Autore Topic: La cicatrice di Roma  (Letto 13245 volte)

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Giglic

La cicatrice di Roma
« : Martedì 24 Marzo 2015, 09:29:50 »
ll 23 Marzo 1944 – giorno del 25° anniversario della fondazione del Partito Fascista di Mussolini – 17 partigiani dei Gruppi d’Azione Patriottica (GAP) guidati da Rosario Bentivegna fecero esplodere un ordigno in Via Rasella, a Roma, proprio mentre passava una colonna di militari tedeschi.

I partigiani, che erano legati al movimento clandestino comunista italiano, riuscirono poi ad evitare la cattura disperdendosi tra la folla che si era radunata sul luogo dell’attentato. L’unità militare che era stata presa di mira - un battaglione appartenente all’Undicesima Compagnia, il Reggimento di Polizia Bozen - era composto per la maggior parte da militari di lingua tedesca provenienti dalla zona del Sud Tirolo-Alto Adige. Italiani, quindi, anche se sotto occupazione tedesca. Nell’attentato ventotto soldati morirono immediatamente; altri 5 il giorno stesso. Il bilancio finale fu poi di 42 militari uccisi e di alcuni feriti tra i civili presenti al momento dell’attentato.

La sera del 23 marzo, il Comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Mälzer, proposero che l’azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni poliziotto ucciso nell’azione partigiana, e suggerirono inoltre che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai Servizi di Sicurezza e dai Servizi Segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma - approvò la proposta. Non ci fu quindi il tempo materiale, per i Gappisti, di consegnarsi per evitare la strage. Anche se tale vendetta poteva benissimo essere prevista (Pertini, all’epoca a Roma, disse che fu fatta una “fesseria”, per un usare un eufemismo, con quell’attentato, soprattutto perché i comunisti non concordarono l’azione con gli altri. Ma, ligio al dovere di gioco di squadra, difese sempre l’azione).

Il Maresciallo Albert Kesselring, Comandante in Capo dell’Esercito schierato a Sud, presumibilmente interpretò la reazione di Hitler (che avrebbe voluto radere Roma al suolo) come segno del suo appoggio e della sua autorizzazione alla rappresaglia proposta subito dopo l’attentato.
 Il giorno seguente, 24 marzo 1944, militari della Polizia di Sicurezza in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le Fosse Ardeatine, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime.
 Priebke e Hass avevano ricevuto l’ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri che erano già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 necessari alla rappresaglia.

Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I Tedeschi aggiunsero al gruppo già selezionato per il massacro anche 57 prigionieri ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Per raggiungere la quota necessaria, essi rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma. Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva poco più di settant’anni, il più giovane quindici.
 Quando le vittime vennero radunate all’interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall’ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell’azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri.
 I prigionieri selezionati furono condotti all’interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell’esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; invece, agli agenti incaricati dell’eccidio venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di spararle da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all’interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca.
 Mentre il massacro continuava, i militari tedeschi cui veniva dato molto alcool per reggere al macello (e che quindi sbagliavano anche mira, non finendo immediatamente i martire) cominciarono a obbligare le vittime a inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi per non sprecare spazio.

 Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l’entrata delle fosse facendola saltare con l’esplosivo, uccidendo così chiunque fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo vivi allo stesso tempo chi non era stato immediatamente ucciso. Lo schifo era compiuto.
 Il luogo dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, alla periferia di Roma, è oggi monumento nazionale in ricordo delle vittime.

Offline Arch

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #1 : Martedì 24 Marzo 2015, 13:59:28 »
Un Martire.

Antonio Gallarello quando è morto aveva 60 anni. Era venuto a Roma, che era un ragazzo, da un paese della Campania, vicino Benevento.
Come tanti artigiani privi di lavoro e vittime della tremenda crisi economica del primo decennio del Novecento, Antonio aveva cercato un riscatto dalla povertà e aveva il desiderio di vivere un’esistenza dignitosa. Roma gli sembrò il luogo migliore. Conosceva un mestiere, quello dell’ebanista. L’ebanista non è un semplice falegname; ha cura dei dettagli, pazienza, gusto, sa trattare le diverse essenze lignee con proprietà e perizia. Si dice che il tipo di lavoro che si fa riflette la personalità. In Antonio questo assunto era pienamente verificato.

