Autore Topic: La grande storia dei mondiali: Cile 1962  (Letto 674 volte)

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Giglic

La grande storia dei mondiali: Cile 1962
« : Giovedì 13 Marzo 2014, 08:48:09 »
La scelta della sede destinata ad ospitare i mondiali del 1962 fu presa a Lisbona 6 anni prima, nell’Agosto del ’56. Le candidate erano tre: Cile, Argentina e Germania Ovest, ma quest’ultima fu convinta dalla FIFA a rinunciare quasi subito, in quanto tre edizioni consecutive in Europa non erano possibili. Rimanevano quindi l’Argentina (il promotore della candidatura, Raul Colombo, disse: “Il vantaggio che abbiamo è che saremmo disposti ad ospitare il mondiale già domani”; in effetti le infrastrutture calcistiche della nazione erano già molto evolute) ed il Cile. Il responsabile della candidatura di quest’ultima, Carlos Dittborn, all’epoca presidente CONMEBOL, riuscì però a fare un’intensa attività di lobbying, puntata tutto sul fatto che la FIFA aveva come scopo la diffusione del calcio nelle zone non ancora evolute, piuttosto che la celebrazione del medesimo nelle zone dove era già popolare. Il suo slogan fu “Poiché non abbiamo nulla, costruiremo tutto” (Porque nada tenemos, lo haremos todo). Ed alla fine ce la fece: Il Cile vinse per 32 voti contro 11.

Si iscrissero alle qualificazioni 56 nazioni delle 93 affiliate alla FIFA. Stabilito sempre in 16 il numero delle partecipanti alla fase finale del Campionato, la ripartizione tra continenti fu decisa nella seguente maniera: la CONMEBOL (associazione del Sudamerica)avrebbe avuto, oltre al Cile, nazione ospitante ed al Brasile, campione uscente, altri tre posti più un eventuale quarto derivante da un sorteggio interfederazioni con Nord e Centro America. Quest’ultima federazione avrebbe avuto solo questo eventuale posto a disposizione; l’UEFA avrebbe avuto diritto ad 8 posti più eventualmente altri due da uno spareggio interfederazione con Asia ed Africa, che avrebbero avuto solo questo spareggio a disposizione. Formula che prediligeva le Federazioni “storiche” (UEFA e CONMEBOL), che infatti portarono 15 squadre su 16 (unica eccezione: il Messico).

Ma andiamo con ordine: le tre qualificate dirette del Sudamerica furono l’Argentina sull’Ecuador, l’Uruguay (che tornava ai mondiali dopo la mancata qualificazione del 1958) sulla Bolivia e la Colombia (esordiente in una fase finale dei mondiali) sul Perù. Le Antille Olandesi sarebbero andate (a spese del Suriname) al girone interfederazione. A tele girone parteciparono le vincenti dei due gironi Nord e centro americani: il Messico (Su USA e Canada) ed il Costa Rica (su Guatemala ed Honduras, quest’ultimo uscito perdente dallo spareggio). Questo girone, combattutissimo, vide il Messico prevalere per un solo punto sul Costa Rica, che aveva clamorosamente perso 2-0 con le deboli Antille Olandesi (all’andata finì 6-0 per i Costaricensi).

L’UEFA aveva, come detto 10 gironi. Nei primi otto, quelli in cui si passava direttamente, ci furono due grosse sorprese: passò la Svizzera sul Belgio e, clamorosamente, la Svezia vice campione. In uno spareggio a Berlino Ovest i rossocrociati sconfissero gli scandinavi, privi ormai dei loro assi, per 2 a 1. Poi si qualificò la Bulgaria sulla Finlandia e sulla Francia, terza al mondiale svedese. Anche qui, in una partita di spareggio a Milano i bulgari ebbero la meglio per 1-0 sui transalpini privi degli assi Kopa e Fontaine, ormai agli sgoccioli della loro carriera.

