Il pianto
di una nazione
di
Giancarlo Governi
Torino, collina di Superga, 4 maggio 1949, pochi minuti dopo le 17. Il rettore della basilica, padre Ricca, avverte un boato seguito da un lampo accecante, provenire dalla parte posteriore della costruzione e si precipita col cuore in gola verso il giardino.
Lo spettacolo che si presenta ai suoi occhi è sconvolgente...
Padre Ricca si rende conto che non può essere di aiuto a nessuno e, sotto la pioggia battente, si inginocchia, recita una preghiera e impartisce la benedizione. Intanto, il fragore è stato avvertito distintamente anche dalla città.
Ma a chi appartengono quei poveri corpi? Da dove venivano, e dove erano diretti quei passeggeri? Appena arrivano le autorità, si comincia a raccogliere quei corpi martoriati e gli effetti personali: una maglia granata con lo scudetto tricolore sul petto, un passaporto intestato a Castigliano Eusebio, un paio di scarpette da calcio... L’atroce verità si fa strada: si tratta dei giocatori del Torino, di ritorno da Lisbona, come aveva intuito chi si trovava in volo in quei minuti, poco distante dal luogo della tragedia...
La città è stordita: il Torino-calcio espone la bandiera a lutto, la notizia si sparge e raggiunge in maniera impietosa mogli, figli, parenti...
Il figlio di Gabetto ricorda che la madre si trovava alla cassa del bar gestito con la signora Ossola a un angolo di via Roma.
L’Italia apprende dalla radio la prima agghiacciante conferma, mentre i giornali approntano le edizioni straordinarie: a Superga sono morti in 31, tra giocatori, tecnici, dirigenti, giornalisti, membri dell’equipaggio. E’ toccato a Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della nazionale, riconoscere uno per uno i giocatori, i “suoi” ragazzi, come li chiamava con orgoglio.
Il dolore ferma l’Italia, la unisce in un abbraccio commosso e ai funerali partecipa una folla immensa, quasi 700.000 persone.
Lo strazio è indicibile e costituisce una riprova dell’amore per questi campioni. «Tutti gli italiani sono genitori, vedove, orfani dei poveri caduti...», afferma il presidente della federazione calcistica Ottorino Barassi davanti a quelle bare, conferendo al Torino il quinto scudetto consecutivo. Ma il calcio italiano ha perduto le sue forze migliori e il rimpianto raggiunge tutti i paesi del mondo. In Brasile, la squadra del giovane Altafini, che prenderà il nome di Mazzola in onore di capitan Valentino, scende in campo indossando la maglia granata ; il Portogallo è attanagliato dal rimorso dal momento che il Torino era di ritorno dalla partita con il Benfica; la Francia ha perduto Bongiorni, recente acquisto granata; l’Ungheria Schubert, ed Egri Erbestein, il direttore tecnico...
La domenica seguente, tutte le squadre ricordano gli scomparsi, onorandoli con un lungo silenzio che si unisce a quello del pubblico, commosso e ancora incredulo.
Solo il Filadelfia, il campo del Torino, rimane deserto, avvolto in un silenzio irreale, da incubo.
Superga diventa subito luogo di pellegrinaggio, dove improvvisati cantori raccontano l’accaduto. Il dolore si trasforma anche in canzoni, tante, e anche Gino Latilla intona un triste motivo in mezzo ai nuovi giocatori del Torino. Si intitola "Soltanto il Cielò li dominò", Infatti sul campo mai riuscì a dominare Bacicalupo, Ballarin, Maroso, Grezar. Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola