[...] fino ad arrivare all'appoggio di un moto di piazza che spodesta bastoni alla mano un presidente liberamente eletto e che tra i primi provvedimenti adotta la fine del russo come lingua ufficiale.
Proviamo a togliere il tedesco ai tirolesi e vediamo che succede, no?
Per la precisione: il russo è seconda lingua ufficiale nella Bielorussia di Lukašenko, altro esecrato tiranno i cui sudditi, guarda caso, stanno però conoscendo un miglioramento delle proprie condizioni di vita.
In Ucraina non aveva tale riconoscimento a livello nazionale: ne era esplicitamente autorizzato l'uso, anche nell'ambito amministrativo, in alcune circoscrizioni a maggioranza russofona.
Ciò non toglie che la sua abolizione rimanga un abuso foriero, come ho spiegato in precedenza, di prospettive agghiaccianti.
E che il paragone con l'Alto Adige, proprio per la dimensione regionale del provvedimento, sia complessivamente appropriato.
Approfitto per aggiungere due-tre cose che credo di sapere al riguardo:
- parto da una modesta, ma a suo modo significativa, esperienza personale.
Avendo qualche nozione di informatica, mi è capitato di aiutare persone di nazionalità ucraina a configurare il PC, che a loro serve principalmente per comunicare a basso costo - in genere tramite Skype - col Paese d'origine.
Trattandosi di computer acquistati in Italia, si poneva il problema di facilitare lo switch fra la localizzazione nella nostra lingua e quella nella loro: compreso, nel caso di specie, il diverso alfabeto col relativo layout di tastiera.
Come la stragrande maggioranza dei loro connazionali giunti dalle nostre parti, gli "utilizzatori finali" erano originari dell'Ucraina Occidentale: in particolare della regione di Černivci (in russo Černovcy, in rumeno Cernăuți), nella quale rientra la porzione di Bucovina Settentrionale ceduta dalla Romania all'URSS dopo l'ultimo conflitto mondiale.
Persone, quindi, di etnia e lingua ucraina. E con un tasso variabile, ma in genere abbastanza elevato, di russofobia.
Che peraltro non impediva loro di maledire l'indipendenza del Paese: perché prima qualcosina funzionava, sia pure male; dopo anche il servizio più banale veniva erogato, nella migliore delle ipotesi, previo un sistematico taglieggiamento.
Ebbene, tutte queste persone mi hanno chiesto di impostare nel sistema il supporto multilingue per il russo.
Alcune l'hanno chiesto per il rumeno, reso utile dalla permanenza di parlanti la suddetta lingua dopo la rettifica di confine, da relazioni transfrontaliere sottovalutate dalle nostre parti, dai rapporti interni all'emigrazione nel nostro Paese.
Nessuna - ripeto: NESSUNA - mi ha chiesto il supporto per la lingua ucraina, mostrando un certo stupore quando gliel'ho proposto.
"Quello lo parliamo in casa", è stata la spiegazione di fondo di chi me ne ha fornita una.
La lingua ufficiale dell'Ucraina viene, quindi, utilizzata nella vita quotidiana e studiata nelle scuole.
Ma non ha, neppure all'interno del Paese e fra gli stessi ucrainofoni, alcuna funzione veicolare: sostituita in questo dal russo, e superata dallo stesso rumeno.
Questo per chiarire quanto sia farneticante, anche a livello di fattibilità, l'idea di abolire l'utilizzo del russo
- Di nuovo, non va commesso l'errore di equiparare la situazione ucraina a quella, ad esempio, delle Repubbliche baltiche.
Là le suddivisioni etniche e quelle linguistiche sono sovrapponibili con precisione quasi millimetrica.
A Kiev e dintorni la logica è profondamente diversa: perché il russo viene dichiarato come madrelingua non solo dalla quasi totalità delle minoranze, compresi Greci e Italiani, ma anche da molti parlanti di etnia ucraina, e non solo nella parte orientale del Paese
- Il riconoscimento del russo a livello regionale nasceva anche da una questione pratica: in pochi tra i russi parlano e comprendono l'ucraino.
