Autore Topic: La sfida fondamentalista  (Letto 10401 volte)

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Zapruder

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #20 : Lunedì 16 Febbraio 2015, 18:11:41 »
il 60% delle riserve di un paese che detiene ad oggi poco piu' di 15 miliardi di barili di riserve provate, che rappresentano meno dell'1% delle riserve mondiali, Zap

Le stime sui giacimenti ancora esistenti fino a poco tempo fa ammontavano a mille miliardi di barrel (il fabbisogno di circa 30 anni, al ritmo attuale di consumo mondiale di cento milioni di barrel al girono), per quanto ne so, ma sono state riviste fino a duemila miliardi in virtù della scoperta di quel giacimento ("immenso") e della possibilità di sfruttare il greggio meno pregiato, finora trascurata. Non credo, da quanto ho letto, che quel giacimento sia il 60% dell'1%, so che è talmente grande da aver fatto rivedere tutta la politica energetica (e militare) brasiliana. Naturalmente potrei sbagliarmi, non è il mio campo e ho solo letto qualche articolo.

Offline aquilafelyx

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #21 : Lunedì 16 Febbraio 2015, 18:31:05 »
Noi siamo ricchi loro sono poveri.. Anzi noi siamo ricchi perche' loro sono poveri... Non basta questa come spiegazione?

Dipende, se fai parte di un certo 1% può darsi:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-19/entro-2016-l-1percento-popolazione-sara-piu-ricco-resto-mondo--105352.shtml
M'illumino di Lulic

Bajo las águilas silenciosas, la inmensidad carece de significado.


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Offline Frusta

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #22 : Lunedì 16 Febbraio 2015, 20:00:14 »
Se avessi una ricetta...

Alcune cose però non c'è bisogno di saperle, talmente sono evidenti.

Per esempio ieri, mentre l’equipaggio della motovedetta della Guardia Costiera portava in salvo alcuni clandestini da un barcone davanti alle coste libiche, si è avvicinato un barchino veloce con a bordo quattro persone armate di kalashnikov. Gli scafisti hanno minacciato i nostri marinai per riprendersi il barcone vuoto e riportarlo indietro per poterlo riutilizzare. Cosa che hanno tranquillamente fatto.
Con quale altro paese sarebbe successa una cosa simile?

Una motovedetta maltese li avrebbe ridotti in pastura per i pesci in meno di un nanosecondo.

Noi siamo vittime di un calabraghismo irreparabile, è questo che deve farci paura, altro che isis.


Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

CP 4.0

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #23 : Lunedì 16 Febbraio 2015, 22:20:02 »
Le stime sui giacimenti ancora esistenti fino a poco tempo fa ammontavano a mille miliardi di barrel (il fabbisogno di circa 30 anni, al ritmo attuale di consumo mondiale di cento milioni di barrel al girono), per quanto ne so, ma sono state riviste fino a duemila miliardi in virtù della scoperta di quel giacimento ("immenso") e della possibilità di sfruttare il greggio meno pregiato, finora trascurata. Non credo, da quanto ho letto, che quel giacimento sia il 60% dell'1%, so che è talmente grande da aver fatto rivedere tutta la politica energetica (e militare) brasiliana. Naturalmente potrei sbagliarmi, non è il mio campo e ho solo letto qualche articolo.

ed infatti uno dei link che ho messo ti da proprio quella stima di mille miliardi e mezzo d iriserve.

e come dici tu le nuove riserve hanno fatto rivedere la politica energetia e militare del Brasile, non del mondo, proprio perche' l'impatto di quelle riserve e' considerevole solo all'interno dei possedimenti brasiliani.

Dipende, se fai parte di un certo 1% può darsi:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-19/entro-2016-l-1percento-popolazione-sara-piu-ricco-resto-mondo--105352.shtml

giusto perche' c'e' chi ha piu' colpe di noi, non e' che noi siamo esenti dalle responsabilita'.

CP 4.0

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #24 : Lunedì 16 Febbraio 2015, 22:22:26 »
quanto riguarda poi le paure di TD, che sono il motivo del topic, non avevo capito, non credo che ci sia di che preoccuparci di una qualche attacco missilistico militare di guerra prossimo venturo o remoto.

certo ci sono i soliti 'incidenti', ma non mi pare che siano comparsi solo di recente e per colpa di certe oganizazioni.

Offline Er Matador

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #25 : Martedì 17 Febbraio 2015, 05:01:37 »
I cosiddetti terroristi sono arnesi costruiti e pagati dagli Usa, che si manifestano a orologeria in funzione dei loro interessi.
Per confermarli nel ruolo di male minore, dato che senza un avversario tipo Prima Guerra Fredda nessuno è disposto a sopportarli, o per legittimare un intervento militare che dia ossigeno alla loro industria bellica.
Poi parliamo pure di energia, geopolitica e di altri mille, interessanti argomenti: ma il terrorismo islamico, inteso come massa critica e concretamente operativa, è tutto lì.

