Autore Topic: Cecconetzer e altre storie  (Letto 2402 volte)

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ThomasDoll

Cecconetzer e altre storie
« : Giovedì 24 Gennaio 2013, 16:05:33 »
Rovistando nell'archivio in cerca d'altro, mi sono imbattuto in questo pezzo che scrissi per Epolis per il trentesimo anniversario della scomparsa di Luciano Re Cecconi.

Lo copincollo senza rileggerlo, poi me lo rileggo più tardi. Così si fa memoria...

Fu la noia, oppure il desiderio di ridere, alla faccia della sorte cattiva che s’era portata via il Maestro, due settimane prima. Fu quel ginocchio che l’aveva tradito sul più bello, negandogli quel campionato in cui la Lazio tornava a essere grande, grazie alla linfa che Giordano, Manfredonia e Agostinelli le avevano infuso nelle membra, provate dalla malattia del mister e dalle troppe partenze eccellenti, da Chinaglia a Frustalupi, da Oddi a Nanni. Quel pomeriggio di gennaio, era un martedì. Luciano Re Cecconi era fermo per un grave infortunio al ginocchio. Girava per ammazzare la noia, con Pietro Ghedin e un altro amico. Entrarono nella gioielleria di Tabocchini, al Flaminio, erano in tre. Lui ebbe un lampo dei suoi, sempre a giocare. Decise al volo di fare uno scherzo: “Questa è una rapina, su le mani”. Il bavero alzato, le mani in tasca a far finta di brandire una pistola che non c’è. Non nelle sue, di mani. Tabocchini fece fuoco contro quella che pensava fosse l’ennesima rapina al suo negozio. Si fece coraggio, prese la 7,65 e sparò un colpo in pieno petto alle speranze di CeccoNetzer, il motore biondo della Lazio di Maestrelli. Gli spense così il sorriso, e la voglia di andare avanti e di girare pagina, dopo la pena di pochi giorni prima, il funerale del suo mentore, allenatore-padre. Re Cecconi,  ventotto anni e già con una grande carriera alle spalle, e mille incroci con persone che avrebbero fatto la storia della Lazio, prima e dopo. Da quel Carlo Regalia che lo lancia nella Pro Patria, a quel Tommaso Maestrelli che se lo porta a Foggia e punta su di lui per conquistare la promozione in serie A, e poi ancora a Roma, con la Lazio che stupisce l’Italia. Lui corre, ma non solo. Gioca anche bene, e a tutto campo. Resta negli occhi l’immagine del suo famoso gol alla Juve, l’ultimo in carriera in una partita persa, in quella stagione maledetta. L’entrata in area da destra, lo scarto che lo libera dal terzino, il tocco maligno d’esterno destro, la palla che beffa Zoff e s’insacca. Era l’ultimo, ma Cecco non lo sapeva. Pensava fosse una nuova storia da scrivere, senza Chinaglia ma con tanto da dire, e il ritorno in nazionale a un passo. Ancora lì ad aspettarlo, anche se l’anno prima era stato difficile, per la Lazio. Difficile era niente, rispetto al buio che stava per arrivare. Fosse stato bene, Cecco quel giorno si sarebbe trovato in ritiro, con la nazionale B. A provare a tornare dentro al gruppo che avrebbe fatto i mondiali d’Argentina. Il destino decise diversamente: il saluto affranto del popolo laziale, incredulo, resta come testimonianza. Due sciagure tanto grandi, in così poco tempo. Trent’anni, come fosse ieri.



ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #1 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 16:57:40 »
Pezzo per i trent'anni dalla morte di Maestrelli, già che ci siamo

Tommaso Maestrelli arrivò alla Lazio nell’estate 1971. Era appena retrocesso con il Foggia, che non aveva retto all’urto della serie A dopo una grande promozione conquistata l’anno prima. La Lazio a fargli compagnia con non pochi rimpianti, stordita dalle bizzarrie di Lorenzo e incapace di giovarsi appieno del talento dei suoi giocatori. Maestrelli convinse gli scettici con una vittoria contro la Roma di Herrera nel derby di Coppa Italia, conquistata grazie a un gol di Chinaglia, e avviò il suo ciclo vincente: la Lazio tornò immediatamente in serie A, e s’impose all’attenzione della critica per il gioco moderno e spumeggiante, mancando l’appuntamento con lo scudetto all’ultima giornata, il primo anno, per poi trionfare l’anno successivo, dall’alto di una superiorità tanto netta quanto sorprendente. La nascita di quella squadra, fatta di talenti inespressi, onesti pedatori e geni incompresi altrove, fu un mezzo miracolo, compiuto, senza soldi ma con molte idee, da Sbardella e Maestrelli, il quale assemblò mirabilmente il materiale ricevuto. Un portiere affidabile come Pulici, dalle grandi doti umane; una difesa impenetrabile, affidata a Wilson, capitano e libero, con il giovanissimo Oddi che scavalca Polentes nelle gerarchie, e Facco, cresciuto ai margini della grande Inter, come Frustalupi che arriva da Milano in cambio dell’estro di Peppiniello Massa, talentuosa aletta protagonista della promozione. Frustalupi era l’allenatore in campo, affiancato dalla vitalità di Re Cecconi, allievo di Maestrelli già al Foggia, e da Nanni, conterraneo del mister, mediano forte dai piedi buoni, che nasceva attaccante nella Juventus. Martini arrivava da dietro e sosteneva la manovra sulla sinistra, con Garlaschelli, arrivato dal Como, che esplodeva subito come spalla del magnifico ariete Chinaglia, braccio armato di quella squadra compatta e equilibrata. L’inserimento del talentuoso D’Amico al posto dell’utile ma non eccelso Manservisi, e l’arrivo di Petrelli dalla Roma, a scavalcare nelle gerarchie Facco, completava l’assemblaggio della Lazio di Maestrelli: un campionato dominato, e il coronamento del sogno dello scudetto, nell’Olimpico in festa, il 12 maggio 1974, proprio contro l’amato Foggia. I meriti di Maestrelli in quell’impresa furono enormi: il collettivo costruito esaltò le caratteristiche dei singoli, relegandone in secondo piano i difetti caratteriali, contenuti dallo straordinario carisma dell’allenatore. La Lazio era squadra vera, anche se durò poco, perché la salute di Maestrelli s’incrinò quasi subito. La notizia della malattia raggiunse la squadra alla vigilia del match interno contro il Torino, in cui la Lazio patì uno dei rovesci più severi della sua storia. Poi il ritorno, la salvezza conquistata sul campo, all’ultima giornata, con l’eroe Chinaglia volato dietro al suo destino americano. Poi la fine, il 2 dicembre di 30 anni fa. E l’inizio della leggenda: Maestrelli ha il potere di unire anche oggi, in un tempo che segna gravi spaccature nell’ambiente laziale. L’applauso è convinto, le lacrime sincere. E’ stato lui, più di ogni altro, l’uomo del destino, per i laziali.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #2 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 16:58:53 »
e i trent'anni dal grande derby di felice Pulici

