Autore Topic: 16 marzo 1978  (Letto 4585 volte)

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Giglic

Re:16 marzo 1978
« Risposta #20 : Martedì 17 Marzo 2015, 09:15:05 »


(Quando ho tempo rispondo a TD)

Ero in V elementare. Ricordo che la maestra, ultracattolica, ci fece fare un tema in merito. Ricordo la distinzione che nella mia famiglia si faceva tra il PCI (che la mia famiglia aborriva in stile Frusta, tutti DC convinti) e le BR, considerate nemiche dello stato, e quindi anche del PCI.
Ma il mio ricordo più grande è stato quello del 9 maggio. Lo stesso giorno in cui mio fratello, che aveva un anno, subì un'operazione abbastanza seria. Un insieme di emozioni che a 10 anni non potevi governare, le ho dovute "metabolizzare" col tempo.

Zapruder

Re:16 marzo 1978
« Risposta #21 : Martedì 17 Marzo 2015, 09:17:05 »
c'erano soltanto 3 cose alle quali mi dedicavo assiduamente: lo sport e la chitarra.

Suonavi due chitarre?  :D

(io in seconda media in un tema in cui si parlava del terrorismo, scrissi peste e corna delle BR, da buon allievo del legalitarismo del PCI, del quale sono tutt'ora fervente sostenitore. la professoressa non la prese bene...)

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Re:16 marzo 1978
« Risposta #22 : Martedì 17 Marzo 2015, 09:27:38 »
potrebbe spiegarci Giglic, profondo conoscitore della storia d'Italia dall'Unità a oggi, perché il Paese del Risorgimento ha perso, invece di guadagnare, sul piano della capacità di coesione e di mobilitazione solidale. O no? Dove è morta l'Italia solidale, egualitaria, coraggiosa, umile ma vera? Nelle trincee del 15/18? Non credo non sia mai esistita. Ma non la scorgo negli anni del fascismo.

Dipende per cosa intendi per anni del fascismo.
Nel settembre del 1943 pur nella stringente penuria del tempo furono migliaia i cittadini che si prodigarono per rifornire di cibo e vestiti i soldati che cercavano di riparare a casa dopo lo sfascio dell'armistizio.
E questo pur in una congiuntura che ha portato taluni a parlare di "morte della nazione".
Credo che questa capacità di coesione e di mobilitazione solidale si perda e si stinga nel corso del tempo per motivazioni legate più al diverso tipo di società che si forma e in cui si vive, che ad una appartenenza politica o ad un tipo di governo.
Oggi le relazioni tra cittadini sono molto più frammentarie rispetto ad un tempo anche molto recente. È anche vero che esistono  delle reti di volontariato - basti pensare alla CRI e alle varie Misericordie - che son molto estese, attive e presenti.
Ma è una solidarietà diversa da quella spontanea che ci poteva essere ancora fino ad una trentina d'anni addietro e che si basava su un vissuto comune più povero e più comunitario.
Questo a livello di società.
Se invece parli di mobilitazione politica il discorso cambia.
Voglio 11 Scaloni

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Re:16 marzo 1978
« Risposta #23 : Martedì 17 Marzo 2015, 10:23:28 »
aborriva in stile Frusta,
Ma io non aborrisco proprio niente, considero semplicemente il PCI per quello che è, cioè per un partito chi si presenta come rivoluzionario ma non fa nessuna rivoluzione, campa dei finanziamenti di una potenza straniera e nello stesso tempo occupa tutte le cadreghe che può in 40 anni di finta opposizione ed alla fine della fiera ci lascia i Renzie e le Serracchiane come eredità.
Poi se ha fatto qualcosa di diverso ditemelo eh!
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:16 marzo 1978
« Risposta #24 : Martedì 17 Marzo 2015, 10:26:43 »

(io in seconda media in un tema in cui si parlava del terrorismo, scrissi peste e corna delle BR, da buon allievo del legalitarismo del PCI, del quale sono tutt'ora fervente sostenitore. la professoressa non la prese bene...)
Non ho capito, la professoressa non voleva che si dicessero peste e corna delle BR?
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

ThomasDoll

Re:16 marzo 1978
« Risposta #25 : Martedì 17 Marzo 2015, 10:34:31 »
Questo a livello di società.
Se invece parli di mobilitazione politica il discorso cambia.

Non so quanto faccia differenza: la capacità di fare causa comune e quella di partire da Bergamo per andare a liberare la Sicilia, e partire dalla Sicilia per andare a conquistare Trento e Trieste. Ovviamente non parlo dei coscritti, parlo della tensione ideale per cui c'è stata gente, a centinaia di migliaia o a milioni, capace di "sentire" volontariamente il bene comune. Anche durante l'ultima guerra, ma il fatto di averla in casa per molti ha rappresentato un aut-aut, una chiamata in causa forte e irrinunciabile, così molti si sono trovati sulla montagna quasi senza scegliere. Io dico proprio lo studente garibaldino, volontario nella Grande Guerra, o in Libia, o in Etiopia, da una parte, e dall'altra la persona capace di mettere a rischio la propria vita per un ideale di giustizia, di libertà o di solidarietà, salvando perseguitati, combattendo invasori, mettendo risorse e energie a disposizione di qualcosa, chiamiamola patria.
Nei sentimenti che esprimiamo oggi come collettività credo che la capacità di mobilitazione solidale sia ridotta al lumicino.

