Autore Topic: Rudisha  (Letto 10243 volte)

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RobCouto

Re:Rudisha
« Risposta #20 : Martedì 7 Settembre 2010, 08:58:28 »
Bob, s'è portato a casa l'ORO a Montreal nei 400 e negli 800, una cosa mai riuscita a nessuno. La rilevanza mediatica mi pare leggermente meritata.

Fiasconaro ha fatto il record all'Arena - che resta sempre record, ma un conto è farlo in una finale olimpica, un conto tra quattro intimi e il mondo lo sa il giorno dopo dai quotidiani - poi è praticamente sparito.

Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #21 : Martedì 7 Settembre 2010, 09:03:50 »
Come sia venuto fuori Quarri lo sapra' solo uno psicanalista...era Walker...:)...comunque verifico  meglio...Rieti e' fantastica, pista ottima esposzione al vento giusta e altimetria ottimale. Lemaitre potrebbe essere un sogno...E' gia' la seconda volta in due mesi che scende sotto i 10 netti. Ha corso tanto e vinto tre ori agli europei. Ha margini di miglioramento altissimi: parte come un orso che esce dal letargo, si alza di scatto praticamente fermandosi, insomma sbaglia quasi tutto fino ai 40 metri, poi viene divinato da un soffio magico e "rimonta,rimonta, rimonta" (cit.) correndo gli ultimi venti metri come un giunco squassato dal vento e con un lavoro di piedi fenomenale. E' circondato da nidiate di negri famelici ma prevedo duelli bellissimi se prosegue cosi'...

Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #22 : Martedì 7 Settembre 2010, 09:12:33 »
L'altro neozelandese era Dick Quax!!! non ero proprio lontano...fu primatista dei 5.000 prima  che il marziano Henry Rono imbroccasse l'estate dei record (3mila, 5mila, 3mila siepi) per poi sparire qualche anno dopo...sto ad anda' in trance...:(

TD

Re:Rudisha
« Risposta #23 : Martedì 7 Settembre 2010, 14:39:32 »
Abbiamo, o avevamo, una buona scuola perche' prima coorevamo dietro alle vacche nei campi e poi dietro al tram pe' anda' in fabbrica...poi e' arrivato l'automobilismo di massa...:)...ma non lo so se scherzo. Oggi i ragazzi che tentano di fare atletica lo fanno "a perdere" sia nei confronti della salute sia nei confronti delle proprie carriere scolastiche (mediamente i prof gli pongono l'aut aut molto presto). Leggo che Meucci (bella tigna, aurea mediocritas) si sta laureando in ingegneria. La cosa e' rara...Sabia e Grippo sembravano boni ma poi nelle finali delusero (e te credo co quei missili a fianco...). D'urso s'e' difeso bene e Longo me sa che...
Comunque vediamo se sto' ancora a dormi': io de Ryan me ricordo una caduta storica in una batteria dei 1.500 all'Olimpiade de Cartagine (Messico) e di Prefointaine l'aurea leggenda narrata da Rosi...
Stle crazy horse era anche Dave Bedford che andava in fuga come i ciclisti...
 Poi, appena piu' in qua, mi ricordo i neozelandesi Dixon e Quarry (?) che se intignavano con Filibert Bay, altra antilope nera...mentre sulle siepi me faceva morire Malinowski, il polacco conservativo che faceva delle sparate ai duecento finali...va be' continuate voi con l'Amatrice-Configno che quest'estate me la so persa...:D

No, che Messico, era Monaco la mia, mica sò BobLovati   8)

TD

Re:Rudisha
« Risposta #24 : Martedì 7 Settembre 2010, 14:45:26 »
se non ricordo male, Quax prese l'argento a Montreal, mentre Dixon lo perse da Hildebrand che arrivò tuffandosi sul traguardo a pesce...
Quest'estate è morto suicida a 42 anni Antonio Pettigrew, a proposito di pistard famosi

Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #25 : Martedì 7 Settembre 2010, 18:59:03 »
Del povero Pittegrew ricordo non molto (in quel periodo non seguivo granche'). I neozelandesi a Montreal finirono vittime del barbetta Viren che l'ultimo giro lo gestiva da tattico immenso. Quattro anni prima Monaco il giovanissimo Prefontaine immolo' le sue speranze di piazzamento facendo un sparata ai trecento metri, dettata dalla sua stupenda filosofia agonistica, che non solo non fiacco' per niente Viren ma tolse benzina preziosa a Steve sul rettilineo finale.
Comunque TD le Olimpiadi de Bob erano quelle de Roma, al massimo de Tokyo...:;

Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #26 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 08:35:16 »
Ecco, Walker è un'altro cui - vi giuro - pensavo quando correvo.
Mi facevo pure crescere i capelli per assomigliargli, e per anni cercai disperatamente una canotta nera con la mitica foglia di felce.

