Chiedo scusa per i tempi da posta cartacea, ma posso scrivere con un minimo di agio solo ora (il prossimo che dice “in casa non c’è niente da fare” lo chiudo in una stanza con cento casalinghe. Non muore per contagio da Coronavirus. Non fa in tempo).
Procedo per punti.
Mata, perdonami ma per quanto rispetti i punti di vista altrui vorrei essere molto onesta: Sei in possesso di nozioni e dati sufficienti per dire che questa gestione del problema è sbagliata? E c'è un modo in cui questo governo poteva gestire l'emergenza che ti avrebbe soddisfatto? Perché a me sembra che alcuni lascino parlare le loro antipatie ataviche nei confronti del Governo piuttosto che analizzare la situazione col maggior distacco possibile. Ed il tuo punto 2 va un po' in quella direzione.
Questo governo nasce prendendo milioni di voti dati al M5S con un preciso indirizzo e utilizzandoli nella direzione esattamente opposta.
La democrazia ha subito violenze e sospensioni con varie modalità, ma mai uno stupro e una delegittimazione dall’interno di questa gravità.
E il fatto che un simile attentato alle istituzioni abbia ricalcato procedure formalmente legali, già sfruttate per il golpe Monti-Napolitano del 2011, dimostra casomai come “la più bella del mondo” risulti un colabrodo nei confronti delle moderne tecniche di colpo di Stato.
Questo per dire che l’avversione per il presente esecutivo non dipende da simpatie ideologiche, quanto da istanze di legittimità democratica che in un Paese normale avrebbero imposto da subito il suo abbattimento a furor di popolo.
Ciò premesso, i dati in merito alla gestione dell’emergenza sono quelli che raccolgo affacciandomi semplicemente alla finestra di casa.
Vivo nella provincia della provincia, in una zona disagiata e in avanzato spopolamento dove le poche attività superstiti stanno in piedi più per spirito di servizio che per reale guadagno.
Hai presente cosa significa togliere a una realtà già così fragile il metadone rappresentato dal Carnevale, dalla Festa della Donna, dalle poche occasioni nelle quali, al di fuori della sempre più ristretta stagione estiva, si realizza un incasso degno di tale nome?
Lo squallido Arlecchino che ci governa per conto di Francia e Germania ha provocato in tal senso il maggior danno possibile.
Prima sottovalutando il problema, quando un reale controllo dei passeggeri provenienti dal focolaio iniziale – quindi indipendentemente dalla nazionalità – è stato evitato col più cretino dei pretesti, vale a dire il presunto razzismo insito in tale misura.
Poi sopravvalutandolo fino al grottesco, con misure tanto esasperate quanto contraddittorie.
Chiudono scuole, musei e biblioteche, restano aperte attività di minore valenza culturale.
Chiudono i ristoranti alla sera, restano aperti i bar durante la giornata.
Chiudono i piccoli esercenti, restano aperti i centri commerciali.
Facile individuare i bersagli: la scuola, perno della vita civile; le piccole attività sul territorio, risorse di democrazia e sovranità economica oltre che di capillarità nella fornitura di servizi essenziali; la ristorazione, caratterizzante la realtà italiana sul piano sia identitario sia economico.
Un’istanza di annientamento, un’accelerazione sulla strada del genocidio italiano che i nazisti del XXI secolo, meglio noti come europeisti, portano avanti con tutti i mezzi da quasi trent’anni.
In questione non c’è solo l’assurdità, la cialtroneria, la disorganizzazione dell’approccio alla situazione, ma prima ancora le finalità criminali di simili provvedimenti.
