati del Ministero degli Interni): tutti da addebitare all'imprudenza delle azioni di lotta partigiana? Nessuno? Una parte? E quali? I 400 civili che morirono inutilmente a Porta San Paolo dopo l'8 settembre a chi li "addebitiamo"? E i duemila italiani che, onorevolmente e inutilmente, resisterono (e morirono) agli Alleati a Gela? In che mucchio li mettiamo?

Non si può incasellare tutto, non si può.


Offline AlenBoksic

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #115 : Venerdì 27 Marzo 2015, 10:17:52 »
A.B. Sempre la storia si è scritta conoscendo la pagina successiva. Altrimenti sarebbe cronaca.

Certo.
Ma quando la si scrive bisogna, per quanto possibile, rimuovere il conosciuto altrimenti si finisce per osservarla con delle lenti che son completamente fuorvianti.
Voglio 11 Scaloni

Offline fish_mark

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #116 : Venerdì 27 Marzo 2015, 11:46:48 »
A Via Rasella, quel giorno, c'erano mia nonna e mio papà, che all'epoca aveva 5 anni.

Erano ospiti presso una famiglia di amici, dopo essere stati sfollati dal casello ferroviario sulla via Ardeatina dove abitavano: un colpo di artiglieria (degli Alleati) aveva sfondato il tetto e loro s'erano salvati perché si erano messi a dormire sotto il tavolo. Nel casello abitava un'altra famiglia, mio nonno tornò nei giorni successivi per cercare di recuperare quello che potesse tornare utile, e beccò il vicino che stava facendo altrettanto. Così gli spiegò, forse in maniera un po' ruvida, che non era il caso (vennero a cercarlo i Carabinieri perché l'altro era "mezzo morto", tanto era rimasto colpito dall'accorata perorazione del mio avo, ma non ebbero il coraggio di fargli nulla, la cosa finì lì).

Mia nonna era una persona di uno spietato senso pratico, per fortuna, e, sentito il "botto", non pensò certo ad affacciarsi alla finestra o cose del genere, che costarono la vita a più di qualcuno, perché i tedeschi cominciarono a sparare all'impazzata: afferrò mio papà per un braccio, corse per le scale, uscì in strada e si liberò con uno spintone di uno che gli si era parato davanti (non fermarono donne e bambini quel giorno, ovviamente, ma uscire di lì indenni non era per niente scontato).

Mio papà mi raccontava pure delle "sottrazioni", pericolosissime com'è facile intuire, ai rifornimenti che arrivavano alla stazione Casilina: non erano "sabotaggi", ma pura e semplice fame. Che "se tajiava cor cortello". Poi lo stesso avvenne quando c'erano gli americani, naturalmente con maggior spensieratezza.

Queste sono pennellate, poche ma nitide, del quadro. Una quadro di spietatezza e cinismo. Raramente m'è capitato di ascoltare giudizi: "era così", e basta. Un altro atteggiamento che ho quasi sempre riscontrato è la poca, pochissima voglia di parlarne. Troppo devastante, per chi l'ha vissuta, quell'esperienza.

Anni fa sono stato in vacanza a Camarina, in Sicilia, dalle parti del bagnasciuga. Vittoria, il primo paese che si incontra andando verso l'interno, fu il primo in Europa liberato dagli angloamericani. Ci sono stato e m'è capitato di chiedere: pochi giovani sanno, e tra quelli che potrebbero avere memoria diretta prevale il silenzio. Un po' alla volta ho capito perché (sullo sbarco a Vittoria esiste almeno un libro): la percezione della violazione subìta prevale su tutto il resto, perché l'arrivo di uomini forti e armati che prendono in pugno la situazione da amici è certe volte più devastante, quanto a impatto sul tessuto sociale, di un'occupazione nemica.