Nessun problema per la Germania Ovest su Grecia e Irlanda del Nord, per l’Ungheria su Olanda e Germania Est (che non poté giocare in casa degli “orange”, in quanto i tedeschi orientali non erano autorizzati ad  entrare i quel paese: fortunatamente la partita non fu decisiva per le sorti del gironcino), l’URSS su Turchia e Norvegia, la Cecoslovacchia su EIRE e Scozia (su quest’ultima dopo uno spareggio a Bruxelles, terminato 4-2 dopo i supplementari: strano come una qualificazione al limite porti poi la Nazionale cecoslovacca addirittura alla finale, come vedremo), l’Italia (che come l’Uruguay ritornava ai mondiali dopo la mancata partecipazione del 1958) in un girone “strano” con semifinali e finali con Romania, Israele ed Etiopia (affiliata all’UEFA, in quel periodo) e l’Inghilterra sul Portogallo ed il Lussemburgo. In questo girone ci fu la prima vittoria del Lussemburgo nella competizione mondiale: un 4-2 al Portogallo, che schierava la “pantera nera” Eusebio, che avrebbe solo pochi mesi dopo fatto vincere al Benfica la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Il Benfica era allenato da quel Bela Guttmann “creatore” del 4-2-4 brasiliano e che, andandosene dalla squadra portoghese in maniera burrascosa, profetizzò che il Benfica non avrebbe vinto più nulla in Europa per 100 anni. Profezia che si sta avverando, dopo 52 anni.

Negli altri due gironi, La Spagna batté il Galles per andare allo spareggio con la squadra Africana, e la Jugoslavia la Polonia, andando alla spareggio con la squadra Asiatica.
In Africa ad incontrare la Spagna (ed a perdere) fu il Marocco su Tunisia Ghana e Nigeria, mentre in Asia la Corea del Sud ebbe la meglio sul Giappone per poi perdere nettamente (5-1 e 3-1 a Seoul) con la Jugoslavia. Da notare, in Europa, l’assenza (clamorosa, vista la sua storia) dell’Austria e la grande rappresentazione del calcio dell’est europeo: ben 5 nazionali. Del resto, il primo Campionato Europeo giocatosi nel 1960 aveva indicato proprio URSS (vincente) e Jugoslavia (finalista, oltre che oro al torneo olimpico di Roma 1960) come squadre di punta.

Formula di qualificazione che sarebbe stata rapidamente abbandonata: la rappresentanza “mondiale”, in questo caso, non era infatti stata garantita: solo il Messico era infatti esterno all’asse UEFA/CONMEBOL.

Ma prima ancora che cominciassero le qualificazioni, ci fu il rischio di non giocarlo proprio, il Campionato. Un enorme terremoto, il più grande mai registrato dai sismografi nella storia, ed il conseguente tsunami devastarono il Cile nell’aprile del 1960, causando migliaia di morti e la distruzione di intere località. Dittborn era disperato: riuscì a farsi prestare dalla FIFA del denaro, e riuscì a trovare sponsor importanti (tra cui l’azienda statunitense di produzione del rame, che mise a disposizione il suo stadio), ciò nonostante solo 4 stadi si potevano usare per i mondiali, degli 8 programmati: Santiago, Viña del Mar, Rancagua ed Arica. Gli altri, incluso quello di Valdivia, epicentro del terremoto, non poterono essere ricostruiti in tempo per la manifestazione. La frase di Dittborn, “Poiché non abbiamo nulla, costruiremo tutto”, divenne oltre che simbolo dell’assegnazione del Mondiale, anche il motto per la ricostruzione della nazione. Popolo orgoglioso, quello cileno, di certo non disponibile ad accettare offese: se ne accorse, come vedremo, a sue spese l’Italia.

Il formato ricalcava quello svedese del 1958 (con i gironi chiamati, chissà perché, “gruppi”) con un’importante variazione: per dirimere il passaggio alla fase ad eliminazione diretta, non si sarebbe più effettuato uno spareggio, ma avrebbe contato il “quoziente reti” (ossia il rapporto tra gol fatti e gol subiti, da non confondere con la “differenza reti”, che sarebbe venuta dopo). Per la fase ad eliminazione diretta, non essendo ancora previsti i rigori, si sarebbe proceduto al sorteggio in caso di parità dopo i tempi supplementari. Tali variazioni erano figlie dell’esperienza: quattro anni prima, infatti, le partite di spareggio penalizzarono troppo le nazionali, arrivate poi stanche (ed infatti tutte sconfitte) ai quarti di finale.

Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Cile 1962
« Risposta #1 : Giovedì 13 Marzo 2014, 08:49:53 »
Il sorteggio si tenne a Santiago nel gennaio del 1962: furono stabilite 4 “fasce” (Sudamerica, Europa 1, Europa 2 e “squadre materasso”) e 4 teste di serie, però asimmetriche rispetto alle fasce medesime: Brasile Uruguay, Italia ed Inghilterra. Oltre a trascurare la Germania Ovest, tale arzigogolata formula privilegiava ovviamente le sudamericane, che non si sarebbero incontrate tra di loro, mentre per le Europee ci sarebbe stato il rischio di scontri titanici: cosa che poi avvenne visto che nello stesso girone capitarono Italia e Germania Ovest (primo di una lunga serie di incontri ai mondiali, cinque, come gli azzurri hanno fino adesso avuto anche con Brasile ed Argentina) e soprattutto URSS e Jugoslavia, le due finaliste del torneo continentale. Il girone “materasso” era composto da Messico, Svizzera, Bulgaria e Colombia (queste due ultime esordienti ai mondiali). La più penalizzata fu proprio la nazionale azzurra, che nella fascia sudamericana, non potendo incontrare né Brasile (e meno male) né Uruguay, ebbe in sorte i padroni di casa del Cile. Vediamoli questi gruppi:
Gruppo 1: Uruguay, URSS, Jugoslavia, Colombia (ad Arica)
Gruppo 2: Italia, Cile, Germania Ovest, Svizzera (a Santiago)
Gruppo 3: Brasile, Spagna, Cecoslovacchia, Messico (a Viña del Mar)
Gruppo 4: Inghilterra, Argentina, Ungheria, Bulgaria (a Rancagua)

Poco più di un mese prima dell’inizio dei mondiali (la prima partita si sarebbe giocata il 30 maggio del ’62) Dittborn improvvisamente morì: si parlò di infarto o di pancreatite, ma di sicuro lo sforzo che fece per rendere possibile la manifestazione gli fu fatale: il Cile piangeva uno dei suoi eroi, tanto da ricordarlo dando il suo nome allo stadio di Arica. Il mondiale sarebbe stato prevalentemente il suo mondiale, anche se stiamo parlando, probabilmente, dell’edizione di minor successo nella storia della manifestazione. Solo 28.000 spettatori di media per partita, con stadi poco capienti ed infrastrutture non adeguate, anche per il tremendo terremoto di due anni prima. Nei gruppi 1 e 4, addirittura, la media fu di meno di 10.000 spettatori per partita. Arica, all’estremo nord del Cile, quasi al confine con Perù, ed a circa 2.000 Km d Santiago, era stata scelta nella speranza che proprio la nazione andina si qualificasse invece della Colombia. Ma senza quel supporto di tifo, il pubblico reagì svogliatamente all’evento. Come contorno, il pallone scelto fu il Crack, che però non fu di gradimento soprattutto delle squadre europee, che insistettero per giocare con altri palloni. In effetti, si era tornati a 18 pannelli di cuoio, dai 24 del pallone 1958, e la valvola era legata da lacci di cuoio alla sfera. Un notevole passo indietro.

Dal punto di vista tattico, si notarono parecchi cambiamenti: mentre tante nazionali cercavano di emulare il 4-2-4 con cui il Brasile aveva conquistato il mondo 4 anni prima in Svezia, questi passava – arretrando Zagallo quasi sulla linea di centrocampo, ad un 4-3-3 che spostava Pelé – ed Amarildo dopo di lui – fin quasi all’ala. La formazione, eccettuati i difensori centrali, era la stessa del campionato del 1958, ma era cambiato il CT: Dimissionario Feola per problemi di salute, era subentrato Moreira, fratello del CT brasiliano del 1954. Le nazionali dell’Est continuavano ad usare il WM (anche se mascherato dal fatto che correvano molto, tanto che il CT Sovietico poté affermare di usare il 4-2-4 proprio perché il movimento dei giocatori in campo rendeva il modulo molto dinamico). Ma il vero modulo nuovo del mondiale fu il catenaccio.

Come abbiamo visto, l’idea di mettere un difensore dietro, “libero” da marcature fisse (ed il WM prevedeva solo marcature a uomo) era già stato sviluppato dalla Svizzera di Rappan nel 1938. Ma il grande limite di tale modulo era il giocatore in meno a centrocampo. Per ovviare a tale inconveniente, in Italia prima Viani (allenatore della Salernitana negli ultimi anni ’40) e poi Rocco (allenatore di Triestina e Padova negli anni ’50) portarono il terzino destro dietro i tre di difesa. I compiti di copertura sulla fascia venivano quindi dati all’ala destra, che diventava così l’”ala tornante”. Gli attaccanti, puri, quindi, diventavano due. Lo spostamento dell’ala destra indietro (e quindi il fatto che i due attaccanti si accentrassero) lasciava però spazio al terzino sinistro, che aveva davanti a se tutta la fascia dove procedere. Viani e Rocco pensarono tale modulo (ci furono parecchi aneddoti su come fu concepito, quasi sicuramente tutti romanzati) perché le loro squadre, più deboli tecnicamente della “grandi” si difendevano strenuamente, sperando poi di approfittare in contropiede degli spazi che gli attaccanti avversari lasciavano. Modulo essenzialmente difensivo, e “costretto” dalla disparità di forze in campo, fu portato invece al successo da un altro allenatore, che se pur operante in Italia, Italiano non era: tale Helenio Herrera che, arrivato all’Inter di Moratti, sfruttò i talenti di due grandi difensori: Armando Picchi, convertito al ruolo di libero (unico in quel ruolo che non buttava mai via il pallone: tanto è vero che il libero veniva spesso chiamato “battitore libero” perché spediva la palla molto spesso in tribuna) e soprattutto un Terzino Sinistro tra i più grandi della storia: Giacinto Facchetti (che però nel 1962 era ancora giovanissimo), che su quell’ala trasformava le azioni difensive in offensive ed aveva anche, dai suoi passati giovanili di attaccante, il vizio del gol (arrivò un anno anche in doppia cifra).

