La notizia era purtroppo nell'aria per una lunga malattia, a causa della quale pare che la sua straordinaria e infinita mente lo avesse preceduto nell'addio a questo mondo.
Un vero peccato perché, salute permettendo, alla sua veneranda ma non avanzatissima età avrebbe avuto ancora parecchio da dare.
Ma in fondo, al di là della circostanza sempre dolorosa e della perdita di un intellettuale italiano fra i più originali, si parla di un uomo di 76 anni che se ne va lasciando un patrimonio artistico immenso: situazione che fa parte, sia pure nella maniera più triste, dell'
ordo naturalis rerum.
Ne fa un po' meno parte ciò che rimane, un baratro sempre più profondo non solo in ambito musicale.
Ed è questo a rendere la Nera Signora più angosciante di quanto sia già per conto proprio.
Quando scompare un Grande Vecchio, sia esso un genio come Battiato o il falegname del paese, non muore solo una persona giunta al termine del proprio percorso.
Se ne vanno per sempre, perché senza eredi e senza continuità intergenerazionale, un sapere, un modo di essere, un mondo.
Passando alla sua produzione artistica, il segno più importante lo lascia forse
La voce del padrone, primo 33 giri a superare il muro del suono del milione di copie vendute.
Uno schiaffo eterno a quella criminogena teoria secondo la quale, per raggiungere il grande pubblico, bisogna scendere sempre più in basso.
Quanto ai singoli, sarà difficile per tutti scrivere qualcosa di più poetico, assoluto, definitivo rispetto a
La cura.
Come sarà difficile ricavare da una partitura meno complessa del solito l'atmosfera avvolgente, quasi ipnotica, della
Prospettiva Nevski giustamente omaggiata da jegue98.
Se si parla invece del brano che soggettivamente ho amato di più, non ci sono dubbi:
Il canto, innanzitutto, e l'originalità con cui viene valorizzata la presenza di due voci: potente ed elegante lei, quasi mistico lui.
Limitate al massimo le parti corali, Battiato non si accontenta della semplice alternanza e del suo effetto meramente cumulativo: crea invece una continuità fonica facendo sì che le voci sfumino continuamente l’una nell'altra, senza stacchi percepibili a interrompere l’ andamento complessivo.
Scelta innovativa, ma al tempo stesso riconducibile a citazioni di alto e antico lignaggio.
Spesso, infatti, la lirica corale greca veniva alternata a parti monodiche con una tecnica che trovava applicazione nelle rappresentazioni teatrali: rileggendo con paziente attenzione la metrica antica, è possibile ipotizzare che anche lì il passaggio dalle parti cantate a quelle corali non avvenisse sempre di netto, ma attraverso sfumature e modulazioni della voce.
Considerando la profondissima cultura musicale e non dell’autore - e la sua provenienza da una terra intrisa di grecità - non sembra eccessivamente arbitrario percepire ne
I Treni di Tozeur e nella sua particolarissima ritmica un’eco degli antichi metri lirici.
Davvero nulla a che vedere con certi stucchevoli e male assortiti duetti, in cui i singoli si affiancano senza interagire realmente.
La musica, una degli ambiti in cui Battiato ha svolto un ruolo di ambasciatore della cultura arabo-islamica nelle sue espressioni più alte.
Pensando al diffuso interesse per quei suoni orientaleggianti, che prese piede nella seconda metà degli anni Ottanta, merita un posto in prima fila il Maestro Ennio Morricone, autore di un' indimenticabile, struggente colonna sonora per la voce di Amii Stewart e lo sceneggiato
Il Segreto del Sahara: ma tutto questo sarebbe accaduto qualche anno dopo.
Battiato capta invece in anticipo i conati di "arabomania", inserendoli in un percorso del tutto personale che già aveva fatto epoca: la ricerca di un incontro fra sonorità elettroniche e ritmi più melodici, senza disdegnare l’inserimento a sorpresa di strumenti legati alla musica classica.
Buona parte della musica di quegli anni, Italo-dance compresa, risente della sua influenza come di un punto di non ritorno.
Nella circostanza, il cantautore catanese intuisce un'ulteriore contaminazione, associando alla potenza di un'esecuzione orchestrale suoni che viaggiavano da secoli sulle note esili e metalliche di strumenti a corda, spesso senza altro accompagnamento.
L'armonia col testo, all'insegna del comune denominatore del suono, sfiora la perfezione.
Che la terra ti sia lieve, Maestro.