Uno dei cavalli di battaglia della propaganda fascista, in quei tempi, era quello della “famiglia”. Gli Italiani dovevano metter su famiglia e procreare per il benessere della Patria e dell’Impero. I figli, se femmine, dovevano esser abituate al mestiere di madre, di casalinga, di moglie; se maschi venivano indirizzati verso attività paramilitari per poi divenire soldati. Ma tutti al servizio del Duce.

Antonio non fece eccezione. Si sposò e crebbe sette figli. Tanti altri italiani fecero lo stesso: si sposarono e crebbero figli. Negli anni ’20 e ’30 vi fu un netto incremento demografico. Allora si costruirono case in gran numero e queste case dovevano essere arredate. Per Antonio fu la manna del cielo. Il suo mestiere era richiestissimo. Mobili di noce, di castagno, di palissandro.
Influenzato dal gusto razionalista del tempo, i suoi mobili erano privi di pesantezza e invasività. Erano mobili lineari, funzionali, moderni insomma. Andavano a ruba.

Via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, è una strada antica. Un rettifilo largo e alberato che collega Santa Maria Maggiore e Santa Croce, due poli ecumenici della cristianità. Su questa strada vi era il laboratorio di Antonio. Duecento metri prima di Santa Croce, adiacente l’acquedotto neroniano e prospiciente le tombe repubblicane di Via Statilia. Luoghi importanti e storici con in mezzo, quasi baricentrica, la bottega di un ebanista.

Antonio amava il suo lavoro e, di conseguenza, amava accontentare i suoi tanti clienti. I mobili oggi durano lo spazio di un mattino, cigolano, svergolano, traballano. Antonio sapeva che i mobili devono durare per un’esistenza e non devono mai sottostare all’effimero delle mode. Linee perfette, legni solidi, dettagli preziosi. Il cliente doveva sapere che i soldi spesi non sarebbero stati rimpianti e prima di spendere doveva avere la percezione di come sarebbero stati esattamente realizzati i mobili. Antonio aveva un metodo infallibile: costruiva prima i mobili in miniature perfette, le sottoponeva al cliente e solo dopo l’approvazione li costruiva nella giusta grandezza. Un lavoratore (un uomo) previdente, consapevole, geniale e onestissimo.

A cinquanta metri dal laboratorio di Antonio negli anni ’30 e ’40 c’era l’ambasciata tedesca. L’ambasciata dei nostri alleati. Vedeva passare le austere automobili del rigido cerimoniale germanico, ma non ci faceva caso. Antonio politicamente era di blande idee mazziniane, ma non le ostentava. Ne parlava in famiglia con i figli. Fuori taceva, in quei tempi anche i muri avevano le orecchie.

Allo scoppio della guerra le sue preoccupazioni erano rivolte ai figli e al timore che diminuisse il lavoro.  La “gente” non si sposava quasi più perché gli uomini erano impegnati nel conflitto. Chi in Russia, chi in Grecia, chi in nord Africa, chi in Francia.
E molti non tornavano. Poi venne Badoglio, il pavido Re, lo sbando e i tedeschi padroni di Roma. Non più amici ma invasori. L’ambasciata era presidiata da SS corrusche.

Vincenzo Gallarello era uno dei figli di Antonio. Anima ribelle, sensibile e affascinato dalle idee del clandestino Partito d’Azione, a cui anche Antonio, a modo suo, era vicino. Un altro figlio, Ugo, di appena quattordici anni, subiva l’ascendente del fratello Vincenzo e lo imitava. Antonio, Vincenzo e Ugo capirono che i valori di libertà e solidarietà insiti nell’ideale azionista non avevano nulla a che spartire con la tirannide nazi-fascista imperante in Italia. Roma pativa la feroce repressione tedesca a cui i fascisti facevano da servi.