Io non sono d'accordo con tutte le misure adottate prima ed ora dal Governo. Ad esempio, non capisco perché chiudere Pompei invece di contingentare gli ingressi, e lo stesso vale per altri luoghi. Ma capisco anche che è difficile prendere decisioni che devono adattarsi a tutto il territorio nazionale e a tutti i nostri concittadini, compresi quelli scemi come le scimmie urlanti. Se tu hai mai avuto una responsabilità su un gruppo, dagli scout ai cuginetti di sette anni all'equipe di lavoro alla gita organizzata di cui eri chaperon, saprai che il margine di manovra è ideale perché garantisce maggior flessibilità operativa, ma si può concedere solo a condizione che il gruppo se lo meriti. Quando vedi che la gente invece di prendere un dito si prende il braccio, non dai più la mano per niente. La chiusura totale di certi esercizi, che è un colpo durissimo per l'economia, può forse essere vista in questa ottica: se non vi sapete regolare – e mi pare ci siano illustri esempi di gente che non sa farlo, per quanto certo non riflettano il comportamento di tutti gli italiani – allora vi levo qualsiasi possibilità di decidere e decido io per voi.
La massima esperienza di gestione di un gruppo l’ho avuta con un Forum, quindi una comunità virtuale: e ti assicuro che anche lì si poneva il problema della lunghezza del guinzaglio, da regolare in base alla ragionevolezza della controparte.
Qui, però, il punto di partenza è un altro: il più totale e meritato discredito di chi impartisce ordini.
Di’ la verità: ti faresti comandare volentieri da gente palesemente incapace, in malafede, digiuna di vita reale, inferiore in tutto tranne che nella carica occupata?
Cito solo un esempio, precisando che non ho figli ma nonostante questo arrivo persino io a capire quanto segue.
Bambini iscritti alla scuola elementare vengono sottratti alle lezioni – il che già pregiudica il loro diritto allo studio – e, sulla base di dottissime considerazioni di ordine pubblico, si pretende che rimangano in casa tutto il giorno.
Senza la percezione dei legittimi e difficilmente contenibili istinti tipici di quella fascia di età.
Senza capire che, per evitare la distruzione dell’ambiente domestico, verranno portati in qualche spazio aperto riproducendo le potenzialità di contagio che avrebbero incontrato in classe.
Senza tenere conto che i genitori, si spera beneficiati da un lavoro e uno stipendio, li rifileranno ai nonni creando una promiscuità anagrafica assai più pericolosa.
Un cittadino – anche il più sprovveduto – dovrebbe prendere ordini da gente che, a parte tutto il resto, vive sulla Luna?
Poi ci saranno anche il menefreghismo e la leggerezza da pecore indisciplinate, per dirla con Montanelli: ma disposizioni così farneticanti, in qualche caso al limite della praticabilità, verrebbero spontaneamente cestinate anche dai mitologici “popoli più civili del nostro”.
L'esempio dei bar che fai tu è emblematico, e mi permetto di citarlo perché è un esempio di cui la ratio è stata spiegata. La scelta di imporne la chiusura da una certa ora in poi è dovuta alla considerazione che molta gente fino alle sei lavora, e che quindi non affollerebbe comunque i bar; mentre dopo quell'ora la possibilità che si creino affollamenti è maggiore. Tra chiudere del tutto (sacrificando così i guadagni che un bar può fare in una fascia oraria comunque ampia) e non chiudere per niente (opzione impossibile per i motivi che sappiamo) si è scelta la terza via. Possiamo discutere fino a domani se funziona, o se era meglio fare dalle 19:00 o dalle 17:00, ma una ratio c'è. Non sono misure campate per aria. É il tentativo di ridurre le possibilità di contagio senza sacrificare del tutto l'economia.
Sinceramente, ti sembra una spiegazione credibile per la chiusura totale dalle 18 in poi?
Può valere per i bar, che come sottolineavi hanno a disposizione una mezza giornata abbondante, ma che dire di chi lavora soprattutto in orario serale? Rischio assalti e assembramenti anche lì?
Se è quello il problema, bastava introdurre misure relative alla distanza minima e ridurre conseguentemente il numero dei coperti: si andava avanti a scartamento ridotto, ma si andava avanti.
Così, invece, chi concentra l’attività in quella fascia oraria si trova servita una serrata di un mese da un giorno all’altro: se già si tratta di locali alla canna del gas in periodo di normale amministrazione, la botta economica e psicologica può diventare facilmente l’ultima goccia che fa traboccare il vaso.
E, naturalmente, ad andarci di mezzo sono anche qui i piccoli esercenti disseminati sul territorio.
Spesso i migliori per tipicità, genuinità degli ingredienti, rapporto qualità/prezzo oltre che per contestualizzazione in zone di interesse culturale e/o paesaggistico.
Nelle quali la chiusura di una trattoria, che magari attirava pubblico per la sua offerta, toglie utenza e traffico anche alle altre attività presenti nell’area.
Che lavoro, tradizioni, presidio del territorio valgano meno del diktat di un manichino mi sembra francamente un po’ troppo.
Se fossimo un popolo, basterebbe organizzarsi: ristoranti aperti alla sera, giusto per la cena; clienti che, nei limiti imposti dalla distanza di sicurezza, vanno a sostenere il loro locale preferito; magliette con la scritta “Arrestateci tutti”.
Così, in maniera concreta e non violenta, si otterrebbe il duplice risultato di dare ossigeno all’economia e delegittimare sul campo i colonnelli argentini, senza aggravare particolarmente la situazione.
Ma vorrei che si capisse, perché non mi pare che si capisca, cosa c'è in ballo. Non è questione di essere considerati "appestati", di cui francamente non mi interessa perché a) secondo me (e sei liberissimo di non essere d'accordo) è sovrastimata e b) certe misure prese dai paesi terzi sono sacrosante e anche noi avremmo dovuto prenderle. Il problema è che in Lombardia si sta creando un'emergenza sanitaria grave, che deve essere contenuta e che assolutamente non può estendersi al resto di Italia. Se hai medici nella tua cerchia di amici ti invito a chiedere loro cosa dicono i colleghi lombardi. Il quadro è gravissimo. E se sul lungo periodo ci sarà da fare una riflessione seria sulla mancanza di personale e mezzi, oggi una simile riflessione (che è a lungo termine) non serve a risolvere la questione. Oggi vanno prese misure che abbiano effetto domani o tra una settimana al massimo.
Non dubito di quanto affermi: il problema è che, su questo fronte, i buoi sono già scappati.
Chiudere la stalla ora incide in misura decisiva su un’emergenza di questa portata?
Se poi tu dici che distruggere l'economia del paese vuol dire condannarne 60 milioni, mentre lasciare che l'epidemia faccia il suo corso vuol dire stroncarne 30.000 al massimo, è un discorso che puoi anche fare (io non sono del partito che grida "reeestiaaaamoooo umaaaaaaaniiii" per non affrontare gli argomenti). Io ti rispondo con queste obiezioni:
a) Siamo sicuri che lasciar libero sfogo all'epidemia non sia comunque disastroso per l'economia? è vero che per ora la malattia ha dimostrato di non accanirsi con una certa fascia della popolazione, ma abbiamo certezza che questo virus non possa modificarsi? Possiamo escludere che, allargandosi a dismisura il contagio, invece dello smart-working ci ritroveremo il no working at all? Secondo me, no. Il barista, se si prende la polmonite, sta a casa lo stesso. Se esplode il panico l'economia va a rotoli lo stesso.
b) I costi sociali di questa operazione li mettiamo in conto? E che peso gli diamo? Secondo me si rischiano di esacerbare tendenze individualistiche – "Ah, tanto io se me lo prendo non muoio" – che vanno esattamente all'opposto del bene comune. Senza contare che sarà anche per tanti versi un "velo", ma l'idea che la vita umana debba essere tutelata sopra a tutti gli altri valori ha una sua importante funzione sociale. Puoi scendere a compromessi su alcune situazioni (per far capire cosa voglio dire, nessuno pensa di tornare al calesse e al cavallo, perché nonostante gli incidenti d'auto ammazzino più persone del COVID, la società moderna ha bisogno dell'automobile). Ma questo è presentato all'interno di un'equazione di un certo tipo, e MAI come "sti cazzi se crepano 30.000 persone, perché il mantenimento dell'economia è più importante". Se tu lo fai in questi termini, a mio avviso innesti un meccanismo per cui tutti prima diranno "ah sì, figo, tanto io non sarò mai uno dei 30.000", e poi quando inevitabilmente un conoscente sarà coinvolto diranno "oh cazzo, questo stato di merda se ne frega di me, e allora sai che c'è? me ne frego anche io di lui". Che è un meccanismo che già vediamo su più piccola scala in tanti altri contesti, e che fa sì che alla fine tu non abbia salvato l'interesse generale, ma abbia distrutto il tessuto sociale.