Non parlava molto, Felice Pulici, da giocatore. Era arrivato da Novara a condividere con gli altri l’inconfessabile sogno dello scudetto, ed era un fedelissimo di Tommaso Maestrelli, più degli altri. Alla vigilia del derby del 28 novembre 1976, il portiere dello scudetto sapeva che per il Maestro non ce ne sarebbero stati altri. E non c’era altro nella sua testa, non l’ansia di Cordova, per la prima volta contro il suo passato giallorosso, non il tremito dei gioielli laziali, Giordano, Manfredonia, Agostinelli, in campo tutti insieme in quella squadra sbarazzina che Vinicio guiderà in zona UEFA, nonostante le terribili sciagure del più brutto inverno della storia della Lazio. Era una bella giornata, e Giordano aveva fatto un numero dei suoi. Sotto la curva nord aveva calciato d’esterno una palla nel sette, stando a un passo dalla linea di fondo, alla sinistra del baffuto dirimpettaio, Paolo Conti. Un gol bello da impazzire. La reazione dei giallorossi fu veemente, guidata da Bruno Conti e da Di Bartolomei. Produsse palle gol a raffica, sulle quali Felice si ergeva a fare scudo, per difendere quella vittoria preziosa, da dedicare al suo maestro morente. Loro tiravano e lui parava, come in una danza, o piuttosto in un film surreale, una specie di Shaolin soccer ante litteram. Musiello, e Pellegrini, e Sandreani, e il bombardamento incessante della porta laziale: Felice Pulici si era proposto un compito impossibile, quel giorno. Che venga, la morte, sembrava dire. Che venga, e io parerò anche lei. Avesse potuto, l’avrebbe parata davvero, quel portiere laziale dal cuore grande, con gli occhi lucidi e il sorriso buono stampato sulla faccia, arrivato dal nord a condividere con gli altri un sogno inconfessabile. Felice parò tutto, e quel derby lo vinse la Lazio, senza Re Cecconi in campo, cinquanta giorni prima che se ne andasse anche lui per sempre. Parò tutto, Felice, ma non riuscì a respingere quel maledetto destino.

POMATA

Re:Cecconetzer
« Risposta #3 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:12:21 »
e i trent'anni dal grande derby di felice Pulici

Non parlava molto, Felice Pulici, da giocatore. Era arrivato da Novara a condividere con gli altri l’inconfessabile sogno dello scudetto, ed era un fedelissimo di Tommaso Maestrelli, più degli altri. Alla vigilia del derby del 28 novembre 1976, il portiere dello scudetto sapeva che per il Maestro non ce ne sarebbero stati altri. E non c’era altro nella sua testa, non l’ansia di Cordova, per la prima volta contro il suo passato giallorosso, non il tremito dei gioielli laziali, Giordano, Manfredonia, Agostinelli, in campo tutti insieme in quella squadra sbarazzina che Vinicio guiderà in zona UEFA, nonostante le terribili sciagure del più brutto inverno della storia della Lazio. Era una bella giornata, e Giordano aveva fatto un numero dei suoi. Sotto la curva nord aveva calciato d’esterno una palla nel sette, stando a un passo dalla linea di fondo, alla sinistra del baffuto dirimpettaio, Paolo Conti. Un gol bello da impazzire. La reazione dei giallorossi fu veemente, guidata da Bruno Conti e da Di Bartolomei. Produsse palle gol a raffica, sulle quali Felice si ergeva a fare scudo, per difendere quella vittoria preziosa, da dedicare al suo maestro morente. Loro tiravano e lui parava, come in una danza, o piuttosto in un film surreale, una specie di Shaolin soccer ante litteram. Musiello, e Pellegrini, e Sandreani, e il bombardamento incessante della porta laziale: Felice Pulici si era proposto un compito impossibile, quel giorno. Che venga, la morte, sembrava dire. Che venga, e io parerò anche lei. Avesse potuto, l’avrebbe parata davvero, quel portiere laziale dal cuore grande, con gli occhi lucidi e il sorriso buono stampato sulla faccia, arrivato dal nord a condividere con gli altri un sogno inconfessabile. Felice parò tutto, e quel derby lo vinse la Lazio, senza Re Cecconi in campo, cinquanta giorni prima che se ne andasse anche lui per sempre. Parò tutto, Felice, ma non riuscì a respingere quel maledetto destino.

Ricordo ancora il titolo del corriere dello sporco il giorno dopo:

SUPER PULICI FERMA LA ROMA

Mazzola

Re:Cecconetzer
« Risposta #4 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:14:11 »
e i trent'anni dal grande derby di felice Pulici
...

Sei OT.
O parli di Cecco o parli di Pulici...  ;D

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #5 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:19:31 »
mi sono ottizzato da solo. Ma tu che hai un megarchivio, perché non cerchi le pagelle di Milan-Lazio 0-0, Pulici 10+? Mi sa che erano quelle del Messaggero...

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #6 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:23:03 »
Il danno. Scritto all'indomani della cessione di Alessandro Nesta per il Magazine di Lazio.net

Era chiaro. Era tutto chiaro, ad avere occhi per vedere. I movimenti della trimurti indicavano chiaramente quale sarebbe stata la destinazione del Capitano. Tutto s'incastrava alla perfezione: la lunga trattativa del Milan per prendere Cannavaro, soprattutto, e il fatto che il difensore del Parma fosse d'improvviso passato all'Inter per la metà della cifra che (si diceva) il Milan sarebbe stato disposto a sborsare per lui. Mentre la Juventus monitorava la situazione, e teneva bloccata la Roma con la trattativa-burla di Davids, e la Lazio godeva di qualche spondina da parte della lega, che mediava la complicata trattativa con il Chievo. I soldi della Lazio occorrevano al Chievo per iscriversi, i soldi del Milan occorrevano alla Lazio per restare a galla, i tempi non combaciavano e il Potere ha fatto in modo che combaciassero, liberando il campo dalla possibile concorrenza cittadina, che a quel punto aveva già preso il suo bel crack in difesa.

Gli occhiali del tifoso in questi casi sono quanto mai opachi, e noi non abbiamo capito. Non siamo stati in grado di leggere quello che era sotto i nostri occhi, ci siamo illusi che la Lazio potesse tenere il suo capitano e rilanciare la sfida al campionato. Invece, serviva soltanto la conferma (una formalità) del superamento del preliminare di Champions League da parte del Milan. Conferma che è arrivata e ha sbloccato la situazione.

Adesso, cosa succederà? Oh, niente, niente davvero.

