Autore Topic: Lavorare  (Letto 5263 volte)

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ThomasDoll

Lavorare
« : Venerdì 15 Novembre 2013, 23:55:58 »
Una delle conseguenze micidiali della crisi sulle quali non ci si sofferma quasi mai è la totale distruzione, per chi ci si ritrova invischiato, del percorso professionale pregresso. Nel senso: si comincia a lavorare a vent'anni, pieni di entusiasmo, e si fanno determinati passi che, uno dietro l'altro, costruiscono un cammino professionale. Impara questo, fai quell'esperienza, ti formi così, ti capita quell'occasione e la cogli, eccetera. Ecco, quando ti fermi per entrare nel sarcofago di una CIG, della mobilità, della disoccupazione, questo percorso è azzerato, il castello delle competenze sgretolato. Ma non perché ti si resetti la cerevella: semplicemente perché le condizioni, col passar del tempo, diventano sempre più delicate e precarie e occorre rimuovere dal tavolo parole come esperienza, professionalità, aspettative eccetera, per sperare di rendersi appetibili per un colloquio di lavoro (anche solo per un colloquio, non dico per avere un lavoro: personalmente ho molte difficoltà a ottenerne uno, i curriculum che invio vengono evidentemente cestinati).

Nel completare il percorso formativo che ho intrapreso durante la CIG straordinaria, mi tocca fare uno stage. Lo sto facendo con grande felicità da una decina di giorni e andrò avanti fino a fine mese. Ovviamente si tratta di un lavoro non retribuito, che svolgo circondato da signore molto gentili e carine che mi spiegano cose che so fare perfettamente e che per decenni ho spiegato io ai miei colleghi. Però sto in un ufficio e siedo a una scrivania otto ore al giorno, finalmente, dopo la bellezza di un anno. Ed è un po' come rinascere.

In questo percorso, che mi pare quasi di purificazione, attraverso i corridoi a passo spedito, facendo fotocopie, digitalizzazioni allo scanner, archiviando, controllando che ci sia questo e quello, senza entrare nel merito del lavoro che viene fatto. Un po' come passare da chef a lavapiatti. Il bello è la felicità e la cura con cui lo sto facendo: mi sembra di essere tornato al momento in cui mi sottrassero al mio destino di garzone del fornaro e mi misero a sedere dietro a una scrivania. Imparai ogni virgola del contratto collettivo, della cassa integrazione, delle norme sul collocamento e di tutto quello che era ufficio del personale. Una macchina da guerra, un universo in espansione che poi, per varie coincidenze, ha smesso di espandersi. Oggi sto completando il percorso opposto: chissà che non mi si schiudano di nuovo le porte della panetteria... scherzi a parte, è davvero strano come possa sembrarti, un giorno, una vera manna dal cielo fare qualcosa che non più tardi di un anno fa avresti evitato, preso da incombenze più importanti e complesse. Da presidente a stagista fotocopiatore, è un passo lungo un anno. E il bello è che uno spera che questo periodo possa schiudere nuovi orizzonti, magari sotto forma di contratti a progetto per l'equivalente di quello che si guadagnava 25 anni fa.

Dovrei essere depresso, ma sono abbastanza felice, in questo momento. Ho addirittura scritto un libro... Forse riusciremo a rimetterci in piedi e a recuperare la dignità che solo il lavoro ci può dare, ma i responsabili della crisi hanno distrutto decenni di sacrifici della gente come me. Ho una bella vita, una bella famiglia e almeno per adesso economicamente sono solido. Ma spero qualcuno paghi per quello che ha fatto a noi e a questo Paese sfregiato e irrecuperabile.

Dedico questo pensiero all'amico ZombiWoof, con tanta solidarietà...


Offline chemist

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Re:Lavorare
« Risposta #1 : Sabato 16 Novembre 2013, 01:55:18 »
Bel post Pank.

Nonostante tutto riesci a dare speranza, una luce in fondo al tunnel. Fai capire che si puo' ricominciare e si deve reagire aprendosi al futuro. Io ho cambiato tanti lavori. Per fortuna il mio stipendio non e' sceso (anche se non e' salito) ma spesso la cosa che ti da piu' fastidio e' proprio cio' che hai spiegato. Il fatto di dover fare lavori che hai fatto per anni e che i nuovi colleghi ti guardino un po con diffidenza prendendoti come un novello apprendista.

Coraggio, che le opportunita', se hai occhio per coglierle, spesso sono dietro l'angolo.

Offline The Loner

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Re:Lavorare
« Risposta #2 : Sabato 16 Novembre 2013, 08:59:41 »
Quanto sia difficile ora nel mondo del lavoro, in Italia soprattutto,  non è un segreto ed è una triste realtà con la quale mi confronto spesso, anche se indirettamente. Ho un sacco di nipoti, ormai sopra la trentina, che sono attualmente disoccupati. O che trovano solo queste caxxo di occupazioni per 3 mesi, e poi magari di nuovo 3 mesi, ecc.
Anche per me non fu facile all'inizio, qui a Vienna. Andandomene da Roma non lasciai solo affetti e amici, ma anche un lavoro statale, cosa che mi attirò critiche infinite. A Vienna, per i primi anni ho fatto di tutto, dal cameriere al commesso, riuscendo a sbarcare il lunario solo grazie alla musica (suonavo abbastanza spesso in locali e a feste) e a mia moglie che lavorava. Poi ho trovato il lavoro attuale, ormai da 17 anni, e sovente sono stanco, le mie prestazioni non sono retribuite come dovrebbero, penso che dovrei cercare qualcosa di diverso, di migliorarmi. Ma poi mi siedo, e rifletto sulla situazione attuale e mi reputo un fortunato. Quindi mando giù e vado avanti, anche perchè non sono più un pischello e a 55 anni non è facile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare come feci 23 anni fa.

Bello quello che ha scritto TD. Soprattutto per il messaggio di non perdersi mai d'animo, come ha fatto notare Chemist, di non mollare.
Se l'oscuro corridoio è più lungo, la luce, alla fine, sarà più forte.
In bocca al lupo a tutti.

Offline Frusta

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Re:Lavorare
« Risposta #3 : Sabato 16 Novembre 2013, 12:50:35 »
...
Dedico questo pensiero all'amico ZombiWoof, con tanta solidarietà...

Leggo cose come queste e provo un fustrante (immotivato, lo so, ma non riesco a non provarlo) senso di colpa.
E questo per aver fatto parte, senza meriti, di una generazione che il lavoro se lo è potuto scegliere, che ha potuto cambiarlo con una facilità oggi impensabile proprio in virtù di quel percorso professionale pregresso che ora tu vedi distrutto e che al culmine di una carriera senza intoppi si è vista offrire ponti d'oro per approdare senza problemi ad una assurda pensione anticipata.
I miei colleghi (e coetanei) di Regensburg che sono andati in pensione più o meno quest'anno e che dieci anni fa si chiedevano stupiti come poteva una nazione scialare in quel modo, ora, guardandoci, una risposta se la sono sicuramente data.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Zapruder

Re:Lavorare
« Risposta #4 : Sabato 16 Novembre 2013, 13:18:18 »
Quello che a me dispiace è la colpevolizzazione del lavoratore dipendente: colpevolizzazione che ci autoinfliggiamo volentieri, perché da un certo punto in poi ci è stato insegnato a pensarla così. Il lavoratore dipendente, quello che guadagna più del suo datore di lavoro: e che invece di prendere i forconi e infilzare chi ci sta prendendo per il culo, fra un po' verrà incolpato anche di questo, di essere più ricco di chi lo paga, secondo il fisco.

Mio papà andò in pensione a 57 anni, dopo aver iniziato a lavorare a 13. 44 anni. Di che cosa si vuole incolpare quella generazione? Il sistema pensionistico era pensato per chi iniziava a lavorare presto e che andava in pensione con la prospettiva di campare un'altra decina d'anni, e per una popolazione giovane.

Le riforme sono state necessarie, ma oggi lo Stato usa l'Inps per fare cassa, perché l'Ente è in attivo. E noi usciremo dal mondo del lavoro a 62-67 anni, se va bene. Vi sembra uno scenario auspicabile? Il tempo di andare a casa, mettere in ordine i propri stracci e passare a miglior vita, tra un catetere e un'artrite. Questo è "progresso"? Paghiamo noi, e caro, mentre il divario tra chi lavora e chi fa lavorare è aumentato di dieci volte, a favore degli ultimi, e non è un numero buttato lì, è proprio così.

Forse è ora di smetterla di farsi prendere in giro e rimettere veramente il lavoro al centro di tutto. Il lavoro e la dignità che esso deve garantire, senza deroghe possibili, a chi lo presta, per primo: se poi avanza qualcosa, vada giustamente a chi fa impresa, ai tanti artigiani onesti e laboriosi, all'imprenditore che accetta di andare "pari" in un'annata sfavorevole pur di non mandare per strada tante famiglie.

Offline benvolio

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Re:Lavorare
« Risposta #5 : Sabato 16 Novembre 2013, 16:48:30 »
Il piu' bello dei bellissimi post di TD. Ci scrivo sopra appena posso (soprattutto riferendomi all'ottimo Zapruder). Per ora complimenti e in bocca al lupo.

