Autore Topic: Il Papa Re... Addio Luigi Magni  (Letto 5796 volte)

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Online giamma

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #20 : Martedì 29 Ottobre 2013, 16:11:44 »
romano e romanista anche lui?
Si ma nel senso vero dell'aggettivo, romanista cioè studioso della storia di Roma, se poi lo fosse anche calcisticamente non so "State buoni ...se potete" era proprio dell'anno dello scudetto (83) e non l'ho mai sentito parlarne, mi risulta poi che nel 2001  si sia molto e pubblicamente lamentato dei festeggiamenti delle merde, lui abitava a due passi da p.za del Popolo.
Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe. (C. H. Spurgeon)

Offline cuchillo

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #21 : Martedì 29 Ottobre 2013, 16:49:20 »
mi risulta poi che nel 2001  si sia molto e pubblicamente lamentato dei festeggiamenti delle merde, lui abitava a due passi da p.za del Popolo.

Vero, che m'hai ricordato...!
Credo, ma davvero a sensazione, che di calcio non gliene sbattesse nulla.
Di sicuro, non l'ho mai sentito parlare di calcio, eppure di apparazioni televisive ne ha fatte tante.
Invidio tanto Massaccesi. Ossia Jooooooe D'Amato.

Offline Reflexblue

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #22 : Martedì 29 Ottobre 2013, 17:09:00 »
Vero, che m'hai ricordato...!
Credo, ma davvero a sensazione, che di calcio non gliene sbattesse nulla.
Di sicuro, non l'ho mai sentito parlare di calcio, eppure di apparazioni televisive ne ha fatte tante.

Confermo, l'ha dichiarato in un'intervista di qualche anno fa. Ovviamente la domanda era finalizzata al suo reclutamento tra le fila giallorosse.

Offline Clazia

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #23 : Martedì 29 Ottobre 2013, 17:28:10 »

Domanda per te (e per chiunque voglia rispondere): se Mazzini fosse nato una generazione prima (quella dei Verri, dei Beccaria, etc.) secondo voi sarebbe cambiato qualcosa? Intendo: con un Regno di Savoia debole, e prima che il socialismo rendesse "superata" filosoficamente l'istanza indipendentista (contavano le classi, non la nazionalità: Marx purtroppo ha tolto, e tanto, a Mazzini) poteva avere successo un tentativo di indipendenza Popolare? Io ho una mia idea, ma non mi voglio rispondere addosso  :)

No Giglic caro, non va bene, non si fa così; nelle tue amabili incursioni a casa di Clazia devi aver trovato la sua, cioè mia, sto diventando schizoide ma fino ad un certo punto, tesina della maturità, lustri tanti orsono - e che sia chiaro, il primo che si azzarda a parlare di protozoico si cucca un pernacchione -.
Detta tesina si "intitolava" una cosa tipo  "La questione sociale per Mazzini, Marx e Bakunin".

Ero pischella e, com'era quasi fisiologico per l'epoca, assolutamente innamorata di Bakunin. Il gran rimpianto che usciva fuori quale conclusione dalla tesina era proprio che Mazzini - che pure amavo alla follia per certi aspetti - forse perchè ormai un po' troppo anziano, non avesse avuto la capacità di intuire quanto il pensiero di Bakunin avrebbe potuto aiutarlo nell'ulteriore sviluppo di certi concetti.
Se non ricordo male Marx me lo "spicciai" in poche pagine. Lo trovavo noioso e ridondante, come si usa dire oggi.

La tragedia fu che il membro della commissione che mi interrogò in filosofia - e che in teoria avrebbe dovuto correttamente valutare la tesina in questione - era una professoressa, esterna, anzianotta, a quanto si diceva l'allieva prediletta di Gentile.
Ed all'esame orale io che cercavo di parlare della mia tesina e lei che mi chiedeva di chiunque altro... e siccome sapevo comunque qualcosa su chiunque, perchè la materia mi piaceva e la conoscevo, alla fine... Darwin, perfino su Darwin mi fece domande, ansai che filosofo famoso era Darwin.

L'esame, comunque, lo superai, non con i voti che sarebbe stato lecito attendersi - ero una bravina-nonsecchiona -.
Poi dice che uno il cd esame di stato se lo continua a rivivere per tutta la vita.

Scusate la digressione personale, in effetti era una specie di OT.

P.S.: c'è un ritratto di Mazzini morente di uno dei Macchiaioli che commuove e coinvolge da morire. Come ho un attimo lo trovo.
Se volevo sentimme tranquilla mica che nascevo Laziale.

Take a sad song and make it better.

Giglic

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #24 : Martedì 29 Ottobre 2013, 18:30:37 »
Sorellina, mi dai ragione: MAzzini era "inidetro" rispetto a MArx (e a Bakunin, ma qui il discorso si complica: si rivolgevano alle stesse "masse", ma dando risposte diverse). Il punto è che se Mazzini si fosse rivolto alle masse PRIMA di Marx (e Bakunin è un suo figlio, seppur "degenere" nel senso letterale del termine), avrebbe avuto quel consenso che ebbe in Inghilterra (che infatti Marx non aveva ancora colonizzato, stiamo parlando del periodo 1830-1850). Mentre la predicazione di Mazzini sull'indipendenza, quando era già attivo il concetto di Bakunin di anarchia (che rigettava l'indipendenza in quanto borghese) era purtroppo "outdated".

