Come eleganza pura, forse il più grande di sempre.
Come tecnica pura, forse il più grande centravanti di sempre: soprattutto se si considera che, a differenza di Hidegkuti o Bobby Charlton, giocava da punta-punta.
Per il resto, i paragoni sono troppo condizionati dalla brevità della sua parabola.
Beninteso, i paragoni coi grandissimi: perché sentirlo accostare a Ronaldo - non CR7, l'altro - sa tanto di bestemmiare in chiesa.
Nella percezione che può averne l'appassionato di calcio, una cosa lo separava dai grandissimi: la difficoltà nel simpatizzare col suo atteggiamento in campo, perennemente venato - almeno a prima vista - da una componente di sufficienza, se non di vera e propria spocchia.
Ricordo volentieri, proprio per questo motivo, l'inizio del campionato successivo all'addio di Sacchi.
Come già ricordato, il vate(r) di Fusignano ne aveva reclamato la cessione per rimpiazzarlo col genoano Skuhravý: bravo, per carità, ma non teniamo neppure paragoni.
Fu quello a convincere SB di avere in panchina un fanatico ormai perso nelle proprie nebbie, e a piazzarlo - col consueto senso delle istituzioni - alla Nazionale neanche si trattasse di una succursale del suo club.
Il cigno di Utrecht prese il tutto come un tributo alla propria persona, dato che a lui era pur sempre stato sacrificato il vincitore di uno scudetto e due Coppe Campioni, e quel miscuglio di orgoglio e riconoscenza gli diede uno sprint agonistico estraneo alle sue abituali caratteristiche.
Sommata alle sue qualità di sempre, quest'ultima componente produsse un'esibizione di calcio di fronte alla quale rischiai più volte di gettarmi in ginocchio gridando "ho visto la luce!", come Dan Aykroyd in Blues Brothers.
Tornando alla valutazione d'insieme, fu quello squadrone ad aiutarlo o il contrario?
La verità sta nel mezzo, come sempre, e le argomentazioni già portate a favore della prima ipotesi sono parecchio solide.
Poi, però, mi viene in mente un'immagine del derby d'andata dell'anno scorso: Klose che indica a Hernanes dove vuole la palla, il brasiliano che si limita ad eseguire e il resto che viene di conseguenza.
Van Basten era uno così, con l'aggiunta di un'abilità a mio avviso insuperata in un fondamentale: la capacità di scartare l'avversario prima che arrivasse il pallone e con un semplice movimento del corpo, nonostante leve lunghe e andatura dinoccolata non suggerissero certo le movenze di un'anguilla.
È andata bene anche agli altri campioni, insomma, ritrovarselo in squadra.
Quanto alla precocissima conclusione della sua carriera, una vera iattura per questo sport, si è parlato spesso delle tante botte prese, argomento più volte riproposto anche dal Gullit giocatore nella sua sporadica attività di columnist.
Che io ricordi, l'interessato si era casomai lamentato del fallo sistematico, vale a dire della pessima abitudine di cancellare azioni su azioni dalla partita con interventi scorretti e ostruzionistici: ma si trattava di placcaggi o trattenute per la maglietta, non certo di attentati alle sue giunture.
La sensazione è che l'insistenza su questa spiegazione causale serva a coprire il vero motivo: un errore enorme, da parte dello staff medico rossonero e di qualche altro luminare, nella gestione del suo infortunio.
Lo ha lasciato intendere coi fatti Pippo Inzaghi, anch'egli afflitto qualche anno fa da problemi alle cartilagini: anziché operarsi rischiando di "fare la fine di Van Basten" - espressione ricorrente nelle cronache sportive dell'epoca -, si curò presso un esperto di medicina naturale recuperando al 100% prima che un più grave trauma ai legamenti ne interrompesse l'attività come giocatore.
A margine, mi viene in mente un racconto suggestivo e agrodolce di Pietro Vierchowod, all'epoca splendido ultraquarantenne con la maglia del Piacenza e di cinque anni più vecchio dell'olandese.
I due si incontrarono in quel di Montecarlo per un evento ufficiale e dalla chiacchierata emerse una domanda di Van Basten, che col calcio italiano aveva chiuso quasi dieci anni prima e non era del tutto informato sulle vicende di casa nostra: "Ma giochi ancora?".
Lo zar riferì di un interminabile momento di imbarazzo, al limite della vergogna...