CP 4.0

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #26 : Martedì 17 Febbraio 2015, 07:31:48 »
come detto, ci sono innumerevoli fattori, ed anche quello della creazione di un 'mostro' e' giustamente parte del discorso.

ovvio, che poi ci sono specifici elementi, si parlasse di africa centrale, ricca di minerali e materie prime, piu' che un problema di scarsita' di petrolio, quello di mantenere il costo di estrazione di tale materie e risorse al minimo, cosi da massimizzare i guadagni pur mantenendo i beni di consumo a prezzi accessibili per la massa che non fa parte dell'elite,  sarebbe piu' rilevante.

cosi come il costo della manodopera in Cina, ad esempio. o lo sfruttamento di certe aree per il turismo o l'allevamento 'intensivo'.

Offline AlenBoksic

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #27 : Martedì 17 Febbraio 2015, 09:25:37 »
"Entrare in guerra è facile ma si rischia il pantano”

Mini: 5 mila uomini? Ne servirebbero 50 mila


«Andare in Libia a fare la guerra è fin troppo facile. Una volta che ci fossimo infilati in quel pantano, però, difficile sarebbe uscirne. Guardate che cosa accade dopo 14 anni di Afghanistan». Non è usuale sentire un generale del nostro esercito usare tanta freddezza nei confronti della guerra. Eppure Fabio Mini, che è stato il comandante della missione Nato in Kosovo, e capo di stato maggiore del Comando Nato delle forze alleate Sud Europa, non si nasconde dietro le parole. 

Generale Mini, perché intervenire in Libia sarebbe una missione tanto sbagliata?   

«Perché ho sentito molta frettolosità nell’analisi del presente, e nessuna parola sul futuro. Per parafrasare un mio libro, diteci quale guerra verrebbe dopo la guerra. Spiegateci quale è la strategia complessiva. Parlare di “peace keeping” alla maniera libanese, non ha senso: non ci sono due fazioni che si affidano a noi per consolidare una tregua. Fare come nel 2011 con i raid aerei, poi, lascerebbe le cose come stanno. Se proprio si deve controllare il territorio, in Libia ci sarebbe da combattere sul serio e non so se è chiaro che avremmo 50 morti nella prima settimana. Né si pensi che bastino 5 mila uomini, ce ne vorrebbero 50 mila e forse sarebbero ancora pochi».

L’alternativa sarebbe un’operazione alla kosovara o alla curda. Noi ci mettiamo potenza aerea e consiglieri militari, loro le forze di terra.   

«Possibile. Ma allora ci devono dire chi sono gli alleati e chi no. Cioè quali fazioni appoggiamo e quali contrastiamo. Perché è evidente che l’Isis è soltanto una bandiera, e sotto ci sono le stesse milizie che prima pagavamo e che ora indossano la tuta nera perché da quelle parti è diventato un marchio vincente». 

I jihadisti sembrano essere diventati i terzi incomodi tra due fazioni in rotta, gli islamici di Tripoli e i laici di Tobruk. Un intervento occidentale rischia di rompere gli equilibri e coalizzare tutti gli islamisti contro di noi? 

«Appoggiando lo schieramento del generale Haftar, gli egiziani e gli americani avevano già provato a chiudere la partita con una spallata. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Egiziani e francesi, da quel che vedo, tentano ora una nuova spallata ma non penso che avranno successo neppure stavolta».

E allora, che fare? 

«Innanzitutto andrei a rivedere quell’accordo di amicizia tra Italia e Libia che si firmò ai tempi di Berlusconi. Se un ampio spettro di forze libiche ci chiedessero aiuto... Ma abbandoniamo idiozie come l'esportazione della democrazia. Ipocrisia. Come quella che in questi anni ci fossero uno Stato, elezioni regolari, e governi legittimi. La Libia è terra di tribù, ciascuna con i suoi pozzi di petrolio. Se devo dirla tutta, converrebbe che gli equilibri locali si chiariscano da soli. Con un intervento occidentale ora, la crisi si internazionalizza e in prospettiva diventa ancora più ingestibile». 
http://www.lastampa.it/2015/02/17/esteri/entrare-in-guerra-facile-molto-pi-difficile-uscirne-oDMeUumi2WU350eHU7R5RM/premium.html
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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #28 : Martedì 17 Febbraio 2015, 09:57:05 »
"Entrare in guerra è facile ma si rischia il pantano”

Mini: 5 mila uomini? Ne servirebbero 50 mila


«Andare in Libia a fare la guerra è fin troppo facile. Una volta che ci fossimo infilati in quel pantano, però, difficile sarebbe uscirne. Guardate che cosa accade dopo 14 anni di Afghanistan». Non è usuale sentire un generale del nostro esercito usare tanta freddezza nei confronti della guerra. Eppure Fabio Mini, che è stato il comandante della missione Nato in Kosovo, e capo di stato maggiore del Comando Nato delle forze alleate Sud Europa, non si nasconde dietro le parole. 

