IL RICORDO DI UBER GRADELLA (dal sito ufficiale della Lazio)
Sarà sempre ricordato con le parole del Poeta, come colui che “fece il gran rifiuto”, ma non “per viltade”, come Papa Celestino che rinunciò al trono di Pietro, ma “per amore”. Per amore della Lazio, i cui colori del cielo lo avevano incantato, lui che era venuto da Mantova e che si chiamava Uber… Uber Gradella.
Era nato nel 1921 ed era arrivato a Roma a 19 anni dopo un paio di anni di esperienza in Serie B. Si rivelò subito portiere affidabile proprio nella squadra in cui giocava Silvio Piola, il capocannoniere della Serie A di tutti i tempi (290 gol), che aveva portato con i suoi gol decisivi l’Italia a vincere il suo secondo titolo mondiale. Nella Lazio Gradella aveva preso la maglia che era stata di due grandi portieri, Ezio Sclavi (che smise giovane di giocare per dedicarsi alla pittura e diventare uno dei più importanti esponenti della leggendaria “scuola romana”, quella di Mafai e di Scipione) e Blason. Gradella vinse subito la concorrenza di una altro giovane portiere, che faceva parte della famiglia dei Giubilo, una dinastia di giornalisti.
C’era stata la guerra, Piola era tornato al Nord per giocare in squadre gestite da società che producevano per la guerra, come il Torino e la Juventus, il campionato era stato praticamente interrotto per i bombardamenti ma anche perché tanti giocatori meno prestigiosi e fortunati erano stati chiamati alle armi, al fronte, ma dopo la fine del sanguinoso e rovinoso conflitto Uber Gradella tornò a difendere i pali della Lazio e lo fece con grande classe e determinazione, usando stile, tecnica e coraggio. Ecco fu proprio il coraggio, nel 1949 che lo portò a un infortunio grave, al ginocchio, che a quell’epoca era tabù per tutti i calciatori. Ma Uber, dopo una serie di interventi chirurgici, ritornò in forma e pronto a riprendersi la maglia numero uno.
Ma trovò, se si può dire, la porta occupata, perché nel frattempo, la società, a quell’epoca presieduta da Remo Zenobi, convinta che Gradella non si sarebbe più ripreso, aveva comprato dalla Juventus il più grande portiere di quegli anni: Lucidio Sentimenti, detto Cochi, che veniva numerato, alla maniera dell’epoca, come il quarto della famiglia. A Gradella la società concesse la lista gratuita, lo lasciava libero di accasarsi con qualsiasi squadra. L’Inter si era fatta avanti, disposta ad assegnargli la maglia di portiere. Ma Uber si rifiutò, smise di giocare a soli 28 anni, nel pieno della maturità quando ancora avrebbe potuto dare tanto, e per tanti anni, al calcio italiano. “Non mi sarei potuto vedere con una maglia che non fosse quella della Lazio” dichiarò, manifestando il suo smisurato amore. Rimase a Roma, dove aprì un negozio di articoli sportivi che per 50 anni fu il luogo dove questo signore del calcio continuò a parlare e a raccontare della sua Lazio. Lo abbiamo visto, l’ultima volta, a 90 anni suonati, allo stadio Olimpico dove si festeggiavano i 100 anni dalla nascita di Silvio Piola. Il popolo laziale gli indirizzò l’ultimo grande applauso.