Perché chi è della Lazio sa di poter sopravvivere a tutto. La memoria del dolore è quella più vivida, sempre, e scatta in questi casi a proteggere chi ce l'ha, e rende composti, civili, solidali. Il dolore e il danno segnano la storia della Lazio, da quando la squadra che cercava prepotentemente lo scudetto negli anni cinquanta scivolò in serie B da ultima in classifica, da quando raggio di luna oltrepassò il tevere, da quando CeccoNetzer e Maestrelli mancarono, e il sogno dell'Aquila si trasformò in tragedia. Da quando Chinaglia ci lasciò, ed era tutti noi, da quando Chinaglia tornò, e rischiammo di sparire, da quando Manfredonia, Giordano, Wilson e Cacciatori vendettero per trenta denari il nostro cuore e le nostre bandiere, da quando un furfantello in squadra ci regalò la serie C, per un'estate, e poi il -9 in serie B. Da quando qualcuno ha trasformato il nuovo sogno in un lungo viaggio verso l'inferno, congedando Nedved, Salas e Veron, e ora il Capitano senza macchia.

Si può dire di tutto per giustificare la cessione con la crisi, ma non è un esercizio da fare ora, nel momento del rimpianto e del dolore. Nesta se ne va, venduto al Potere del calcio e del Paese. Un potere arrogante, va detto, nel calcio e nel Paese. Quello che accade nel calcio è grave e deve far riflettere: chi chiede comportamenti virtuosi agli altri, e si proclama garante della soluzione della crisi, dall'altra parte briga per ottenere il massimo vantaggio dalla propria posizione di dominio. E liberarsi della concorrenza, non certo nel modo più ortodosso. Che la Lazio sia funzionale a questo piano fa pena, dice di una società al momento subalterna e pronta a scendere a patti con avversari che in un tempo non lontano ha saputo mettere in ginocchio. Sale sulle ferite dei tifosi, non c'è dubbio. Ma anche nuova consapevolezza, per i tifosi: quella di essere l'unica parte pulita in campo, quella di avere più dignità di ogni mestatore di questa giostra di miliardi, quella di poter assistere ai mille teatrini del Barnum con la certezza che un giorno la scena cambierà, e che ci sarà una Lazio senza questi protagonisti. Ai quali si deve gratitudine, di sicuro. I quali però stanno comportandosi come se la Lazio fosse espropriata della propria storia e della propria dignità. Che poi è "Vita propria", perché la Lazio è una cosa viva, non un oggetto commerciale.

Che poi un Presidente del Consiglio possa mentire pubblicamente a più riprese, dicendo che un affare non si fa, e poi farlo, fa parte dei misteri d'Italia. In America, terra delle opportunità ma anche della propaganda mediatica, e paese a cui s'ispira abbondantemente l'ultraliberismo maccheronico, il fatto sarebbe di una gravità assoluta. Ma qui la democrazia è un oggetto misterioso, e il trono di Berlusconi non si può certo mettere a rischio per una bazzecola del genere. Semmai qualche cortigiana sospirerà di più al pensiero delle infinite risorse di Re Silvio, al cui compiacimento regaliamo il nostro paladino, l'uomo cresciuto nella Lazio e con la Lazio, perché ci conceda di continuare a stare nel circo che conta. Da comprimari, però, ed è una bella umiliazione per chi non più tardi di tre anni fa sfidava il cielo... Ma l'umiliazione si considera, da un punto di vista economico-finanziario, presidente Cragnotti? Vendere la bandiera è come uno sputo sulla maglia, è un'ombra sulla nostra storia, piccola di successi, grande di tradizioni sportive e di dignità. La storia che ci dice, presidente Cragnotti, che conosciamo il sapore della morte e della privazione, e che sappiamo di sopravvivere, anche se, ancora una volta, abbiamo subito un danno. E sopravviveremo anche alla sua gestione roboante di campioni e di soldi, che ultimamente regala pochi sorrisi e poche verità, soprattutto. E l'umiliazione di vederLa ancora contrabbandare i nostri sogni, e il nostro amore per la Lazio, di cui Nesta era la fulgida immagine.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #7 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:31:01 »
Fiorini
(scusate l'autocelebrazione, è solo per riportare fuori questa roba ingiallita, ma sono bei ricordi)

Aveva gli occhi grandi, Giuliano. Grandi e profondamente cerchiati, come se non avesse dormito. Come se avesse passato la notte in qualche bar. Con quegli occhi aveva visto schizzare la palla e si era avvitato su sé stesso, toccandola con un colpo secco, da biliardo, i tacchetti che mordono l’erba e lo sguardo che la segue mentre gonfia la rete, abbattendo l’incubo di Dal Bianco, portiere vicentino paratutto che per la Lazio ha il volto della serie C. La rete che si scuote e Giuliano che corre verso la curva con gli occhi sgranati e il volto di chi te lo vuole raccontare. Ragazzi, ho segnato, ho fatto gol. Siamo salvi. Ce la possiamo fare. La gioia che esplose nelle centomila ugole dell’Olimpico, ma anche nei cuori biancocelesti rimasti a casa. Il pianto dirotto documentato dalla televisione rampante del tempo, strappato al campo nella bolgia finale, raccontava di un uomo che sapeva di aver restituito alla gente laziale la speranza, di aver cambiato il destino con un solo tocco, una zampata rapinosa, da centravanti di razza come Giuliano era, anche se le strade del calcio l’avevano portato, alla fine, lontano dalle grandi ribalte immaginate a inizio carriera. Quel giorno Fiorini faceva di più: scriveva il suo nome nel cuore della gente, entrava nella memoria dei tifosi della Lazio per rimanerci per sempre. Nessuno potrà mai dimenticare l’epilogo di quel Lazio – Vicenza e la limpidezza degli occhi di quel semplice calciatore emiliano, che aveva girato per l’Italia fino a quel giorno e avrebbe continuato a girare, da mestierante, per guadagnarsi di che vivere e spendere gli ultimi spiccioli di carriera. Giuliano Fiorini è mancato sempre ai laziali, fin dal primo giorno. Ognuno ha conservato il ricordo grato di quel gesto. Che ha significato redenzione, nell’immaginario laziale, ben più che il gol di Poli che risolse i successivi spareggi e diede alla Lazio la certezza di evitare la retrocessione in serie C. Nella terribile notizia della morte di Giuliano sta il retrogusto dolce della sua carriera: eroe vero, quanto e più di tanti campioni celebrati. Eroe semplice e senza spocchia. Che di lì a poco prese le sue cose e si fece da parte, perché la Lazio si attrezzava per tornare grande. Il cammino verso la ritrovata grandezza partiva proprio da quel gol. E la gente non lo ha dimenticato.