Detto questo, rispondo: non lo so. Probabilmente, sì. I morti per "rappresaglie" furono 9.980 in tutta Italia (dati del Ministero degli Interni): tutti da addebitare all'imprudenza delle azioni di lotta partigiana? Nessuno? Una parte? E quali? I 400 civili che morirono inutilmente a Porta San Paolo dopo l'8 settembre a chi li "addebitiamo"? E i duemila italiani che, onorevolmente e inutilmente, resisterono (e morirono) agli Alleati a Gela? In che mucchio li mettiamo?

Non si può incasellare tutto, non si può.

Bel racconto personale che da conto, in misure inevitabilmente sommaria, dell'umore dell'epoca sintetizzabile in una parola: terrore. Niente altro. Nel racconto dei vecchi si percepisce questo e lo si capisce specie quando nonosatnte le insistenze si rifiutano di raccontare, di entrae nei dettagli.

Forse una foto che può restituirci seppure in parte quel clima è quella che molti di voi avranno visto scattata a via Quattro Fontane subito dopo l'attentato, con una fila di civili messi in riga davanti alla cancellata di palazzo Barberini.
Di quanto stiamo dicendo, c'è (forse) tutto in queste foto.
Non si tratta di "Roma Città aperta": sono foto vere.







Galeazzi Benti che recitava al Quattro Fontane proprio a pochi passi da Via Rasella, insieme ad Alberto Sordi, Luigi Pavese e Olga villi, in “Sai cosa ti dico”, di Marchesi racconta.
Quel pomeriggio un mio amico giornalista, Sergio Valloni, era andato da un dentista, vicino al Quattro Fontane. Lo trovò occupato, così, aspettando il suo turno, decise di venirmi a trovare in teatro. Per strada sentì lo scoppio e capi subito che si trattava di  una cosa grossa. Appena arrivato ci avvertì. Noi finimmo in fretta lo spettacolo e l’attore Luigi Pavese invitò il pubblico (in sala c’erano anche dei tedeschi) a uscire ordinatamente verso via nazionale (in senso opposto a via Rasella). Pià tardi uscimmo noi. Guardando fuori il teatro vidi che da via Rasella stavano scendendo i tedeschi con i primi ostaggi catturati, una cinquantina, presi lì intorno. Tra loro c’era anche il dentista di Valloni.
Avanzavano con le mani sopra le testa, qualcuno era colpito col calci dei fucili. Proprio in quel momento Olga, Villi, Albero Sordi, Marcello Marchesi, Gigi Pavese e gli altri attori stavano per uscire in strada. Li fermai in tempo. Ci venne un accidente a tutti. Allora tirammo giù la saracinesche del teatro e nascosti dietro al bar vedemmo passare il terribile corteo. Sarebbero finiti alle Fosse Ardeatine. Più tardi uscimmo in fretta e scappammo in tute le direzioni. La sera sapemmo esattamente quello che era successo. Lo spettacolo fu sospeso per diversi giorni.
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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #117 : Venerdì 27 Marzo 2015, 12:16:02 »
Sul tema di cui stiamo trattando credo che un altro cenno importante sul clima dell'epoca, ce lo possa dare la vicenda del linciaggio di di Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, che ieri ho visto su RAI storia

Il 18 settembre 1944 a Roma alle 9 del mattino doveva aprirsi il processo a carico di Pietro Caruso, ex questore della capitale, e di Roberto Occhetto, suo segretario, entrambi accusati di corresponsabilità in decine di omicidi perpetrati dai repubblichini e della compilazione, insieme all'Obersturmbannführer Herbert Kappler e del Ministro degli interni Guido Buffarini Guidi, della lista di persone destinate ad essere uccise nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
Prima dell'apertura del tribunale una folla, tra cui molti parenti delle vittime, torturate o trucidate prima della liberazione della città Roma, premeva sull'esiguo cordone di forze dell'ordine a presidio dell'edificio. Il cordone non riuscì a contenere la massa di persone che si riversò all'interno al grido di "morte a Caruso" ma l'ex questore non era ancora presente in aula, trovandosi, ancora convalescente a causa delle ferite riportate nell'incidente con la sua automobile, avvenuto durante la sua cattura, in una branda collocata in una stanza secondaria.
Il linciaggio
Nell'aula era presente il direttore di Regina Coeli Donato Carretta, in qualità di testimone per l'accusa contro Caruso, il quale venne riconosciuto da alcune persone presenti e additato come responsabile della morte di persone detenute all'interno del carcere; egli tuttavia, secondo un attestato fornitogli anche da Pietro Nenni, aveva, nell'imminenza della liberazione, scarcerato, allo scopo di evitare possibili rappresaglie da parte di tedeschi e fascisti, tutti i detenuti, collaborando anche con il Comitato di Liberazione Nazionale.