Sulla figura di Herrera, mago o cialtrone a seconda dei punti di vista, ci si potrebbe scrivere un libro intero: con lui, Bela Guttmann e Nereo Rocco cominciò comunque il “culto dell’allenatore”, ossia il cominciare a ritenere questo più importante dell’abilità tecnica dei giocatori in campo. Neanche Pozzo, due volte campione del mondo, era considerato dalla stampa così importante rispetto ai giocatori in campo. Le abilità federali italiane dell’epoca, comunque, erano tali che pur avendo in casa i creatori del modulo di gioco nuovo, si riuscì a non avere nessuno di loro ad allenare la nazionale. Si creò un “ticket” fatto da un allenatore tecnico (Ferrari), ed un dirigente federale (Mazza), ognuno dei due preoccupato di prendere gli eventuali meriti per sé e di scaricare le eventuali responsabilità sull’altro. Vedremo come tale situazione, molto di più che la “battaglia di Santiago” (episodio tra i più vergognosi della storia dei mondiali di calcio) porterà a far tornare presto a casa una delle formazioni italiane più talentuose.

Ma torniamo al catenaccio: fu adottato da tante squadre (e non solo da quella italiana) in questo mondiale proprio per il cambiamento della regola di qualificazione alla fase ad eliminazione diretta: contando il quoziente reti, la regola del “primo non prenderle” diventava aurea. Non a caso fu il primo Campionato del mondo dove la media dei gol per partita scese sotto a tre. Non sarebbe mai più – fino adesso – andata sopra questo fatidico numero. Oltre a questo, fu un mondiale violento: almeno 15 gravi infortuni e 34 espulsioni in 32 partite: un record. Fu anche il primo mondiale, dopo quello del 1934, dove la squadra di casa venne vista molto benevolmente dagli arbitri.

Veniamo alle partite. Nel gruppo 1, l’Uruguay si sbarazzò nella prima partita della Colombia, mentre l’URSS ribadiva la sua superiorità sulla Jugoslavia battendola 2-0. La seconda giornata vide invece la prima sorpresa del torneo: mentre la Jugoslavia batteva l’Uruguay 3-1, l’URSS, che già all’undicesimo era 3-0 con la Colombia, riusciva, nella ripresa, a farsi recuperare da 4-1 a 4-4 dalle matricola sudamericana. Allenatore arrabbiatissimo e ritiro forzato della squadra, con gran disappunto dei commercianti di Arica che puntavano proprio sulle spese sovietiche per incrementare i guadagni. Nell’ultima giornata, comunque, l’URSS batteva l’Uruguay 2-1 con un gol all’ultimo minuto, dopo che la celeste era stata ad attaccare per tutta la partita (solo la vittoria avrebbe garantito agli uruguaiani il passaggio del turno), mentre la Colombia tornava cenerentola perdendo 5-0 dalla Jugoslavia. Le due squadre dell’est europeo passavano ai quarti.

Il gruppo 2, quello di Santiago, vedeva i padroni di casa vedersela con Svizzera (squadra allora debole), la Germania Ovest e l’Italia, che schierava una squadra che, comprendendo anche gli oriundi, era fortissima: oltre agli “angeli con la faccia sporca” di provenienza argentina Sivori e Maschio, schierava Altafini, nel 1958 riserva di Pelé, ed in difesa tre colossi del calibro di Salvadore, Maldini e Trapattoni (quest’ultimo, infortunato, non giocò però neanche un minuto). In porta, Buffon e, come riserva, oltre a Carlo Mattrel, un giovane portiere della Fiorentina: Enrico Albertosi. Completavano i quadri due giovanissimi centrocampisti offensivi: dal Bologna: Giacomo Bulgarelli e soprattutto dal Milan Gianni Rivera. Nella prima giornata, mentre il Cile strapazzava la Svizzera per 3-1,  Italia e Germania Ovest, che si incontravano ai mondiali per la prima volta, badavano soprattutto a non prenderle per giocarsi poi la qualificazione nelle partite successive: 0-0 e tanti fischi.

Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Cile 1962
« Risposta #2 : Giovedì 13 Marzo 2014, 08:52:09 »
La seconda giornata vedeva la Germania battere facilmente la Svizzera 2-1, mentre gli azzurri se la dovettero vedere con i Cileni padroni di casa. Padroni di casa anche molto arrabbiati con noi. Cosa era successo? Qualche mese prima dell’inizio dei mondiali, alcuni reportage sul Cile, firmati da Antonio Ghirelli per il Corriere della Sera e da Corrado Pizzinelli per “la Nazione” ed “il Resto del Carlino”, dipingevano quella nazione come poverissima e moralmente molto discutibile. Va detto, ad onor del vero, che mentre Ghirelli metteva in risalto anche le cose belle del Cile (ad esempio la grande voglia di ricostruzione del dopo terremoto, e la vivacità politica ed intellettuale), Pizzinelli fu decisamente più severo. Gli articoli passarono sotto silenzio fin quando non furono rilanciati nella nazione sudamericana qualche giorno prima della partita, chi dice da un Italo Cileno di Milano, chi dice dalla stampa tedesca. Tutto il lavoro diplomatico della delegazione italiana, che fino a quel momento era stato coronato da successo, svanì all’istante: gli azzurri non riuscirono più a dormire per le proteste dei cileni sotto il loro albergo ed all’inizio della partita, nonostante arrivassero con dei fiori per il pubblico vennero sonoramente fischiati.

L’arbitro del match fu l’inglese Aston, gradito al Cile in quanto aveva già arbitrato i padroni di casa contro la Svizzera. Nominiamo l’arbitro perché condizionò pesantemente la gara: mentre il gioco violento dei cileni venne tollerato oltre ogni limite (tale Sanchez, figlio di un puglie, menava cazzotti fino a rompere il setto nasale di Maschio), fu inflessibile con gli Italiani: attenzione, non è vero che fu ingiustamente severo: le espulsioni comminate agli azzurri (due: una al 9’ del primo tempo ed una al 41’) furono giuste: falli cattivi e di reazione. Quello che a vederlo oggi scandalizza fu la non equanimità nelle decisioni. Aston – che sarebbe passato alla storia anche perché creatore dei cartellini gialli e rossi da estrarre per le ammonizioni ed espulsioni nel 1967 – fu aspramente criticato per tale condotta. Gli italiani furono vittime di quella situazione, è vero, va anche detto però che fecero di tutto per passare da “cattivi”. Lo stesso David, espulso al 41’ per un fallo veramente violento, racconta: “feci un'entrata a gamba tesa su Sanchez in un’azione di gioco e lo colpii alla spalla, però lo spudorato Aston mi mandò via”. Inutile passare per vittime: i falli cattivi li fecero anche gli azzurri, come visto. Anche in 9, comunque, l’Italia si difese bene fino a circa un quarto d’ora dalla fine, quando, sempre secondo David, Mattrel prese “due gol da pollo”. Due a zero e qualificazione compromessa.

Certo, fu schierata una squadra più fisica e meno tecnica per evitare di rovinare giocatori “preziosi” (Sivori e Rivera furono tenuti in panchina), racconta sempre David, su indicazione del direttore della Gazzetta dello Sport, Zanetti (l’albergo aveva i pavimenti in legno e le discussioni dei selezionatori venivano sentite benissimo da tutti i giocatori). Un altro dei grandi giornalisti suggeritori fu Brera, sempre convinto che noi fossimo “razzialmente” portati per il puro gioco difensivo (“lo zero a zero è il risultato della partita perfetta”) e che quindi disistimava tutti i talenti buoni di piede ma carenti atleticamente come Rivera (lo chiamava l’”abatino”). Chissà con più coraggio come sarebbero andate le cose. Fu comunque una grossa delusione: almeno in patria si era convinti di avere l’unica formazione in grado di combattere ad armi pari col Brasile. La terza giornata divenne inutile: battemmo 3-0 la Svizzera con doppietta del giovane Bulgarelli (a quel punto rischiavano i giovani…) mentre la Germania Ovest, che non cadde nelle provocazioni fisiche dei Cileni, vinse agevolmente 2-0. I primi due quarti erano quindi URSS Cile e Germania Ovest Jugoslavia.