Generale Mini, perché intervenire in Libia sarebbe una missione tanto sbagliata?   

«Perché ho sentito molta frettolosità nell’analisi del presente, e nessuna parola sul futuro. Per parafrasare un mio libro, diteci quale guerra verrebbe dopo la guerra. Spiegateci quale è la strategia complessiva. Parlare di “peace keeping” alla maniera libanese, non ha senso: non ci sono due fazioni che si affidano a noi per consolidare una tregua. Fare come nel 2011 con i raid aerei, poi, lascerebbe le cose come stanno. Se proprio si deve controllare il territorio, in Libia ci sarebbe da combattere sul serio e non so se è chiaro che avremmo 50 morti nella prima settimana. Né si pensi che bastino 5 mila uomini, ce ne vorrebbero 50 mila e forse sarebbero ancora pochi».

L’alternativa sarebbe un’operazione alla kosovara o alla curda. Noi ci mettiamo potenza aerea e consiglieri militari, loro le forze di terra.   

«Possibile. Ma allora ci devono dire chi sono gli alleati e chi no. Cioè quali fazioni appoggiamo e quali contrastiamo. Perché è evidente che l’Isis è soltanto una bandiera, e sotto ci sono le stesse milizie che prima pagavamo e che ora indossano la tuta nera perché da quelle parti è diventato un marchio vincente». 

I jihadisti sembrano essere diventati i terzi incomodi tra due fazioni in rotta, gli islamici di Tripoli e i laici di Tobruk. Un intervento occidentale rischia di rompere gli equilibri e coalizzare tutti gli islamisti contro di noi? 

«Appoggiando lo schieramento del generale Haftar, gli egiziani e gli americani avevano già provato a chiudere la partita con una spallata. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Egiziani e francesi, da quel che vedo, tentano ora una nuova spallata ma non penso che avranno successo neppure stavolta».

E allora, che fare? 

«Innanzitutto andrei a rivedere quell’accordo di amicizia tra Italia e Libia che si firmò ai tempi di Berlusconi. Se un ampio spettro di forze libiche ci chiedessero aiuto... Ma abbandoniamo idiozie come l'esportazione della democrazia. Ipocrisia. Come quella che in questi anni ci fossero uno Stato, elezioni regolari, e governi legittimi. La Libia è terra di tribù, ciascuna con i suoi pozzi di petrolio. Se devo dirla tutta, converrebbe che gli equilibri locali si chiariscano da soli. Con un intervento occidentale ora, la crisi si internazionalizza e in prospettiva diventa ancora più ingestibile». 
http://www.lastampa.it/2015/02/17/esteri/entrare-in-guerra-facile-molto-pi-difficile-uscirne-oDMeUumi2WU350eHU7R5RM/premium.html

Parole sante. Non so a quale imbecille sia venuto in mente di spedire 5.000 uomini in Libia.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline disabitato

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #29 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:04:17 »
Molto lucido e condivisibile.
A pelle verrebbe voglia di sterminare tutti, ma la realtà è ben diversa.
Quindi ci potremmo fare i cavoli nostri e poi stringere accordi commerciali con chi esce vivo dalla carneficina, oppure dividere la Libia, stato fantoccio, in vari mini stati cercando di dare ad ognuno il suo.
Altra opzione, mettere su un nuovo Gheddafi che tiene tutti a bada con bastone e carota.
Ah, ovviamente è da compatire con uno sguardo pietoso e delle pacche sulla spalla chiunque parli di "processo democratico" "libere elezioni" e "soluzione politica".
Non prendiamoci in giro.. A noi della Libia ci importa solo in virtù del petrolio, mica perché ci sta a cuore la sorte del popolo libico.
Quindi proteggere i nostri interessi cercando contemporaneamente altri partner energetici, e che si fotta il resto. Già siamo pieni di casini noi che accollarsi pure la Libia non mi pare il caso..
Ah, e sospendere immediatamente Schengen e cercare di avere una minima idea di chi entra e chi esce dai confini nazionali. Non per il pericolo attentati, per me molto basso..
DISCLAIMER: durante la scrittura di questo post non è stata offesa, ferita o maltrattata nessuna categoria di utenti o nessun utente in particolare. Ogni giudizio su persone, cose o utenti rimane nella mente dello scrivente e per questo non perseguibile.

CP 4.0

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #30 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:09:24 »
il petrolio non c'entra nulla?

PS: alla Francia fu accordato il permesso di aiutare i ribelli ai tempi della primavera, ovvio che non avrebbe potuto agire da sola senza un'acconsentimento anche di chi qualche mese dopo avrebbe volentiere bombardato la Siria, paese piu' prossimo all'Iraq e all'Afghanistan che non quello che era il paese di Geddafi, grande nemico degli USA.

