Qualcuno è mai stato in Iran? Come è? A me hanno dato solo impressioni molto positive..
Eccomi, dieci giorni fra aprile e maggio di quest'anno: Shiraz, Isfahan, Teheran - quest'ultima di sfuggita - più i siti archeologici, fra cui quelli delle antiche capitali, le tombe rupestri di Naqsh-e Rustam e quella di Ciro.
Paese splendido a dir poco, con paesaggi mozzafiato; contrasti violenti, soprattutto fra zone brulle e rigogliose di vegetazione; pianure ai piedi dei monti, ma situate fra i 1500 e i 2000 metri.
Non per niente si chiama Altopiano iranico, e posso assicurare che dal vivo restituisce un'impressione difficile da riprodurre a distanza: soprattutto per chi è abituato alla diversa conformazione delle nostre montagne, con paesini incastonati in spazi angusti e aree pianeggianti molto ridotte.
La perla è senza dubbio Isfahan, capitale fino a due secoli e mezzo fa, con la sua enorme piazza, il bazar a farle da perimetro e uno stile un po' ripetitivo - simile a quello tipico di Samarcanda e dell'India Moghul, dove è giunto su influenza persiana -, ma reso maestoso da una scala di grandezza per noi insolita.
Città forse fra le più belle del pianeta, ha già incontrato il gradimento e la presenza in massa dei turisti italiani.
Primavere arabe e rivolgimenti vari hanno reso impraticabili gran parte degli Stati sud-medirerranei e levantini, lasciando i soli Marocco e Giordania come alternative all'Iran: il quale, forte del ruolo di novità e di un indubbio fascino, ha subito riscosso un meritato successo.
Qualcosina da rivedere nella gestione di un simile flusso, arrivato fra capo e collo dopo decenni di isolamento, ma la strada sembra essere quella giusta.
Gli iraniani non somigliano, neppure da lontano, alle tonnellate di letame gettate su di loro dalla propaganda dei media "liberi": ospitali e cordiali, anche nelle piccole gentilezze che aiutano il viaggiatore a districarsi in una realtà poco conosciuta, e quasi tutti in possesso di un inglese basic.
Straordinaria la loro curiosità nei confronti di tutto ciò che è straniero.
In questo si legge l'impossibilità o quasi di viaggiare: dettata non da limitazioni legali ma dalla debolezza della loro valuta che, con un cambio di 45.000 rial per un euro, rende proibitive le trasferte all'estero.
Non meno spiccate la simpatia e la predisposizione nei confronti dei nostri connazionali.
Tanti i motivi di un atteggiamento così positivo.
L'affinità fra due Paesi antichi, così sentita da far capolino persino nei rapporti diplomatici.
L'attrattiva esercitata dal brand Italia un po' ovunque: eccettuata un'esigua minoranza di Paesi atlantici nei quali vige lo stereotipo dell'italiano mafioso, e che tuttora ci ostiniamo a scambiare per il mondo intero.
La politica distensiva tenuta dal nostro Paese dopo la Rivoluzione, la legge Damato e tutto il resto, e che ci ha guadagnato una posizione di primo piano fra i loro partner commerciali.
Colpisce, però, la diffusa consapevolezza di tali dinamiche, a conferma di una preparazione un tantino superiore alla nostra in materia di politica estera.
E colpisce, in maniera dolorosa, questo spaccato di ciò che potremmo essere, se ci comportassimo da Stato sovrano e non da emorroide del culturicidio globale a stelle e strisce.
E le donne velate dalla testa ai piedi, cui non è consentito rivolgere la parola agli uomini ecc.?
In teoria esistono, perché la legislazione vigente proibisce un po' tutto.
Nei fatti, però, tali divieti vengono relativizzati da una serie di fattori.
Intanto la tendenza a interpretare le regole: che, da un lato, apre spazi di buonsenso e tolleranza; dall'altra è sintomo di una disorganizzazione che non pochi considerano come ulteriore limitazione della libertà personale, rendendo difficile comprendere cosa sia proibito e consentito.
Pesa, poi, un particolare approccio psicologico: il potere religioso sembra terrorizzato non tanto dalle violazioni alla morale islamica, quanto dal fatto che esse possano avvenire al di fuori del suo controllo.
Si gioca, così, una singolare partita a scacchi - gioco nato da quelle parti, non a caso - nella quale il cittadino tenta di prendersi qualche licenza, ma lasciando sempre al controllore la sensazione di essere stato lui a concedergliela.