Carretta venne assalito e a nulla valsero i tentativi di fermare la folla da parte di due ufficiali di collegamento Alleati, il colonnello inglese John Pollock e il tenente statunitense Atkinson, i carabinieri presenti riuscirono brevemente a sottrarlo alla furia e a farlo salire su di una automobile che tuttavia venne circondata dalla folla. Carretta venne trascinato, ormai esanime, sopra le rotaie della linea tramviaria per farlo investire ma il conducente, mostrando alla folla la tessera del Partito Comunista Italiano, si rifiutò di fare partire la macchina. Mentre gruppi di persone cercavano di spingere il tram a braccia, il conducente bloccò i freni, allontanandosi con la manovella in tasca

Carretta venne gettato nel Tevere, dove tentò ancora di salvarsi aggrappandosi dapprima a uno steccato, da cui venne fatto staccare, e successivamente a una barca, dalla quale venne ancora colpito con un remo, prima di morire. Il cadavere venne successivamente recuperato e appeso alle sbarre di una finestra del carcere di Regina Coeli dove venne visto dalla moglie, salvata a stento anche lei dal linciaggio, e solo allora la folla si disperse.


Il filmato fu girato da Luchino Visconti che si trovava lì a riprendere il processo a Caruso.



http://www.youtube.com/watch?v=pLyZE6HlHDs
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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #118 : Sabato 28 Marzo 2015, 00:21:50 »
Stiamo conducendo un dibattito sganciato dalla realtà del tempo e troppo influenzato dal fatto che sappiamo cosa c'è scritto sulla pagina successiva del grande libro della Storia.

