Ci sono giocatori che incarnano come nessun altro una particolare dote: Maradona la genialità; Zico la tecnica pura; Van Basten l'eleganza; Di Stefano la completezza di repertorio; Cruijff l'unicità.
Sì perché, anche dimenticando per un attimo quanto ha rappresentato fuori dal campo, credo non sia mai esistito un giocatore così refrattario all'inserimento in categorie.
Era lui, prendere o lasciare.
E, pur non avendo ricordi personali per motivi anagrafici, prendo decisamente assegnandogli un 10 a fianco degli Immortali.
Voto da condividere con quell'Olanda, in assoluto la squadra alle cui gesta avrei voluto assistere di persona e allo stadio.
Più ancora del Brasile di Pelé, perché solo dal vivo e con piena visuale credo si potessero apprezzare i frenetici movimenti del calcio totale.
Sopravvalutatissimo, invece, come allenatore.
Per lui vale una serata di calcio fra le più belle che io ricordi: quel 4-0 di Atene e quel Milan, pieno di assenze illustri e guidato da un Savićević sovrumano, che giustiziò la sua sbruffoneria da pugile suonato con un'epocale lezione di sport.
Idolo incontrastato - insieme al profeta del Nacional de Medellín, Francisco Maturana - dei sacchiani con la puzza sotto il naso, ha in curriculum la prima CL vinta dai blaugrana.
In confronto al sé stesso giocatore, e al solco che ha tracciato fra un prima e un dopo, da tecnico rimane comunque una minima di cronaca.
Nel quadro non possono mancare la spocchia e la sufficienza con cui parla di calcio ogni qual volta viene chiamato in causa.
Forse certi difetti li aveva anche da giocatore: ma lì, sostenuti da quel talento, diventavano qualità.