E poi, a casa tua bevo e vedo la Lazio, non vedo tesine  ;D

Offline Clazia

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #25 : Martedì 29 Ottobre 2013, 19:09:58 »
Sorellina, mi dai ragione: MAzzini era "inidetro" rispetto a MArx (e a Bakunin, ma qui il discorso si complica: si rivolgevano alle stesse "masse", ma dando risposte diverse). Il punto è che se Mazzini si fosse rivolto alle masse PRIMA di Marx (e Bakunin è un suo figlio, seppur "degenere" nel senso letterale del termine), avrebbe avuto quel consenso che ebbe in Inghilterra (che infatti Marx non aveva ancora colonizzato, stiamo parlando del periodo 1830-1850). Mentre la predicazione di Mazzini sull'indipendenza, quando era già attivo il concetto di Bakunin di anarchia (che rigettava l'indipendenza in quanto borghese) era purtroppo "outdated".

E poi, a casa tua bevo e vedo la Lazio, non vedo tesine  ;D

certo che sì. Anzi, a dirla tutta, sei tu che dai ragione alla mia tesina di lustri fa.  ;)


P.S.: c'è un ritratto di Mazzini morente di uno dei Macchiaioli che commuove e coinvolge da morire. Come ho un attimo lo trovo.

parlavo di questo, Silvestro Lega:

Se volevo sentimme tranquilla mica che nascevo Laziale.

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Boks XV

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #26 : Martedì 29 Ottobre 2013, 19:23:55 »
bene, allora mi dispiace che sia morto.

Offline Clazia

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #27 : Martedì 29 Ottobre 2013, 19:34:13 »
bene, allora mi dispiace che sia morto.

? - nel senso di: mi fai capire? Grazie sin da ora.

P.s.: che belli sti topics che ogni tanto ci fanno tornare a ragionare e ricordare. Hanno la parvenza di sembrare utili, ancora non sono certa per che cosa, ma la parvenza c'è.
Se volevo sentimme tranquilla mica che nascevo Laziale.

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Offline Frusta

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #28 : Martedì 29 Ottobre 2013, 19:45:42 »
il sud, Frusta caro, non fu ammazzato.
Il sud fu ammazzato in mille modi. I lager, le rappresaglie, le spoliazioni, le deportazioni (ah, certo poi si è fatto a gara a definire una bufala Fenestrelle..!) paesi interi cancellati, l'orrore della presa di Gaeta... I nazisti non si vantassero di niente che su certi orrori sono arrivati secondi.

A quello ci hanno spesso pensato i meridionali stessi, ...

All'inizio padroni e cafoni videro nei piemontesi un nemico comune, ed i primi costituirono i comitati borbonici aizzando i secondi alla rivolta.
Poi, appena fu chiaro chi sarebbe stato il vincitore, furono i cafoni a diventare il nemico comine di padroni e piemontesi. I "cappelli" divennero unitaristi e liberali mentre i briganti e la loro gente defunti o carcerati. L'Italia era fatta.
Ricorderai sicuramente Verga: "Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! -"

Insomma, Un'idea popolare di unificazione c'era...
C'era un'idea di unificazione, e sicuramente anche popolare, ma da Roma in su; al di sotto del Garigliano al popolo non gli passava manco p' acàpa.


...ma il risorgimento fu realizzato tramite conquista. Se è vero che era l'unico modo possibile, è altrettanto vero che è l'origine di tutte le nostre tare come "cives"
Vero.
E ci aggiungerei pure quello che hanno sempre sostenuto i meridionalisti: la questione meridionale è nata con l'unità d'Italia.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Sanfatucchio

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #29 : Martedì 29 Ottobre 2013, 19:59:29 »
Magni mi è sempre stato simpatico con la sua romanità e mi piaceva molto come raccontava le storie

Giglic

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #30 : Martedì 29 Ottobre 2013, 20:20:53 »
Il sud fu ammazzato in mille modi. I lager, le rappresaglie, le spoliazioni, le deportazioni (ah, certo poi si è fatto a gara a definire una bufala Fenestrelle..!) paesi interi cancellati, l'orrore della presa di Gaeta... I nazisti non si vantassero di niente che su certi orrori sono arrivati secondi.
 
All'inizio padroni e cafoni videro nei piemontesi un nemico comune, ed i primi costituirono i comitati borbonici aizzando i secondi alla rivolta.
Poi, appena fu chiaro chi sarebbe stato il vincitore, furono i cafoni a diventare il nemico comine di padroni e piemontesi. I "cappelli" divennero unitaristi e liberali mentre i briganti e la loro gente defunti o carcerati. L'Italia era fatta.
Ricorderai sicuramente Verga: "Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! -"
C'era un'idea di unificazione, e sicuramente anche popolare, ma da Roma in su; al di sotto del Garigliano al popolo non gli passava manco p' acàpa.

Vero.
E ci aggiungerei pure quello che hanno sempre sostenuto i meridionalisti: la questione meridionale è nata con l'unità d'Italia.