Qualcosa andava fatta. Antonio non poteva essere operativo a causa dell’età avanzava, ma cedette alle pressioni di Vincenzo e permise l’ utilizzo del suo negozio per le riunioni segrete del P.d’A. Nottetempo in quei locali si organizzavano le forme di resistenza, si stilavano documenti, si pianificavano le azioni. Un delatore prezzolato denunciò questa attività illegale e il famigerato questore Caruso fece irruzione con i suoi sgherri nel negozio la notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1944. Antonio fece scudo a Vincenzo che riuscì a fuggire insieme ad altri.
Antonio si assunse ogni colpa scagionando tutti i presenti. Ma non ci fu verso: Antonio venne arrestato e così pure Ugo e un altro azionista, Bruno Annarumi. Trasferiti in carcere furono malmenati violentemente. Ugo, dopo un duro interrogatorio, venne rilasciato stante la sua giovane età. Altri interrogatori violenti non fecero deflettere Antonio e Bruno dalla loro linea comportamentale. Nulla uscì dalle loro bocche.

Il 24 marzo 1944 gli occupanti tedeschi operarono la più feroce rappresaglia urbana della storia della 2^ guerra mondiale. Per “vendetta” contro l’attentato di Via Rasella gli zelanti contabili della morte Priebke e Caruso stilarono una lista di 335 italiani da giustiziare. Tra loro ebrei, cattolici, proletari, artisti, militari, aristocratici, antifascisti, apolitici, atei, giovani, anziani.
Nelle cave ardeatine, in terra di catacombe e di antichi martiri cristiani, nel segreto più assoluto, furono assassinati altri moderni martiri. La barbarie, la follia umana, l’oscenità della violenza più brutale raggiunsero il punto apicale.

Antonio, con Bruno, era tra i martiri.
Vincenzo e Ugo cercarono il padre a lungo. Nessuno in città era a conoscenza dell’avvenuta strage. Poi pian piano il velo della vergogna si cominciò a dipanare.
Alcuni contadini di Via Ardeatina e alcuni frati di un convento prossimo alle cave, rivelarono che qualche notte prima avevano sentito forti esplosioni. Si cominciò a sospettare che molti carcerati fossero stati uccisi proprio lì. I tedeschi avevano infatti minato le grotte dove erano i cadaveri per impedirne il ritrovamento. 

Vincenzo e Ugo non si rassegnarono. Con l’aiuto di un frate e di una laureanda in medicina, eludendo la sorveglianza di sentinelle tedesche, si calarono con la disperazione nell’anima e la volontà di sapere, all’interno delle grotte. Inutile narrare ciò che i loro occhi straziati videro. Inutile raccontare il continuo doloroso pellegrinaggio dei famigliari attoniti sul luogo della strage. Il riconoscimento dei propri cari avvenne tramite un brandello di vestito o di un orologio, di un documento stracciato, di un anello. E poi l’opera pietosa ma professionale del prof. Ascarelli, medico umanista che, dopo la Liberazione di Roma, riuscì a dare un nome a quasi tutti quei poveri resti.

La strage ha svolto un’opera parificatrice antropica della città. Tutti gli strati sociali hanno avuto in essa le loro vittime. Ha fatto capire che la libertà poteva e doveva essere conquistata da tutti perché della tirannide tutti erano stati vittime. Formò una coscienza etica e civile in tutta la popolazione. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è fortemente connesso alla memoria collettiva dei romani. Ogni tentativo di rimozione, revisione storica, falsificazione delle vicende, è fallita. E’ patrimonio collettivo inalienabile.

In Via Santa Croce in Gerusalemme oggi al posto del mobilificio di Antonio vi è un autosalone. L’ambasciata tedesca è ora la residenza dell’ambasciatore inglese. L’acquedotto neroniano è sempre lì e tra le sue arcate giocano i bambini. Le tombe repubblicane sono state recintate. A dieci metri c’è un’osteria frequentatissima. A venti un ottimo bar. Santa Croce, con le sue snelle paraste e la facciata ondulata e solenne, sorveglia lo scorrere della vita degli uomini.

Una targa commemorativa ricorda Antonio e Bruno. E’ bene guardarla quando si passa lì.


Offline Ceres

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #2 : Martedì 24 Marzo 2015, 16:56:08 »
Spesso con la mia famiglia ci rechiamo a Sant'Anna, un paese distrutto, non soltanto nell'anima, dalla barbarie nazifascista.
560 morti, di cui 130 bambini.

Per non dimenticare.
Per la Lazio, Giordano!