Certo forse varrebbe la pena ricordare che chi ci rimise di piu' con la guerra in Iraq, la seconda, fu proprio la Francia, in procinto di concludere un affare per il controllo totale delle esportazioni di petrolio dal paese di Saddam Hussein una volta fossero stati tolti gli embarghi a cui era sottoposto dopo lam prima guerra.

rimozione di embarghi che fino alla vittoria dell'amministrazione Bush, era supportato dallo stesso Blair in conomitanza con Clinton.

ora probabilmente sta all'Europa mantenere il controllo di tali territori, la Libia intendo.

NB. scritto prima di leggere disa, a cui posso solo dire che ormai le uova sono rotte ed il latte versato. ma lo e' da almeno il 2003 (vedi sopra)

ThomasDoll

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #31 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:22:12 »
Non per il pericolo attentati, per me molto basso..

Basta un Coulibaly.
Hanno fatto follie in Francia, da noi basta un assembramento a caso da colpire. Per me il rischio c'è, non è da allarme rosso ma qualcosa mi aspetto.

Offline AlenBoksic

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #32 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:40:38 »
Vero.
Però cerchiamo anche di tenere un profilo basso: purtroppo abbiamo un sistema informativo che non può fare a meno di vivere senza allarmismi, mentre il regime di "Dichiarazia" in cui viviamo fa si che il politico ci sguazzi creando un sistema che si autoalimenta di continuo.
Ci fosse stato un clima del genere durante lo stillicidio di attentati negli anni di piombo non so se ne saremmo usciti fuori
Voglio 11 Scaloni

Zapruder

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #33 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:43:37 »
Parole sante. Non so a quale imbecille sia venuto in mente di spedire 5.000 uomini in Libia.

E' venuto in mente all'individuo più inutile e incapace dai tempi di Facta. Io non so quale mente abbia potuto associare Gentiloni agli Esteri, ma un sospetto ce l'ho...

ThomasDoll

Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #34 : Martedì 17 Febbraio 2015, 10:44:09 »
un Salvini negli anni di piombo sarebbe finito in galera...

Offline aquilafelyx

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #35 : Martedì 17 Febbraio 2015, 11:04:14 »
Parole sante. Non so a quale imbecille sia venuto in mente di spedire 5.000 uomini in Libia.

A uno di quelli che ha partecipato al progetto europeo senza prevedere l'istituzione di un esercito comune, un altro ritardo accumulato e difficilmente colmabile in breve tempo.
Criminali quanto i tagliagole dell'Isis che andrebbero processati per alto tradimento.
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Offline AlenBoksic

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #36 : Martedì 17 Febbraio 2015, 11:10:17 »
Un esercito comune dovrebbe necessariamente avere come precondizione una politica estera comune,
e li se possibile siamo ancora più indietro
Voglio 11 Scaloni

Offline AlenBoksic

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #37 : Domenica 22 Febbraio 2015, 09:34:32 »
Bosnia, nel villaggio sedotto dall’Isis: “Tutto il mondo apparterrà all’Islam”

Viaggio a Maoca fra bandiere dello Stato islamico, donne velate e barbe lunghe. I combattenti in Siria sono chiamati eroi. E i musulmani di Sarajevo falsi credenti