Vedi, non ho intenzione di controbattere, perché non ho intenzione di convincerti. I fatti sono li (tu citi la vergogna di Gaeta: sai che fu il prezzo che franceschiello trattò per raggiungere salvo Roma IL GIORNO PRIMA con quell'altro gran Fetentone di Cialdini? Sai che l'amato regime Borbonico aveva fatto, nel '49 a Messina, quello che Cialdini fece a Gaeta, ma in maniera molto più crudele? Si, lo sai, ma non lo citi non per malafede, ma perché la tua visione della faccenda ti fa oscurare alcuni fatti e risaltarne altri. Non è disonestà intellettuale, è solo prendere "parte in commedia", se mi spiego), sta a noi intepretarli. Il sud non fu ammazzato dai Savoia. Il sud era già morto prima. Soffocato da un inesistente sviluppo sociale ed economico, che al di là di alcune eccezioni (sbandierate ai 4 venti dai "meridionalisti de sta ceppa", leggiamo invece quelli veri, come Fortunato, Tomasi di Lampedusa e Salvemini. Sturzo che era del Sud ma non meridionalista, la ricetta l'aveva: ma cozzava con Giolitti prima, e con la DC poi...) era congelato in un rapporto sociale di caste che proibivano qualsiasi sviluppo. L'esempio delle miniere di zolfo date in appalto agli inglesi, che trattavano come trattavano i carusi che si autoseppellivano in quei cunicoli, credo sia lampante. Il disprezzo per la propria terra, il meridione ce l'ha da ben prima dei Savoia, per me.

Sulla maniera in cui il Piemonte trattò il meridione c'è poco da dire. Ti ho citato prima la legge federale Minghetti-Farini. Sarebbe stata geniale. Non aveva senso, infatti, inserire di forza concetti di civismo complessi come il servizio militare e la scuola dell'obbligo (per non parlare delle tasse! devi prima far capire che le tasse servono a costruire, altrimenti sono balzelli, che si sostituiscono semplicemente a quelli che i signori borbonici mettevano) è stato deleterio. Tanto più con un clero che sobillava contro i massoni. (Tu, anticlericale, questa storia la dovresti conoscere bene...)

Al di sotto del garigliano (ma direi passata Terracina) l'unificazione non passava perché ne mancavano i prerequisiti essenziali, amico mio: l'istruzione: ecco il crimine peggiore del meridione dei Borboni, crimine che purtroppo ha preso piede oramai su tutta la penisola.

Infine, sulla questione meridionale. Fortunato fu lucido e spietato nella sua analisi, ma soluzioni non ne offriva. Il primo ad offrirne fu, a metà degli anni '80 del XIX secolo, Jacini (un settentrionale) che capì benissimo cosa andava fatto: un protezionismo limitato avrebbe favorito l'accumulo di capitali necessari a far decollare il sud. Accumulo che si sarebbe creato perché quel pezzo di paese era essenzialmente latifondista. Ma l'accumulo creato dal protezionismo (e che fece decollare il centro nord: ne usufruirono Schio con la lanerossi, Terni con le acciaierie, Genova con l'Ansando, per dire solo i più importanti) al meriodine fu usato dai notabili solo per rafforzare il proprio predominio: Jacini aveva la soluzione giusta, ma applicata nel modo sbagliato. E veniamo a Giolitti, che per far crescere l'Italia nel suo complesso sfruttò le consorterie meridionali per stabilizzare il suo potere e fare la sua politica (che io ritengo anche ottima, per l'Italia dell'epoca, ma questo è un altro discorso) LA vera distinzione Nord Sud comincia da qui. Sturzo e Salvemini detestavano Giolitti per questo, e non avevano torto; ma anche loro, come tutti noi, esaltiamo solo quello che ci da ragione ed istintivamente nascondiamo quello che ci da torto. Gramsci in un articolo sulla Rivoluzione Liberale di Gobetti (e questo la dice lunga su Gramsci...) diceva che mentre il concetto di rivoluzione e di lotta di classe al nord era superato, in quanto la massa operaia e contadina aveva acquisito stabilmente la coscienza della forza del proprio ruolo, e quindi avrebbe contribuito ad un superamento dolce del capitalismo ("Noi non dobbiamo avversare, ma essere grati al signor Agnelli che raggruppando gli operai nella fabbrica gli fa prendere sempre più coscienza del proprio ruolo", scriveva), al sud era invece necessaria, in quanto non era possibile creare la coscienza di classe in un popolo che ancora non era popolo ma suddito.

In conclusione e per non fare un altro trattato di storia: il Sud fu sfruttato, è vero. Ma ha fatto poco per emanciparsi dal suo stesso stato.

Ovviamente secondo me.

Offline Frusta

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #31 : Martedì 29 Ottobre 2013, 21:21:23 »
Il discorso è interessante, e sicuramente è impossibile approfondirlo qui seguendo ognuno dei i mille rivoli in cui ii tuo intervento lo sta giustamente scomponendo.
Dovessimo metterci a parlare dell'insurrezione siciliana del 48, o dell'analfabetismo nel regno dei Borbone (a proposito, perché dovrei "amarlo"?) o dell'intera questione meridionale dovremmo parlare solo di quello e ne parleremmo in eterno. E soprattutto, per farlo, dovremmo immergerci nel clima dell'epoca (quello dei "miserabili" di Hugo in Francia ed quello del dickensiano David Copperfield in Inghilterra) e poi guardarlo con gli occhi di adesso.
Ti riporto qui un articolo di Chiellino sul Sole24ore di non troppo tempo fa.
Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.

Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.

Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.

La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.

Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla.

Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

Per dirti da quali tasche è uscita l'unità d'Italia.
Poi possiamo pure parlare del mezzogiorno (e qui da Salvemini  a Guido Dorso fino a Gramsci possiamo interrogare tutti) e magari pure chiederci perché l'emigrazione degli abitanti del sud dell'Italia è iniziata curiosamente proprio con la nascita della medesima.





Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #32 : Martedì 29 Ottobre 2013, 21:32:55 »
Poi dice che uno il cd esame di stato se lo continua a rivivere per tutta la vita.
E parli tu che sei mooolto più giovane di me e che grazie a Misasi te la sei cavata con appena due o tre giorni di stress ;)
Pensa a me o a Bob Lovati o ad Andujo (Giamma no, perché è di 2 anni più giuovine) che ci è toccato ciucciasse la maturità pre-Misasi, quella della riforma Gentile: un incubo che durava quasi tutto il mese di luglio e che spesso si protraeva fino a settembre.
Io sono stato fra i pochi fortunati promossi alla prima botta. Media del sei e mezzo eh, niente di che, ma erano tempi quelli in cui il 6 era considerato "grasso che cola"  :D
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Giglic

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #33 : Martedì 29 Ottobre 2013, 21:55:41 »
Il discorso è interessante, e sicuramente è impossibile approfondirlo qui seguendo ognuno dei i mille rivoli in cui ii tuo intervento lo sta giustamente scomponendo.
Dovessimo metterci a parlare dell'insurrezione siciliana del 48, o dell'analfabetismo nel regno dei Borbone (a proposito, perché dovrei "amarlo"?) o dell'intera questione meridionale dovremmo parlare solo di quello e ne parleremmo in eterno. E soprattutto, per farlo, dovremmo immergerci nel clima dell'epoca (quello dei "miserabili" di Hugo in Francia ed quello del dickensiano David Copperfield in Inghilterra) e poi guardarlo con gli occhi di adesso.
Ti riporto qui un articolo di Chiellino sul Sole24ore di non troppo tempo fa.
Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.

Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.

Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.

La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.

Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla.

Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

Per dirti da quali tasche è uscita l'unità d'Italia.
Poi possiamo pure parlare del mezzogiorno (e qui da Salvemini  a Guido Dorso fino a Gramsci possiamo interrogare tutti) e magari pure chiederci perché l'emigrazione degli abitanti del sud dell'Italia è iniziata curiosamente proprio con la nascita della medesima.

Vedi, Frusta, quando parli tu leggo con interesse, quando scrivono i "meridionalisti de sta ceppa", meno. Io non so chi sia questo signore, ma se scrive così non mi interessa. Grazie al Kaiser che lo spread di Napoli era più basso: l'oro se lo tenevano in saccoccia! Anche la Romania era finanziariamente la più affidabile del patto di Varsavia, Ma Ceausescu è stato l'unico a morammazzato. Chissà perché...
La storia della riunificazione delle banche e del battere moneta fu una delle cose più difficili da gestire nel periodo protonotario. Ma non per quello che questo signore dice: perché le sei banche che battevano moneta (Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli e Palermo) avevano differenti aggi (si dice così, credo) tra la carta moneta e il denaro metallico. Napoli e Palermo, praticamente, DOVEVANO battere solo monete e non carte per un aggio di circa il 20%, mentre al nord la situazione era diversa. Anche qui, grazie Arkham (non più Kaiser, variamo  ;D ) che lo spread era basso. La rivoluzione industriale iniziò proprio quando, grazie alla riforma Jacini, Depretis abolì il corso forzoso della Lira in tutta la nazione, facendo diminuire l'aggio globale dal 10% allo 0,8%. Con i soldi risparmiati si emisero i primi BOT che fruttarono 650 Milioni di lire dell'epoca. Ecco come cominciò il progresso in Italia, altro che sfruttamento! La cosa si poté fare solo negli anni '80 del XIX secolo perché solo allora anche nel meridione arrivò la "cultura della banconota", e ci volle del tempo per farlo. Il tempo è l'unica cosa che la politica non può accelerare, amico mio. per fare un secolo ci vogliono 4 generazioni, non una di meno. Ecco anche perché l'unificazione fu fatta male. Tutto il resto - ripeto, è vero che il Sud fu sfruttato e che i "terroni" venivano visti come "Affrica" a leggere la corrispondenza del tempo. Il primo presidente del consiglio a visitare il sud fu Zanardelli nel 1901 (andò a Moliterno, paese di mio suocero), e Giolitti stesso non scese mai sotto Roma se non per il terremoto di Messina - sono solo vittimismi inutili.
I meridionalisti parlassero di cosa possono fare per cambiare la situazione, oltre che IMPORRE un intervento serio delle istituzioni. Scandaloso è che non ci siano ferrovie degne di questo nome in Lucania, ma ancora più scandaloso il fatto che i Lucani non si incazzino. Si indignano, fanno le rivolte e le jacqueries, ma tutto si ferma li. La lotta NoTav, giusta o sbagliata che sia, al Sud non l'avrebbe fatta nessuno (guarda Crocetta che combatte praticamente da solo contro gli insediamenti USA, in Sicilia).

Un'ultima cosa sull'emigrazione: non è vero ciò che tu dici, purtroppo. L'emigrazione cominciò al Nord (Piemonte e Veneto, in particolare). Al sud attecchì con l'apertura delle frontiere statunitensi nel primo decennio del XX secolo, in particolare. Anche qui, per emigrare in cerca di fortuna bisognava avere voglia di "fortuna" ed evitare la fatalità (Fortunato, Verga etc.)