Offline benvolio

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Re:Lavorare
« Risposta #6 : Sabato 16 Novembre 2013, 20:31:49 »
Credo il più bel topic dei bellissimi topic di Thomas Doll. Sintomatico di un’epoca e di una generazione-
Apprezzo anche tutti gli altri interventi ed in particolare quello di Zapruder. Vorrei aggiungere alle considerazioni già fatte due annotazioni.
La prima è che la distruzione di conoscenze e competenze che innerva la crisi dell’economia occidentale è una dei tanti modi in cui agisce e si manifesta quella che in sociologia viene chiamata  ricomposizione sociale.
Un tempo veniva chiamata  composizione di classe l’insieme delle varie forme di comportamento che intercorrono quando diverse figure di forza lavoro vengono inserite in uno specifico processo di produzione.
Chi usava questa definizione erano i c.d. operaisti dei “Quaderni rossi” che criticavano fortemente l’idea di una “classe operaia” tipicamente definita, una volta per tutte, dalla caratteristica del lavoro salariato.
In altre parole questi autori sostenevano, contro il “vetero” (e aggiungerei  miope) marxismo del PCI e del PSI, che la figura dell’operaio massa avrebbe ben presto lasciato il campo ad un nuovo soggetto, l’operaio o meglio il salariato, post fordista la cui dimensione sociale sarebbe stata interamente determinata dallo sviluppo tecnologico del capitale che ne avrebbe riassunto l’intera sua esistenza, specializzandola e inglobandola in un processo produttivo e consumistico. Era la questione della c.d. autonomia del soggetto; ossia del salariato che essendo parte organica del capitale (o se si preferisce essendo una componente  del capitale organico) avrebbe solo potuto rompere questo rapporto di oppressione o esserne distrutto. La seconda che hai detto … ed eccoci all’oggi.
La crisi dell’economia occidentale e la finanziarizzazione dell’economia  di mercato portano a compimento questa distruzione nella forma  di ricomposizione di classe ossia svalutazione estrema del lavoro, inteso come componente del capitale organico, distruzione delle diverse figure di forza lavoro (leggi mansioni, mestieri), sovvertimento delle politiche distributive un tempo orientate in funzione del consumo (ivi incluso il credito) ed oggi rivisitate in politiche di estrazione di reddito fisso e concentrazione del capitale organico nel settore tecnologico e immateriale (diritti di proprietà intellettuale in primis).
Conseguentemente molto lavoro viene distrutto, molto altro viene relegato al livello di salario di sussistenza e altro ancora viene “ridislocato” geograficamente per sfruttare (in una logica di esclusione/inclusione differita) il ciclo dell’accumulazione. Per essere più semplici: chiudo e licenzio in Italia per aprire e sottopagare in Serbia o Turchia. Con la conseguenza che la brevità del ciclo (indotta dalla necessità a breve del plusvalore finanziario – rendita e dividendi) rende parossistici i tempi della crisi non consentendo, nei fatti, ad alcuna economia di crescere davvero senza droghe o alchimie.
La seconda annotazione che consegue alla prima è che il lavoro per come noi lo abbiamo conosciuto, amato, odiato o anche solo rispettato ed onorato, è in sostanza destinato come il salario a deflettere, subire aggressioni e mutare geneticamente il suo senso.
Noi come generazione del welfare abbiamo, credo un dovere ed è un po’ quello cui accenna Zapruder: testimoniare e difendere il contenuto/contenente  del lavoro, della merce lavoro, ossia  l’essere umano; smascherare il processo cui ho sinteticamente accennato continuando pertinacemente a lavorare e lavorare bene proprio nel momento in cui la disillusione è inevitabile e l’iniquità appare evidente.
Non si tratta di essere di destra o di sinistra, marxisti o liberisti. Si tratta di rifiutare la vulgata sui padri che vivono al di sopra delle proprie possibilità e dei figli che debbono trarre opportunità dalla crisi. Bisogna restituire agli individui un senso, una dignità, ed al lavoro il valore contraddittorio che ha sempre avuto dagli albori dell’umanità, ossia quella di merce particolare “portata” da un essere umana e quindi non assumibile o, peggio riassumibile, quale mera voce di costo di un conto economico.
A Cambridge, non lontano da chemist, un giorno Pietro Sraffa ed altri economisti inglesi tentando una sintesi meno ortodossa e rigida del marxismo parlarono di uno sfruttamento del lavoro che è iscritto nel codice normativo del capitalismo (“normativismo”).
Insomma dappertutto la scienza economica e le scienze sociali lasciano traccia di una contraddizione insista nel rapporto di produzione sottostante all’ordine di mercato capitalistico. Bisogna ricominciare a non fare finta di nulla. Bisogna ripartire dalla considerazione particolare che il lavoro deve avere .

Offline WombyZoof

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Re:Lavorare
« Risposta #7 : Sabato 16 Novembre 2013, 22:24:21 »
ottimo topic e ottimi interventi, mi riprometto un intervento "lungo" e ideologico per approfondire alla luce della mia esperienza alcuni temi esposti da tutti voi. un punto di partenza comunque è la necessità di un ribaltamento radicale  del sistema. noi 50enni  e oltre ormai possiamo solo aggrapparci al primo tronco che galleggia, ma i 20 e 30enni devono svegliarsi.
«Per un centimetro Beppe, per un centimetro»

Offline Ataru

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R: Lavorare
« Risposta #8 : Domenica 17 Novembre 2013, 00:38:54 »
Stavo per aprire un Topic intitolato "competenze tecniche".

Ho praticamente fatto il facchino per tutta la settimana.

Inviato dal mio SM-N9005

osa c'è da psicolo propriono capisco.
qui sono un esempio di civilità e non solo per molti

ThomasDoll

Re:Lavorare
« Risposta #9 : Domenica 17 Novembre 2013, 01:24:46 »
Il problema è complesso. Quando ti buttano fuori dal lavoro, o quando le circostanze ti costringono ad andare a casa, la rabbia non è il sentimento prevalente. C'è la preoccupazione, ma soprattutto il senso di vuoto, che è privato. Intimo. Ti hanno sottratto il tuo ruolo nella società: se sei marito, padre, cittadino, c'è un passo indietro rispetto alle tue prerogative sociali devastante.

Non a caso la psicologa che ha fatto selezione per il corso che sto facendo si è premurata di sondare, con tatto e simpatia, quanto non fossi preda della tipica depressione di chi è costretto a lasciare il proprio ruolo in società per un salto nel buio, senza sapere quando e se arriverà il momento di rientrare in gioco. E non sono convinto affatto di non esserne preda: semplicemente, sono un tipo che sa fare buon viso a cattivo gioco e sa relativizzare le situazioni negative. Ma non sempre. E ho la fortuna di non essere solo, in questa battaglia.