Domenico Quirico


A Sarajevo, ogni volta, ti accorgi che tutte le cose essenziali di questo mondo sono state condizionate dalla guerra o meglio dalle circostanze della guerra: l’usura ha distrutto qualche cosa di più profondo delle semplici parti rinnovabili dell’essere. Ti accorgi subito dello sconvolgimento dell’economia generale, la miseria generale che ti investe con una zaffata di lamentazioni, della politica; ma soprattutto lo scompiglio della vita stessa degli individui, l’imbarazzo,l’incertezza, l’inquietudine universali.
Ritrovi amici anziani che ti parlano ancora di come la vita qui una volta era bella, prima che … e ti sembra sempre più di sentir parlare di mondi interamente scomparsi, di imperi colati a picco con tutti i loro uomini e le loro macchine, scesi nel fondo impenetrabile dei secoli con gli dei e le leggi: la ‘’mirna bosna’’, la bosnia tranquilla alla fine e all’inizio di tutte le conversazioni . Continuano dopo 20 anni, a scoprire fosse di morti e l’orrore si moltiplica e si prolunga, angosce senza tempo: donne che incontrano, per strada, gli uomini che le hanno violate, e ora non abbassano più il capo o si allontano ma ridono e le sfidano a ricordare.
’’E’ come essere in prigione e sapere che non potrai uscire…Mi confida un’amica che lavora in una televisione e vorrebbe partire - qui senti storie che non puoi credere, è una parte piccola di mondo che non puoi capire dove è davvero difficile vivere ’’. Terreno fertile per il fondamentalismo, raccontano che di qui e in Kosovo passi una delle vie per i combattenti stranieri che porta a mosul e a raqqa. 
Ciò di cui è stata privata questa gente non è soltanto un paese unito ma è anche il tempo, è anche lo scambio. E questa negazione operata dalla guerra e dalla ideologia nazionalista della ‘’rifondazione’’, della tribù, dalla invenzione della ‘’tradizione’’ ha portato alla chiusura ermetica all’interno delle identità e delle differenze. La distruzione della simbiosi bosniaca: la guerra ha fatto il grosso del lavoro , la pace imposta da europei e americani ha fatto il resto. Insistere sulla differenza anche se per predicarne il rispetto l’ ha trasformata in limiti invalicabili, in un mostro giuridico che paralizza milioni di persone nella separazione. Un anno fa la gente scese in piazza, bruciò municipi e ministeri, una rivolta della fame e la rabbia per la paralisi e la corruzione che non conosce etnie. Dopo un anno non è successo nulla, i comitati civici sono spariti o sono stati assorbiti dai partiti. A ricordare sono andati in piazza non più di cento persone. 
Storie incredibili come quella che mi ha portato qui, questa volta , di una piccola città, Maoca dove hanno alzato alle finestre le bandiere del califfato e dove tutti gli abitanti uomini donne bambini vivono come nelle terre conquistate da Abu Bakr . Le bandiere nere come a Mosul, a Sirte, a maiduguri dunque già in Europa un ora di volo da vienna… ‘’vai a maoca ?- sorride amara la mia amica - ma puoi risparmiarti tutta quella strada, là è solo più evidente quello che qui è ancora ipocritamente taciuto. Sai che a Sarajevo non trovi più l’aceto i supermercati? Sono proprietà di gruppi arabi… nella città multietnica, delle differenze come cianciano gli uomini dove lavoro non mi danno la mano e abbassano gli occhi quando mi parlano perché sono una donna per non guardarmi. a Nedjadici nella moschea scoppiano risse perché nuovi predicatori radicali vogliono cancellare le vecchie usanze bosniache della preghiera bosniache…non andare a maoca, non vale la fatica, sono cattivi quelli là…’’.
Oggi a Sarajevo è iniziato il processo a Bilan Bosnic, il ‘’reclutatore’’. Girava per le moschee, arruolava giovani poveri nei piccoli villaggi; non gli mancava certo chi ascoltava. secondo i rapporti ufficiali nel califfato combattono 130 bosniaci, una trentina almeno sono già morti. Ma quelle sono le ottimistiche cifre ufficiali per non creare il panico. 
Maoca è vicino a Brcko, quasi alla frontiera croata, quatto ore almeno da sarajevo; guardiamo dal finestrino dell’auto lo srotolarsi dell’interminabile tedio della strada . A tratti tra i versanti innevati e scoscesi delle montagne piccoli villaggi si mostrano d’improvviso alla vista, per poi subito tornare a nascondersi. Anche nei più minuscoli due, tre minareti nuovi di zecca: il lento lavoro delle talpe islamiche, i soldi arrivati dalla arabia saudita. Da ogni parte si ergono montagne alte e fredde, fondali di uno scenario da tragedia; la neve ora cessa ora riappare in chiazze sparse, una neve asciutta e indifferente.