Grazie comunque per la discussione. Magni ne sarebbe felice  ;)

Offline Clazia

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #34 : Martedì 29 Ottobre 2013, 22:15:47 »
E parli tu che sei mooolto più giovane di me e che grazie a Misasi te la sei cavata con appena due o tre giorni di stress ;)
Pensa a me o a Bob Lovati o ad Andujo (Giamma no, perché è di 2 anni più giuovine) che ci è toccato ciucciasse la maturità pre-Misasi, quella della riforma Gentile: un incubo che durava quasi tutto il mese di luglio e che spesso si protraeva fino a settembre.
Io sono stato fra i pochi fortunati promossi alla prima botta. Media del sei e mezzo eh, niente di che, ma erano tempi quelli in cui il 6 era considerato "grasso che cola"  :D

Frusta, sei molto caro ad usare la locuzione "moolto più giovane" .. ma, nonostante Misasi,  non furono solo due o tre giorni di stress, il mio liceo era piuttosto, "famosamente", esigente - Giulio Cesare di Corso Trieste - e così, giuro, lo stress iniziò comunque un bel po' prima dei giorni fatidici, per prepararsi, e durò comunque un bel po' , anche dopo,  fino al giorno finale, quello dell'andare a leggere "i quadri".

Comunque, se mi è consentito auto-citarmi...

 che belli sti topics che ogni tanto ci fanno tornare a ragionare e ricordare. Hanno la parvenza di sembrare utili, ancora non sono certa per che cosa, ma la parvenza c'è.
Se volevo sentimme tranquilla mica che nascevo Laziale.

Take a sad song and make it better.

Offline BobLovati

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #35 : Martedì 29 Ottobre 2013, 23:28:37 »
film splendido per me "nell´anno del Signore"; cast d´eccezione, musiche splendide di Trovajoli.
La Canzone di Giuditta è una delle melodie più belle dei film che ho visto

R.I.P.

D´accordo con molti sulla relazione Manfredi 3-Sordi 1; la migliore interpretazione di Manfredi, per me, fu quella di "Caffé Express". Quasi 2 ore in un angusto vagone ferroviario, al buio. Arte recitativa allo stato puro    :notworthy:
Laziale, Ducatista e fiumarolo

Siamo noi fortunati ad essere della Lazio, non la Lazio ad avere noi

“LA MOGLIE DI CESARE DEVE NON SOLO ESSERE ONESTA, MA ANCHE SEMBRARE ONESTA.”

Boks XV

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #36 : Mercoledì 30 Ottobre 2013, 08:18:29 »
? - nel senso di: mi fai capire? Grazie sin da ora.

esattamente ciò che hai capito.
se ci lascia un romano e romanista, me ne impipo.
anche se non romano, per il vero.
questo nel migliore dei casi, che non sono tutti uguali.
per dire, per un Verdone me ne impiperei, per un Amendola si stappa.
per un Proietti uno sticazzi sarebbe sufficiente, per un Floris scatta la festa tra amici.
c'è un certo "tariffario", in effetti.

Offline Er Matador

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #37 : Mercoledì 30 Ottobre 2013, 11:21:18 »

Il "popolo", almeno in certi ambienti, esisteva, secondo me. Tu approvi la teoria di Montanelli secondo la quale l'Italia fu fatta nell'unico modo possibile. Io mi permetto di dubitarne, proprio per l'esperienza della Repubblica Romana.
Un concetto "popolare" di nazione era presente sia al Nord (soprattutto in Toscana ed in Lombardia: per il Piemonte Italia voleva dire "conquista", tanto è vero che sia D'Azeglio sia soprattutto Cavour non pensarono mai ad una riunificazione della Penisola, ma solo della parte settentrionale, mentre Venezia era ancora legata alla sua indipendenza, anche se qui moti popolari ce ne furono eccome) sia - e qui è la cosa "stramba", al centro. Roma dopo le invasioni napoleoniche non voleva più il Papa. E questo non era solo l'idea della sparuta borghesia, ma anche del popolo. Ciceruacchio è l'esempio più evidente, ma non il solo. Se tutte queste forze avessero supportato - non tanto militarmente, quanto politicamente - la "repubblica dei briganti", l'idea di Mazzini, a mio modo di vedere, sarebbe diventata realtà.

Riparto da qui e dalla mia idea sull' "unico modo possibile", che hai correttamente interpretato.
Come hai documentato, varie aree della Penisola erano percorse da fermenti di malcontento e ribellione che si estendevano oltre la ristretta cerchia delle élites.
Ma quanti pensavano davvero all'Italia unita, e non ad aggregazioni territoriali più limitate, a questioni sociali più che nazionali, a una semplice insoddisfazione per la propria personale - e familiare - condizione?
Solo quei pochi che studi ed esperienze personali avevano messo in contatto con l'estero.
Sì, perché il paradosso risiede proprio in questo: l'Italia e gli Italiani erano tanto radicati - come identità, al di là della forma politica in cui erano organizzati - nell'immaginario collettivo di Francesi e Inglesi quanto inimmaginabili in quello delle italiche genti.
Per citare un esempio macroscopico: fra gli argomenti coi quali si rivendicava l'esistenza di una Nazione - e quindi il suo diritto ad autodeterminarsi in Stato -, figurava il suo essere "una di lingua".
Ebbene, nell'Italia protounitaria il presunto idioma nazionale era compreso e utilizzato dal 2,5% della popolazione: sia pur da strenuo difensore della nostra tradizione dialettale, non lo trovo un dato esaltante.
Di più: a fare da ponte tra i vari vernacoli non esistevano neppure lingue franche, come quelle utilizzate per trafficare con Greci, Arabi e popoli di ogni dove, per il semplice fatto che mai se ne era avvertita l'esigenza.
Che un simile sistema di rapporti potesse produrre un movimento unitario popolare mi sembra, in tutta franchezza, pura fantascienza.