Più di tutto incide la poderosa crescita demografica di un Paese giovanissimo - l'80% e passa della popolazione ha meno di vent'anni -, pieno di vita e di energie, che scoppia letteralmente nei panni di un tradizionalismo troppo rigido e di una Rivoluzione della quale ben pochi, per le citate ragioni anagrafiche, conservano ricordi personali.
Attenzione, comunque: questo non significa che a Teheran si sia alla vigilia di un '68.
L'iraniano medio conserva una fortissima curiosità per il moderno, ma un contemporaneo e altrettanto impellente richiamo verso la tradizione: concetto che implica sì l'Islam, ma non solo quello.
Non meno spiccato è il senso profondo della propria identità, frutto di venticinque secoli di tradizione statuale mai sfregiata dallo status di colonia.
I Persiani nutrono un grande interesse per l'Europa e l'Occidente, e vogliono con determinazione il cambiamento per un Paese più aperto al mondo.
Il tutto, però, nel rispetto del loro peculiare modo di essere, senza ridurre il tutto alla mera imposizione di elementi politico-culturali allogeni.
Vogliono cambiare, insomma: ma a modo loro e rimanendo sovrani.
Ed è questo che il pensiero unico occidentale non è disposto a perdonare, al punto da farne il nemico numero uno: perché proprio da un'impostazione del genere viene l'attacco più corrosivo al concetto di esportazione della democrazia.
Come si diceva, un simile andazzo mal si accorda con le idee dei non più giovani ayatollah.
Da cui la loro politica cerchiobottista, in omaggio alla quale chiudono sempre più spesso un occhio su questioni formali o secondarie per non perdere completamente il consenso e il controllo.
Prendiamo l'abbigliamento femminile: trucco, capelli tinti o addirittura in vista, jeans attillati, sandali senza calze in teoria non sarebbero neppure concepibili.
Nei fatti sbucano sotto veli sempre più colorati e striminziti, insieme alla femminilità e al piacere di rendersi attraenti di ragazze mediamente belle, spigliate, mai volgari.
Chi scrive ha avuto modo di osservare zone culturalmente conservatrici del formalmente laicissimo stato kemalista: lì, nell'atteggiamento assai più ritroso delle poche donne in giro per i paesi, si coglie una tradizione islamica molto marcata e condivisa dal basso.
Di tutto ciò non vi è traccia in Iran: dove anche le più anziane e intabarrate affollano tranquillamente strade e mercati.
Curioso lo statuto assunto dal celeberrimo velo, che si sta trasformando effettivamente in una difesa per le donne, ma non nell'accezione teorizzata dal più odioso bigottismo.
Molte, ormai, lo vivono come una concessione, un vuoto omaggio formale: al riparo del quale conquistano silenziosamente, giorno dopo giorno, consapevolezza e posizioni.
Il fatto che, ad esempio, costituiscano il 60% della popolazione universitaria dovrebbe indurre chi parla dell'Iran come di uno Stato talebano in seconda a qualche seria riflessione: magari previo ritiro spirituale nel deserto del Kalahari.
L'impressione complessiva è quella di una realtà viva e pulsante, che si dibatte fra vette di efficienza (pulizia delle strade e manutenzione urbana, persino nel brulicante bazar, sono a livelli svizzero-tedeschi) e problemi strutturali irrisolti (non ultime le poco rassicuranti prospettive per l'approvvigionamento idrico).
Di uno Stato e una società che a modo loro funzionano: forse perché, dopo la Rivoluzione, esistono davvero uno Stato e una società.
A chi rimpiange quella specie di De Sica sfigato, giova ricordare in quali condizioni languisse il Paese sotto la dittatura militare del burattino insediato dagli anglo-americani: 70% di analfabeti e mortalità altissima.
Con punte di attività culturale e di dolce vita attualmente ineguagliate, d'accordo, ma che galleggiavano su un sottosviluppo esteso alla quasi totalità della popolazione.
Il regime khomeinista ha peccato per errori, brutalità, bigottismi superflui, scelta della classe dirigente in alcuni settori fra cui l'economia: "aiutato" anche dal conflitto con l'Iraq, di cui non fu propriamente l'iniziatore.
Al suo attivo rimane, però, la diffusione di servizi fondamentali, a partire da scuola e sanità: il che spiega l'eccellente livello culturale e il boom demografico, esploso quando gli Iraniani hanno smesso di morire per le malattie e le omissioni terapeutiche più banali.
Da un quasi Centrafrica di Bokassa a una realtà statuale non incompatibile coi parametri europei (quelli della civiltà e dello Stato sociale, non quelli dell'UE), con annesso il recupero di una reale sovranità: pur con tutti gli aspetti perfettibili, c'è chi negli ultimi trentacinque anni è stato governato assai peggio.