In una locanda la storia che cerchiamo ci viene già addosso. Un gruppo di ragazzi silenziosi davanti a interminabili caffè. Hanno sguardi stanchi come quei frutti che sono seccati prima di maturare. Uno di loro, il viso raggrinzito in una sofferenza intensa, quando scopre che andiamo a Maoca, preme sui tasti del suo telefonino: guarda! questo è mirza Ganic il martire’’. Scorrono fotografie inondate di sole: un ragazzo barbuto alza il mitra sullo sfondo di una splendida villa, riconosco lo stile delle dimore dei ricchi siriani; il ragazzo con altri giovani barbuti saluta immerso in piscina… Nell’ultima il ragazzo è avvolto in una coperta, morto, attorno gli scarponi dei suoi compagni. ‘’Era nato nel Sangiaccato, laggiù nel jihad è stato ferito: poteva essere salvato facilmente, non era una ferita mortale: ma ha rifiutato, era andato lì per morire ha voluto che lo lasciassero morire dissanguato… ripenso ad un altro nome che mi hanno fatto: Bairo Ikonovic ‘’il bosniaco’’, uno dei grandi capi nel califfato… C’è chi ha scelto per fuggire di viaggiare nello spazio, anche qui in Bosnia altri hanno scelto dunque di viaggiare nel tempo aggrappandosi a un glorioso passato lontano e a un sistema di vita che nel loro immaginario è l’età dell’oro dell’islam. 
Nell’ultimo villaggio serbo vecchi fanno grandi segni con le mani alla richiesta della strada per Maoca, come se volessero allontanarci. La strada asfaltata finisce bruscamente, si imbocca uno stretto pantano dove la neve è diventata fango e serpeggia, ripida, mal tracciata, sul fianco del monte . La jeep sale a sobbalzi gemendo, sbandando. A fianco scorre il letto di un torrente tutto di granito, di un grigio chiarissimo. La natura non è imponente e maestosa come da noi, ma dura, corrucciata; Dio sembra aver buttato i monti a casaccio, di traverso, di fianco, verso nord verso sud, un groviglio inestricabile di dorsi rognosi, un mare tempestosa pietrificato per magia. Gli scuri alberi dormono abbandonati all’abbraccio della neve.
il piccolo cimitero serbo che hanno spostato a valle quando i musulmani hanno comprato le terre e le case è coperto di neve. Il suo riposo rende quieto e pacifico ogni passo. Ovunque si ergono semplici lapidi e croci, molte senza nome e memoria del defunto. Sono incuriosito da quelle più vecchie pronte a cedere e a morire anche esse nella terra, le tombe senza lapide sono più belle ancora. Chi giace nel loro fondo è rimasto orfano per l’eternità.
Il paese è arrampicato sul fianco del monte nel punto più ripido. Dietro una curva scivolando nel fango e nella neve un gruppo di bimbi si getta a lato: le bimbe hanno già il capo coperto, negli occhi qualcosa di beffardo e di soave, un sorriso di vecchia cattiva e di bambina triste insieme. due dei più grandi imboccano una scorciatoia, vanno ad avvertire che arrivano gli stranieri .
Le case i fienili sono di pietre rozze e di fango, hanno preso il colore cupo e rugginoso delle rocce circostanti. Le bandiere del califfato non ci sono più alle finestre delle case: le hanno tolte i poliziotti. Restano sui balconi, neri con le scritte bianche, gli struscioni che proclamano la vera fede . Ci fermiamo vicino al ‘’mezdid’’, il luogo di preghiera: nella salafita Maoca non c’è il minareto. Nel negozio, una strana capanna in metallo dalla vernice scrostata, sono appesi poveri vestiti: lunghi mutandoni, jiallabie, niqab. Siamo arrivati prima di mezzogiorno, l’ora della preghiera: sfilano donne tutte in niqab nero, scivolando sulla neve su sandali di plastica dai colori vivaci. Si infilano nell’ingresso loro riservato. Gli uomini scendono dai sentieri innevati hanno lunghe barbe assire, scarponi, zimarre pesanti gettate sulle jallabie.
Il capo, ‘’l’emiro’’, si chiama Nesred Imamovic, è partito per la Siria mesi fa con le mogli e i figli. Ci hanno dato il nome di Merset Cekic come capo della comunità. Chiediamo di lui a un uomo che si affretta verso la preghiera; è guercio, il suo unico occhio si volta verso di noi con odio, sputa a terra: non c’è andatevene subito, qui nessuno vuol parlare con voi…’’’.
Un ragazzo controlla che non ci avviciniamo alle donne che entrano. Mersic spunta quando la preghiera è finita: è massiccio, la barba ondulata tinta con l’henné, un gigante degno di esser circondato da nuvole come un dio selvaggio. Ci caccia via, poi accetta di parlare, lì in mezzo alla neve: non è facile vivere qui. Veniamo da posti diversi della Bosnia, molti lavorano come muratori e operai a Brcko, qualcuno ha tentato anche di andare in Germania o in Austria ma al confine quando vedono che veniamo da Maoca ci cacciano indietro dicendo che siamo terroristi. Per le bandiere sono venuti i soldati, le facce coperte, hanno terrorizzato i bambini, ne abbiano duecento. Hanno sfondato le case a me hanno rubato tremila euro. Che dici straniero: non è terrorismo questo?’’ 
Gli chiedo del califfato, di mosul : Maometto ha detto che tutto il mondo apparterrà all’islam… quando la croce sarà spezzata. Questo è il segno, che il momento sta arrivando…’’.
Ma quella guerra santa uccide molti musulmani…’’Rispondi prima a me straniero: che cosa fanno gli americani, gli inglesi, voi infedeli ai musulmani in iraq in Afghanistan in siria? Quello è fascismo. I musulmani di Sarajevo e delle città sono eguali agli americani, sono falsi credenti. Sogno una Bosnia in cui a ogni angolo ci sia una moschea per pregare… Insite a portarmi a casa sua per mostrarmi i segni dell’aggressione poliziesca; uno dei figli impara a leggere sillabando i versetti del corano, da una porta precipitosamente spariscono veli neri. Mi mostra il verbale della perquisizione: c’è scritto che sono stati sequestrati una pistola, tre baionette e una spada… 

