[...]davvero tanta gente, tra le decine di migliaia di parigini e
di francesi che in questi giorni hanno affollato le vie e le piazze manifestando la loro opposizione a
terrorismo e il loro orgoglio di liberi cittadini che non si piegano dinanzi alla minaccia armata, non ha
pensato nemmeno per un attimo che Parigi ha vissuto in tre giorni forse meno di un millesimo
dell’ansia, della paura, del dolore che a Gaza, a Baghdad, a Kabul e in migliaia di città e di paesi
sparsi tra Asia e Africa musulmani, ebrei e cristiani soffrono ogni giorno? [...]
Non si erano forse accorti, i francesi, di essere in guerra già dal 2011, quando il presidente Hollande
ha appoggiato con decisione le milizie jihadiste in Libia contro Gheddafi e in Siria contro Assad (e ciò,
specie nel secondo caso, in diretto contrasto con le indicazioni delle stesse Chiesa cristiane locali)?
Anche a Tripoli, a Damasco, ad Aleppo, ci sono stati dei morti: molti più di quelli parigini di qualche
giorno fa. Oggi alcune indiscrezioni rivelano che le costose armi automatiche usate dai fratelli Chaouki
per lo sterminio dei redattori di “Charlie Hebdo” possono essere finite nelle loro mani in quanto parte
delle dotazioni a suo tempo passate dal governo francese ai jihadisti antigheddafiani e antiassadisti. Ai
jihadisti tra i quali militano anche alcuni ragazzi europei, magari convertiti all’Islam, che nello jihadismo
hanno trovato, in forma distorta, un surrogato a quella cultura politica e religiosa che da noi ormai non
s’imparte più. Ma davvero abbiamo la memoria tanto corta? Davvero ignoriamo che fino dagli Anni
Settanta sono stati gli statunitensi che in Afghanistan, in funzione antisovietica, si sono serviti dei
“guerrieri-missionari” fondamentalisti provenienti dall’Arabia Saudita e dallo Yemen preferendoli ai
severi e rigorosi combattenti del comandante Massud, portatori di un Islam fiero e intransigente ma
anche tollerante? Davvero ignoriamo che la malapianta del fondamentalismo l’abbiamo innaffiata e
coltivata per anni noi occidentali, prima che verso la metà degli Anni Novanta i rapporti si
guastassero? Sul serio non sappiamo nulla del fatto che ancor oggi lo jihadismo – quello di al-Qaeda
e quello, rivale e concorrente, dello Islamic State del califfo al-Baghdadi – è sostenuto e aiutato, e
neppure in modo troppo nascosto, da alcuni emirati della penisola arabica che pur sono tra i nostri più
sicuri “alleati” nonché – e soprattutto – partners finanziari e commerciali. E’ vero che, com’è stato
detto, pecunia non olet: eppure almeno il petrolio dovrebbe farlo.
Ma di tutto ciò, per ora, qui a Parigi nessuno fa ancora parola. Per la verità qualche critica
comincia a far capolino, tra un blog e l’altro, fra un tweet e l’altro. Ma la Vulgata trionfa: bella
semplice, pulita. E maniacale, repellente nel suo manicheismo che si spera sia almeno in malafede,
perché altrimenti sarebbe troppo idiota. La Vulgata dell’Occidente patria della libertà e della tolleranza,
e dell’Altro, il Nemico, come orribile, mostruoso, disumano e quindi inumano e antiumano, fanatico e
quindi privo di qualunque ragione, incomprensibile e quindi ingiustificabile perché indegno di quella
forma di comprensione che non è sinonimo di giustificazione (come si può giustificare un assassinio?)