Il gruppo 3 era quello del Brasile campione del mondo. Regolato agevolmente il Messico per 2-0, la sorpresa si ebbe nell’atra partita, dove la Cecoslovacchia batté la Spagna allenata da Herrera e che aveva tra i convocati stelle del calibro di Puskas, Di Stefano (che non giocava, ufficialmente per un infortunio), Gento. Herrera (in predicato di allenare anche l’Italia, e messo da parte perché su di lui gravavano sospetti di strane pasticche che dava ai suoi giocatori) aveva un’idea tutta suo di calcio, che Di Stefano, oltretutto, non condivideva, ed è per questo, più che per l’infortunio, che di quel mondiale non giocò neanche un minuto. Nella seconda giornata, mentre la Spagna si rifaceva col Messico per 1-0 (ma segnò Peirò solo al 90’), tra Brasile e Cecoslovacchia finì 0-0, con una mezzo dramma. Pelé ebbe uno strappo all’inguine e dovette dire addio al mondiale. Erano già tanti anni che giocava e si allenava troppo, e già sentiva un dolore, il buon Edson, ma poiché Moreira aveva detto ”chi non si allena non gioca” non chiese di essere dispensato da qualche seduta per riposare, cosa che portò poi all’infortunio finale. Venne – degnamente – sostituito da Amarildo.

Nell’ultima giornata, per la Spagna era fondamentale vincere con il Brasile, per passare, ed Herrera a questo punto cambiò, mettendo in campo una formazione più esperta, ed oltretutto quasi riuscendoci: in vantaggio 1-0 fino ad un quarto d’ora dal termine, venne poi sconfitta grazie ad una doppietta di Amarildo, il sostituto di Pelé. Nell’altra partita, una delle più grosse sorprese del mondiale: Il Messico vinceva la sua prima partita nella fase finale del campionato del mondo dopo 32 anni, battendo per 3-1 in rimonta la Cecoslovacchia. Partita che va ricordata, oltre che per quella vittoria, sia per il gol all’epoca più veloce della storia del mondiale (il ceco Masek dopo 15”), sia perché la Spagna si poteva, a quel punto, permettere il pareggio… Ed invece passò (per il rotto della cuffia anche in questo caso, dopo le qualificazioni) la Cecoslovacchia.

Nell’ultimo gruppo, l’Argentina sconfisse la Bulgaria con uno striminzito 1-0, mentre l’Ungheria vinse 2-1 con l’Inghilterra. Non era, la squadra magiara, quella stellare di 8 anni prima (solo il portiere Grosics faceva parte della compagine del 1954), ma poteva vantare comunque un ottimo centrattacco, Albert (uno dei sei capocannonieri del torneo con sole quattro reti, alla fine: e questo testimonia anche come non fosse solo l’Italia, a fare catenaccio). Nella seconda giornata, mentre la squadra ungherese umiliava i bulgari per 6-1, con tripletta di Albert, l’Inghilterra, però, si rifaceva: 3-1 all’Argentina sfruttando in contropiede l’irruenza dei sudamericani. A quel punto, inglesi ed argentini avevano due punti, ma con un quoziente reti che premiava i britannici. Nell’ultima giornata, un doppio 0-0 tra Ungheria ed Argentina e tra Inghilterra e Bulgaria lasciò le cose immutate. Magiari primi, dunque, ed inglesi secondi. Altro girone, giocato nello stadio della società USA che gestiva le miniere di rame, poco seguito: una media di 8.000 spettatori per partita.
Si finiva così di comporre il quadro dei quarti di finale con Ungheria-Cecoslovacchia e Brasile-Inghilterra.

Per i quarti, partiamo proprio da quest’ultima partita. I brasiliani, orfani di Pelè, avevano trovato, come abbiamo visto, un valido sostituto in Amarildo. Ma il vero protagonista di questa seconda fase della manifestazione fu lo scricciolo Garrincha. All’infortunio di Pelé, Moreira gli disse “ora dovrai giocare per te e per lui” ed il “bambino giocoso” rispose con un sorriso “nessun problema, lasciate fare a me”. Questo fenomeno, tanto geniale sul campo di calcio quanto inetto nella vita di tutti i giorni (a 29 anni aveva già 7 figli, uno lasciato anche in Svezia all’epoca del mondiale; del resto, ogni volta che arrivava con la squadra in qualche posto prendeva immediatamente un taxi e chiedeva di essere portato nel bordello più vicino) era all’epoca all’apice della sua carriera, e mantenne la parola: contro l’Inghilterra, che era convinta di potersela giocare (ma Bobby Charlton, stella di quella nazionale, aveva avvertito: la partita con la Bulgaria, giocata per non subire e con uno 0-0 evidentemente comodo per entrambe le squadre, era il segnale che la squadra non era sicuramente vincente), segnò una doppietta, di testa e con un destro a giro dai 20 metri che si infilò nel sette;  Vavà completò l’opera segnando il 2-1 di testa, che vanificò il momentaneo pareggio di Gerry Hitchens, con la gentile compartecipazione di Gilmar, che praticamente fa lo spettatore non pagante. 3-1 e Brasile di nuovo emergente come super favorito per questi mondiali.

