Autore Topic: Felipe Anderson e Perea: i nuovi gioielli della Lazio  (Letto 660 volte)

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Felipe Anderson e Perea: i nuovi gioielli della Lazio
« : Sabato 5 Ottobre 2013, 09:48:12 »
(Corriere dello Sport - Fabrizio Patania)



Felipe Anderson: Sulla fascia un nuovo asso Brayan Perea: L’uomo giusto per il tridente

Felipe Anderson
ROMA – Fremeva Lotito, lo aspettava Tare, era prudente Petkovic, sincero nell’ammissione dopo averlo visto in azione. «Mi ha sorpreso per la tenuta» ha confessato il tecnico bosniaco. Con il Sassuolo neppure lo aveva fatto scaldare. A Trebisonda il brasiliano ha risposto, mettendo tutti d’accordo con il suo talento. Ha vinto Felipe Anderson, al debutto con la Lazio e alla prima uscita quattro mesi dopo un infortunio pesante alla caviglia destra. «Troppo felice, grazie a Dio» ha postato ieri pomeriggio, trasferendo su Instagram le proprie emozioni. E’ andato bene. Promosso a pieni voti, considerando il lungo periodo di stop, la preparazione atletica saltata e l’impossibilità di misurarsi con un test d’assaggio. Neppure un’amichevole aveva giocato, s’è ritrovato sul campo in una partita ufficiale. Esordio da brividi in Europa League. Lo ha superato perché è già un giocatore vero, 100 partite in Brasile con il Santos, nonostante abbia appena compiuto vent’anni. Ha avuto un impatto morbido con la partita, ha preso le misure al campo zuppo di pioggia, si è adattato al ritmo del Trabzonspor, è cresciuto alla distanza, diventando ancora più incisivo nella ripresa, quando aveva superato i timori iniziali di un contrasto che facesse venire fuori quei dolori sopportati per tutta l’estate alla caviglia. E’ piaciuto per il modo di stare in campo e per la personalità dimostrata in ogni circostanza.
INTELLIGENZA –

«E’ un giocatore vero, si vede, non a caso ha già tante partite alle spalle con il Santos. Togliete il centravanti e il mediano davanti alla difesa. Per il resto Felipe Anderson può giocare in qualsiasi posizione e quando starà meglio, dimostrerà che sa anche contrastare. Lo conosco bene» raccontava ieri mattina Daniele Adani, opinionista Sky ed esperto di calcio sudamericano, di rientro da Trebisonda. Ci sono state tante partite dentro i 79 minuti dell’esordio biancoceleste di Felipe Anderson. Un primo tempo da esterno di centrocampo, subito a sinistra davanti a Lulic e poi a destra, dalla parte di Cavanda. Partiva defilato per accentrarsi ed entrare in area di rigore. S’è inserito due volte: al 14′ era davanti a Kivrak ma si è allungato appena il pallone e non è riuscito a tirare, al 17′ ci ha riprovato con un diagonale che non è stato toccato da Hernanes. Due brividi per il Trabzonspor. Dopo l’intervallo si è messo a giocare di punta. Attaccante esterno di destra, vero e proprio numero 7, confermando di essere il giocatore più pericoloso della Lazio, l’unico in grado di presentarsi davanti al portiere. Ci ha provato altre due volte, dribbling e tiro, costringendo Kivrak a due respinte complicate, la seconda in angolo vicino al palo. Poi è uscito, lasciando il posto a Keita.
DIVERSITA’