Il 21/6/1987 con un gol di Fiorini la Lazio batteva all’Olimpico il Vicenza e acciuffava per un pelo gli spareggi per evitare la retrocessione in serie C. A Napoli, in un girone a tre con Taranto e Campobasso, La Lazio evitò l’onta della retrocessione nell’ultima gara, battendo i molisani grazie a un gol di Poli, dopo aver perso il primo spareggio contro il Taranto.

POMATA

Re:Cecconetzer
« Risposta #8 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 17:47:47 »
Ma che stai a fà na copia de securità :D

Bei pezzi ;)

Offline cuchillo

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Re:Cecconetzer
« Risposta #9 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:11:08 »
Sempre per farne una copia di sicurezza  ;), questo il mio ricordo di Giuliano.


Quel fisico da rockstar eternamente in sovrappeso, quegli occhi pallati alla Marty Feldman, quel viso rugoso, solcato, scavato dalla fatica, pari a quella di un pescatore deandreiano.
Eppoi, quei capelli sempre sudati, spettinati, l’adipe depositato sui fianchi, quella schiena sempre ricurva, quelle movenze da bisonte del vecchio west, grave ma in fondo dispettosamente agile.

Cos’aveva dell’atleta, Giuliano? Nulla. Sembrava appena uscito da una balera emiliana o da una tavolata di amici a piadina e lambrusco. No, non è un luogo comune. Giuliano aveva proprio la silhouette, l’aspetto, il sapore di un emiliano doc. L’emblema dell’abbondanza mai fine a se stessa, dell’opulenza sofferta e ben gestita, dello svago dopolavoristico. L’emblema di una terra così romanticamente legata all’idea della “resistenza”, della “ribellione”, della “lotta contro l’oppressore”.

Non so perché, ma nel mio immaginario Giuliano Fiorini lo accosto a un altro modenese - mirabilmente raccontato da un film Gigi Magni – ovvero Angelo Targhini, giovane carbonaro e cospiratore decapitato a Roma per volontà del governo pontificio.
Sarà per quello sguardo un po’ paraculesco, per quel suo fare dissacrante e dissacratorio, per il coraggio e l’incoscienza o forse per il coraggio dell’incoscienza. Sarà perché in fondo, ancorché consumato, Giuliano Fiorini, come Angelo Targhini, non era affatto vecchio quando divenne “Eroe”: 29 anni. Pochi, in fondo.

Sì, perché “Eroe” non è chi fa qualcosa di straordinario…ma è chi fa qualcosa di straordinario UNA VOLTA SOLA. In questo è consistito l’eroismo di Giuliano.
Piola, Chinaglia, Signori, Nesta: immensi campioni, grandissimi idoli, miti. Ma eroi no. L’eroismo è la sublime realizzazione di un atto nell’istante, nell’istante unico e irripetibile, nell’istante che divide la vita dalla morte, l’esistenza dalla sparizione, la gloria dalla resa.
Giuliano Fiorini è stato quell’”atto”, quell’”atto” che ci ha tenuto in vita, che ha tenuto in vita un popolo, aggrappato alla vita mani e piedi, unghie e denti.
E lo ha fatto in un modo innaturale, non suo, con un gesto tecnico che non gli apparteneva. Un gol alla Gerd Muller, oggi diremmo alla Romario o alla Salas…Quel tocco di punta da mariuolo, alla malandrina.

Li ricordo tutti e 10 i gol di Giuliano in quei 2 anni di Lazio.
In particolare, il primo che vidi allo stadio. Al tempo avevo 11 anni e lo stadio, mio padre-accompagnatore, me lo “centellinava”…Ma il giorno di Lazio-Modena, Fiorini contro la sua città, mio padre, alla mia richiesta di andare alla partita, mi disse subito di sì.
Dopo 14 minuti Giuliano prende palla al limite dell’area, spalle alla porta, si gira in una manciata di secondi, a modo suo, e tira una ciabattata all’angolino. 1-0: esplosi di gioia. Era solo la decima di campionato, ma sentivo che potevamo salvarci. Poi, una volata (si fa per dire) di Giuliano sulla fascia destra, palla in mezzo per Poli ma un difensore modenese la butta dentro da solo…2-0. Finirà 4-2 in un mare di affanni, come sempre quando gioca la Lazio. Uscii dallo stadio convinto che proprio Giuliano ci avrebbe salvato e ne fui ancora più convinto dopo Lazio-Triestina: punizione rasoterra all’angolino, proprio all’ultimo minuto che ci regala un insperato pareggio dopo un assalto all’arma bianca.

Poi, è storia che sappiamo tutti. Lazio-Vicenza, anzi, all’epoca ancora Lanerossi. Quell’insolito numero 11, la corsa folle sotto la curva, lo slip color beige, eppoi lacrime, lacrime e lacrime. Le sue, le nostre. Il fischio finale di D’Elia, la speranza di poter esserci ancora. Poi, l’esilio a Venezia, quasi garibaldino. 2 anni di amore, di imperituro amore.

Volli conoscerlo, vederlo da vicino. 3 mesi fa passai nella sua ricevitoria per incontrarlo, era sabato mattina. “Giuliano non c’è: è fuori tutta la settimana, anche domani” - mi dissero. Mah, pensai io. Qualcosa mi dice che non è in vacanza, né in viaggio d’affari. Poi, un mio collega e amico bolognese: “Fiorini sta molto male…Ne parlavano oggi su un sito di tifosi rossoblu…”
Capii che forse non l’avrei mai visto in volto, che non gli avrei mai stretto la mano, che non avrei mai potuto dirgli semplicemente “grazie”.

Ciò che è stato Fiorini per la Lazio e per i suoi innamorati è qualcosa che eccede da una dimensione reale, tangibile. Fiorini, nel ricordo, è qualcosa di metafisico, di trascendente, di irraggiungibile. Quasi uno “strumento” divino, un passaggio diabolico di un disegno provvidenziale più ampio, senza fine.

E giù questo cazzotto in pieno stomaco, questa stilettata in pieno petto, da sempre sanguinolento ma fiero delle sue incalcolabili ferite. Ma questo popolo non è dimentico del suo Eroe, non è immemore della sua Storia, è attento custode del suo Destino.

Forse non ci sarà un altro Giuliano Fiorini a evitarci il viaggio all’Inferno senza ritorno, non ci sarà un altro Giuliano Fiorini a farci sentire miracolati per l’eternità, non ci sarà un altro Giuliano Fiorini a farci vivere una passione e un amore in modo così totalizzante. Non ci sarà un altro Giuliano Fiorini a farci sentire fratelli per un giorno, senza distinzioni.