Prefontaine totalmente pazzo ed entusiasmante nella sua foga agonistica. RIP
A quel tempo c'era, e mi piace ricordare, anche Puttemans.
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Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #27 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 08:44:08 »
(Quanto a zio Bobbe, visto che ha citato Kuts "il ciccione", penso che poco ante sia riuscito a godersi anche i duelli - pistaroli e non -  tra Zatopek e Mimoun   ;D )
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Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #28 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 09:13:03 »
E' vero Puttemans, altra bestia mica da poco. Lo vidi, verso fine carriera, ad una delle prime estemporanee Maratone di Roma; risaliva da viale Etiopia verso la Batteria Nomentana, direzione Porta Pia, guidando il gruppetto di testa. Je mancava solo la fanfara, aveva una frequenza e una falcata impressionanti...

Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #29 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 10:07:18 »
Guuarda che ho trovato.
Proprio l'immagine che avevo in mente parlando di Pref e Puttemans.
Spettacolo.

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Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #30 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 10:31:25 »
Aaron e' magnifica!
Sto topic...e' un viaggio nella memoria, lo devo far leggere a mio figlio che di questi mostri sacri sa ben poco...Me prudono i piedi... menisco permettendo, riprovero' a mettere le scarpe...;)

TD

Re:Rudisha
« Risposta #31 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 10:36:05 »
quando Puttemans fece 13'13 sui 5000 sembrava una follia, poi arrivò Rono e ciao (se non ricordo male il mondiale l'ha tenuto anche il di cui sopra Dick Quax)

Offline benvolio

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Re:Rudisha
« Risposta #32 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 11:10:26 »
Corretto TD, ma fu Quax a migliorare Puttemans, poi come dicevo sopra arrivo' la grande estate del 1978 di Rono che scese, se non sbaglio, di tre quattro secondi (comunque sotto i 13.10)...

TD

Re:Rudisha
« Risposta #33 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 11:27:38 »
E poi il Re, Said Aouita, sotto ai 13 al golden gala, dopo il 13' netti di un miler in trasferta come Moorcroft. E qui diventa roba da specialisti dei 1500 che allungano: superveloce. Noi sui 5000 abbiamo avuto specialisti buoni, anche se meno forti che sulla distanza doppia.
Tempo fa scrissi un pezzo per una rivista su Totò Antibo, poi lo cerco e lo posto.

Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #34 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 11:37:39 »
Tempo fa scrissi un pezzo per una rivista su Totò Antibo, poi lo cerco e lo posto.

...Arf... !
(faccetta che sbava)
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Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #35 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 11:38:42 »
Aaron e' magnifica!
Sto topic...e' un viaggio nella memoria, lo devo far leggere a mio figlio che di questi mostri sacri sa ben poco...Me prudono i piedi... menisco permettendo, riprovero' a mettere le scarpe...;)

L'erede corre?
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TD

Re:Rudisha
« Risposta #36 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 11:49:37 »
Ecco, per la rivista X Run, scritto a novembre dell'anno scorso, un po' lunghetto