Perdere il lavoro sapendo di non poterlo facilmente ritrovare è annichilente e spinge verso la solitudine, non verso la condivisione che raccontano, per esempio, i film di Ken Loach, che narra storie che servono da esempio e da sprone ma non sono contestualizzabili facilmente da noi. E' tutto vissuto privatamente, è un abbassare gli occhi, un curvare le spalle, un sapere che chi ti sta vicino trepida per te ma non può fare a meno di preoccuparsi per quello che non sei più in grado di rappresentare. La gente ci si rovina la vita, ci muore, ci perde il sonno e l'autostima.

E' difficile passare ai forconi e alla protesta, più facile lasciar andare e rinunciare a esprimere un mandato di rappresentanza a politici che dimostrano tutti i giorni di essere ben lontani non solo dalla soluzione, ma anche dalla semplice comprensione del problema. Il tempo dei forconi arriverà, ma forse a scendere in piazza saranno i ragazzi che vengono espropriati della speranza e del futuro. Li si accusa di non sapersi prendere responsabilità, ma noi li abbiamo esclusi da un sistema che oggi ci sta facendo fuori. Lo difendevamo, tenendoli fuori dalla porta. Potevano aiutarci, invece il sistema che gli abbiamo negato ci sta mangiando, rivelando la pochezza del nostro pensiero, il sentirsi arrivati, il credere di poter insegnare qualcosa a qualcuno.

Abbiamo anche questa colpa sul groppone, ma in realtà siamo stati a nostra volta traditi. Certo, alla luce di quello che sta accadendo, le nostre critiche stridono sempre di più: che diritto abbiamo, dopo aver lasciato che questo Paese diventasse com'è, di accusare i giovani di essere superficiali e pigri? Davanti a prospettive che diventano sempre meno, la maggior parte della gente tenderà a rassegnarsi. I giovani che cercano una prospettiva fuori dall'Italia questo fanno, e non prendono certo scorciatoie. Lasciare il proprio Paese non è facile.

Giglic

Re:Lavorare
« Risposta #10 : Domenica 17 Novembre 2013, 07:13:30 »
Il problema è complesso. Quando ti buttano fuori dal lavoro, o quando le circostanze ti costringono ad andare a casa, la rabbia non è il sentimento prevalente. C'è la preoccupazione, ma soprattutto il senso di vuoto, che è privato. Intimo. Ti hanno sottratto il tuo ruolo nella società: se sei marito, padre, cittadino, c'è un passo indietro rispetto alle tue prerogative sociali devastante.

Non a caso la psicologa che ha fatto selezione per il corso che sto facendo si è premurata di sondare, con tatto e simpatia, quanto non fossi preda della tipica depressione di chi è costretto a lasciare il proprio ruolo in società per un salto nel buio, senza sapere quando e se arriverà il momento di rientrare in gioco. E non sono convinto affatto di non esserne preda: semplicemente, sono un tipo che sa fare buon viso a cattivo gioco e sa relativizzare le situazioni negative. Ma non sempre. E ho la fortuna di non essere solo, in questa battaglia.

Perdere il lavoro sapendo di non poterlo facilmente ritrovare è annichilente e spinge verso la solitudine, non verso la condivisione che raccontano, per esempio, i film di Ken Loach, che narra storie che servono da esempio e da sprone ma non sono contestualizzabili facilmente da noi. E' tutto vissuto privatamente, è un abbassare gli occhi, un curvare le spalle, un sapere che chi ti sta vicino trepida per te ma non può fare a meno di preoccuparsi per quello che non sei più in grado di rappresentare. La gente ci si rovina la vita, ci muore, ci perde il sonno e l'autostima.

E' difficile passare ai forconi e alla protesta, più facile lasciar andare e rinunciare a esprimere un mandato di rappresentanza a politici che dimostrano tutti i giorni di essere ben lontani non solo dalla soluzione, ma anche dalla semplice comprensione del problema. Il tempo dei forconi arriverà, ma forse a scendere in piazza saranno i ragazzi che vengono espropriati della speranza e del futuro. Li si accusa di non sapersi prendere responsabilità, ma noi li abbiamo esclusi da un sistema che oggi ci sta facendo fuori. Lo difendevamo, tenendoli fuori dalla porta. Potevano aiutarci, invece il sistema che gli abbiamo negato ci sta mangiando, rivelando la pochezza del nostro pensiero, il sentirsi arrivati, il credere di poter insegnare qualcosa a qualcuno.

Abbiamo anche questa colpa sul groppone, ma in realtà siamo stati a nostra volta traditi. Certo, alla luce di quello che sta accadendo, le nostre critiche stridono sempre di più: che diritto abbiamo, dopo aver lasciato che questo Paese diventasse com'è, di accusare i giovani di essere superficiali e pigri? Davanti a prospettive che diventano sempre meno, la maggior parte della gente tenderà a rassegnarsi. I giovani che cercano una prospettiva fuori dall'Italia questo fanno, e non prendono certo scorciatoie. Lasciare il proprio Paese non è facile.