bensì esercizio della critica, della capacità di penetrare i meccanismi intimi di qualcosa che pur si
disapprova con orrore. Noi occidentali ci siamo sbrigativamente assolti da ogni errore e da qualunque
crimine: al massimo, siamo disposti a rovesciarli sul nazismo (che però è un passo indietro verso il
“buio medioevo”) o sullo stalinismo (che però è un tuffo nella “sanguinosa utopìa”). Al massimo, con
uno sforzo, ammettiamo le violenze dei conquistadores. Sul resto, notte e nebbia: su secoli di rapina
di schiavismo, di sistematica razzìa di materie prime e di forza-lavoro, su cumuli d’infamie che
abbiamo tuttavia coperto con la coltre benevola dei Diritti dell’Uomo e di una libertà-fratellanzauguaglianza
che al massimo cominciava da noi e finiva con noi. Anche i “lavoratori di tutto il mondo”
che Marx ed Engels esortavano a unirsi, in fondo erano quelli compresi nel triangolo tra Parigi, Berlino
e Londra: ne erano esclusi non diciamo i fellahin egiziani e i pastori afghani, ma perfino gli zappator
campani e i vignaioli greci.
Ecco perché rispetto profondamente il sacrificio dei redattori e dei disegnatori di “Charlie Hebdo"
e mi sento solidale e commosso partecipe del dolore delle loro famiglie: eppure, pur
sentendoli senza dubbio parte di quella cultura europea-occidentale che è anche la mia, non mi
riconosco nella loro visione del mondo e rivendico il mio diritto a dichiararlo con identità. Essi erano, e
i loro colleghi e sodali continuano ad esserlo, fautori di una libertà individuale illimitata, insofferente di
limiti e di regole: non a caso il sottotitolo di “Charlie Hebdo” suona “Journal irrésponsable”. La loro
libertà non era nemmeno tanto quella di Voltaire e di Rousseau, quanto semmai quella del marchese
DeSade. La loro era la libertà di chi, arbitrariamente appiattendo le fede religiosa a una forma di
filosofia di ideologia, rivendicava il diritto di non temere conto di nulla che da milioni di altri esseri
umani veniva giudicato sacrosanto e di poter caricaturizzare indiscriminatamente Maria Vergine o il
profeta Muhammad al pari di Marx o di Obama.
Contro la loro libertà ispirata a De Sade, io rivendico la mia libertà ispirata a san Tommaso
d’Aquino: una libertà responsabile, che termina dove comincia quella altrui e che è in grado di
distinguere tra “libertà di”, “libertà da” e “libertà per”. Una libertà che non pensa orgogliosamente di
potersi riallacciare a valori unilateralmente dichiarati “universali” ma che, memore dell’insegnamento di
Claude Lévi-Strauss, tiene presente che è non meno “universale” e degno pertanto di rispetto
qualunque altro valore sostenuto alla luce di culture diverse dalla nostra: diverse, non “inferiori”. Una
libertà che non si esercita calpestando quella altrui. La Francia, che amo, si erge oggi nel suo dolore a
paladina della Libertà con la maiuscola: eppure, anche recentissimamente, il suo parlamento ha
adottato leggi liberticide come quella che proibisce alle donne musulmane l’uso pubblico del velo
(anche a quelle che vogliono portarlo) e quella che rispolvera il vieto reato d’opinione punendo
indiscriminatamente “revisionismo” e “negazionismo” senza neppur darsi la pena di definirli con
chiarezza giuridica. Non solo il sogno della ragione, ma anche l’illusione della sua veglia, può creare
dei mostri.
[...]
Non è ad ogni buon conto solo la morte dei poliziotti, che sono caduti nell’adempimento del
loro dovere e meritano ogni onore, e nemmeno quella delle povere innocenti vite stroncate dei clienti
ebrei del supermercato kasher a commuovermi e ad addolorarmi. Piango sinceramente la scomparsa
dell’équipe di “Cahrlie Hebdo” e penso con grande mestizia al dolore di tante famiglie così duramente
colpite. Ma non sono disposto per questo a rinunziare alla mia dignità e a una cultura, la mia, che è
radicalmente lontana dalla loro; e il lutto, che va condiviso, non può comunque avvicinarla ad essa.
Non: désolé, mais je ne suis pas Charlie.
http://www.francocardini.net/minimacardiniana/2015/MC%2058,%2011.1.2015.pdf