http://www.lastampa.it/2015/02/22/esteri/bosnia-nel-villaggio-sedotto-dallisis-tutto-il-mondo-apparterr-allislam-578TJN7WmKFaB7wt0hlJzL/premium.html
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Offline aquilafelyx

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Offline AlenBoksic

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Re:La sfida fondamentalista
« Risposta #39 : Giovedì 19 Marzo 2015, 08:29:17 »
C'era un bell'articolo di Molinari su LaStampa domenica

Fra i libanesi della Valle della Bekaa: “L’Isis è arrivato qui, combatteremo”

Una striscia di terra di 140 km sulla cima delle montagne libanesi che a Nord della Valle della Bekaa segnano il confine con la Siria: è qui che lo Stato Islamico (Isis) si è insediato, appropriandosi di un angolo remoto del Paese dei Cedri dove accumula miliziani, risorse e ostaggi in vista della battaglia di primavera con le truppe del governo sostenute dagli Hezbollah. 

È un’area strategica perché consente ai jihadisti di Isis e Jabat al-Nusra, alleati fra loro, di minacciare sette piccoli centri urbani a valle: Masna, Britel, Yunin, Nahle, Arsal, Ras Baalbeck e Al Qaa.

Fra i pochi che conoscono a menadito gli imprecisi confini dell’enclave del Califfato in Libano c’è Talal Iskandar, capo dell’unità della Croce Rossa Internazionale che opera a Ras Baalbeck soccorrendo i feriti in battaglia fra Isis e libanesi. «Abbiamo iniziato ad operare qui alla fine del 2012, la fase più cruenta è scattata nell’autunno scorso, abbiamo ricevuto finora circa 3000 combattenti feriti delle opposte parti - spiega Iskandar - e il ritmo continua a 60-70 la settimana, non passa giorno senza scontri lungo il fronte fra truppe e Isis». 

Il fronte 

Per arrivare all’area di combattimento bisogna lasciarsi alle spalle il piccolo appartamento della Cri a Ras Baalbeck, fare 800 metri, arrivare ad una stazione di benzina e girare a sinistra. Dopo 8 km si arriva alle due «zone sicure» dove la Cri raccoglie i feriti, libanesi e dell’Isis, e quindi al centro della cittadina sunnita che formalmente è ancora in mano ai governativi, pur esprimendo sostegno per l’Isis con scritte e bandiere. È quando si lascia il centro di Arsal in direzione delle montagne che si supera la frontiera invisibile con il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. «Sul lato di Isis vi sono piccoli villaggi isolati, accampamenti di profughi, un tribunale che amministra la giustizia sulla base della Sharia (la legge islamica, ndr) ed altri uffici dell’Isis» racconta Iskandar, citando le testimonianze raccolte da feriti e malati che ogni giorno gli chiedono di andarli a soccorrere nella zona militare chiusa dai soldati. Isis ha più volte fatto sapere di voler dichiarare la nascita di un «Emirato» nell’Arsal per sfidare Beirut. L’opinione dei comandi Hezbollah di Baalbeck è che «i terroristi mischiano le carte per prepararsi alla battaglia del disgelo». Ovvero, quando la neve che copre picchi e pendici si sarà dissolta arriverà il momento della resa dei conti. Isis si prepara facendo salire, dal lato siriano, grappoli di miliziani, accumulando scorte di viveri e munizioni per sostenere lo scontro, mentre gli Hezbollah, che considerano la Valle della Bekaa la loro culla, si preparano sul fronte opposto ad una «operazione pulizia» - come la chiama un ufficiale di 45 anni che chiede l’anonimato - per «annientare il nemico». Fra le carte che i jihadisti hanno ci sono i quasi 30 soldati libanesi ostaggio da agosto, quattro dei quali sono stati già decapitati. 

La promessa 

Uno di loro era Mohammed Hamie, 25 anni, figlio di Maruf, 47enne veterano sciita della guerra civile, che dalla sua casa di Baalbeck si auspica «una sanguinosa vendetta contro Isis». «Gli assassini di mio figlio sono dei barbari e il Libano deve reagire come ha fatto la Giordania dopo il pilota arso vivo - aggiunge il padre, seduto accanto agli altri tre figli e a un kalashnikov - colpendo Isis con potenza, impiccando i terroristi che abbiamo in carcere e usando i jet per distruggerli ad Arsal». Maruf è pronto a fare la sua parte: «So chi ha ucciso mio figlio, è stato l’Emiro di Isis nell’Arsal - assicura - si tratta di Mustafa Hujairi, detto Abu Taqie, ed è un morto che cammina, è lui ad aver ordinato la decapitazione e sarà lui che ucciderò, dopo avergli però ucciso il figlio per fargli provare, da vivo, ciò che ho provato io». È un desiderio di vendicarsi, combattere, che a pochi chilometri di distanza si ritrova a Britel dove Adel Islaim, 28 anni, meno di due mesi fa ha imbracciato il kalashnikov per difendere il villaggio dall’attacco di Isis. «Erano circa le 13, ho ricevuto un messaggio su Whatsapp sull’arrivo di Isis, ho preso il fucile e sono sceso in strada - ricorda - eravamo quattromila, tutti gli uomini del villaggio e gli siamo andati incontro». I miliziani del Califfato dalle vette colpivano con i mortai, sono scesi a valle e hanno ucciso otto Hezbollah prima di essere ricacciati indietro. Fra gli Hezbollah accorsi a dar manforte ai residenti c’era Mohammed al-Masri, 27 anni, di professione poliziotto. Sale sul tetto di una casa per mostrarci da dove è arrivato l’attacco: «Ci siamo difesi con kalashnikov, G3 e lanciarazzi Rpg ma sappiamo che tenteranno di tornare». 