Offline Skorpius

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #3 : Martedì 24 Marzo 2015, 17:20:41 »
Attenzione a non fare commenti "non in linea" che adesso è reato
La gente dice che sono cattivo, ma in verità ho il cuore di un bambino: lo tengo in un barattolo, sul comodino.

Offline franz_kappa

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #4 : Martedì 24 Marzo 2015, 17:57:26 »
Spesso con la mia famiglia ci rechiamo a Sant'Anna, un paese distrutto, non soltanto nell'anima, dalla barbarie nazifascista.
560 morti, di cui 130 bambini.

Per non dimenticare.
Sant'Anna di Stazzema.  :(

Resa celebre, prima del film di Spike Lee, dal lavoro di inchiesta di un giornalista italiano. Mi pare abbia scritto un libro per documentare un eccidio non grave - nella grama contabilità delle vittime - come Marzabotto ma parimenti scellerato. Dovrei averne sentito parlare una quindicina di anni fa, non ricordo se leggendo la recensione o nell'ambito di un approfondimento radio-televisivo.

Quanto alle Fosse Ardeatine, le ho visitate una volta sola, nell'ambito di una gita delle elementari. Evidentemente a quell'età non potevo percepire che in maniera attenuata e parziale l'entità della vicenda rievocata dal memoriale realizzato sul luogo della strage.
Eppure mantengo un vivo ricordo, sotto forma di flash visivi, di quell'esperienza. La memoria di quell'esperienza è a tutt'oggi velata da una coltre di triste cupezza.
Sarebbe ora di tornarci. Un dovere civico, mi vien da dire.
Buon viaggio, caro Piero.

Offline Wild Bill Kelso

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #5 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 09:04:24 »
Onore e gloria ai martiri delle Fosse Ardeatine e un eterno ringraziamento a chi ha dedicato la propria vita alla lotta contro la tirannide nazista e i loro accoliti servi fascisti.
Cosa? È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l'abbiamo deciso noi. È forse finita quando i tedeschi bombardarono Pearl Harbour? Col cazzo che è finita! E qui non finisce, perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.

Offline Frusta

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #6 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 13:57:44 »
Attenzione a non fare commenti "non in linea" che adesso è reato
Quindi non si può dire che l'attentato di via Rasella fu pianificato con il solo scopo di provocare la più che scontata rappresaglia tedesca?
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #7 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:19:46 »
Quindi non si può dire che l'attentato di via Rasella fu pianificato con il solo scopo di provocare la più che scontata rappresaglia tedesca?

Più o meno come dire che l'invasione dell'URSS avesse come scopo reale la distruzione di Berlino da parte dell'Armata Rossa.

Offline fish_mark

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #8 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:30:36 »
Quindi non si può dire che l'attentato di via Rasella fu pianificato con il solo scopo di provocare la più che scontata rappresaglia tedesca?

L'attentato di Via Rasella non fu certo l'unico, visto che si registrarono continui attacchi partigiani a danno dei tedeschi durante l'occupazione lungo le vie Tuscolana e Casilina, arterie che le forze della Werhmacht usava per il trasporto del materiale al fronte sud.
Fu un episodio di terrorismo, reso putroppo inevitabile dall'occupazione nazifascista.

Ritengo esecizio inutile e ozioso quello di stabilire una resposnabilità diretta dei partigiani nei confronti dei martiri delle Fosse Ardeatine. un attentato come quello di via Rasella ci sarebbe stato comunque, come in ogni caso ci sarebbe stata una rappresaglia tedesca.

Ho visitato un paio di volte le Fosse Ardeatine, ma ero piccolo: una volta alle elementari, un'altra mi ci portò mio padre perchè ci riposano due suoi paesani. Ho visitato una quindicina di anni fa un luogo altrettanto famoso: la prigione di Via Tasso, un esperienza davvero toccante che consiglio a tutti, mentre sarei curioso di andare nella pensione Jaccarino, che era la via Tasso dei fascisti, ma ora è occupata da un albergo in via Principe Amedeo 2.

Sembra banale ricordarlo, ma eravamo in guerra e in quell'ambito ci sono anche altri episodi tristemente famosi come l'uccisione di Teresa Gullace a viale delle Milizie, rappresentata dalla Magnani poi nel celeberrimo Roma città aperta.