No, caro AB, dal momento che a questa domanda precisa: potendo tornare indietro nel tempo, ripetereste l'attentato di via Rasella?
E' stato risposto da Arch in questo modo:
Io sì. Stando, naturalmente, in quelle condizioni. Con il mio Paese sotto un'occupazione feroce, con il mio Paese annichilito da una guerra scellerata, con il mio Paese alla fame, con le deportazioni, le repressioni, i milioni di morti, le città distrutte, con la privazione della libertà ecc., ecc.
E da Zapruder, con qualche titubanza in più:
...Detto questo, rispondo: non lo so. Probabilmente, sì.
...Non si può incasellare tutto, non si può.
Ti confesso che ho formulato la domanda fortemente sperando in una risposta diversa, ma è esattamente questo quello che non riesco a capire.
Cioè, capisco benissimo che, trattandosi di opinioni di parte, non possono che venir formulate in questo modo, ma quello mi è impossibile da accettare è come sia possibile formularle conoscendo la storia.
Cioè, come si possa, CONOSCENDO LA STORIA, restare ancora attaccati a QUELLE opinioni.
Per me è impossibile immaginare che uno storico del futuro, esaminando tutto l'esaminabile, non possa fare dei distinguo sostanziali fra il concetto di resistenza in generale e le intenzioni dichiarate di una parte (quella più cospicua ed agguerrita) dei resistenti senza arrivare alla conclusione che il "liberare l'Italia" con quelle intenzioni non c'entrasse nulla.
C'entravano invece (del resto erano più che dichiarati) dei precisi interessi di parte: è vero che per i miliziani fascisti "liberare l'Italia" dai comunisti e dagli eserciti alleati significava volerla consegnare ai nazisti, ma è altrettanto vero che per i partigiani comunisti "liberare l'Italia" dai nazifascisti significava volerla consegnare al bloccio sovietico.
Nessuno di questi due elementi uguali e contrari pensava di volerla consegnare ad una democrazia parlamentare: NESSUNO.
Sicuramente lo volevano i partigiani non comunisti, ma spesso e volentieri, ed appunto per questo, sappiamo perché molti di loro sono stati ammazzati. E DA CHI sono stati ammazzati.
Napolitano fu il primo fra gli ex comunisti ad accennare a "zone d'ombra, eccessi, aberrazioni"
I fatti venuti a galla durante gli anni successivi alla guerra civile e troppo a lungo taciuti e tacitati parlano di comportamenti simili e fanatismi identici di fascisti e comunisti. Parlano di persone innocenti ammazzate sulla base di semplici sospetti, di torture e di stupri di massa perpetrati con la stessa identica ferocia tanto dagl uni quanto dagli altri. Parlano di valore zero dato alle vite vite civili sacrificate senza nessuno scrupolo indifferentemente all'una o all'altra ideologia.
Certo, c'è stata poi tutta una letteratura fiorita intorno all'opportunismo politico che si deve ai vincitori, c'è stata la grancassa mediatica in cui ha dato il meglio di sé Il predominio culturale e organizzativo del Pci pompato dalla retorica a cui accenna Cartesio, e c'è stata soprattutto la passività culturale degli altri partiti antifascisti timorosi di finire sotto il tiro di quella propaganda. Ma i fatti restano: resta Porzus, restano i morti antifascisti ammazzati dai comunisti, e resta il fatto che senza la determinante presenza nel nostro territorio delle truppe alleate l'Italia sarebbe stata "liberata" dagli stessi liberatori dell'Est della Germania.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #119 : Sabato 28 Marzo 2015, 05:30:40 »
Per me è impossibile immaginare che uno storico del futuro, esaminando tutto l'esaminabile, non possa fare dei distinguo sostanziali fra il concetto di resistenza in generale e le intenzioni dichiarate di una parte (quella più cospicua ed agguerrita) dei resistenti senza arrivare alla conclusione che il "liberare l'Italia" con quelle intenzioni non c'entrasse nulla.
C'entravano invece (del resto erano più che dichiarati) dei precisi interessi di parte: è vero che per i miliziani fascisti "liberare l'Italia" dai comunisti e dagli eserciti alleati significava volerla consegnare ai nazisti, ma è altrettanto vero che per i partigiani comunisti "liberare l'Italia" dai nazifascisti significava volerla consegnare al bloccio sovietico.
Nessuno di questi due elementi uguali e contrari pensava di volerla consegnare ad una democrazia parlamentare: NESSUNO.
Sicuramente lo volevano i partigiani non comunisti, ma spesso e volentieri, ed appunto per questo, sappiamo perché molti di loro sono stati ammazzati. E DA CHI sono stati ammazzati.
Napolitano fu il primo fra gli ex comunisti ad accennare a "zone d'ombra, eccessi, aberrazioni"