Hai capito perfettamente il mio discorso: che non è dettato, credimi, da cinismo, menefreghismo del tipo “tanto sono vecchi e malati” (discorso da Aktion T4) e neppure da una gerarchia valoriale fra economia e vita umana.
Prendo in considerazione un paio di cifre.
Quanti sono morti in seguito al Coronavirus? Qualche centinaio.
Quanti sono morti – contando solo i suicidi – in seguito al golpe Monti-Napolitano e al genocidio sociale varato dal Videla della Bocconi? Qualche migliaio.
Questo il punto:
la crisi uccide più delle malattie.
Quindi è necessario tutelare l’economia non in contrapposizione alle vite umane, ma per salvare il più possibile vite umane.
Parafrasando Benjamin Franklin: chi sacrifica l’economia per la vita umana perderà entrambe.
Quanto alle tue obiezioni: sono tutte e due fondate, ma continuo a credere che lo sfascio dell’economia porti conseguenze ancora peggiori su entrambi i fronti.
Per il punto a), la scelta è fra il rischio di un disastro (che il virus muti, l’epidemia sfugga a ogni controllo ecc.) e la certezza di un disastro (interi settori rasi al suolo): credo ci siano pochi dubbi su quale sia il male e quale il peggio.
Per il punto b), si rischia effettivamente di veicolare, all’insegna del “la gente crede a quello che vede”, la percezione che la vita umana valga poco o nulla: come accade in uno scenario di guerra, perché è di questo che stiamo parlando.
Peccato che il valore attorno cui ruota una società sia fondamentalmente il lavoro, poiché è quello a tracciare il solco fra il (soprav)vivere onestamente o in altra maniera.
Immaginati un day-after in cui, e non sono neppure gli scenari più pessimistici, metà circa della popolazione rimane senza occupazione: una situazione del genere farebbe emergere comportamenti non solo egoistici, ma direttamente delinquenziali.
Se ci sono modi creativi di aiutare l'economia – abbonamento al teatro in streaming, take-away a palla, gofoundme per chi perde il lavoro – io sono per sfruttarli nell'ottica della solidarietà sociale che ritengo un pilastro di una società sana. Per lo stesso motivo, ritengo fondamentale comportarsi in un modo che impedisca al sistema sanitario di andare completamente in palla.
Sfruttare risorse tecnologiche e di comunicazione a distanza impensabili sino a pochi anni fa, anche sul piano della diffusione, è senz’altro un approccio costruttivo.
Che però va a sbattere, ancora una volta, contro inadempienze pregresse.
Ad esempio il cancro mafioso delle privatizzazioni che, abbattendosi su Telecom col ferale concetto di “area a fallimento di mercato” e il conseguente digital divide, ha ipotecato il futuro infrastrutturale del Paese in un settore vitale.
Oppure l’indifferenza di fronte all’eruzione dell’Eyjafjallajökull, per gli amici il vulcano islandese, che nel 2010 aveva bloccato il traffico aereo.
Da un giorno all’altro, il mondo scoprì che in molti casi videoconferenze e tecnologie affini potevano tranquillamente surrogare viaggi e trasferte di lavoro.
Un Paese capace di pensare il mondo in cui vive ne avrebbe dedotto che circostanze simili potevano ripresentarsi in qualunque momento, organizzando tale modalità di backup per averla già operativa in piena efficienza alla bisogna.
Abbiamo disinvestito sul futuro anche in questo e ora ci ritroviamo a improvvisare.
Con l’ulteriore aggravante che i soggetti più bisognosi – come gli anziani, soprattutto se soli – sono al tempo stesso i più in difficoltà nell’accesso alle nuove tecnologie.