Quando si corre piano, da soli, in mezzo alla natura, si riesce ad ascoltare bene il
corpo e ad osservare il respiro. Si percepisce dove ci si trova e si controlla
mentalmente la postura. Si avverte il contatto dei piedi col suolo, si cerca di farli
scappare via e di tirare su le anche. Si riesce anche a meditare, correndo per correre.
Ma non sempre è stato così. Soprattutto da adolescenti, che l’urgenza chiama e
l’energia fluisce a scoppi colorati, ed è dura stare lì a tenersi a freno per il tempo di un
allenamento lungo, con i pensieri che si rincorrono a forzare il ritmo che si dovrebbe/
vorrebbe innaturalmente basso. E il modo di correre, poi, è sacrificato a questa
febbre. E cambia mille volte, con le braccia che mulinano e le spalle che dondolano,
le ginocchia che salgono nella naturale sequenza di salti che si srotola nei momenti in
cui si spinge a tutta forza e le gambe che s’imballano di fatica quando si è costretti
sulla difensiva dagli sprechi scriteriati d’energia. Acido lattico. Il vento in faccia che
asciuga il sudore e pare amico, prima di diventare una mano invisibile che frena,
rallenta, opprime e stanca. Ci si guarda correre e si sogna. E ci si trova a ripetere i
gesti di qualcuno che ci arriva dritto al cuore. Perché lo sport, soprattutto per un
adolescente, spesso è anche emulazione. Salvatore Antibo era un campione che ti
correva nell’anima. Era piccolo, magro e silenzioso. E aggressivo, istintivo, talvolta
scriteriato. Piccolo di statura ma con le gambe lunghe, fatte apposta per correre nella
leggenda, schiacciato tra africani, nordici e connazionali, in una gioventù corsa a
perdifiato. Totò muoveva poco le braccia o forse era solo un po’ scomposto con le
spalle. Aveva un ghigno in volto a metà tra la sofferenza e il sorriso, con un
sopraddente che si affacciava a ricordare che non erano tempi facili, che non si
cresceva nella bambagia e che, se si univa al talento sopraffino uno spirito di
sacrificio non comune si poteva però arrivare, con l’aiuto della fortuna, a raccontare
una storia di imprese memorabili. E di vittorie sulla sorte e sulla latitudine ingrata, sul
fatto che a nascere a Altofonte di vantaggi se ne hanno pochi, se non quello di
somigliare agli africani, forse per aver respirato lo stesso vento carico di sabbia del
deserto. Totò era così: d’istinto si portava in testa al gruppo e dava uno strattone, poi
perdeva contatto. Poi ritornava ancora avanti. Ogni passo era una lotta. Un susseguirsi
di slanci e di frenate, come se accelerando forte Totò sorprendesse anche se stesso e si
lasciasse indietro per poi raggiungersi e provare di nuovo a distanziarsi. Non era un
ragioniere come Cova o un cronoman come Barrios, non era tattico come i fratelli
Castro o infido come Hammou Boutayeb. Non aveva l’incedere armonioso di Brahim
Boutayeb che lo privò dell’oro di Seoul. Brahim era l’allievo prediletto di Said
Aouita, sovrano del mezzofondo. La gara era partita di gran carriera e se ne fregava
dell’umido coreano. Era proprio Totò che la lanciava su ritmi micidiali per poi restare
attardato e ancora rientrare, lottando furiosamente con Kimeli per l’argento fino ad
averne ragione nell’ultimo giro, tentando la disperata impresa di raggiungere il
delfino marocchino. Un oro perso, ma un argento magnifico acchiappato lottando a
denti sguainati. Un salto di qualità per Totò, che cresceva fin da quattro anni prima a
Los Angeles, dove aveva buttato il bronzo in volata nella gara in cui Cova aveva
resistito alla folle corsa di Vainio, che inseguiva più i fantasmi della tradizione finnica
che la medaglia d’oro, arrivando a macchiare una bellissima carriera per
l’impossibilità di accontentarsi di stare all’ombra del mito di Lasse Viren e di Paavo
Nurmi. Cova che frustrava gli avversari mulinando le gambette in un gesto sgraziato

