www.corrieredellosport.itDal chiarimento dopo Genova alla sveglia nell’intervallo di Torino: il rapporto speciale tra Simone e i suoi giocatori, così si sono rialzatiROMA - [...] C’è una chiave psicologica dentro gli abbracci e le rincorse di Torino. Tra il primo e il secondo tempo, Simone si è fatto sentire nello spogliatoio nonostante la Lazio avesse giocato discretamente e si fosse ritrovata sotto beccando due gol da polli. «Ritroviamo la voglia di vincere, la stessa fame che l’anno scorso ci ha consentito di arrivare in Champions. Ora torniamo su e battiamo il Toro» ha urlato ai suoi giocatori, ordinando anche due cambi (Leiva e Akpa Akpro) che avrebbero restituito sostanza al centrocampo. Reazione immediata, richiamo ascoltato dalla Lazio, perché Simone è un grande motivatore. A Bruges, in piena emergenza, la squadra aveva resistito e tirato fuori l’anima. A Torino, con un gol di vantaggio, si era seduta regalandone due ai granata. Come se il quarto posto della passata stagione non fosse stato sudato.
Ecco un altro punto decisivo per spiegare la risalita della Lazio. A
Marassi, storditi dalla Samp,
Inzaghi e i suoi giocatori avevano toccato il punto più basso dell’attuale gestione. Simone si era sorpreso dell’atteggiamento, della mancanza di spirito e di umiltà, soprattutto di certi top player. Può capitare di perdere, ma staccare la spina non è accettabile. Così il giorno dopo a Formello ha deciso di confrontarsi con la squadra. Si è messo in discussione, non ha solo messo in discussione i suoi giocatori. Non vedeva più la compattezza che aveva sostenuto la Lazio prima che gli infortuni a catena e le partite ogni tre giorni in estate rovinassero la corsa scudetto. Troppi alibi, eccessive pretese dentro un calcio sfigurato dal
Covid, la consapevolezza di sentirsi arrivati e lo sport invece ti mette di fronte a costanti conferme: bisogna saper guardare avanti, non indietro. Simone si è messo dalla parte dei giocatori, ha chiesto a se stesso e alla squadra di ritrovare umiltà, perché una figuraccia con il
Borussia Dortmund, dopo quattro anni di fatica per arrivare in Champions, non l’avrebbe tollerata. Così si è riaccesa la scintilla.Il motore della
Lazio funziona, anche se manca qualche titolare, perché gioca a memoria. In
Champions, non è un paradosso, funziona ancora meglio. Non esistono le stesse contromisure della Serie A, non conoscono Inzaghi e i riferimenti del suo 3-5-2 come gli allenatori italiani, maestri a “giocarti addosso”. Ecco perché il
Borussia per mezz’ora è stato stordito dal palleggio a uno o due tocchi di di Luis Alberto, Milinkovic, Leiva e Correa. Attacco alla profondità, movimenti codificati in uscita dalla difesa, cambi gioco per favorire gli esterni. C’è la stessa disciplina tattica da cinque anni. Ogni tanto si trasforma in un limite. Alla lunga paga con i risultati, tutti dalla parte di Inzaghi, tre Coppe in bacheca e un quarto posto dopo aver sognato lo scudetto.L’ultimo passo, nella conduzione, lo sta facendo Simone. Dentro un solco tattico ben preciso, dimostra maggiore elasticità. A
Bruges è passato alla difesa a quattro senza chiedere a
Parolo di applicarsi nel ruolo impossibile di esterno destro “alla Lazzari”. L’emergenza lo ha spinto a fidarsi, con più coraggio, dei nuovi acquisti, mandati in campo a corto di condizione, ritoccando la formazione con rotazioni superiori e sfruttando una panchina che non è ancora allo stesso livello di Juve o Inter ma neppure è corta come in troppi credevano. A
Torino ha vinto e rimontato con Reina, Hoedt, Fares, Pereira (a segno) e Muriqi nel blocco dei titolari e sganciando Akpa Akpro nella ripresa. Mancava all’appello soltanto Escalante. Non sono ancora dei pilastri. Hanno già permesso a
Milinkovic di splendere lo stesso, a
Luis Alberto e
Immobile di fermarsi per un tampone positivo. Fa una bella differenza.