Mi sembra fuori luogo stare qui a giudicare con severità inappropriata l'azione dei partigiani per come prendere a calci la bara di Priebke per sentirsi un po' antifascisti.
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Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #9 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:32:06 »

baol

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #10 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:35:06 »
Quindi non si può dire che l'attentato di via Rasella fu pianificato con il solo scopo di provocare la più che scontata rappresaglia tedesca?

Si può dire...
se si ha il solo scopo di provocare la più che scontata (e per me sacrosanta) rappresaglia...
...dialettica in questo caso  ;)

Più o meno come dire che l'invasione dell'URSS avesse come scopo reale la distruzione di Berlino da parte dell'Armata Rossa.

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #11 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:38:30 »
Prego?

Tecnicamente è quello, non altro.
Uccidere 33 militari con un carretto dell'immondizia riempito di tritolo con la miccia innescata da alcuni gappisti che poi se la sono data a gambe verso via Nazionale come lo vuoi chiamare?
Fammi sapere.
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Giglic

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #12 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 14:54:25 »
Fish, come lo ha chiamato qualsiasi tribunale internazionale. Atto di guerra.

Offline franz_kappa

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #13 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:01:10 »
Si può dire...
se si ha il solo scopo di provocare la più che scontata (e per me sacrosanta) rappresaglia...
...dialettica in questo caso  ;)
Esatto.  ;)
Buon viaggio, caro Piero.

Offline cartesio

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #14 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:01:33 »
Quindi non si può dire che l'attentato di via Rasella fu pianificato con il solo scopo di provocare la più che scontata rappresaglia tedesca?

Spero che si possa dire.
La tentazione di stabilire verità ufficiali, punendo addirittura col carcere chi osa pensarla diversamente, ogni tanto torna a galla. Purtroppo l'Italia, con le sue tradizioni culturali autoritarie, cattolica, fascista, comunista, è particolarmente vulnerabile a questo virus. Bisogna riconoscere che la cultura liberale, che è alla base della democrazia moderna, da noi è decisamente minoritaria.
Per quanto riguarda via Rasella, estraggo qualche frase da questa pagina web

http://www.riscossacristiana.it/la-strage-cercata-di-rasella-di-massimo-caprara/

L’attentato venne escogitato, pensato e previsto dai membri comunisti della rete romana: Giorgio Amendola, che ne è il più alto in grado, Mauro Scoccimarro, Antonio Cicalini, di sicura scuola moscovita, oltre a minori ma preziosi collaboratori, infiltrati, delatori, confidenti nelle organizzazioni fasciste, nelle istituzioni carcerarie, nei presidi sanitari e polizieschi del fascismo. Amendola propose il luogo, l’ora e le modalità dello scoppio di via Rasella. Gli altri uomini d’azione, responsabili di settore e soprattutto dei Gap, il sistema terroristico facente capo al Pci, cioè i Gruppi d’Azione Patriottica, perfezionarono e operarono il resto. Nel suo volume «Lettere a Milano», al quale andò come onorificenza il premio Viareggio per la saggistica del 1974, Amendola rivelò che era stata sua l’iniziativa della designazione del luogo e del reparto tedesco da attaccare. Egli ne parla espressamente nelle pagine 290 e 291. Una volta messo in pratica l’attentato in via Rasella, si tratta di compilare, mercanteggiare, correggere e definire le liste dei fucilandi per il comando della Wermacht che le aveva sollecitamente chieste. Furono allora mobilitati tutti gli addetti ai rapporti di intelligence mantenuti dalla Federazione del Pci con la Direzione di Regina Coeli, la Questura di Roma, la divisione della polizia politica del Ministero italiano degli Interni, l’Opera Volontaria di Repressione Antifascista (OVRA), tutto il sistema spionistico esistente a Roma. Il teste principale di questo turpe mercato venne opportunamente liquidato a tempo debito. Donato Carretta, direttore di regina Coeli, venne linciato tra l’aula del Palazzaccio, le scale di Ponte Umberto e le onde del Tevere alle 9 di mattina del 18 settembre 1944. Gli altri collaboratori furono l’ex comunista Guglielmo Blasi, divenuto informatore della polizia militare tedesca, il tipografo autodidatta Giulio Rivabene, di cui Amendola puntualmente scrive nel suo libro nello spazio dedicato ai militari corrotti. Nel numero 7 del gennaio 1944 de «l’Unità», la direttiva era stata tempestivamente data: “Si invitano i compagni a smascherare e colpire gli agenti trotzkisti, ossia di Bandiera Rossa, nel Partito, nel Sindacato, nelle formazioni armate, ovunque essi si annidano”. Nel giornale clandestino milanese del dicembre 1943, «La nostra lotta», Pietro Secchia aveva dato il via al circuito malsano di informatori, gestori, operatori dell’infame reperimento dei fucilandi della “strage cercata” di via Rasella.
e ffforza lazzzio