La rabbia non è il sentimento prevalente perché non abbiamo più 20 anni, TD. Altrimenti lo sarebbe.
La rabbia non è il sentimento prevalente perché, oltre allo straniamento dovuto al fatto di non lavorare (sai che l'ho provato per un anno), devi stare appresso ad una serie di affetti e di situazioni che non puoi lasciare per una rivoluzione o per espatriare.
Non possiamo (ci ho pensato spesso, in questo periodo, anche considerando il fatto che per lavorare ho dovuto accettare compromessi indecenti) paragonare le nostre esperienze a quelle dei ventenni che si affacciano ora alla vita ed al lavoro: così come non ci siamo (parlo per me, ma bari però per voi è diverso) confrontati, da ventenni, con le esperienze dei nostri genitori. Cambieremo tutto, dicevamo, determinati equilibri sono da rompere, perché il mondo non è così. Il lavoro deve essere non solo un sistema per prendere soldi, ma anche emancipazione. Avevamo ragione, ma con un piccolo guaio: a venti anni non sai se non in maniera "leggera" (nel senso di non emotiva) che cosa sia il lavoro. La stessa cosa che spinge i ventenni a non solidarizzare con noi che siamo passati in un'altra generazione.

E' vero, i nostri genitori avevano situazioni di lavoro meno drammatiche della nostra, è altrettanto vero che il mondo era infinitamente più statico, e che a volerlo dinamicizzare siamo stati noi.

Daje Pank, ce la farai come alla fine ce l'ho fatta io. Perché chi ci crede, alla fine ce la fa. Un abbraccio

Offline benvolio

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Re:Lavorare
« Risposta #11 : Domenica 17 Novembre 2013, 09:58:57 »
L'aspetto psicologico di cui parla Pancrazio e' determinante. Oggi la psicologia del la lavoro e' diventata molto simile a quella inerente alla riduzione del danno nelle tossicodipendenze. Entrambi guardano alla distruzione del sostrato individuale e collettivo, alla incapacita' di immaginare possibilita'. Ma, ancora, entrambi "lavorano" dentro un assioma funzionalista: il recupero individuale non e' prioritario rispetto al sistema. Ha ragione Pank nel dire che i film di Ken Loach rimandano un'immagine nobile certo ma surrettizia se calata in Italia. E' quello che dicevo prima del PCI e del PSI: si e' immaginato il lavoro dentro il percorso "nazionale" (chiamiamolo parlamentare) e la classe operaia come un dato assiomatico. La realta' storicamente mutevole ci ha mostrato (e propinato) contnui cambiamenti e ristrutturazioni capitalistiche e sociali. Non esiste e none' esistito un modo progressivo di capire e tutelare il lavoro ma solo un grande progetto neocorporativo in cui i sindacati hanno fatto da snodo di una crescente incapacita' di lettura dei cambiamenti drammatici e i partiti si sono ben presto adeguati al "cosi' va il mondo".
Ho un amico dalle competenze tecniche e volonta' di acciaio che, a seguito di un licenziamento, dopo due o tre tentativi di reinserimento con esiti ridicoli decise di pagarsi volontariamente i contributi per "traguardare" (ecco il linguaggio soprattutto e' un cesso nel nostro paese) l'etam pensionabile. Aveva versato circa 25 mila euro quando arrivo' la riforma Fornero spostandogli quel traguardo di circa sei/sette anni. Ando' all'iNPS e bellamente gli dissero che i soldi indietro non li riavra' mai. Ora e' chiuso in casa, progetta e realizza di tutto ma non vuole sentir parlare di lavoro. Va avanti col sussidio e lo stipendio della moglie, si em barricato in un rifiuto della societa' e mi preoccupa assai.
I giovani, quello che noi siamo stati, non hanno neanche la base sociale per esprimere una mobilitazione omogenea. I loro percorsi professionali li dividono, attraendoli e respingendoli in esperienze lavorative intermittenti e sottopagate. Non ci credono quando gli diciamo che per qualche anno in Italia gli studenti facevano i picchetti ai cancelli delle fabbriche con gli operai. Che dovevamo fare trenta anno fa? Continuo a ripetermelo e sono sempre piu' dubbioso. Che potevamo fare ora con i giovani? In una conferenza della CGIL una decina di anni fa chiesi se non fosse il caso di promuovere definitivamente una riforma della contrattazione e del welfare, passando tutti al contratto di lavoro a tempo determinato ed irrobustendo fortemente gli ammortizzatori sociali con le economie di sistema che ne potevano derivare. Mi diedero quasi del pazzo. Che potevamo fare da giovani e poi per i giovani?
Forza Pancrazio ce la farai perche' sei duttile e non sei solo. 

ThomasDoll

Re:Lavorare
« Risposta #12 : Domenica 17 Novembre 2013, 11:13:01 »
Ma sì, non vi preoccupate per me, ho un sacco di risorse personali, in qualche modo me la cavo. Ho persino guadagnato 80 euro col libro, ehehe

Offline Sca

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Re:Lavorare
« Risposta #13 : Domenica 17 Novembre 2013, 21:50:50 »
Bellissimo topic.
Spero nei prossimi giorni di tornarci su in modo più "organico".
Mi limito a un paio di pillole.
Sono d'accordo con Zapruder, dovremmo rimettere al centro di tutti i nostri discorsi, economici, sociali, politici, il lavoro.
Problema.
Cosa ne facciamo di un paio di generazioni, tra i 18 e 35 anni, completamente disinnescate? Intendo dire resettate mentalmente o forse, più correttamente, addestrate al precariato? Un paio di generazioni che non conoscono altro lavoro se non quello precario; attenzione, non dico che siano state educate al precariato, dico che sono state insegnate al precariato: sull'educazione si può lavorare, su una formazione cognitiva, partendo dalla tabula rasa, è molto più difficile. Hanno appreso il precariato come un linguaggio naturale. Per loro il lavoro precario coincide con le aree cerebrali che si attivano in relazione al concetto più esteso di lavoro...
Seconda considerazione.
Quanto si è compreso che il vero problema, presente e sempre più futuro, è e sarà il ricollocamento degli over 40 espulsi dal mercato del lavoro?
Un giovane disoccupato è una sconfitta, un over 40 bruciato e non ricollocato è una tragedia.
--> Auditorium --> Zoo

ThomasDoll

Re:Lavorare
« Risposta #14 : Domenica 17 Novembre 2013, 22:32:27 »
 un over 40 bruciato e non ricollocato è una tragedia.