La difesa 
Nel Nord della Bekaa è Hezbollah che coordina la difesa del fronte sulle montagne, davanti alle bandiere nere del Califfo, mentre a valle l’unica strada maestra che porta a Beirut è sorvegliata da soldati, polizia e intelligence libanesi. I posti di blocco sono decine. Nel villaggio cristiano di Ksara gli abitanti si sentono assediati: «Sono gli Hezbollah a proteggerci perché Isis vuole ucciderci tutti» dice Munir Dika, medico.

Gli attentati 
I militari cercano ovunque giovani, auto affittate o siriani barbuti. Danno la caccia alle autobombe che Isis, già in sei occasioni, è riuscito a far scendere da Arsal e arrivare nella capitale, facendole esplodere a Dahieh, il quartiere-roccaforte degli sciiti. Basta entrarvi, da uno dei due accessi rimasti aperti, per accorgersi che Hezbollah lo ha trasformato in un bunker dove vivono almeno 500 mila anime. Il perimetro esterno è segnato da cavalli di frisia di metallo pesante, gli accessi chiusi sono bloccati da massi di cemento e dentro Dahieh le strade commerciali hanno alle estremità delle grandi sbarre di ferro che possono essere chiuse in ogni momento per bloccare la corsa di un’auto-bomba. L’ospedale «Al Rasul Al Azzam», dove Hezbollah ricovera i combattenti feriti in Libano, è circondato da torrette e filo spinato. 

Gli infiltrati 

Pattuglie notturne sciite sorvegliano il perimetro esterno dei vicini campi palestinesi di Sabra e Chatila per evitare che fuoriescano sunniti jihadisti. C’è il sospetto che gruppi islamici abbiano nei campi delle cellule alleate di Isis. I miliziani sciiti in pantofole e kalashnikov davanti alla casa dello sceicco Hassan Nasrallah, al centro-reclute, al punto di partenza dei pullman per il fronte in Siria e alle sedi di Hezbollah completano un quadro da assedio permanente, adornato su pareti, lampioni e finestre dai poster delle foto dei caduti «eroi», dai «martiri» morti in Siria fino a Imad e Jihad Mughniyeh, padre e figlio protagonisti della guerra senza quartiere contro Israele, eliminati entrambi dallo Stato Ebraico, e raffigurati assieme, mentre camminano verso il paradiso. «Ma il conflitto contro Isis è diverso da quelli che finora abbiamo combattuto» osserva Hamza Akl Hamieh, l’ex collaboratore dell’ayatollah iraniano Khomeini nell’esilio di Parigi divenuto capo militare di Amal in Libano e meglio noto in Europa per aver messo a segno una raffica di dirottamenti aerei dal 1979 al 1982. «Dobbiamo difendere il Libano da una tribù di assassini che si richiama ai sanguinari califfi Abbasidi, sarà dura ma perderanno». Sul molo costellato di yacht del porto Zaitunay Bay, in un elegante ristorante davanti a cernia al sale e triglie fritte, è uno degli imprenditori diventati ricchi grazie a Hezbollah a leggere nel duello con Isis «un momento di svolta per il Medio Oriente» perché «sono i nostri miliziani sciiti, libanesi, iracheni, afghani a dominare sui campi di battaglia, da Aleppo a Mosul, e ciò significa che la storia corre verso l’Iran a scapito del blocco di Paesi sunniti, a cominciare dall’Arabia Saudita, che finanzia il Califfo sperando di fermarci, e dalla Turchia che vuole ricostruire l’Impero Ottomano». 

Da qui i preparativi in corso per riconquistare il lembo di territorio nelle mani di Isis sui monti della Bekaa: il tam tam di Dahieh suggerisce che sarebbero centinaia i soldati Hezbollah già addestrati per lanciare l’assalto, tanto dal lato libanese che siriano del confine, e l’ordine che hanno avuto è di «non prendere prigionieri». Fra i veterani della battaglia di Qusayr c’è chi si aspetta scontri aspri: «Quelli di Isis sono avversari disumani, vanno incontro alle pallottole senza mostrare alcun timore».

http://www.lastampa.it/2015/03/15/esteri/fra-i-libanesi-della-valle-della-bekaa-lisis-arrivato-qui-combatteremo-VVltbRnEUys87uaWrgmxUK/pagina.html

Ho sottolineato le parti che mi paiono più interessanti per capire quanto succede in realtà, a dispetto delle semplificazioni allucinanti che vengono fatte sui media.
Voglio 11 Scaloni