Ti saluto, caro Giuliano, come Angelo Targhini salutava i suoi fratelli carbonari: “Salute e fraternità”. Buonanotte, Giuliano.
Invidio tanto Massaccesi. Ossia Jooooooe D'Amato.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #10 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:11:34 »
non ho solo roba mia, ma non posso pubblicare tutto, ci sono pezzi di gente che non scrive qua.
Questo però l'ha scritto un certo Roberto Couto, sempre su Lazionet, il 19 giugno del 2000, veramente magistrale:

Appena terminato il campionato
Mi ritrovai contento come un pupo
Ché lo Scudetto m’ero aggiudicato

Nell’animo giocondo un fondo cupo
Restavami però ben radicato
Con quelli che si logano col lupo

E con coloro che a ragione o torto
Della lor penna hanno fatto spada
E ben li vedo a zappare l’orto

Perché alla fine, come vada vada,
Ei salgono sul carro del più forto(*) (*)licenza poetica
E si confondon con la gente in strada

Tanti altri ve ne sono che han peccato
Bussarli uno ad un non è legale
Un altro contrappasso va trovato

Quivi in soccorso venne lo Lazziale,
Che come per malìa da me evocato
Apparve come spirito del male.

“Io sono Pikkio, lo lazial mistero
Vi state sbollentando lo cervello
Per ingamare se son finto o vero

Ma mentre che risolvi l’arrovello,
Caro Roberto non vedere nero,
Che mo’ te porto in un posto bello.”

“Ma allora esisti, se me sei comparso”
Dicevo un po’ stupito “tu sei vero”
“E chi l’ha detto? Cosa è vero o falso?”

“Quello che conta, in fondo, è il mio pensiero
Certo sarebbe un tantinello scarso
Se leggessi Corière e Messaggero”

“Invece vojo stà co l’occhi aperti
E sento che me dice la cucuzza
Invece der “parere dell’esperti”

“E quindi dico a te “nun annà ‘n puzza”
Stai sempre co’ li nervi un po’ scoperti
Se continui così te vanno in ruzza.”

“L’inferno pallonaro” disse il Vate
“E’ dove se ne vanno prima o dopo
Tutti quelli che dicono cazzate”.

“Se vòi fa un giro, io me presto all’uopo
Vedrai che insieme famo du’ risate,
vedrai come sarai contento dopo”.

A queste frasi egli mosse tosto,
“Annamo” disse l’uomo del mistero,
“Annamo dunque a vedè ‘sto posto”

Io non credevo che dicesse il vero,
Ma seco mi recai, ad ogni costo,
Finché giungemmo presso un cimitero.

“Per me si va tra la buciarda gente,
Per me si va nel mondo pallonaro,
Dove a fà danni nun ce vòle gnente.

Voi date retta a chi è più cazzaro,
Quello più svejo pare deficiente
E mo so’ cazzi vostri, o voi ch’entrate”

Adunque s’apprestammo all’entratura
Ove scorgemmo dietro li portoni
Un campo smisurato di verdura

“Questa è la zona de li buciardoni
Quelli che fanno venì l’incazzatura
A forza de sfonnatte li cojoni”

Guardammo meglio in mezzo alla cicoria
E vidi un uomo basso incerottato
Ma non sembrava doma la sua boria

Il mentecatto s’era già rialzato
“Io fosti il presidente del trigoria”
Ei disse senza manco prender fiato

“Io cercavo la vigna dei cojoni
Pensando ch’eravate tutti fessi
Perché voleo comprà quattro campioni”

Ma invece m’aritrovo co’ li cessi,
ma che me frega, quattro titoloni,
e posso pure presentà li stessi.”

Guardavo quell’ometto marchiciano
E mi faceva tanto tenerezza
Dicevo quasi “damose ‘na mano”.

Ma ripensavo pure all’amarezza
Delle cazzate che diceva er nano
E andando via je diedi ‘na gran pezza.

Poscia trovammo un tizio tutto nero
“Ordunque dicci lo motivo schietto
Della discesa tua qui nello infero”

“Io ero l’Emergente col fischietto”
Il tristo disse col suo mo’ sincero
“e quando fischio io è rigore netto”

“Rosetti fui nomato, di Torino,
e da’ tre grandi presi i complimenti
e pure da colui che a Nichelino

è meglio noto come sor Pairetto,
e continuando co’ ‘sto sistemino
ogn’anno regaliamo lo scudetto.”

“Quello chi è?” Io chiesi alla mia guida,
facendo segno a un mostro dell’orrore
“E’ l’uomo che più d’altri in campo grida”

Egli è chiamato l’arbitro Migliore,
Lacrime e sangue spettan a chi lo sfida,
Col cartellino semina terrore.”

Occhi di fuori, sguardo spiritato
A stento lo cor mio teneva duro
Al guardo dell’orribile pelato

Terrore d’incontrarlo nel futuro
E ansia di conoscerne il passato
“Perché si trova in questo antro oscuro?”

“Sancì che l’arto verso lo pallone
non sempre muove, viceversa disse,
vieppiù se a righe porti tu il maglione”

“Al cèco che quel dì lo maledisse
Fece fare la parte del coglione
Prima che a casa tosto lo spedisse.”

Stremato lo cor mio dall’emozione
Dissi al Maestro “oggi famo basta”
“annamo a mette mano ar pentolone”

Annamo a mette l’acqua pe’ la pasta
Domani se farà n’antro girone
Chissà l’estate tutta se ciabbasta.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #11 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:12:51 »
Canto II

”Mamà Fiorè, mamà Fiorè, mescappa!”
Esto frasario grezzo ed ignorante
Come s’esprime chi maneggia zappa

Udimmo come tuono rimbombante
E c’apprestammo per la nuova tappa
Dove marviglie c’aspettavan tante

“Qui stamo ner girone de’ cafoni
Ove soltanto un ospite v’alligna
Ma credi ch’è costui de’più coglioni”

“Adatto pare solo per la vigna
Nacque coatto, vuoto di neuroni:
Duro è il suo cranio, tosto come pigna”

Dianzi scorsi per l’arcan capire
E vidi uno con la faccia bura
Sommerso dalla merda, brutto a dire

Pioveva fitta da un’impalcatura
Dove lo sterco mi parea sortire
Da tizi con la maglia biancazzura

Essi facevan come nello cesso
Per via di mucchio di magnesia pura
Che gli venìa passata da quel desso

E più di cacca ne sortiva fòra
Più si beava della cosa ‘l fesso:
“A lazzialotti, v’ho purgato ancora.”

Di ciò la vista mi colpì sì tanto
Che pensai tosto di cercar risposta
Da lo Virgilio ch’io teneva accanto

“Te faccio sta domanda sola e basta:
Chi mai può esser stolto si’ cotanto
Da evacuar colui che lo sovrasta?”

“Egli è l’alfiere d’ignoranti turbe
Che sotto la casacca giallorotta
Per settant’anni infestaron l’Urbe”

“Degno cantore ebbero nel Piotta
Esti cafoni con le facce furbe
Che paron proprio figli di mignotta”

“Nacquero essi infatti dallo mischio
Di sette padri, per voler supremo
Solo Vaccaro replicò “cor fischio!”

