Autore Topic: MENZOGNE  (Letto 602 volte)

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Offline Wasicu

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MENZOGNE
« : Lunedì 24 Giugno 2013, 16:49:14 »
Menzogne

Ne ho avuto la certezza fin dall’inizio: il mondo era un palcoscenico costruito appositamente per ingannarmi, le persone intorno a me non erano altro che attori di quel dramma. L’obiettivo era farmi credere che fosse tutto vero : la terra, il bosco, i campi, il trattore di Nyman, il paesino, la bottega e il postino. Il mondo alle spalle del Furuberg e della sua cima bluastra era una quinta amplificata. Tendevo le orecchie per individuare i toni falsi, aspettavo paziente che qualcuno si tradisse. Quando uscivo da una  stanza mi voltavo all’improvviso proprio sulla porta, per riuscire a vedere le persone là dentro per quello che erano davvero. Fallivo ogni volta. D’inverno mi arrampicavo sul cumulo di neve appena fuori dalla finestra della sala e spiavo dentro. Quando io non ero presente, le persone si toglievano la maschera, appoggiavano la testa stanca alle mani e si riposavano. Parlottavano a bassa voce, finalmente sul serio, in modo naturale, confidenziale, vero e sincero. Quando mi accingevo a entrare, erano tutte costrette a rientrare nei  loro  scomodo corpi, le dimore in cui non si trovavano a loro agio, con il viso amareggiato e la lingua pronta  a mentire.
Avevo la ferma convinzione che ogni cosa mi sarebbe stata svelata il giorno in cui avrei compiuto dieci anni. Tutte le persone sarebbero venute da me, quella mattina, con i loro luminosi veri corpi, e mi avrebbero fatto indossare abiti bianchi. I loro visi sarebbero stati calmi e sinceri. Mi avrebbero portato in processione fino al fienile, in mezzo al sottobosco dall’altra parte della stada. Là, all’entrata, mi avrebbe atteso il regista, che avrebbe preso la mia mano nella sua e mi avrebbe condotto nel regno rivelato.

Mi avrebbe spiegato come stavano davvero le cose.

A volte andavo al vecchio fienile. Non so dire quanti anni avessi, ma le mie gambe erano corte, I pantaloni di lana mi davano prurito, e la tela cerata impacciava i miei passi. Una volta rimasi in trappola nella neve, fino alla vita.
Il fienile era in mezzo al sottobosco, su quel che rimaneva di un prato incolto. Il tetto era crollato, i muri di legno grigio sembravano d’argento, in mezzo alla sterpaglia. Un pilastrino d’angolo si ergeva verso l’alto come un segnale rivolto al cielo.
L’ingresso squadrato era sul lato corto dalla parte opposta alla mia, e mentre facevo il giro sfioravo le pareti ruvide. Il foro era piuttosto alto, tanto che facevo fatica ad entrarci.
Li dentro, il tempo si fermava: polvere nell’aria, fasce oblique di luce. L’ambigua sensazione di muri protettivi  e di cielo aperto era inebriante. La luce filtrava tra le chiome frastagliate degli arbusti e i resti del tetto. Anche il pavimento aveva cominciato a cedere, mentre camminavo dovevo prestare molta attenzione.

Laggiù, sotto il pavimento, c’era l’ingresso del palcoscenico. Io lo sapevo. Da qualche parte, sotto le tavole di legno marcio, la Verità aspettava. Una volta mi feci coraggio e m’infilai là sotto, ispezionai il terreno per cercare la strada che portava alla luce. Ma non trovai altro che fieno e ratti morti.