ma redditizio, di ragioniere resistente capace di vincere europei, mondiali e olimpiadi
in fulgida sequenza. Totò, che era frullo agonistico incongruo ma precoce, stava in
tutti gli ordini d’arrivo anche se a vent’anni, si diceva, nel fondo non si poteva
aspirare a tanto. Fu sesto nel giorno del primo oro del baffetto lombardo, a vent’anni,
negli europei ad Atene. Fu quinto ma scalò al quarto a L.A., dopo la squalifica di
Vainio. Fu terzo nel giorno scritto nel libro azzurro dell’atletica leggera, quando a
Stoccarda gli Europei incoronarono tre italiani sul podio dei diecimila. Anche in
Germania fu lui a lanciare la gara, per poi gestirla insieme agli altri due moschettieri.
Cova, Mei e Antibo senza giochi di squadra: troppo campioni Totò e Alberto, troppo
più in forma degli altri Mei, che non ci credeva ma distrugge il campione di tutto con
una volata lunga irresistibile. Totò non è ancora al livello degli altri ma dispone di
Castro e resiste al ritorno del gruppo, centrando un bronzo che è la sua prima gloria
internazionale. Ed è la promessa che, dopo aver ceduto la scena allo splendido
Panetta nel mondiale romano, viene mantenuta nell’Olimpiade coreana. Secondo,
Totò. Col suo passo nervoso e bello, con gli occhi sinceri e il cuore regalato a
Rosanna Munerotto. Dopo Seoul Antibo domina la scena, rincorrendo il record del
mondo e sbaragliando gli avversari: sono anni di sfide affascinanti, corse palpitanti
che regalano spettacolo nei grandi meeting europei. A Spalato Totò tocca il vertice
massimo della sua parabola. I campionati europei d’atletica non serviranno a evitare
l’incombente disastro della guerra in Jugoslavia. Totò però trova consacrazione
proprio in Croazia, dominando nei diecimila e bissando l’oro nei cinquemila, dopo
essere caduto all’avvio ed aver battagliato con i gomiti nella convulsa volata di una
gara resa tattica proprio dall’attardarsi di Totò, anche grazie al rallentamento del
gruppo, in testa al quale Stefano Mei cercava di favorire il rientro del siciliano. Un
trionfo, anche se non ci sono africani a insidiarlo. Totò entra nella leggenda
dell’atletica italiana e si prepara a puntino per lanciare la sfida al mondo a Tokyo: nel
mondiale in cui Powell cancella Beamon, Totò gira però anonimamente sulla pista,
senza regalarci il solito andamento esplosivo. E’ dentro di lui che accade, piuttosto,
qualcosa. Si manifesta il piccolo male, frutto avvelenato di un grave incidente in cui
Totò era rimasto coinvolto da piccolo. A due anni, sette giorni di coma e una brutta
ferita alla testa. Quaranta punti di sutura e la vita salva per miracolo. A ventinove, un
mondiale corso senza rendersi conto della situazione, finendo doppiato e fuori dalla
realtà. Costretto a raccontare la propria condizione di uomo tradito dalla vita sul più
bello, che paga un tributo assurdo a una sorte cattiva. La terza olimpiade, quella che
era da vincere, gli regala a Barcellona un bel quarto posto. Insperato, viste le
premesse fatte di terapie farmacologiche e di dubbi scacciati via con la grinta e la
voglia di battersi fino all’ultima stilla d’energia. Una squalifica inflitta e (giustamente)
ritirata a Khalid Skah fa salire e scendere dal podio Totò. Il velo di tristezza che
accompagna, di lì in poi, il crepuscolo della carriera del campione di Altofonte è
impenetrabile. Totò esce dal mondo dell’atletica a cui ha dato tutto e torna a una
normalità che non è tale, se bisogna combattere contro una forma subdola di epilessia.
Il resto è storia di vita: le certezze che si sgretolano, la solitudine che si prende la
scena, il ritorno sempre più raro sulla piccola ribalta offerta da qualche giornale o tv
in vena di rievocazioni fugaci. Sullo sfondo, la dignità di un uomo e di un campione
che ha costruito, insieme ad altri, il mito del corridore italiano in grado di sottrarsi

allo strapotere africano. Qualcosa che si è consumato, forse, nei magici anni ottanta
della corsa tricolore, per molti versi irripetibili, e che ha trovato una coda imprevista
negli exploit di Stefano Baldini, tanto diverso da Antibo quanto simile a lui nel
mettere in fila avversari su avversari, dall’alto di una classe inimitabile. Totò resta
nella memoria di chi lo ha amato alla follia e ancor oggi si ritrova a provare a far
girare le gambe, stracche del peso degli anni e della pancia, ma pronte a rispondere
alle sollecitazioni, a caccia di sensazioni dimenticate. L’atletica, in fin dei conti, è
gioco e ripetizione di gesti naturali. Istintivi. Come la corsa inimitabile ed
emozionante di Totò Antibo.

Offline aaronwinter

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Re:Rudisha
« Risposta #37 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 12:14:52 »
Ecco, per la rivista X Run, scritto a novembre dell'anno scorso, un po' lunghetto