I fatti venuti a galla durante gli anni successivi alla guerra civile e troppo a lungo taciuti e tacitati parlano di comportamenti simili e fanatismi identici di fascisti e comunisti. Parlano di persone innocenti ammazzate sulla base di semplici sospetti, di torture e di stupri di massa perpetrati con la stessa identica ferocia tanto dagl uni quanto dagli altri. Parlano di valore zero dato alle vite vite civili sacrificate senza nessuno scrupolo indifferentemente all'una o all'altra ideologia.
Certo, c'è stata poi tutta una letteratura fiorita intorno all'opportunismo politico che si deve ai vincitori, c'è stata la grancassa mediatica in cui ha dato il meglio di sé Il predominio culturale e organizzativo del Pci pompato dalla retorica a cui accenna Cartesio, e c'è stata soprattutto la passività culturale degli altri partiti antifascisti timorosi di finire sotto il tiro di quella propaganda. Ma i fatti restano: resta Porzus, restano i morti antifascisti ammazzati dai comunisti, e resta il fatto che senza la determinante presenza nel nostro territorio delle truppe alleate l'Italia sarebbe stata "liberata" dagli stessi liberatori dell'Est della Germania.
Poco da aggiungere, se non la confutazione di un altro mito: la partecipazione di un popolo in armi, con tutto ciò che ne deriva per il significato morale, il riscatto dal fascismo, dall'8 settembre e da chissà che altro.
Tesi che non trova conferme nella fenomenologia del conflitto, in cui la stragrande maggioranza degli Italiani appare piuttosto come una sorta di campo di battaglia collettivo.
Un'umanità per la quale ritrovarsi sulla porta di casa una banda di rossi o di neri significava avere di fronte non dei nemici o degli alleati, ma semplicemente dei ladri: che, indifferentemente dal colore, avrebbero ripulito le poche provviste disponibili - beninteso, se si limitavano a quello - per proseguire in una lotta all'ultimo sangue.
Di cui l'antenato dell'uomo della strada neppure comprendeva le implicazioni, limitandosi a sopravvivere e a sperare che passasse la buriana.
Preclusioni ideologiche da parte mia? Per par condicio, cito un fatto storico in merito al quale la mia adesione ai valori di fondo è indiscussa: il Risorgimento.
Ebbene, se dovessi raccontare il punto di vista del futuro popolo italiano in quella vicenda userei parole non molto diverse: e non per discutere circa il valore dell'evento, che pertiene a un altro livello di analisi, ma per prendere atto della realtà.
Parliamoci chiaro: uno storico serio, per quanto lontano da posizioni leghiste, neoborboniche e via elencando, potrebbe scrivere oggi di un popolo "uno di lingua, di sangue e d'intenti" sulle barricate per realizzare la sospirata unità nazionale?
Potrebbe ignorare che il sole al quale il Regno delle Due Sicilie si dissolse come neve non era la pur meritoria e affascinante spedizione garibaldina?
Potrebbe ricordare la sorte dei fratelli Bandiera tralasciando che i loro carnefici, eterodiretti e tenuti nell'ignoranza finché si vuole, erano gli Italiani da cui si illudevano di essere accolti come liberatori?
Potrebbe citare il brigantaggio sottacendo che alcuni tra i fiancheggiatori di quei delinquenti avevano apertamente parteggiato per l'Unità pochi anni prima, a conferma di come la delusione e il disincanto per il modo in cui era stata realizzata fossero emersi da subito?
No, non potrebbe senza essere considerato come un fossile ormai privo di qualsiasi credibilità, ammesso che l'abbia avuta prima.
In questa breve comparativa, emerge una somiglianza fra il Regno e la Repubblica: entrambi hanno commesso il peccato originale di legittimarsi inventando la partecipazione popolare al proprio mito di fondazione.
Col risultato di fornire non un punto di riferimento, ma un'anamnesi medica completamente e volutamente sbagliata che ha inciso non poco sulla difficoltà del percorso terapeutico.
Continuando nel confronto fra le due situazioni: quanto dovremo aspettare perché anche sulla Resistenza venga ristabilita la più elementare realtà dei fatti?
Perché un Frusta, "colpevole" nella sostanza di aver scritto che Babbo Natale non esiste, smetta di essere considerato un pericoloso revisionista?

No, caro AB, dal momento che a questa domanda precisa: potendo tornare indietro nel tempo, ripetereste l'attentato di via Rasella?
Qui occorre una precisazione: intendevi col senno di allora o includendo la conoscenza degli eventi successivi?
Nella seconda prospettiva, credo che la frase più rispettosa delle vittime fra quelle pronunciate al riguardo sia "se fosse stato possibile evitare quell'orrore l'avrei fatto".
Chi l'ha pronunciata? Erich Priebke, proprio lui.
Da parte dei presunti "buoni" di questa vicenda e dei loro sostenitori devo ancora sentire una sola parola in tale direzione.