Non solo è una tragedia, è la prova vivente di un inganno.
Ci hanno insegnato che a metterci al riparo dalla disoccupazione e dall'emarginazione sociale sarebbe stato lo studio e l'acquisizione di capacità lavorative che ci avrebbero reso forti, capaci di stare nel mercato, appetibili per le aziende.

Non era vero.

Si sono prodotte condizioni che hanno schiodato queste convinzioni nel giro di poco tempo. Ma le avevamo accettate per buone, ce le avevano spiegate così e per tanti anni avevano funzionato. Che cosa ha fatto cambiare tutto? Cosa ha fatto sì che tutto il lavoro fatto per salire la scala della mobilità sociale sia diventato in un attimo completamente inservibile e inutile?

Oggi un over 50 iperqualificato è più fuori mercato di un manovale. A che è servito tutto questo lavoro, questo sudore, queste migliaia di parole inutili? Ah, saperlo. Siamo troppi, in questa condizione, e molti di noi valgono tanto. Ce ne sono almeno tre, in questo topic, che sguazzano in questa merda, ed è gente di altissima qualità. Li conosco, conosco me stesso, ho visto all'opera centinaia di persone.

Non siamo noi ad aver sbagliato.

Siamo stati traditi, come cittadini. Abbiamo creduto a cose che non erano vere, ci hanno cambiato le carte in tavola, abbiamo aderito a modelli che qui da noi non sono efficaci, insomma qualche trucco sotto c'è, ci hanno fregato.
Quello che viene fuori è che non conta come sei, semmai può contare chi conosci e quanta fortuna hai a rimanere aggrappato a qualche relitto che ancora naviga. Un pezzo di pubblica amministrazione, finché si potrà, e poco altro. 

Offline Frusta

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Re:Lavorare
« Risposta #15 : Domenica 17 Novembre 2013, 23:11:22 »
Non siamo noi ad aver sbagliato.

Abbiamo sbagliato anche noi, e lo sbaglio è consistito nel considerare le posizioni politiche come quelle religiose, e ad aderirvi per dogma. (E' successo fino a poco prima delle elezioni scorse, e ci sono qui ancora i vecchi post che possiamo andare a rileggere)

(...)Siamo stati traditi, come cittadini. Abbiamo creduto a cose che non erano vere, ci hanno cambiato le carte in tavola, abbiamo aderito a modelli che qui da noi non sono efficaci, insomma qualche trucco sotto c'è, ci hanno fregato(...)

Vero, ed hai fatto bene a tornare coi piedi per terra perché se su questi discorsi cominciamo a volare troppo in alto rischiamo di perdere il contatto con la realtà, e personalmente mi riferisco alla realtà che avevo sotto gli occhi durante gli ultimi anni della mia vita lavorativa, che coincide più o meno con l'origine della crisi attuale.
Qui ho letto, giustissimamente, di "svalutazione del lavoro" o di "colpevolizzazione  del lavoratore dipendente", cose che in quel periodo non si potevano nemmeno nominare senza sentirsi dare del fascista nel mogliore dei casi o del leghista nel peggiore
E sul pulpito, come al solito c'era quella carta da cesso di Repubblica, di cui fra qualche rigo riporterò un paio di link.
Prima però vorrei fare una premessa partendo dalla riforma Treu. Che arriva in un periodo in cui non ci sono problemi per l'industria ad avere manodopera per brevi periodi. Parlo sapendo quello che dico perché curavo per la mia azienda i rapporti con le ditte esterne ed avevo sotto gli occhi le loro assunzioni stagionali per l'aumento di lavoro esterno dovuto alle manutenzioni estive. Anzi, in settori particolari come gli zuccherifici o le fabbriche di gelati, l'assunzione di lavoratori stagionali per i picchi di produzione relativi a determinati periodi era la norma.
Era quindi evidente che  i co.co.co ed i precari NON erano una necessità creata per affrontare particolari esigenze, dato che per questo esisteva già il contratto di lavoro stagionale.  Agricoltura, industria alimentare (che dipende dai raccolti) e quindi industria in generale, artigianato, commercio e turismo avevano TUTTI fior di tipologie contrattuali per avere degli stagionali.
Quindi, a voler chiamare le cose col loro nome, più che una riforma, di trattava di una autentica, evidente e conclamata truffa. Una aberrazione che è servita soprattutto a distruggere il lavoro femminile e a spingere gli studenti che si erano fermati al diploma verso competizioni impossibili per posti di lavoro precedentemente riservati ai "periti" e che ora richiedevano la laurea come corso di istruzione. E che è servita a distruggere le piccole e medie imprese, sottraendo loro quelli che prima erano i periti industriali, la loro forza maggiore.
Una truffa che era sotto gli occhi di tutti, ma guai a farla notare, e chi lo faceva si beccava del fascista ogni volta che osava aprire bocca. Perché nel sinedrio benpensante rappresentato dalla sinistra italiana di allora (a quei tempi pensavo che fosse difficile per la sinistra italiana diventare in futuro peggiore di quello che era, ma mi sbagliavo, evidentemente) era tutta una gara ad essere moderni, e, perduto il paradiso sovietico come faro, erano diventati tutti ammerakani.
Persino più degli ex democristiani, che pur essendo "atlantici" certe americanate le vedevano con molta più perplessità. Infatti al precariato si opposero più le ACLI che la trimurti sindacale. E questo perché a beccarsi l'accusa di veterosindacalimo non ci voleva niente, e poi c'era Treu a fare la riforma, figuriamoci se non eri come minimo un conservatore ottuso e fuori dai tempi  o tout court un fascista se ti azzardavi ad essere contrario.
E infatti ecco cosa diceva all'epoca il foglio da cesso di cui sopra:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/06/05/ho-cambiato-il-lavoro-piu-facile.html
 "E' più FACILE trovare un posto!!!!!!!".