“Laziale sono, quindi non son scemo”
Ed evitocci lo tremendo rischio
Tant’è che a lo pensiero ancora tremo”

“Di questa feccia ieri noi s’è scorto
Quello giullare ch’ora li comanda”
“Era per caso quel curioso corto?”

“Togli senz’altro ‘l punto di domanda
Giacché quel nano che scorgemmo all’orto
E’ ‘l degno capo di codesta banda”

“Essi fan vanto della lor ‘gnoranza
Col burro sol gli è noto lo cervello
Pria dello spirto curano la panza”

“Già lusso è ch’hanno l’uso del favello
Nel quale eccellon solo per baldanza
Di cotal stile n’è campione quello”

Mentre ch’avanti lesti noi s’andava
Smise il coglion lo rito punitivo
E con stupore udimmo che parlava

Noto non gl’era certo ‘l congiuntivo
Traduco adunque quello che sgorgava
Da quello cranio di sapere privo

“Io fui nel mondo ‘l peggio de’ coatti
E sol per lo talento pallonaro
Me so’ scampato de lavà li piatti”

“Ma l’unica ricchezza del denaro
Non puote certo mai cangiar li tratti
Di chi nel core è fiero borgataro”

“Pugnando avverso la fazion laziale
Truce maglietta esposi nello stadio
Ma di quel fatto me n’incolse male”

“Di gladio chi ferì perì di gladio
Ed in porchetta sempre va ‘l maiale
Tacemmi questo l’uomo della radio”

“Alfin non giova comportar da gregge
“Metti la maglia”, lo Marione disse
“Vedrai co’ questa nun te ponno regge”

“L’insegna esposi, e fu l’Apocalisse
Mannaggia a me che nun so’ bono a lègge
Galeotto fu ‘l motto e chi lo scrisse”

“Gloria di un giorno, fu l’amaro vanto
Che procurommi lo suddetto lazzo
Lo vile gesto subito ho rimpianto”

Giacché per paga del momento pazzo
Sventura n’ebbi, rosicando tanto
E pure st’anno non ho vinto un cazzo”

Lasciammo dunque l’orrido elemento
Nello letame mezzo soffocato
E del Maestro udìi l’ammonimento

“Di merda da mortal s’è comportato
e per lo nostro grande piacimento
da merda adesso viene ripagato”

Visse parlando male della Lazio
E come prevedea lo contrappasso
Da ciò gliene discende giusto strazio

Servo si fece di quel tipo basso
Ed ora insieme pagheran lo dazio
Furore sacro colpirà qui abbasso

Tosto s’impone che da qui noi s’esca
E l’importante è che nessuno perda
Degna morale, e che il clamor s’accresca:

Fatti non foste a viver nella merda
Ma per gridare ‘l motto del Ventresca
"Viva la Lazio, sempre romammerda."

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #12 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:16:59 »
“Sancì che l’arto verso lo pallone
non sempre muove, viceversa disse,
vieppiù se a righe porti tu il maglione”

genio purissimo.

Offline cuchillo

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Re:Cecconetzer
« Risposta #13 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:19:08 »
Questo è il più bel pezzo mai letto.
E' di Silverado/Sca. 2008.

Credo che i commenti dei tifosi, penso anche a Zampa o a Crudeli, ecc. siano sempre un po' tristi.
C'è quell'atmosfera di tensione, non c'è mai gioia ma solo l'eventuale urlo liberatorio al gol della propria squadra; un urlo liberatorio ma anche "patologico", al confine tra sfogo e isteria. Ripeto, non sento mai gioia in queste telecronache ma solo tanta tensione negativa, paura, atmosfera pesante...
Guido poi si è specializzato in racconti pregni di una cappa lievemente funerea, a suo modo anche gotica: "Ecco, le squadre entrano in campo, comincia a piovere, vedo il mister sorretto da qualche inserviente, forse non si sente bene... E' incredibile, alcuni nostri giocatori mi sembra che stiano parlando col magazziniere... Forse... Ah, ecco, mancano alcuni scarpini... Ballotta anche non credo stia bene, mi sembra... Sì, purtroppo sta vomitando accanto al palo... Intanto la partita sta per cominciare... Volti tesi... Rocchi si sta già toccando una coscia... Tare si sta riscaldando, incredibile... Anche Tare sta parlando con Manzini... Ora diluvia bene, mamma mia... Lancio... No, non c'è nessuno... Ripartono gli avversari, che mi sembrano più sciolti sulle gambe, non so. Bravo Siviglia, via quella palla... Mauri non ci arriva... Pandev prova a pressare, non ce la fa da solo... Attenzione adesso, siamo scoperti... Mutarelli scivola, attenzione, il campo è pesante. Il mister siede ancora in panchina ma non credo stia bene... Intanto a bordo campo è arrivata un'auto... Scura, lunga... Ci informeremo...".
Invidio tanto Massaccesi. Ossia Jooooooe D'Amato.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #14 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:22:12 »
Sca è un grandissimo, se n'è incrociata di gente capace in questi anni...

fammi spulciare, va. non posso postà il caro diario di Tarallo. O sì?

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #15 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:29:07 »
Un giovanissimo V., per il Magazine di Lazio.net. Grande pezzo, i suoi li ho tutti...

Leaving Istanbul

Marzo, giovedì 20.
Frastornato come fosse stata una corsa di Pamplona, euforico a denti stretti come sapendo chi ha rubato la lingua del Santo, lascio il Bosforo e le sue primavere. E' stata una partita splendida quanto normale. Vista e goduta senza elmetti. Senza il frastuono della Storia. Nel bel mezzo di una bolgia sì, ma neanche un lacrimogeno. Chi per l'occasione si era voluto rifare il maquillage, chi con goffi e affannosi tentativi di inseguire un'improbabile verginità aveva chiesto a questa società di tornare rigorosamente a mani vuote, capo chino e sensi di colpa annessi, sarà rimasto deluso, nessun sacco di sabbia alla finestra.

Chissà perché dalla Lazio si pretendono sempre quarti di civiltà, verifiche morali. A Istanbul stasera come Barcellona trentanni fa. Papà Lenzini allora non riscosse mai credito. Una squadra pura, istintiva, di fenomeni : furono volentieri immolati per ragion di stato. Senza dimenticare gli allori recenti di Belgrado, altra trasferta ai vicinissimi confini di un mondo obliato, da obliare. La Lazio, la nostra Lazio ha giocato al calcio, con autorevolezza, lasciando fuori alibi e castrazioni romantiche.