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Re:16 marzo 1978
« Risposta #26 : Martedì 17 Marzo 2015, 10:42:39 »
Forse anche perché non viene (Deo gratias) richiesto di mettere in gioco la vita.
Però a livello di energie messe a disposizione di chi sta peggio - quindi per traslato anche della società tutta - ce n'è a bizzeffe,
almeno qui in Toscana dico, dove il volontarismo ha una vasta e solida base.
Ma presumo anche altrove,
come si può vedere in occasione dei, purtroppo, ricorrenti cataclismi tipo l'ultimo di Genova.
Secondo me la differenza rispetto al passato è che poi queste persone una volta che smettono i panni del volontariato, dell'associazionismo, passata l'emergenza si rintanano nel proprio bozzolo e - magari - se gli vai a chiedere dello zucchero perché sei rimasto senza neanche ti aprono.
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Re:16 marzo 1978
« Risposta #27 : Martedì 17 Marzo 2015, 11:19:43 »


Mattarella è andato stamane in via Fani per deporre personalmente i fiori sul luogo dove il 16 marzo 1978 venne rapito Moro, e le Brigate Rosse trucidarono i 5 uomini della sua scorta. La ricorrenza si era alquanto sbiadita nel corso degli anni. L’ultima volta che un Presidente salì alla Camilluccia va datata 2003. Sul Colle regnava Ciampi e cadeva un anniversario molto speciale, il quarto di secolo. Da allora (e già prima per la verità), l’inquilino del Quirinale ha sempre preferito recarsi solennemente in via Caetani, dove fu ritrovato il corpo di Moro il 9 maggio 1978, insomma nobilitando l’epilogo anziché l’«incipit» di quel dramma. Sul piano dei simboli (che per Mattarella hanno sicuramente un peso, come si è notato nelle visite alle Fosse Ardeatine e al Muro di Berlino, nella partecipazione alle cerimonie per le foibe e per un’altra vittima delle Bierre, Vittorio Bachelet) non sono due date sovrapponibili. Per chiunque discenda dalla famiglia politica morotea, ricordare il 9 maggio anziché il rapimento sarebbe un po’ come celebrare il sacrificio pasquale trascurando la Passione: in questo caso, i 45 giorni di prigionia e di indicibile sofferenza del condannato a morte. Il Capo dello Stato riparte forse non a caso proprio di lì, dalla prima stazione di quella «via crucis».

Il riferimento politico e ideale 

Per lui Moro fu il riferimento politico e ideale. Lo era stato già per suo padre Bernardo, che con Aldo aveva fatto amicizia fin dai tempi del servizio militare negli anni Trenta, e poi per il fratello Piersanti assassinato dalla mafia. Proprio Piersanti aveva sempre rifiutato di considerare false le lettere che Moro aveva scritto a parenti e amici mentre era nelle mani dei brigatisti: troppo comodo, sosteneva, far finta che a dettargliele fossero stati i suoi carcerieri. Oltre che autentiche, quelle lettere erano una testimonianza disperata di umanità. Mattarella entrò alla Camera nel 1983, in un contesto politico già parecchio cambiato, che molto lasciava presagire della Seconda Repubblica. Ciò non ha impedito di considerarlo come «l’ultimo moroteo». Addirittura, secondo un personaggio della stessa discendenza politica qual è Bruno Tabacci, Moro era idealmente «in ogni riga» del suo discorso di investitura. 

Il discorso all’Accademia 

Sul web è facile rintracciare un intervento di Mattarella presso l’Accademia di studi intitolata allo statista Dc. Quel testo del maggio 2011 racconta in filigrana parecchio della visione cui il nuovo Presidente si ispira, e anche del suo modo di interpretare il mandato. Esalta in Moro la disponibilità al cambiamento, l’attenzione per il dinamismo politico e sociale, la visione di una democrazia «inclusiva» dove ogni cittadino sia invogliato a partecipare. Lo classifica come «l’esponente politico più aperto alle novità» e quasi gli risulta paradossale che il terrorismo rosso avesse scelto proprio lui come bersaglio. Ne ammira «il rispetto, la fiducia, l’affetto nei confronti della società italiana». E conclude con le parole di Moro medesimo: «Il domani appartiene agli innovatori attenti, seri, senza retorica».

In via Fani, Mattarella non ha fatto discorsi. La cerimonia è durata giusto il tempo di deporre la corona, più qualche attimo in raccoglimento. 

http://www.lastampa.it/2015/03/16/italia/politica/moro-mattarella-sceglie-via-fani-3llenDOzzCffbkEwWiO0OP/pagina.html
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