In altri casi, si può rimproverare ai loro connazionali un miscuglio di pigrizia e senso di superiorità nell'apprendere le lingue dei Paesi che li ospitavano, e che certo non depone a loro favore.
Qui no. In primo luogo, perché le popolazioni del Donbass e dintorni abitano aree storicamente russe, divenute ucraine solo nel momento in cui a quella gente è stata letteralmente spostata la terra sotto i piedi.
In secondo luogo, perché nessuno ha mai chiesto loro di imparare l'ucraino.
Persino i più accesi nazionalisti dell'Ovest, che lamentano il mancato riconoscimento storico della loro identità e specificità culturale - e fin qui rimangono nella piena legittimità -, si sono limitati ad auspicare la promozione e l'insegnamento della loro lingua: nulla di più.
Riassumendo: filomitteleuropei e filorussi sono divisi su quasi tutto, e proprio il rischio di accentuare certe spaccature ha contribuito allo stagnante indecisionismo che attanaglia lo Stato e la sua economia.
Ma, nella storia dell'Ucraina indipendente, non è mai esistita una questione linguistica.
Se oggi se ne parla è solo perché qualcuno, sia pure sfruttando materiale infiammabile in loco, la sta inventando come possibile innesco di un incendio doloso.
E, ancora una volta, il paragone con l'ex-Jugoslavia assume contorni spaventosamente nitidi
- A proposito: la stampa nostrana ha parlato delle proposte di Pravyi Sektor? Abolizione di tutte le lingue minoritarie - non solo del russo -, con chiusura delle scuole in cui vengono insegnate, e futuribile espulsione di tutti i non ucraini.
Compresi i Greci di Mariupol', città da loro stessi fondata verso la fine del '700.
La loro presenza, così come gli incentivi per impedirne il ritorno in Patria, dipende dalla volontà degli zar - e di Caterina II in particolare - di sfruttarne l'abilità nei commerci e nei rapporti con l'estero, per valorizzare le potenzialità portuali di quel tratto di costa sul Mar Nero.
A conferma di un inserimento pressoché indolore, questo è forse il primo atto di aperta ostilità nei loro confronti da secoli a questa parte: considerando anche i precedenti insediamenti, che rendono la loro presenza in diverse aree più antica di quella ucraina.
Un'ostilità che, fra l'altro, sta creando scompiglio nelle file di Alba Dorata: scoprire che i loro teorici alleati danno prova di odio eccezionalmente vigliacco e gratuito, proprio contro genti di origine ellenica, ha gettato i membri di
Chrysì Avghì in una confusione alla quale stanno per ora rispondendo col silenzio.
Migliaia di Greci - su un totale di oltre 90000, stando agli ultimi censimenti -, nel frattempo, abbandonano Mariupol'.
Diretti dove? Proprio nella golpista e occupata Crimea.
Che considerano la loro Patria in quella parte di mondo.
Nella quale, evidentemente, si sentono più al sicuro.
E che, all'interno della Federazione Russa, conserverà il suo tradizionale statuto autonomo.
Anche in materia di lingue ufficiali al suo interno: che, come annunciato contestualmente dalla dichiarazione di indipendenza, saranno nell'ordine russo,
ucraino e tataro.
Nonostante la presenza degli ucraini in Crimea sia demograficamente e storicamente imparagonabile a quella dei russi nell'attuale Ucraina
- Altra storia di migrazione: quella degli Italiani, di casa da quelle parti fin dai tempi delle Repubbliche Marinare.
E che, sia pure ridotti a poche centinaia dalle persecuzioni subite a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, mantengono una solida e attiva presenza nella zona di Kerč: in Crimea, quindi.
Senza vaneggiare su quinte colonne e scempiaggini del genere, ci mancherebbe: qualcuno si è interessato alla sorte di questa comunità?
Alla sua incolumità, e magari al suo potenziale ruolo di mediazione nel tessere rapporti economici?
Temo di no. E temo che in molti, non solo a livello giornalistico, ne ignorino l'esistenza.
Troppo impegnati a sdilinquirsi per gli "stupendi ragazzi" di Piazza dell'Indipendenza.
E a raccontarci che a Kiev, come si dimostrava pocanzi, è arrivata la libertà