E' vero: Roma sta bruciando, di nuovo, da qualche parte nel mondo, in terre vecchie e stanche, a noi familiari fin dai tempi dei sussidiari: il Tigri, l'Eufrate. Ma come a Belgrado, fuori dai confini patri improvvisamente è gettata la sentenza, hic sunt leones. Eppure a Istanbul si corre su un campo rettangolare, due porte, un pallone, i raccattapalle. Come a Bergamo Torre Annunziata, Pescara Gela. Qui non c'è l'uomo nero. Nel nostro Occidente restaurato grossolanamente per l'occasione restano invece le scelte etiche, i buoni propositi, l'intelligenza ad ogni costo. E i lampioni di Marsiglia di galliana memoria… Ai posteri ! ai posteri!

Neanche il tempo di una camel e Lopez va in fuga. Sgraziato come sempre ma straordinariamente efficace. Al centro c'è Stefano Fiore, il cui merito maggiore non è il gol ma l'averci creduto, facendosi più di 40 metri di corsa a palla lontana. Uno a Zero. Passano 5 minuti e Castroman raddoppia. E adesso? Adesso come Messner si va di chiodo in chiodo, passo dopo passo, pazientemente. Della partita poi non ricordo nulla più. Mi sono sentito inaspettatamente solo. Con trenta denari in mano senza aver tradito nessuno. Lontano dagli advisor, dai debiti, dalle banche, dalle borse, dagli sciacalli.
Questa la formazione di quel fulmineo quarto d'ora, tutt'altro che mistico, mi perdoni Santa Sofia. Da recitare a memoria nei giorni magri. Peruzzi, Stam, Couto, Mihajlovic, Favalli, Castroman, Giannchedda, Stankovic, Cesar, Fiore Lopez , allenatore naturaliter.Mancini.

Come disse Orson Welles alludendo alla crisi dell'intera Hollywood e alla rinascita sotterranea affidata ai giovani Coppola e Spielberg "Roma forse puo' anche bruciare, ma l'orchestra di Nerone sta suonando magnificamente:" E vai.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #16 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:30:47 »
posso chiedere ai moderatori di modificare il titolo del topic in "Cecconetzer e altre storie"?

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #17 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:33:40 »
Favalli, il senatore

di Stefano Ciavatta (Lazio.net Magazine)


Ci perdoni i panni del bastiancontario, capitan Favalli. Noi, viscerali distinti frequentatori dello stadio, lo abbiamo sempre sottovalutato. Tanto da pensare di farne senza, come in un memorabile derby, appartenente oramai a una tradizione vincente e vittoriosa, satura di rievocazioni.
Arrivò a Roma dieci stagioni fa, con Bonomi e Marcolin, per la modica cifra di 21 miliardi, facendo la felicità di Luzzara e un po' meno quella di Cragnotti, qui nella sua unica - sempre rimpianta - apparizione da ricco scemo.
Terzino di fascia sinistra. Delicatissimo ruolo per la tanto agognata rinascita in campionato. Ne sono passati tanti di campionati e di terzini, senza fortuna. Ricordiamo Sergio, pallido tentativo proto-torricelliano e Monti primavera nerazzurro ingenuo quanto rude. Ricordiamo pure che nel gioco di Zeman persino un certo signor Codispoti andava a segno. Lecito attendersi dal ventenne Favalli eroici furori di gioventù così come la consapevolezza -sempre disattesa- di una piazza di nuovo (ben) disposta ad entusiasmarsi, pronta ad imparare a memoria altri nomi. Tra i quali il suo. E' stata questa la sua virtù e la nostra croce: non ha mai indossato le maschere pittoresche del guerriero né il sorriso ebete del jolly, mai diventato personaggio, sempre molto devoto alla causa, ma con freddezza sottile. Pochi, rari gol. Ecco infine la consacrazione a senatore di una Lazio trionfante.

Non solo. Uno dei prodotti più affidabili e disciplinati del vivaio nazionale. Nonostante infortuni fastidiosi e ripetuti, per cui lo scudetto è più un risarcimento che una maglia sudata, è stato testimone di momenti decisivi nel cammino della Lazio.
L'ingannevole ma tremendamente efficace lezione impartita alla Juventus nell'ottobre del '95 in un Olimpico gremito da 70mila fedeli, a Belgrado nell'ottavo di Coppe reggendo l'urto di una squadra di razza, a Madrid in semifinale Uefa, espugnata da un altro tresor biancolceleste Jugovic, nella notte amica di Roma, per la finale del portaombrelli '98 (perché c'è anche quello 2001), annullando le ultime nervose speranze del Milan.
Passano i giocatori anche nelle blasonate signore del calcio italiano, con essi gli esperimenti, le certezze, le promesse. Giuseppe Favalli no. Da sempre, fin dal primo giorno, sapeva di "restare".
Forse è andata proprio così.

ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #18 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:38:04 »
Splendido Ciavatta sulla Maglia Unica. Io ce l'ho ancora.
La miglior penna di Lazio.net, secondo me.

Maglie e hostess

di Stefano Ciavatta

Non è ancora tempo di docce fredde e stendardi ripiegati, la questione semmai è ritrovare un posto al sole per il fegato, stordito dalla salva di imprecazioni di coppa. Reggere gli urli, i fremiti nervosi delle gradinate è abitudine trasmessa dai Padri. Un po' meno sopportare tavole rotonde e spifferi infrasettimanali, corsi e ricorsi, gli allarmisti e i materassai…e mancano "solo" 30 giornate. Ma non tutto è perduto, a volte i nostri arrivano sul serio con squilli di tromba.

Qualcuno infatti ci tira per la giacca e ci ricorda che oggi è giorno di ritiro delle maglie. In un attimo riemergono ancestrali entusiasmi e solenni motti shakespeariani. La maglia è gratis. GRATIS, un nome che da anni non vediamo sbarcare a Fiumicino. GRATIS, nessun modulo da riempire, nessun sorteggio darwiniano, nessuna fatica da loggionista.

Nel calcio Business c'è finalmente una crepa, il maglio nella rete di Montale esiste davvero.

Noi, che osammo chiedere mille lire a Moratti il quale da galantuomo ci disse di accomodarsi dietro quello col passaporto falso (ed erano decine, non uno solo), siamo chiamati al riscatto di Spartaco.

Ci precipitiamo al Flaminio, alle tre del pomeriggio inevitabilmente acchittati da stadio, sciarpe al collo, camminata nervosa e frenetica. Al villaggio Olimpico cerchiamo parcheggio disorientati.

Striscioni, cartelli, commessi e hostess, l'accoglienza è rigorosamente biancoceleste: mani tese, braccia aperte, eppure chiediamo con insistenza conferma dell'evento. Tutto il popolo laziale è in disordinata fila, come ai forni manzoniani, gli eterni scettici sono in ginocchio adoranti, gli scontenti fischiettano l'Aida, nulla può reggere il confronto: Amstrong sulla luna andava a memoria, altro che commosse balbuzie. Nessuno spinge, le porte dell' Eden sono aperte, c'è chi ha preso a posta un giorno di ferie nel caso l'avvocato di De La Pena ci scaraventasse negli abissi improvvisamente, chi ripassa le tabelline dovessero spuntare quiz a sorpresa, chi s'alliscia i capelli, chi arriva in doppiopetto con l'aria di chi ha piegato il destino come san Giorgio col drago.

Come se non bastasse una sagoma gentile e onesta da lontano ci invita a prendere un caffè, sempre-ancora-di nuovo GRATIS. E' il diavolo e l'apoteosi, Eva come Louise Brooks, una sirena, una dea della discordia.

E' troppo, vacilliamo, in un mondo in cui solo le panchine son rimaste libere, salvo barboni aristocratici e plurilaureati, s'apre davanti a noi il Bengodi. Resistiamo con vigliaccheria, per paura che le grida di gioia possano infrangere il sogno. Poi arriva finalmente il contatto, la luce, l'excalibur. Quanto pesava la mela di Newton? e l'uovo di Colombo? Come Marco Polo scopriamo le virtù della seta. E' nostra! è nostra! Il gran capitale è sconfitto, Wall Street non è più invincibile.

Di scatto voltiamo le spalle con retaggio da delinquenti, poi gli effetti del balsamo ci incantano sul posto.

Ma i tanti bocconi amari, i posticipi e gli anticipi, le parabole e gli abbonamenti, i gadget e i "clienti" subiti nel corso degli anni, esigono feroce vendetta: in ordinatissima, diligente fila, rimpannucciata d'orgoglio, decidendo di bissare con spietata volontà, la gente laziale intonando pure la marsigliese va a prendersi il caffè.

Se Parigi valeva una messa, qui il cielo sa d'Arabica.


ThomasDoll

Re:Cecconetzer
« Risposta #19 : Giovedì 24 Gennaio 2013, 18:44:42 »
Stankovic che andava via. Sempre per il magazine di lazio.net

LA GIOSTRA DEL CIRCO

di Stefano Ciavatta

Gran bel titolo, "le belle bandiere", da rimanerne affascinati tanto da farci un film, un'intera encicolpedia di ricordi, da offuscare il resto, da rimuginare per ore con i flashback, altro che stelle di San Lorenzo.

Poi basta una telefonata alle radio, un post sui forum , una voce in ufficio e quella espressione viene lacerata e sbattuta da una parte all'altra. C'è la tribù dei cinici per cui non sono mai esistite scivolando in deliri mistici per cui tutto è illusione, un nome vale l'altro ( lo sapesse Sassure di tanta popolarità ex cathedra!). A seguire, la fazione dei massimalisti che vede nella gente laziale la vittima di un perenne tradimento e il giocatore sempre innocente.

Improvvisamente scopriamo - come nel celebre motto di spirito yiddish - che a bottega non c'è più nessuno. Anzi, secondo voxpopuli non c'è mai stato nessuno. Forse è stato (scudetto compreso) un effetto ottico orchestrato da Manzini non è un refuso, proprio Manzini).

Ma la storia della Lazio negli ultimi trentanni - vale a dire quella di una intera generazione - pretende più delicatezza,meno faciloneria, un po' di educazione. "Mo' ci si mette pure Stankovic" strillano le sirene: parliamone, allora.

Certo, anche noi scriviamo col cuore in mano se ripensiamo al passato (di un ciclo mai aperto sul serio) comprendiamo che il cammino percorso da Maestrelli in poi esige una consapevolezza diversa: perché non siamo né saremo mai il Milan così come non saremo mai il Parma o la Fiorentina e qui pensiamo stia la differenza, l'essere laziale.

Non siamo tornati ad essere una provinciale di lusso, con i suoi reucci nelle gabbie d'oro e i "miticivilla" a fare folklore. A noi i Torricelli di turno sono serviti per rimanere in vita, qui i Poli e Fiorini hanno lasciato le coronarie mica i conti da pagare. Campioni d'Europa e d'America sono stati comprati per vincere in mondovisione e non per pavoneggiarsi nei salotti, con i potrei ma non voglio... e nessuno di loro era mai stato prima a via dei Cerchi.

Siamo diventati una realtà diversa, siamo in ballo e non ad un angolo della festa a fare gli snob o gli incompresi.

Abbiamo vissuto momenti, non intere epoche e in quei momenti tanti hanno fatto il loro dovere.

Eppure ci ostiniamo a chiedere che la domenica duri in eterno, che tutti abbiano in mano una volta sbarcati a Fiumicino come a Termini almeno un certificato di nascita capitolino, che restino a vita, permanenza minima 12 anni.

Davvero facile trattenere "politicamente" Batistuta a Firenze per anni, senza un derby da giocare, senza un'ambizione, senza nulla da difendere.. E chissà che mercato aveva l'arcigno Bisoli, idolo di Cagliari, com'era difficile da difendere...

Un club che nell'arco di pochi anni dal suo primo scudetto vive la scomparsa di talenti e timonieri, una coppacampioni scippata per sterili ragion di stato, la retrocessione, la dipartita dei simboli, e poi negli anni seguenti il calcio scommesse, l'utopia Chinaglia, i commercialisti che si spacciano per miliardari, giocatori che vengono a svernare, la serie b, i bilanci in rosso, le condanne in contumacia, nove punti di sutura sull'orlo dell'abisso, il miracolo, la risalita con due piemontesi che osarono sporcarsi le mani mentre da Vanni gli esperti prendevano le paste, la risalita e l'Europa, il lasciapassare nel nuovo mondo chiamato Zoff, la consegna delle carte a Cragnotti, "Cragnotti chi?", Borsa e dollari, giocatori giovani vincenti e strapagati, capocannonieri per tre volte, senatori con le stellette, derby stravinti, coppe di riffa e di raffa, rincorse, scippi, rivincite, temporali e scudetti, notti spagnole balorde, inciampi, congedi, bis sfiorati, tracolli, scoppole e schiaffi, di nuovo baratri, Mancini, magie e appalusi, conti alla rovescia, briefing dei cervelloni, chirurghi della finanza, ancora l'Europa tra i grandi, tutti insieme ai nastri di partenza trent'anni dopo.
E' cambiato tutto e il contrario di tutto, persino il calcio e noi ancora vogliamo rifarci il trucco con l'archeologia, da Piola a Bigiarelli allo stracitato generalevaccaro (tutta una parola). Siamo un grumo di storie, dall'incosciente Mandelli al redivivo Albertini, a cui la Lazio concede fiducia non per allestire un numero prestigoso nella stanca giostra del circo ma per tornare a vincere tutto. C'è più da raccontare che fare i censori, se è vero che i conti si fanno alla fine allora lasciamoli agli altri.