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/04/13/cura-urto-del-governo-per-sud.html
"Cura d'urto per il SUD!" (e ti beccavi dei leghista se non eri d'accordo)

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/07/18/arriva-il-pacchetto-occupazione.html
Lo chiamavano "PACCHETTO OCCUPAZIONE!"

Avete idea, dopo titoli del genere, che impresa impossibile era affrontare l'argomento del precariato con il PDino (diessino, o ulivino, o margheritino, ormai ho perso il conto dei modi in cui si sono chiamati) di allora?
Eppure era evidente che, tolte le tutele di legge, per una co.co.co un periodo di gravidanza ed allattamento sarebbe stato mortale dal punto di vista lavorativo. Ma D'Alema aveva definito la riforma "moderna e al passo coi tempi", e beh, allora, se una cosa è di moda come si fa a non seguirla con gli occhi bendati?
Stesso discorso per le privatizzazioni.
Certo, ora vediamo che il lavoro sparisce un giorno si e l’altro pure, che la disoccupazione aumenta, e giustamente ce ne lamentiamo, ma perché non dare un' occhiata alla desertificazione industriale che quelle privatizzazioni hanno causato?
Telecom Italia, da quinto Tier-1 mondiale  è diventata una aziendarella di provincia.
Alfa Romeo è  diventata FIAT per "ragioni di efficienza" (senza che a nessuno venisse in mente che se il problema era l'efficienza, la FIAT era l'ultimo nome da prendere in considerazione) mentre sarebbe stato molto più sensato vendere alla Ford, e stendiamo un velo pietoso sulle rimanenti.
Ma se provavi a dire che le aziende statali andavano rimesse in efficienza e non svendute ad amici degli amici, ti davano del sovietico e del  veterocomunista.  E il bello è che a darti del veterocomunista era proprio chi si definiva "di sinistra". Si vergognavano così tanto di essere stati comunisti che erano diventati più ammerekani degli americani, più capitalisti dei capitalisti e più liberisti dei liberisti.
E, attenzione, non sto parlando né di complotti né di strategie premeditate e subdolamente attuate per ammazzare il lavoro; si è trattato di scelte scellerate sì, ma fatte alla luce del sole e  a cui la base (la famosa base a cui hanno fatto perfino credere che potesse contare qualcosa) aderiva perché in Italia le posizioni politiche sono come la religione: vi si aderisce per dogma.
E dato che mi ci trovo ci aggiungo pure che la stessa cosa  vale pure per le riforme scolastiche e per il blocco delle assunzioni. O vi risulta che ci fosse un problema scuola in Italia? In quel periodo i laureati italiani se li contendevano da tutte le parti. Un laureato italiano scriveva, come tesi, un lavoro paragonabile ai PhD americani. Un perito e/o un diplomato italiano aveva la cultura di base di un Bachelor americano o inglese, che motivo c'era di mettere mani alla scuola? Eppure, stupidissimamente, lo si è fatto, e a quattro mani, per giunta, e così la Berlinguer-Moratti ha prodotto la carne da macello ideale: una torma di ciuchi deresponsabilizzati dai nuovi sistemi di valutazione,  con cui invadere il mercato.
Felice la Confindustria, a cui ha fatto sempre comodo la folla di disoccupati pronti ad accettare qualsiasi condizione davanti alla porta,  e felici le nuove agenzie di lavoro interinale che finalmente non dovevano più trovarsi solo “pattume” (formato da ex drogati o ex carcerati o ex qualsiasi cosa vi venga in mente) da recuperare.
Ora per quale motivo una nazione, che pure nel trentennio precedente si era emancipata, abbia accettato l’idea che per produrre più laureati se ne dovesse abbassare la qualità non l’ho mai capito, ma soprattutto mi rimane difficile da capire come mai agli ideatori di quella genialata non fosse passato per la testa che si stavano dando la zappa sui piedi. A meno che l’intenzione non fosse quella di distruggere quel poco di buono che avevamo, in quel caso, complimenti, ci si è riusciti benissimo. 
Certo, la crisi non è solo figlia delle quattro cose che ho detto, c’è stata la delocalizzazione a portare il lavoro altrove, c’è stata con l’Europa la rinuncia all’autodeterminazione ed alla sovranità monetaria e tutto quello che volete, ma alzi la mano chi di voi cambierebbe il proprio diploma o la propria laurea (che sul mercato del lavoro valgono come i pezzi di carta che vengono dispensati adesso) con i pezzi di carta che vengono dispensati adesso.
Comunque un fatto è certo: il lavoro non c’è più, e qualsiasi fosse la strategia per sostenerlo è fallita.
E il bello è che sono fallite pure le speranze di chi pensava che le pecorelle deluse sarebbero tornate al vecchio ovile, nel  senso che  l’arco di tempo in cui sono accadute queste cose, anche se compreso in pochi anni, è stato troppo ampio per la velocità con cui si corre adesso.
Per dire:  i sindacati pensavano che i precari sarebbero tornati a farsi “difendere” da loro, ma poi è arrivata la Lega e glieli ha sfilati da sotto al naso, Il PD si era illuso che masse di poveracci sarebbero tornate in sezione a sognare una società giusta, ma poi è arrivato Grillo, in Confindustria si erano illusi che i giovani laureati col vecchio ordinamento sarebbero rimasti a fare la fila di fronte alle aziendine italiane, invece arriva Schengen e se ne vanno dal paese lasciando qui solo i laureati finti che all’estero non vuole nessuno, e così via…
Insomma, bel colpo: un ventennio di impegno per scontentare tutti.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