Un'ultima cosa: la prima legge discussa nel parlamento del regno unificato, il 17 marzo 1861 (VIII legislatura e non prima: anche questi sono i segni di una conquista e non di un'unificazione) era una legge federale che dava ampia autonomia a 6 "macroregioni" - le chiameremmo così oggi, in realtà erano pressappoco i vecchi stati) che avrebbe consentito non l'imposizione delle leggi savoiarde a tutti, ma una transizione molto più dolce. Fu presentata da due futuri primi ministri, Farini e Minghetti, ma Cavour stesso la affossò (in questo una tantum concorde con Mazzini) per la paura che una nazione appena costruita potesse disintegrarsi sotto la spinta dei regionalismi, molto più solidi storicamente parlando.  Per me, un altro grande errore.
Qui, invece, ti do ragione su tutta la linea.
Il problema di Cavour era il modello cui si ispirava per il processo di Nation building: la Francia, nella quale il resto del Paese si riduceva a emanazione di un centralismo parossistico.
Meglio sarebbe stato prendere esempio dalla Germania, la cui unificazione si era mossa in parallelo alla nostra anche nelle coincidenze cronologiche.
Noi simili ai Tedeschi, obietterai? Ebbene, sì. Perché gli stereotipi su quel popolo risentono di caratteri profondamente interiorizzati ma che, alla fonte, rimangono schiettamente prussiani.
La Confederazione del Reno, al contrario, condivideva con noi la frammentazione politica, la patologica litigiosità che la caratterizzava, la briosa vita culturale e persino certi luoghi comuni.
A cavallo fra ‘700 e 800, prima che la Prussia e il suo militarismo plasmassero una Nazione tutta disciplina e denti digrignati, il tedesco medio – quello della Confederazione, appunto – era apprezzato per il suo talento individuale colto e brillante, ma anche guardato con sospetto per la vena di inaffidabilità e inconcludenza che gli impediva di concretizzare le proprie potenzialità.
Una somiglianza quasi gemellare con quanto si diceva, e si dice tuttora, al nostro riguardo.
L’incontro col monolitico e grigio Stato dei Kaiser avvenne nel migliore dei modi possibili: efficienza prussiana sì, ma sagomata sul territorio rispettandone la Storia e la strutturazione in “cento città”.
Il risultato è una Germania nella quale eventi di rilievo internazionale hanno sede in piccoli e medi centri, sia pure di valore sul piano artistico e architettonico.
E nella quale, ad esempio, la gestione delle Ferrovie si concentra sulla diffusione di velocità e servizi anche nelle zone più marginali, non su prestazioni di punta limitate a poche realtà urbane.
In più, non va dimenticata un’altra questione territoriale: l’esclusione dai patri confini della città che ospitavano le più fiorenti comunità italo-mediterranee.
Nessuna velleità colonialista, sia chiaro: si parla di parti integranti dell’unità nazionale, per come avrebbero riempito in due aspetti fondamentali la scatola vuota di uno staterello inventato.
Primo: l’economia, data la loro esperienza nell’interfacciarsi con altri popoli e il conseguente dinamismo commerciale di cui la Penisola era carente.
Secondo: l’identità nazionale, poiché il continuo contatto con stranieri li rendeva gli unici Italiani consapevoli di esserlo.
Privata di questi sbocchi – come era accaduto alla Grecia, indipendente ma senza Smirne, Costantinopoli ecc. –, l’Italietta prese la forma di un bantustan, di una riserva etnica priva di una solida e autonoma strutturazione economica interna.
Più simile, nella sostanza, a uno Stato Palestinese che a uno Stato vero e proprio.
In quest’ottica, anche la cessione di Nizza – sia pure ben retribuita – appare uno di quei colpi di genio cui i nostri governanti ci hanno abituati.

Quindi, per venire alla tua conclusione

Insomma, Un'idea popolare di unificazione c'era, ma il risorgimento fu realizzato tramite conquista. Se è vero che era l'unico modo possibile, è altrettanto vero che è l'origine di tutte le nostre tare come "cives".