L’Inghilterra ebbe successo solo con Greaves che riuscì a braccare un cagnolino scappato che scorazzava libero sul campo di gioco, e che nessuno riusciva a prendere, e tornò a casa di nuovo senza nulla, ma stavolta la sconfitta servì: si decise finalmente di giubilare l’”allenatore” Winterbottom (che, ricordiamo, non aveva diritto di parola sui giocatori da convocare in nazionale), per passare finalmente ad un commissario tecnico vero e proprio. Dopo quattro anni tale strategia risulterà vincente.

Giglic

Re:La grande storia dei mondiali: Cile 1962
« Risposta #3 : Giovedì 13 Marzo 2014, 08:55:26 »
Nel quarto di finale direttamente collegato a questo, il Cile sconfisse a sorpresa l’URSS per 2-1. Solito gioco aggressivo ai limiti della violenza dei padroni di casa, con Sanchez che, smessi i panni del pugile, diede un calcio in testa a Jascin all’inizio della partita. Il portiere sovietico rimarrà in stato confusionale per tutto il match, e non incolpevole sui due gol cileni.

Gli altri due quarti furono meno combattuti, ed entrambi videro vincere l’outsider di turno: la Cecoslovacchia sconfisse l’Ungheria 1-0 con un gol nel primo quarto d’ora difeso poi con le unghie e con i denti, mentre la Jugoslavia ebbe la meglio sulla Germania Ovest con lo stesso punteggio: un gol di Radovakovic a 5’ dalla fine fece fuori i tedeschi. Era la terza volta consecutiva che le due nazionali si incontravano ai quarti di finale del campionato mondiale (il CT jugoslavo commentò “ora ne abbiamo abbastanza della Germania” prima della partita), ma fu la volta buona per la nazionale balcanica. I tedeschi tornarono a casa, ed anche loro ebbero occasione di riflettere sl loro movimento calcistico: finiti i campionati federali, nel 1963 sarebbe cominciata la bundesliga, il campionato nazionale, con buon ritardo rispetto ad Italia e Spagna (che cominciarono nel 1929/30) ed Inghilterra (addirittura nel XIX secolo).

Le due semifinali vedevano quindi affrontarsi due europee (Cecoslovacchia-Jugoslavia) e due sudamericane (Brasile-Cile).

Nella semifinale europea, la Cecoslovacchia passa in vantaggio all’inizio del secondo tempo, ma la Jugoslavia pareggia grazie ad un’uscita “a farfalle” del portiere boemo: punizione dalla tre quarti, uscita improvvida di Schrojf, che si fa anticipare da uno dei sei capocannonieri del mondiale Jercovic (nel ’90, un gol simile vedrà protagonisti Zenga e Caniggia). Inutile l’intervento di un difensore ceco, che rovina in porta rompendo addirittura la rete. Gioco fermo per qualche minuto per ricucire. La Jugoslavia fa la partita, ma la Cecoslovacchia è cinica in contropiede: doppietta all’80’ ed all’84’ su rigore di Sherer. Nel mezzo, la solita “invasione di cane”.

Spettacolo tutto sommato modesto, certificato dalla presenza sugli spalti di sole 6.000 persone. Nulla, per una semini finale mondiale, e certificazione del fallimento di tale edizione del mondiale, quantomeno dal punto di vista dei “ritorni da stadio”, come si direbbe oggi.