Ai nostri giorni si può scegliere la propria religione, Hadouch, ma non la propria tribù. D. Pennac, La Prosivendola.

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #15 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:02:53 »
Fish, come lo ha chiamato qualsiasi tribunale internazionale. Atto di guerra.


Tutto questo è vero tanto che la la Cassazione riconobbe anche l'uccisione anche di due civili italiani (di cui un ragazzino di 13 anni), oltre a quattro feriti, il che impedì di far avere ai famigliari dei due civili morti nell'attacco un risarcimento.

Diciamo che mi sono rifatto alla definizione di Marco Pannella che nel 1980 definì via Rasella come «un atto di terrorismo», paragonandolo ad un'azione delle Brigate Rosse. L’esponente radicale fece affermò pubblicamente che, secondo le informazioni da lui raccolte, «gran parte dei quadri antifascisti e anche comunisti non direttamente organizzati dal PCI e lo stesso comando ufficiale della resistenza romana erano contrari all'ipotesi dell'azione terroristica».
Questo provocò una feroce querelle con Giorgio Amendola e Antonello Trombadori, che era stato fondatore e comandante generale dei GAP romani, anche se, al momento dell'azione, si trovava recluso a Regina Coeli. I protagonisti finirono in tribunale e la polemica durò a lungo.
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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #16 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:14:48 »
Diciamo che mi sono rifatto alla definizione di Marco Pannella che nel 1980 definì via Rasella come «un atto di terrorismo», paragonandolo ad un'azione delle Brigate Rosse.

Coglionata più, coglionata meno.

Schifo d'omo, fin dai tempi del sequestro Moro, in cui faceva il Gabriele Paolini dietro a Craxi per farsi notare.

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #17 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:18:09 »
Coglionata più, coglionata meno.

Schifo d'omo, fin dai tempi del sequestro Moro, in cui faceva il Gabriele Paolini dietro a Craxi per farsi notare.

Fin dai tempi del sequestro Moro?
In pratica, secondo questo ragionamento, ai tempi del sequestro Moro, era una specie di Scilipoti che si attaccava a Craxi per un po' di visibilità?
Beh, questa è forte assai eh.
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Zapruder

Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #18 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:23:20 »
Fin dai tempi del sequestro Moro?
In pratica, secondo questo ragionamento, ai tempi del sequestro Moro, era una specie di Scilipoti che si attaccava a Craxi per un po' di visibilità?
Beh, questa è forte assai eh.

Hai ragione, s'era già attribuito "il divorzio".

Un po' come quelli che credono che la Lazio è forte perché hanno mostrato un foglio fatto stampare da Diabolik a Lazio-Sassuolo.

Un mitomane con una grossa voglia di ministero sotto l'ascella. Destra.

Offline fish_mark

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Re:La cicatrice di Roma
« Risposta #19 : Mercoledì 25 Marzo 2015, 15:38:23 »
Hai ragione, s'era già attribuito "il divorzio".

Un po' come quelli che credono che la Lazio è forte perché hanno mostrato un foglio fatto stampare da Diabolik a Lazio-Sassuolo.

Un mitomane con una grossa voglia di ministero sotto l'ascella. Destra.

Non sono un fan scatenato di Pannella, ma mi sembra di leggere nelle tue parole una certa superficiale valutazione di chi sia stato per la politica italiana.
poi l'accostamento con Lazio-Sassuolo è uno spasso.
un uomo di una certà mi offriva sempre olio canforato, spero che ritorni presto l'era del cinghiale biancoazzurro
STURM UND DRANG
Ganhar ou perder, mas sempre com democracia