Quando si corre piano, da soli, in mezzo alla natura, si riesce ad ascoltare bene il
corpo e ad osservare il respiro. Si percepisce dove ci si trova e si controlla
mentalmente la postura. Si avverte il contatto dei piedi col suolo, si cerca di farli
scappare via e di tirare su le anche. Si riesce anche a meditare, correndo per correre.
Ma non sempre è stato così. Soprattutto da adolescenti, che l’urgenza chiama e
l’energia fluisce a scoppi colorati, ed è dura stare lì a tenersi a freno per il tempo di un
allenamento lungo, con i pensieri che si rincorrono a forzare il ritmo che si dovrebbe/
vorrebbe innaturalmente basso. E il modo di correre, poi, è sacrificato a questa
febbre. E cambia mille volte, con le braccia che mulinano e le spalle che dondolano,
le ginocchia che salgono nella naturale sequenza di salti che si srotola nei momenti in
cui si spinge a tutta forza e le gambe che s’imballano di fatica quando si è costretti
sulla difensiva dagli sprechi scriteriati d’energia. Acido lattico. Il vento in faccia che
asciuga il sudore e pare amico, prima di diventare una mano invisibile che frena,
rallenta, opprime e stanca. Ci si guarda correre e si sogna. E ci si trova a ripetere i
gesti di qualcuno che ci arriva dritto al cuore. Perché lo sport, soprattutto per un
adolescente, spesso è anche emulazione. Salvatore Antibo era un campione che ti
correva nell’anima. Era piccolo, magro e silenzioso. E aggressivo, istintivo, talvolta
scriteriato. Piccolo di statura ma con le gambe lunghe, fatte apposta per correre nella
leggenda, schiacciato tra africani, nordici e connazionali, in una gioventù corsa a
perdifiato. Totò muoveva poco le braccia o forse era solo un po’ scomposto con le
spalle. Aveva un ghigno in volto a metà tra la sofferenza e il sorriso, con un
sopraddente che si affacciava a ricordare che non erano tempi facili, che non si
cresceva nella bambagia e che, se si univa al talento sopraffino uno spirito di
sacrificio non comune si poteva però arrivare, con l’aiuto della fortuna, a raccontare
una storia di imprese memorabili. E di vittorie sulla sorte e sulla latitudine ingrata, sul
fatto che a nascere a Altofonte di vantaggi se ne hanno pochi, se non quello di
somigliare agli africani, forse per aver respirato lo stesso vento carico di sabbia del
deserto. Totò era così: d’istinto si portava in testa al gruppo e dava uno strattone, poi
perdeva contatto. Poi ritornava ancora avanti. Ogni passo era una lotta. Un susseguirsi
di slanci e di frenate, come se accelerando forte Totò sorprendesse anche se stesso e si
lasciasse indietro per poi raggiungersi e provare di nuovo a distanziarsi. Non era un
ragioniere come Cova o un cronoman come Barrios, non era tattico come i fratelli
Castro o infido come Hammou Boutayeb. Non aveva l’incedere armonioso di Brahim
Boutayeb che lo privò dell’oro di Seoul. Brahim era l’allievo prediletto di Said
Aouita, sovrano del mezzofondo. La gara era partita di gran carriera e se ne fregava
dell’umido coreano. Era proprio Totò che la lanciava su ritmi micidiali per poi restare
attardato e ancora rientrare, lottando furiosamente con Kimeli per l’argento fino ad
averne ragione nell’ultimo giro, tentando la disperata impresa di raggiungere il
delfino marocchino. Un oro perso, ma un argento magnifico acchiappato lottando a
denti sguainati. Un salto di qualità per Totò, che cresceva fin da quattro anni prima a
Los Angeles, dove aveva buttato il bronzo in volata nella gara in cui Cova aveva
resistito alla folle corsa di Vainio, che inseguiva più i fantasmi della tradizione finnica
che la medaglia d’oro, arrivando a macchiare una bellissima carriera per
l’impossibilità di accontentarsi di stare all’ombra del mito di Lasse Viren e di Paavo
Nurmi. Cova che frustrava gli avversari mulinando le gambette in un gesto sgraziato