Nell’altra semifinale, il Brasile si confermava imbattibile: Garrincha porta subito sul 2-0 i verdeoro con due gol fotocopia di quelli con l’Inghilterra: stavolta invertendo i fattori (prima il destro a giro nel sette da 20 metri e poi il colpo di testa), tanto il risultato non cambiava di certo. Altri due gol di testa di Vavà, intervallati dal temporaneo 2-1 (su punizione) e 3-2 (su rigore) del Cile, fissano il risultato sul 4-2. L’ala destra verdeoro, però, venne espulso a 7’ dalla fine: dopo l’ennesimo fallo subito ebbe una reazione che gli costò la cacciata dal campo (come abbiamo detto prima, i cartellini vennero introdotti solo nel 1967). La finale non avrebbe avuto la sua stella. O meglio, forse non l’avrebbe avuta, perché la squalifica per espulsione, all’epoca, non era automatica. Certo però che c’erano tanti precedenti dove per i falli di reazione almeno una giornata di squalifica veniva comunque comminata. A mettere d’accordo tutti pensò l’arbitro della partita, il sovietico Latyshev, che si “dimentico” di iscrivere a referto l’espulsione. Garrincha avrebbe quindi giocato la finale. Il Brasile, comunque, ripeté l’operazione “simpatia” fatta in Svezia portando nel giro di campo dopo la partita, la bandiera cilena in trionfo.

La finalina vide il Cile battere la Jugoslavia per 1-0 con un gol all’ultimo minuto di Rojas: mai più fino adesso il Cile sarebbe arrivato così in alto nella competizione.

Ma veniamo alla finale: il 17 giugno 1962, alle 14.30, le due squadre scesero in campo: il Brasile con Gilmar, Djalma Santos, Mauro Ramos; Zito, Zozimo, Nilton Santos; Garrincha, Didi, Vavà, Amarildo, Mario Zagallo. Rispondeva la Cecoslovacchia con Schrojf, Popluhar, Novak; Pluskal, Masopust, Scherer; Jelinek, Tichy, Pospichal, Kadraba, Kvasnak. Lo stadio Nacional era pieno ma non pienissimo: 67.000 spettatori, solo 1.000 in più della finalina e 3.000 in meno della semifinale tra Brasile e Cile. Quello stesso stadio, quel giorno testimone di felicità, diverrà poi tristemente noto durante la feroce dittatura di Pinochet come prigione militare e luogo di tortura degli oppositori al regime. Cechi in maglietta bianca, Brasiliani con la classica casacca gialla. In bianco e nero diventa difficile distinguerli. Oggi una cosa del genere sarebbe impossibile.

Inizio equilibrato, ma al 15’ la Cecoslovacchia va in vantaggio: passaggio filtrante di Tichy e Masopust, solo davanti a Gilmar, di punta la mette dentro: 0-1! Giusto premio per il più famoso dei giocatori di quella nazionale, un Oriali dai piedi molto educati, che nel centrocampo boemo faceva tanta legna, ma aveva anche tecnica sopraffina. Pelé alla fine lo inserirà nei 125 giocatori più forti di sempre, e l’UEFA lo premierà, in quel 1962, giocatore dell’anno.

Non passano però che due minuti, ed Amarildo riceve palla da fallo laterale, scatta sulla sinistra entra in area e beffa Schrojf (non incolpevole) sul primo palo: 1-1! Ormai la depressione in stile Maracanazo è un pallido ricordo, e la squadra sudamericana è vincente sotto tutti gli aspetti. Da li in poi sarà un monologo brasiliano.

Solo nel secondo tempo, però, al 69’, la Cecoslovacchia subisce il gol: incursione di Zagallo sulla sinistra, cross e Zito, di testa, insacca: 2-1! La Cecoslovacchia attacca, protesta per un mani in area di Mauro Ramos, ma al 78’ capitola: cross di Garrincha dalla tre quarti, Schrojf esce in presa ma la palla gli sfugge proprio sui piedi di Vavà, che a porta vuota la mette dentro per il più facile dei gol: 3-1!

Esulta, Vavà: è il primo a segnare due gol in due diverse edizioni della finale di Coppa del Mondo (dopo di lui, lo faranno solo Pelé, Breitner e Zidane). Povero Schrojf, invece, due dei tre gol brasiliani sono sua diretta responsabilità.

La partita termine ed il Brasile, dopo l’Italia, diventa la seconda nazionale a difendere con successo il titolo vinto quattro anni prima: fino adesso non è capitato più. Su sette edizioni della coppa Rimet, solo quattro erano le squadre vincenti: segno evidente di un dominio calcistico stabile nel corso degli anni.

Per Didì e Vavà questa partita è il canto del cigno: non giocheranno mai più ai mondiali. Garrincha giocherà anche nel 1966, ma comincerà a subire troppo i suoi problemi di alcool e donne: morirà nel 1983, a soli 49 anni, da solo, dopo aver avuto tante donne e tanti figli.