l’origine delle nostre tare non si colloca, a mio avviso, nelle modalità di unificazione, quanto nei criteri scellerati con cui venne gestita negli anni successivi.
E qui arriviamo al Sud, in merito al quale la tua ricostruzione mi convince fino a un certo punto.
Sei troppo severo, secondo me, nel giudicare sudditi il cui ultimo governo decente risaliva ai Normanni.
Hai ragione, d’altro canto, nel sottolinearne la scarsa consapevolezza – concetti come meridionalismo e questione meridionale nacquero per opera di settentrionali, anche perché le potenziali élites del Mezzogiorno non andavano un millimetro al di là dei propri privilegi – e nello sgonfiare la mitizzazione del Regno Borbonico.
Agricoltura fiorente? Potenza industriale nascente? Siamo seri.
E non aggrappiamoci alla Napoli-Portici: quel tratto di ferrovia non serviva a stimolare in maniera organica spostamenti e dinamismo economico, come nel mondo in via di industrializzazione, ma a soddisfare un capriccio regale.
Un trenino elettrico un po’ più costoso, ecco a cosa si riduceva nei fatti.
Il resto era come lo descrivi tu, paralizzato da spessissime incrostazioni feudali e capace di prevenire ogni presa di coscienza grazie a un livello di scolarizzazione, quello sì, da “Affrica”.
Certo, non mancavano le eccellenze e il bidet del quale i soldati piemontesi riferirono come di un “oggetto non identificato a forma di chitarra”: ma qui si sta parlando di livello di vita diffuso, non di qualche culo borbonico particolarmente fortunato.
Era quasi impossibile non portare qualche miglioramento: eppure i Savoia, per un misto di ignoranza, disprezzo e scarsità di mezzi, riuscirono nell’impresa.
Ripartiamo dalla situazione descritta: come si poteva pensare di “fare gli Italiani” dove non esistevano neppure cittadini, ma servi della gleba o poco più?
Semplice: impalando pubblicamente i titolari del latifondo – il vero cancro di questo Paese, e non solo nelle sue incarnazioni agrarie – e redistribuendo le terre agli ex schiavi.
Lavoro, proprietà, dignità: nel costruirsi una dimensione civica, non si parte forse da questo?
In un primo tempo ci si sarebbe ritrovati di fronte a degli Italiani per interesse, del tipo “dopo Franza e Spagna, con l’Italia se magna”: e sarebbe stato comunque un passo avanti.
Ma uno Stato in grado di presentarsi come vindice delle questioni sociali del posto avrebbe stabilito un legame utilitaristico e di riconoscenza, destinato ad assumere una generazione dopo l’altra anche coloriture un po’ meno grette.
In fondo, anche il mitico senso civico austro-ungarico originava da un legame di fedeltà alla casata degli Asburgo - di per sé uno spurgo del feudalesimo più abietto, da Europa merovingia -, sublimatosi nel tempo in sentimenti e abitudini quotidiane un po' più evoluti.
La scelta di Casa Savoia fu, al contrario, di ispirazione proconsolare e colonialista: ottenere la fedeltà alla Corona dei rottami feudali, barattandola col loro più indiscriminato arbitrio nelle aree di rispettiva competenza.
Non è un caso se la mafia, stando almeno alla ricostruzione di Giuseppe Fava, nasce proprio nel decennio successivo all’Unità.
E sfruttando la crescente ostilità nei confronti di un potere statale che si manifestava sottoforma di tasse e coscrizioni militari, rovinose per contadini già poverissimi, senza dare nulla.
Un po’ quanto è accaduto nei Paesi arabi, con l’imposizione di ràs tanto fedeli all’Occidente quanto inarrestabili per avidità e corruzione.
In entrambi i casi si è costruito il rigetto nei confronti dei valori civili (Stato vs laicismo), identificati con le ruberie e gli abusi di cui sopra.
Si è raggrumato l’orgoglio locale attorno miti e disvalori degradanti (machismo mafioso, omertà ecc. vs Islam fanatico).
Si sono lasciati alla criminalità organizzata i vuoti amministrativi in cui impiantare consenso, un Welfare State distorto e ricattatorio, e con essi una base di lancio per infiltrare la politica ufficiale (mafia, ‘ndrangheta, camorra vs fratellanze islamiche varie).
Un disastro, insomma, ma sulla falsariga di questa eccellente sintesi

I Savoia hanno fatto con il Sud quello che facevano i Borbone, con la differenza che non avevano i preti a far star calma la popolazione.

Quanto all’emigrazione, anche qui occorre smontare la favoletta che la vuole originata dal crollo del tenore di vita in epoca post-sabauda.
Di vero, in tutto questo, c’è solo il martirio di Gaeta e della sua economia portuale col relativo indotto, che di sicuro non migliorò la situazione sotto questo profilo.
Per il resto, ho già cercato di spiegare nel post su Lampedusa che l’emigrante non fugge da (miseria, guerre ecc.) ma va verso qualcosa (prospettive di miglioramento della propria condizione).
E che certe pulsioni si traducono in partenze non motu proprio, ma quando vengono intercettate dall’organizzazione di tali spostamenti.
I meridionali evitavano di emigrare non perché stessero bene a casa propria, ma perché erano così poveri, ignoranti e isolati da non potersi permettere neppure quello.
L’Unità li inserì nei circuiti economici capitalisti: i quali, come noto, non riescono a sopravvivere senza Tratte, non importa se dei Bianchi o dei Negri.
L’emigrazione, già in corso da decenni nelle regioni settentrionali, rappresentò dunque un’istanza di progresso: sia pure declinato secondo modelli di sviluppo non privi di aspetti mostruosi e criminali.

