"Dio benedica il 26 maggio!"
Credete che sia possibile dimenticarsi affermazioni di questo genere? Io non l'ho fatto, e la resa dei conti è, per quanto mi riguarda, vicinissima. L'argomento è tornato d'attualità, almeno nella mia testolina, grazie a un post fu Facebook tirato fuori ieri che recitava più o meno così: "Alla luce dello sviluppo dei risultati della RXXX, pensate sarebbe stato meglio perdere la finale del 26 maggio?". Sondaggio lanciato da una radio laziale, terribilmente imbarazzante alla luce di quanto sta accadendo nelle ultime settimane, soprattutto perché lanciato da un pezzo del nostro ambiente.
Che questa sconcezza l'abbiano ripetuta loro come un mantra, infatti, è più che comprensibile: si chiama "rimozione", voler affermare contro ogni evidenza che da un male nasca un bene, e voler sminuire lo storico successo della controparte.
Personalmente, all'effetto 26 maggio ci ho pensato a lungo l'anno scorso, ma non per motivi tecnici, ma puramente esoterici: l'avevo già scritto in passato, dopo un nostro grande successo, la storia piazza sempre un dispetto, e avevo paura che la storia potesse ripetersi.
Un effetto 26 maggio, e questo non me lo toglie dalla testa nessuno, è stato rappresentato dalla collocazione dei derby nelle ultime due stagioni. Incredibilmente anticipato l'anno scorso, "per togliersi 'sto morto del 26 maggio dalle spalle", come disse Capitan Gomorra, e polli noi a cascarci e a perdere pigramente una partita contro una squadra che se la faceva sotto anche a uno starnuto di Ciani. Incredibilmente posticipato l'anno scorso, con gli speaker delle aradio giallorosse che scrivevano slogan tipo "dobbiamo alzargli lo scudetto in faccia, la storia ce lo deve", con un pensiero fisso in testa.
Io credo che quel ko abbia rappresentato un spartiacque, un qualcosa con cui fare i conti quotidianamente. Per loro ovviamente, tanto da travisare anche il lavoro svolto dalla loro stessa società. Che ha investito sicuramente oltre le risorse lecite, con il santo graal dello stadio all'orizzonte per iniziare a fare davvero "business", e che prima o poi, a botte di 30 milioni ad acquisto, sarebbe riuscita a far rendere in campo una squadra che con Luis Enrique e Zeman sarebbe andata in tilt.
Ovviamente il giochetto non riesce sempre, e i soldi gettati nella fornace del mercato quest'anno potrebbero essere molto meno "rivalutabili" rispetto a quelli che portarono Lamela, Marquinhos e Benatia, per citarne tre rivenduti a peso d'oro.
Tutto questo al netto di quello che potranno fare da qui alla fine della stagione in Europa League, unico obiettivo rimasto a tiro (e ovviamente non più "coppetta senza più fascino e valore", come dicevano quando dovevamo giocare noi ottavi e quarti con Stoccarda e Fenerbahce): una competizione che, comunque andrà a finire, ci vorrà una bella fantasia a definire "figlia del 26 maggio": ma se capiterà, qualcuno lo farà, potete scommetterci. E' il segreto del loro ambiente, cialtrone come nessun altro nello sport, e forse anche nella società civile.