ma redditizio, di ragioniere resistente capace di vincere europei, mondiali e olimpiadi
in fulgida sequenza. Totò, che era frullo agonistico incongruo ma precoce, stava in
tutti gli ordini d’arrivo anche se a vent’anni, si diceva, nel fondo non si poteva
aspirare a tanto. Fu sesto nel giorno del primo oro del baffetto lombardo, a vent’anni,
negli europei ad Atene. Fu quinto ma scalò al quarto a L.A., dopo la squalifica di
Vainio. Fu terzo nel giorno scritto nel libro azzurro dell’atletica leggera, quando a
Stoccarda gli Europei incoronarono tre italiani sul podio dei diecimila. Anche in
Germania fu lui a lanciare la gara, per poi gestirla insieme agli altri due moschettieri.
Cova, Mei e Antibo senza giochi di squadra: troppo campioni Totò e Alberto, troppo
più in forma degli altri Mei, che non ci credeva ma distrugge il campione di tutto con
una volata lunga irresistibile. Totò non è ancora al livello degli altri ma dispone di
Castro e resiste al ritorno del gruppo, centrando un bronzo che è la sua prima gloria
internazionale. Ed è la promessa che, dopo aver ceduto la scena allo splendido
Panetta nel mondiale romano, viene mantenuta nell’Olimpiade coreana. Secondo,
Totò. Col suo passo nervoso e bello, con gli occhi sinceri e il cuore regalato a
Rosanna Munerotto. Dopo Seoul Antibo domina la scena, rincorrendo il record del
mondo e sbaragliando gli avversari: sono anni di sfide affascinanti, corse palpitanti
che regalano spettacolo nei grandi meeting europei. A Spalato Totò tocca il vertice
massimo della sua parabola. I campionati europei d’atletica non serviranno a evitare
l’incombente disastro della guerra in Jugoslavia. Totò però trova consacrazione
proprio in Croazia, dominando nei diecimila e bissando l’oro nei cinquemila, dopo
essere caduto all’avvio ed aver battagliato con i gomiti nella convulsa volata di una
gara resa tattica proprio dall’attardarsi di Totò, anche grazie al rallentamento del
gruppo, in testa al quale Stefano Mei cercava di favorire il rientro del siciliano. Un
trionfo, anche se non ci sono africani a insidiarlo. Totò entra nella leggenda
dell’atletica italiana e si prepara a puntino per lanciare la sfida al mondo a Tokyo: nel
mondiale in cui Powell cancella Beamon, Totò gira però anonimamente sulla pista,
senza regalarci il solito andamento esplosivo. E’ dentro di lui che accade, piuttosto,
qualcosa. Si manifesta il piccolo male, frutto avvelenato di un grave incidente in cui
Totò era rimasto coinvolto da piccolo. A due anni, sette giorni di coma e una brutta
ferita alla testa. Quaranta punti di sutura e la vita salva per miracolo. A ventinove, un
mondiale corso senza rendersi conto della situazione, finendo doppiato e fuori dalla
realtà. Costretto a raccontare la propria condizione di uomo tradito dalla vita sul più
bello, che paga un tributo assurdo a una sorte cattiva. La terza olimpiade, quella che
era da vincere, gli regala a Barcellona un bel quarto posto. Insperato, viste le
premesse fatte di terapie farmacologiche e di dubbi scacciati via con la grinta e la
voglia di battersi fino all’ultima stilla d’energia. Una squalifica inflitta e (giustamente)
ritirata a Khalid Skah fa salire e scendere dal podio Totò. Il velo di tristezza che
accompagna, di lì in poi, il crepuscolo della carriera del campione di Altofonte è
impenetrabile. Totò esce dal mondo dell’atletica a cui ha dato tutto e torna a una
normalità che non è tale, se bisogna combattere contro una forma subdola di epilessia.
Il resto è storia di vita: le certezze che si sgretolano, la solitudine che si prende la
scena, il ritorno sempre più raro sulla piccola ribalta offerta da qualche giornale o tv
in vena di rievocazioni fugaci. Sullo sfondo, la dignità di un uomo e di un campione
che ha costruito, insieme ad altri, il mito del corridore italiano in grado di sottrarsi

allo strapotere africano. Qualcosa che si è consumato, forse, nei magici anni ottanta
della corsa tricolore, per molti versi irripetibili, e che ha trovato una coda imprevista
negli exploit di Stefano Baldini, tanto diverso da Antibo quanto simile a lui nel
mettere in fila avversari su avversari, dall’alto di una classe inimitabile. Totò resta
nella memoria di chi lo ha amato alla follia e ancor oggi si ritrova a provare a far
girare le gambe, stracche del peso degli anni e della pancia, ma pronte a rispondere
alle sollecitazioni, a caccia di sensazioni dimenticate. L’atletica, in fin dei conti, è
gioco e ripetizione di gesti naturali. Istintivi. Come la corsa inimitabile ed
emozionante di Totò Antibo.

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Re:Rudisha
« Risposta #38 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 12:16:32 »
Aveva un ghigno in volto a metà tra la sofferenza e il sorriso

Bellissimo e verissimo.
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« Risposta #39 : Mercoledì 8 Settembre 2010, 12:30:13 »

"...Antibo era un campione che ti correva nell'animo"

Grazie TD! tu devi diffonderle queste cose valgono ore ed ore di sciatta televisione. Il sopraddente di Antibo era davvero l'immagine della semplicita', il senso dell'atletica che noi italiani (brava gente) possedevamo e possediamo ancora. Inutile dire che il ragioniere Cova, con tutte le vittorie, non scaldava il cuore come sapeva fare Toto'...