Offline Frusta

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Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #38 : Mercoledì 30 Ottobre 2013, 18:22:03 »
(...)
Grazie comunque per la discussione. Magni ne sarebbe felice  ;)
Grazie a te, e soprattutto a Magni che magari avrebbe preferito vivere qualche annetto in più e fornirci il più tardi possibile il pretesto per la discussione.
In fondo 85 anni è diventata un'età con qualche aspettativa di vita in più rispetto solo ad un paio di decenni fa.
Pensa che la nonna di Malacarne (87 anni) quando è morto Andreotti mi ha chiesto:
"Quanti anni aveva?"
"Novantaquattro"
"Beh, manco era tanto vecchio..."  :D

P.s.
Ovviamente su quanto detto la mia opinione rimane la stessa: il sud fu annesso con una brutale guerra di conquista coloniale (fra l'altro mai veramente combattuta e sarebbe interessante parlare anche di questo) con tanto di stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra, violenze di ogni genere ed un numero di morti ammazzati per pulizia etnica, c'è chi dice un milione, difficilmente calcolabile; l'oro del sud evaporato (vero che stava nelle saccocce dei Borboni, ma era oro del sud e con una (perché non ipotizzarla? avvisaglie in questo senso c'erano già state) autodeterminazione del sud, e non con una conquista coloniale, sarebbe rimasto al sud) e la penisola dall'ombelico in giù devastata al punto che la questione meridionale è ancora lì, più bella e superba che pria.

 La scelta di Casa Savoia fu, al contrario, di ispirazione proconsolare e colonialista: ottenere la fedeltà alla Corona dei rottami feudali, barattandola col loro più indiscriminato arbitrio nelle aree di rispettiva competenza.
Non è un caso se la mafia, stando almeno alla ricostruzione di Giuseppe Fava, nasce proprio nel decennio successivo all’Unità.
E sfruttando la crescente ostilità nei confronti di un potere statale che si manifestava sottoforma di tasse e coscrizioni militari, rovinose per contadini già poverissimi, senza dare nulla.
Un po’ quanto è accaduto nei Paesi arabi, con l’imposizione di ràs tanto fedeli all’Occidente quanto inarrestabili per avidità e corruzione.
In entrambi i casi si è costruito il rigetto nei confronti dei valori civili (Stato vs laicismo), identificati con le ruberie e gli abusi di cui sopra.
Si è raggrumato l’orgoglio locale attorno miti e disvalori degradanti (machismo mafioso, omertà ecc. vs Islam fanatico).
Si sono lasciati alla criminalità organizzata i vuoti amministrativi in cui impiantare consenso, un Welfare State distorto e ricattatorio, e con essi una base di lancio per infiltrare la politica ufficiale (mafia, ‘ndrangheta, camorra vs fratellanze islamiche varie).
Un disastro, insomma, ma sulla falsariga di questa eccellente sintesi
Fin qui condivido fino all'ultima virgola.

 Quanto all’emigrazione, anche qui occorre smontare la favoletta che la vuole originata dal crollo del tenore di vita in epoca post-sabauda.
(...)
L’emigrazione, già in corso da decenni nelle regioni settentrionali, rappresentò dunque un’istanza di progresso: sia pure declinato secondo modelli di sviluppo non privi di aspetti mostruosi e criminali.
Purtroppo questa considerazione cozza con la precedente.
Un decennio di guerra civile che miete un milione di vittime su una popolazione che non arriva a nove(*), un intero patrimonio monetario svanito nel nulla e perfino i macchinari delle fabbriche smontati e rimontati al nord, il tutto sommato alla depressione economica e dal sorgere di poteri criminali causati dalla politica colonizzatrice di cui tu stesso parli non possono non causare un'ondata migratoria.
Definirla favoletta è ingeneroso nei confronti di chi l'ha subita.
Per chi scappa dalla disperazione della Siria, o dal Corno d'Africa, o dalle innumerevoli guerre dimenticate la voglia di progresso è l'ultima delle istanze.

(*)Se stiamo assistendo "ora" ad una nuova emigrazione causata dai disagi che sappiamo, immagina cosa succederebbe se subissimo una guerra civile con (la proporzione è quella) sette milioni di morti.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Giglic

Re:Il Papa Re... Addio Luigi Magni
« Risposta #39 : Giovedì 31 Ottobre 2013, 08:57:43 »
Bei posts, quelli di Er matador e di Frusta, che anche se dicono cose diverse sviluppano temi interessantissimi.
Di mio aggiungo poco, anche perché ho già detto come la penso, e ripetersi sarebbe inutile.
Una sola cosa ci tengo a puntualizzare: nessuna nazione è stata costruita "di popolo". Si è sempre creata prima, e con le conquiste. Germania inclusa (d'accordo con Er Matador che quello doveva essere il modello, peccato siamo arrivati 10 anni prima... e che una zollervein col papa sarebbe stata impossibile nella penisola). Quello che si imputa ai Savoia (ed è un loro vizio: con la Sardegna non fecero diversamente) è di aver considerato tutto ciò che non era Italia Settentrionale colonia da sfruttare. Non fecero peggio dei Borboni, secondo me. non fecero proprio. La mafia (Pippo Fava non dice proprio quello: dice che da "onorata società" si trasforma in parastato subito dopo l'annessione, e con la connivenza dello stato stesso. Secondo me non è la causa dei mali del Sud, ma l'effetto) ed in genere la "criminalità organizzata" prospera laddove manca lo stato. E lo stato, sotto il Garigliano, è mancato ed in parte continua a mancare.