- E’ un centrocampista offensivo, quasi una punta da tridente. Ha colpito per l’intelligenza tattica. Felipe Anderson possiede la capacità di inserirsi negli spazi con i tempi giusti. Sotto questo aspetto, ha ricordato i movimenti di Stefano Mauri, bravissimo a infilarsi nel corridoio giusto. Sono quei giocatori diversi dagli altri a fare la differenza, perché sul pallone ci arrivano prima. Leggono il gioco durante lo sviluppo, sono puntuali all’appuntamento. L’amico di Neymar ha colpi da brasiliano e rapidità d’esecuzione al tiro. Dribbling e botta secca, fa tutto velocemente. Come se fosse un lampo. Ma è molto più europeo ed efficace rispetto a Hernanes: non ha pause, resta dentro la partita. Ora andrà protetto e aspettato, perché neppure al 50 per cento della condizione fisica, non si potrà pretendere che faccia subito la differenza. Ma intanto si è presentato bene. Lotito e Tare non avrebbero speso quasi 9 milioni per il suo cartellino senza avere profonde convinzioni nel suo talento. E valeva la pena aspettarlo anche tre o quattro mesi. Questo, per il ragazzo di Brasilia, sarà solo un anno di rodaggio. Ha il futuro davanti.

Brayan Perea


ROMA – Ha giocato da solo, facendo pressing e aiutando la Lazio a ripartire. S’è fatto scoprire rifinitore, mandando a rete prima Onazi e poi Floccari con due assist al bacio. Buona la prima anche per Brayan Perea, ventenne colombiano, sbarcato a Formello il 15 settembre, attaccante pescato nel Deportivo Cali alla fine di gennaio. E’ stato l’ultimo a presentarsi a Roma, ma il più veloce a inserirsi e rendersi utile alla causa, complice l’infortunio di Klose. Petkovic l’aveva sganciato nel finale della partita con il Catania e in quei venti minuti aveva impressionato per l’impatto. A Trebisonda ha celebrato il suo esordio in Europa League, per la prima volta da titolare, e subito decisivo con i passaggi gol della rimonta. «Il sostegno che ho sentito è stato molto importante. Grazie ai compagni, alla dirigenza e ai tifosi. Forza Lazio» ha scritto ieri Perea su Twitter. La concorrenza stimola, si dice. Sarà un caso, ma con il suo ingresso in squadra s’è risvegliato Floccari, molto più vivace e determinato dopo essersi alzato dalla panchina rispetto alle precedenti uscite. All’improvviso la Lazio s’è scoperta più ricca in attacco. Petkovic ora avrà da scegliere e potrà contare su tante soluzioni.
CAVANI

- La prima impressione. Brayan Perea è un attaccante da tridente. Prima punta se c’è da scattare o sprintare in contropiede. Seconda punta per la visione di gioco e la predisposizione agli assist. Con l’allungo che gli ha regalato madre natura e la capacità di pressare e rientrare, può muoversi senza difficoltà anche da esterno di attacco. E’ più alto di Ciani, ha gli stessi centimetri di Kozak, ma un modo diverso di muoversi e di toccare il pallone. Lo sa giocare, lo stoppa senza difficoltà. Non attacca la porta come il centravanti ceco. Questa è una caratteristica che dovrà affinare, o far scoprire, nelle prossime uscite. In Turchia si è visto un attaccante che andava incontro ai centrocampisti, si faceva vedere e chiedeva il pallone sul piede. Buona tecnica, altrimenti non gli sarebbero riusciti quei tunnel. Non ha quasi mai cercato la profondità, non scappava verso la porta, non cercava l’area di rigore del Trabzonspor, forse perché non trovava spazi utili o perché Petkovic gli aveva chiesto di accorciare le distanze dai trequartisti. Non per caso, è andato meglio e ha trovato respiro con l’ingresso di Floccari, più a suo agio come centravanti. Nel processo di adattamento al calcio italiano, con marcature più strette e meno spazi rispetto alle abitudini sudamericani, Brayan dovrà migliorare nella gestione del pallone, proteggendolo di più, come l’altezza gli consente. E’ un fascio di muscoli, un attaccante dinoccolato. Ha un fisico da sprinter. Il ds Tare lo ha preso perché sa legare centrocampo e attacco, allungando la squadra con le sue progressioni e proprio per queste caratteristiche lo ha accostato a Cavani, che appena arrivato dall’Uruguay non era un top-player. Il tempo lavorerà per Brayan.
f.p.

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