(Il Fatto Quotidiano 25.02.2011)
CHAMPIONS DA INCUBOORA SONO IN MUTANDETre partite in casa, altrettante sconfitte Il rischio? Diventare le squadre cuscinetto d’Europa(di Luca Cardinalini)
A sorprendere è il giudizio di Moratti. No, non quello personale (“Ci sono rimasto male”), ma quello più “argomentato”, da tecnico specializzato del settore: “La verità è che Inter, Milan e Roma sono capitate contro avversarie forti”. Questa, a suo dire, la spiegazione e la “verità” della disfatta. Essendo gli ottavi di Champions League e dovendo pescare solo tra 13 formazioni del continente, bè, qualche rischio di incontrare un club “forte”, magari un po’ più del Copenaghen, effettivamente c’era.
E se è pur vero che tre sconfitte – interne – su altrettante partite, è un evento che ha le stimmate dell’irripetibilità, qualche morale si può però pur sempre ricavare.
NEI COMMENTI e le analisi post partita, non si è abbondato con i toni lugubri e forse a ragione. Milan, Inter e probabilmente anche la Roma del nuovo corso Montella, sono capaci di imprese nelle gare di ritorno, avendo uomini ed esperienza sufficienti. Con un grammo di buona sorte, qualcuna può ribaltare risultato e pronostico.
Guardandoci un po’ intorno, a parziale consolazione, risaltano le difficoltà anche della Spagna campione del mondo, che chiude questo turno di andata con un magrissimo bilancio: due pareggi e una sconfitta. Significa che non solo il Valencia ma anche i due club più ricchi del mondo, Real Madrid e Barcellona, dovranno impegnarsi a fondo nelle gare di ritorno per evitare un disastro.
Hanno qualcosa in comune, questi due campionati? Intanto sono quelli – in percentuale – con meno stranieri. L’incidenza è al 48% da noi e addirittura al 38% in Spagna, poco meno quindi rispetto alla Germania (49%) e molto lontani dall’Inghilterra (64%), dove straniero ovviamente non coincide con qualità tecnica eccellente.
GLI INGLESI hanno rischiato il bingo, con tre vittorie (Chelsea, Tottenham e Arsenal) e un pareggio in trasferta (Manchester). È possibile una lettura complessiva. Risolto sembra in maniera definitiva il problema hoolingas, la Premier è il quarto torneo al mondo – considerando tutti gli sport – per media di spettatori: più di 35 mila a partita. Al di là dell’aspetto sociale, questo è un indice sensibile di organizzazione societaria, continuità e stabilità tecnica. I casi di sir Alex Ferguson, sulla panchina del Manchester da 25 anni, e quella di Arsene Wenger, da 15 su quella dell’Arsenal, e con contratti ancora di là da finire, la dice lunga sulla capacità di pianificazione e di gestione dei club che piace poco alle nostre latitudini. Allo stesso modo va letto il progresso del calcio tedesco, al di là della vittoria-rivincita, assolutamente non rubata anche se arrivata allo scadere e dopo aver rischiato molto in alcune circostanze, del Bayern al Meazza, e del pareggio ottenuto in trasferta dello Schalke. Dietro di loro c’è un movimento in grande crescita, sotto diversi punti di vista. Ha gli stadi più frequentati d’Europa, con i biglietti meno cari, il fair play finanziario è una cosa seria e praticata, con società che possono investire tutte sui giovani e che non dipendono dalla distribuzione dei diritti televisivi. Paragonato al nostro campionato, un altro mondo.
Ma c’è un altro elemento, non affatto soggettivo, per provare a spiegare una disfatta – sia pure parziale – di dimensioni sconosciute. Sul piano del gioco, prima ancora dei risultati, il passo indietro del calcio italiano, è stato evidente. Tranne l’Inter, a sprazzi durante i 90 minuti, la qualità del gioco è stato nettamente inferiore di quello delle avversarie. La versione di Moratti, a ben vedere, è vera anche se letta al contrario: si sono dimostrate troppo deboli le nostre.
È successo che il mercoledì, e il martedì, hanno replicato pari pari ciò che si vede la domenica, mostrando che la qualità complessiva del gioco che si vede nel campionato italiano, è inferiore a quella degli altri campionati. Shakhtar Donetsk, Tottenham e Bayern hanno semplicemente giocato meglio di Roma, Milan e Inter, perché, nei rispettivi campionati, si gioca meglio.
NON SERVONO patentini da allenatori o conoscenze tecniche particolari, è una cosa ovvia e alla portata di sguardo di chiunque si sintonizzi, nel fine settimana, in una partita di questi campionati. Non sembra nemmeno essere un problema di interpreti, visto che da noi non mancano campioni, ma di spartito: le nostre avversarie non hanno mai rinunciato a creare gioco, ad attaccare, senza alcun timore riverenziale, anzi facendo sembrare timorose e rinunciatarie le nostre (cosiddette) grandi. E il rischio che a marzo non ce ne sia più nessuna in gara, e che Moratti ci rimanga ancora più male, è molto alto.