ThomasDoll

Re:Lavorare
« Risposta #16 : Domenica 17 Novembre 2013, 23:17:33 »
Abbiamo maledetto il pacchetto Treu tante di quelle volte che fai prima a contare le stelle. Non serviva niente, il collocamento era già riformato, ma bisognava favorire le aziende. Quante delle PMI seppellite hanno salutato come cuccagna la possibilità di affidarsi a precari, in culo ai lavoratori garantiti? Quante aziende si sono infilate nelle maglie larghe della legge, per giovarsi di parasubordinati a basso costo e basse garanzie anche quando non era possibile, in base alle prescrizioni di legge? Risposta: tutte. Il disegno era solo uno: svellere le garanzie sociali. Non si poteva farlo apertamente, metodo Thatcher, lo si è fatto con gli infingimenti e i sotterfugi, metodo italiano. Facendo finta che la bassa competitività dipendesse sempre e solo da un fattore: il costo del lavoro. Nessuno è innocente. Non i politici, ma nemmeno le imprese, no di certo. E nemmeno i cittadini.

Offline Frusta

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Re:Lavorare
« Risposta #17 : Domenica 17 Novembre 2013, 23:34:04 »
TD, il discorso è vecchio. Treu è stato maledetto tutte le volte che dici tu ma non quando ci propinava il suo pacchetto. Ed infatti ti ho linkato l'organo più diffuso della sinistra italiana che ne tesseva le lodi. Ed a quei tempi guai a contraddirlo. Ora ci appare evidente evidente che alcune lobbies si sono organizzate per ottenere ciò che volevano, ma pure allora la gente aveva sotto gli occhi quello che stava succedendo, solo che non vedeva, o non voleva vedere, scegli tu.
E dato che quelle lobbies erano sostenute in maniera trasversale, votare a destra o a sinistra significava appoggiarle comunque.
Poi c'era chi lo vedeva e chi no, ma è un discorso vecchio pure questo. E diventato addirittura inutile in poco meno di un anno.
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ThomasDoll

Re:Lavorare
« Risposta #18 : Domenica 17 Novembre 2013, 23:48:00 »
Aspè, Treu l'abbiamo maledetto noi, loro ce lo volevano far passare come la panacea. Per poi far finta che la panacea vera fosse la Legge Biagi... troppe n'hanno sparate, di fregnacce. E' anche vero che per criticare una cosa dirompente come il pacchetto Treu bisognava capirci qualcosa di lavoro e normative annesse. L'interinale è stato devastante, per come è stato concepito. Il collocamento bypassato e scardinato, passando dall'abolizione del divieto di interposizione nel mercato del lavoro. Si sono create figure istituzionali analoghe al caporalato. Per esempio, se tutti i contratti collettivi prevedono un periodo di prova, durante il quale chi vuole accanna la controparte senza motivazione né preavviso, mi sai dire come mai la prassi prevalente nelle agenzie è di proporre un contrato a tempo determinato di 3-6-12 mesi finalizzato a un'eventuale assunzione? Una volta era vietato praticare condizioni inferiori a quelle minime previste dai contratti, è singolare che a smontare questo stato di cose siano stati organismi accreditati da una riforma partorita dalla (pseudo)sinistra. Aberrante, no? Incapacità o malafede?

Offline benvolio

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Re:Lavorare
« Risposta #19 : Lunedì 18 Novembre 2013, 00:48:55 »
Niente di quello che è accaduto nel campo del diritto del lavoro è causale o dovuto a contingenze. Il disegno integrato alle peggiori privatizzazioni della storia economica occidentale era quello di rendere il costo del lavoro una variabile dipendente e disponibile. Ripeto però che l'analisi andrebbe spostata dentro i rapporti di produzione. Noi pensiamo di assistere alle nefandezze di una classe politica insipiente, di un sindacato neocorporativo, di una classe imprenditoriale meschina predatoria. In realtà assistiamo allo sviluppo di forme storiche di un problema intrinseco al capitalismo. Se c'è un merito nel marxismo, che ha tantissime colpe, è quello di aver insegnato che bisogna studiare le forme determinate e storiche avendo a riferimento i concetti (o forme astratte). Non capisco perché dopo aver giustamente sepolto il comunismo nella fossa della storia non accettiamo di mettere ora sotto la lente il capitalismo o almeno questo capitalismo. Il lavoro è lì da sempre incastrato in un rapporto di inferiorità col capitale.